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Autore: _Bri_    25/01/2024    2 recensioni
Storia ispirata in parte a "Sex Education", nuova serie televisiva di Netflix.
Elliott Johansson non ne sapeva niente d’amore, figuriamoci di sesso. Se qualcuno gli avesse detto, magari con una premonizione un po’ raffazzonata, che si sarebbe ritrovato chiuso nel bagno delle ragazze del terzo piano –praticamente in disuso, vista la costante fastidiosa presenza di Mirtilla Malcontenta- a dare consigli ai suoi compagni di scuola sul come migliorare la propria vita sessuale, Elliott avrebbe singhiozzato risate a rotta di collo.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Robins, Nuovo personaggio, Roger Davies
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo IV

Caso clinico 4: la consapevolezza di Sé

 

 

L’aveva colta nel segno, era evidente. Presa totalmente in contropiede, Demelza si pietrificò: gli occhi incastrati in quelli di Elliott, la bocca mezza schiusa e il volto in ardente condizione epidermica.

“Capo! Non voglio mica disturbarti, ma dobbiamo proprio andare via.”

“N-non ora Millicent. “ Stranamente risoluto, Elliott non avrebbe permesso ancora una volta a Demelza di tacere; la strega gli doveva una spiegazione e lui avrebbe fatto in modo di ottenerla. Per una volta, Elliott si sentì fortemente deciso a non lasciarsi distrarre da nessuno. Ma la mano di Millicent che gli afferrava il collo della giacca con veemenza, lo costrinse a ritardare ancora una volta la sua evoluzione da ragazzo remissivo a deciso e irremovibile.

“Non ci siamo capiti, dobbiamo andare, subito!”

La voce di Milly esprimeva un’urgenza che, unita al placcaggio fisico, era difficile da ignorare.

Fu così che i tre corsero lungo le scale della torre di astronomia senza avere una meta ben precisa; in realtà Elliott tentava di stare al passo delle due streghe le quali, innegabilmente, possedevano una prestanza fisica esponenzialmente maggiore alla sua. Sentiva, il giovane mezzo svedese, i polmoni implodere e se non si fosse fermato subito per riprendere fiato, era certo sarebbe stramazzato al suolo molto presto. Aveva tentato di chiedere, fra un boccheggiare e l’altro, per quale motivo Millicent era stata così categorica, ma la serpeverde non aveva fornito una risposta ben delineata; aveva invece farfugliato parole come squadra dell’ inquisizione, faccia da rospo e siamofottutamenteneiguaicapo!

La corsa forsennata ebbe fine una volta girato l’angolo del corridoio del primo piano che stavano percorrendo; difatti uno squittio fuoriuscì dalla bocca di Demelza, che successivamente imprecò nel planare con il sedere a terra. Millicent si lasciò invece sfuggire un colorito merda appena si rese conto che il motivo del capitombolo della grifondorina, altro non fosse che il corpo piegato dai reumatismi di Argus Gazza.

Erano-definitivamente-fottuti.

Il magonò si espose in uno dei suoi sorrisi più maligni non appena si rese conto di aver appena infilato nel sacco da portare all’inquisitrice suprema ben due studentesse; si sfregò dunque le mani e rivolse la sua attenzione a Mrs Purr, che s’era avvicinata al corpo spiaggiato di Demelza e aveva preso a colpirle la punta del naso con una zampetta artigliata.

“Bene bene, credo proprio che voi due verrete con me, preparatevi a una bella punizione serale!”

“Non sono ancora le nove!” Gridò Millicent risentita, “Il Decreto dice chiaramente che ci è permesso stare fuori i dormitori fino a quest’ora!”

“Oh, ma il decreto non dice che vi è permesso riunirvi in associazioni segrete!”

“Ma che cazzo dici, vecchiaccio rincitrullito!” Pigolò dal basso Demelza, dopo aver spostato con una mano quella gatta maledetta che le stava torturando la faccia. Nel sentire tale colorito appellativo, Argus Gazza allargò ancor più il sorriso: nella sua testa paradisiache immagini di torture andavano formandosi, mentre un’epica colonna sonora da regime totalitario ne accompagnava la creazione. Avrebbe continuato a fantasticare, non fosse stato interrotto dall’ansimare di Elliott Johansson, che finalmente era riuscito a raggiungere le altre due.

“Ti p-pre-gooo!” Disse con quel poco di fiato che gli era rimasto incastrato in gola e con la mano sinistra tesa verso di lui, mentre la destra era intenta a stringere la camicia all’altezza del cuore che, ne era certo, di lì a poco avrebbe dato vita a un’esplosione peggiore di una bombarda maxima.

“Sono… con me, so-no… accipicchia non respiro… sono pazienti!”

Nel riconoscere la figura di Elliott, Gazza fu costretto a interrompere i suoi sogni di tortura per dare ascolto al ragazzo. Lo guardò con estremo sospetto, quindi incrociò le braccia e berciò: “E allora dimmi per quale motivo stavate correndo via.”

Elliott gettò prima un’occhiata a Millicent in piena deglutizione da attacco d’ansia, poi Demelza ancora spalmata a terra che ricambiò lo sguardo come a voler dire sei tu il cervellone, spremi le meningi stupido totano in salmì! Così, ritrovato un minimo di fiato, tornò a guardare Gazza, tirando fuori la prima cosa gli fosse venuta in mente in quel momento, ovvero che quella che aveva appena tenuto era una seduta di coppia non programmata; le due streghe lo avevano infatti messo alle strette, implorandolo di ascoltare le loro disavventure d’amore, convinte che Elliott fosse l’unica speranza per salvare il loro rapporto ultimamente messo a dura prova dal rinnovato conflitto intercorso fra le loro case di appartenenza. Demelza si apprestò a gridare un ‘ma sei scemo?!’ Zittita da un calcetto inferto da Milly, evidentemente molto più sveglia di lei nel cogliere quella non sperata via di fuga. Grugnì, la povera Demelza, prima di alzarsi a fatica e bofonchiare parole d’assenso. Per un lungo momento che alle due streghe sembrò interminabile, Argus Gazza ed Elliott si guardarono fissi; probabilmente il primo stava tentando di capire se quella del corvonero non fosse che una frottola tirata in ballo per uscire da quel guaio, ma alla fine il magonò, con quello che assomigliava più a un rantolo animalesco che a una voce umana, si decise a parlare:

“Filate nei vostri dormitori, subito. Evitate l’ingresso all’ufficio del preside, così non avrete problemi. Se dovessero fermarvi, dite che avete appena concluso una punizione che sono stato io stesso ad assegnarvi.” Infine Gazza lanciò un’occhiata prima a Millicent, poi a Demelza che a quel punto stava tentando di rassettare la sua divisa mentre imprecava contro tutti i fondatori di Hogwarts, Godric Grifondoro compreso. “Fate abbastanza schifo come coppia, ma date ascolto a quel ragazzo, lui ne sa, eccome se ne sa.”

I tre non se lo fecero ripetere due volte e così come erano arrivati, corsero via cogliendo il consiglio del custode di Hogwarts.

“Quindi vuoi dirmi che quel boccalone in salsa aggrumata è a conoscenza del tuo lavoretto qui a Hogwarts? E non ti ha spedito lui stesso fuori dal cancello a calci?”

Elliott non aveva nessuna intenzione di infrangere il segreto professionale, per giunta con la persona che, ne era assolutamente convinto, gli inviava messaggi minatori fin dall’inizio di quella faccenda.

“Qui se c’è qualcuno che deve rispondere a una domanda sei… ehi! Dove stai andando?”

Il corvonero e la serpeverde rimasero a fissare la minuta figura di Demelza Robins correre via, mentre dichiarava che la direzione della torre di Grifondoro fosse esattamente all’opposto rispetto alla loro. Elliott sospirò sconfitto: gli mancava un soffio per far confessare Demelza, ma il destino si era messo in mezzo. Pazienza, avrebbe tentato l’indomani.
Una volta giunto al suo dormitorio, Elliott si rese immediatamente conto che qualcosa non andasse: fra i suoi compagni e compagne vi era infatti un gran cianciare e la frenesia era ad un livello talmente alto tale da confondere l’improvvisato magiterapista peggio di un incantesimo confundus. Subito adocchiò un botta e risposta fra Michael Corner e Anthony Goldstein, circondati da grandi e piccini della casa di Corvonero. S’affrettò ad avvicinarsi a Roger e a chiedergli come mai avesse un’espressione tanto meravigliata e di cosa stessero parlando i loro compagni.

“Ma dove eri finito?! Non sai che è scoppiato il caos questa sera!” Poi Roger scostò lo sguardo da Cho Chang, la quale era intervenuta nella discussione con gli occhi resi lucidi dai lacrimoni e lo puntò su di lui “Non dirmi che anche tu eri alla riunione di quell’ Esercito di Silente!”

Basito, Elliott scosse il capo smuovendo la zazzera di capelli neri e lasciò che il suo migliore amico gli raccontasse di quanto accaduto. Fu così che venne a conoscenza di questo gruppo segreto capitanato da Harry Potter, che si riuniva da mesi per apprendere gli incantesimi di Difesa contro le Arti Oscure che il Ministero aveva reso illegali. Pare che, a farne parte, ci fossero anche molti dei suoi compagni di casa, come ad esempio Anthony e Michael, Luna Lovegood, Cho e Marietta e che fosse stata proprio quest’ultima a fare la spia con la professoressa Umbridge.
Ecco spiegato il perché delle parole del custode di Hogwarts e dell’allarme che aveva lanciato Millicent.

“E io che pensavo che fossimo noi i più trasgressivi con il confesional!” Disse Roger tirando pacche sulla spalla del suo amico.

“Già… senti van, devo parlarti, forse ho scoperto chi è che ha mandato tutti quei chartanimus nei mesi scorsi.”

“Ne parliamo dopo amigo, ora voglio capirci qualcosa di tutta questa faccenda. Padma ha detto che durante gli ultimi incontri hanno imparato a sviluppare un patronus, ci crederesti?! Quella si che è magia avanzata. Io l’ho sempre detto che Harry Potter è uno in gamba, del resto un cercatore come lui non si era mai visto prima a Hogwarts!”

Elliott si chiese quale e specialmente se sussistesse un nesso fra la capacità nel generare incantesimi avanzati e la bravura nell’afferrare i boccini. Lasciò quel quesito per sé e si accostò a Roger, immerso nel racconto di Michael Corner, che aveva totalizzato l’attenzione dell’intera sala comune di Corvonero.

*

Durante i giorni a seguire Hogwarts era caduta nel caos più totale; pare infatti che a costituire l’Esercito di Silente fosse stato, per l’appunto, proprio Silente in persona, il quale dopo aver mandato a zampe per aria -letteralmente parlando- la professoressa Umbridge, il Ministro della magia Caramel e un paio di auror, era scomparso nel nulla con la sua fenice. A seguito della fuga di Silente, fu la Umbridge a prendere il suo posto come preside della scuola, ma risultò lampante che la strega rosa vestita non fosse stata accolta niente affatto bene; molti furono i tiri mancini tirati alla professoressa, ad esempio fuochi d’artificio molesti avevano preso a infestare la scuola -e nessuno, ma proprio nessun professore parve riuscire a cavarsela senza l’aiuto della neo preside, che ci stava rimettendo il senno-, così come paludi maleodoranti spuntavano nel bel mezzo dei corridoi. Proprio durante una delle lezioni del professor Vitious, per poco Elliott non era stato investito da una girandola pirotecnica totalmente fuori controllo. Fortunatamente questa aveva circumnavigato l’esile figura del mago, in quel momento in piedi a dare dimostrazione di un nuovo incantesimo, per poi uscire dalla stanza alla rincorsa della Umbridge, venuta in soccorso dopo la richiesta di un annoiatissimo Vitious. In poche parole il regime della preside era costantemente messo a repentaglio, non importava quanti e quali decreti il Ministero emettesse per sedare la rivolta in atto.
Elliott, di suo, era abbastanza in tensione; si può affermare che il ragazzo vivesse in un costante stato di ansia dato dal terrore di essere scoperto da uno dei membri della squadra d’inquisizione. Era consapevole quanto Draco Malfoy ad esempio, che aveva mostrato nei suoi confronti livelli nuovi di odio, avrebbe goduto nel coglierlo in flagranza di reato; poco importava di avere la copertura di Argus Gazza.
Inoltre dalla sera della fuga del professor Silente, Elliott non era più riuscito a parlare con Demelza riguardo alla sua presunta colpevolezza in merito all’emissione di bisce straripanti messaggi minatori. Oltretutto il corvonero era sempre più convinto di avere ragione in merito alla battitrice grifondoro, in quanto dal giorno del loro ultimo colloquio, mai più un solo piccolo chartanimus era pervenuto a lui per minacciarlo di chiudere la questione confesional.
Non che Elliott fosse intenzionato a continuare ancora, era troppo annichilito dalla codardia per mandare avanti quel gioco.

“Non se ne parla proprio, togliti dalla testa l’idea di lasciar perdere!”

Durante l’ora di cena, Elliott aveva avuto la bella idea di riferire a Parvati che aveva intenzione di chiudere bottega. La reazione della fanciulla era stata, come da previsioni, decisamente sconsiderata: aveva alzato la forchetta con la quale stava infilzando una porzione di rapa rossa e aveva preso a puntarla nella sua direzione. Era molto, molto minacciosa.

“Ma non posso continuare, sono sicuro che mi scoprirebbero presto…” Elliott lanciò uno sguardo al tavolo di Serpeverde, l’unico tavolo dal quale provenivano schiamazzi a profusione, senza che per questo i membri della casa verde e argento venissero redarguiti.

“Tu non puoi…” Parvati riprese fiato e tentò di calmarsi, specialmente dopo che Lavanda Brown le aveva afferrato le spalle sussurrandole che forse stava esagerando con quella reazione, “…tesoro, gioia mia, pensaci bene, non vorrai mica lasciare noi studenti in balia di noi stessi, ormai sei un servizio necessario alla comunità, lo capisci?”

La sola cosa che capiva realmente, Elliott, era che l’unico interesse di Parvati fosse quello di riuscire a sfilare qualche succoso pettegolezzo dalla sua bocca. Il mago prese a torturarsi il septum con eccessivo nervosismo, sempre più provato dalla situazione in cui verteva; ci mancava Parvati Patil per farlo uscire totalmente fuori dai gangheri.

“Senti cocco, pensaci solo ancora un po’ su, che ne dici? Non prendere decisioni affrettate che potrebbero mandare all’aria l’unica salvezza di noi poveri studenti.

“Per altro non capisci che se dovessi smettere con le tue sedute, torneresti a sparire nell’ombra da cui sei stato miracolosamente tirato fuori? Ora via, mangia questa che ti vedo troppo sciupato ultimamente.”

Prima che Elliott avesse la possibilità di replicare -invero l’idea di sparire nell’anonimato era un sogno che agognava ormai da molto tempo-, Parvati, delicata come un fiammagranchio in amore, gli infilò un pezzo di rapa in bocca e chiuse lì la questione, facendogli capire che non sussisteva alcuna possibilità di replica, non quel giorno quantomeno.
Fra un boccone e l’altro ingollati controvoglia, Elliott si guardava intorno nella speranza di scorgere Demelza, quand’ecco che vide arrivare quest’ultima con ancora la divisa addosso e piena di fango fin sopra la punta dei suoi scarmigliati capelli rossi. Quando la ragazza notò la sua presenza, però, inchiodò subito il passo e fece dietrofront, rinunciando così alla cena. All’attento sguardo di Parvati non sfuggì di certo lo strano comportamento della sua amica e i suoi occhi scuri, d’improvviso, si illuminarono a giorno: accostò la spalla a quella ossuta di Elliott e prese a fissarlo con uno strano sorriso vagamente inquietante.

“Dimmi un po’, come mai Elza è scappata via non appena ti ha visto?”

Il mago si strinse nelle spalle, “Non ne ho idea.” Disse poi, con scarsa convinzione. Aveva compiuto un grosso errore, lo sapeva; Parvati non era di certo una che si poteva abbindolare con facilità, non di certo quando si trattava di possibili gossip, quantomeno. Quest’ultima infatti lanciò un’occhiata a Lavanda e Romilda, che contraccambiarono per poi dar vita a un bisbiglio pieno di risolini. A seguito di quello che Elliott reputò un teatrino patetico e svilente, il corvonero puntò nuovamente l’attenzione su Parvati, la quale aveva stretto le braccia in una morsa e aveva contraccambiato con lo sguardo di chi la sa molto più lunga di te.

“Davvero non ne sai niente? Non è che c’è mica qualcosa fra di voi?”

Se avesse avuto qualcosa da masticare, quella gli sarebbe di certo andata di traverso. “Qualcosa… cosa? Credo di non comprenderti, Parvati.”

“Oh, piantala di fare il santarellino! Da uno che tiene in piedi uno sportello per dare consigli sessuali questa faccia da finto tonto è poco credibile! Sai bene di che parlo! Allora? Vi siete baciati? Avete già fatto sesso?” Parvati strinse la coda di cavallo in cui aveva chiuso i suoi lucidi capelli neri, mentre Elliott avrebbe voluto scavarsi una fossa molto profonda, “se lo avete fatto e non mi avete detto nulla… oh! Quante ve ne dirò!”

A quel punto Elliott scosse le mani esprimendo agitazione crescente: “Non… non è assolutamente così! Non c’è nulla fra Demelza Robins e me, nulla!”

Parvati lo studiò a lungo, prima di annuire rassegnata, affranta per colpa dell’ infranta speranza di avere qualche scoop fra le mani: “Ti credo, nessuno è più ferrato della sottoscritta su questo argomento, è ovvio dalla tua reazione che fra di voi non c’è stato nulla.”

Improvvisamente più rilassato, Elliott annuì, per poi pietrificarsi di nuovo nel sentire Parvati aggiungere: “Ma questo non vuol dire che a te dispiacerebbe la cosa. È chiaro, lo vedo dal tremolio del tuo sguardo, tesoro. La nostra Elza ti piace. Eccome, se ti piace.”

Elliott era fuggito via da quella conversazione alla velocità della luce. Come poteva essere saltato in mente a quella squinternata della Patil che a lui potesse piacere Demelza Robins? Mentre si avviava con passo spedito al campo da Quidditch -se la squadra di Grifondoro aveva concluso il proprio allenamento, voleva dire che in quel momento toccava a Corvonero occupare il campo- al giovane mezzo svedese venne da sorridere; a lui non era mai piaciuto nessuno, non in quel senso, almeno. Credeva fosse possibile che ciò accadesse? Questa era una delle poche domande a cui Elliott non era in grado di dare una risposta certa e purtroppo sapeva bene che nessun libro avrebbe potuto illuminarlo in tal senso. La consapevolezza di sé, del proprio stato emotivo, era qualcosa che sembrava totalmente assente nella sua persona.

“No, non è possibile, certo che non è possibile. Devi smettere di pensare a quanto detto da Parvati, sono solo sciocchezze. Sciocchezze, sì.”

Elliott continuava a parlare fra sé e sé, intanto che allungava il passo verso gli spalti del campo da Quidditch, effettivamente occupato dalla squadra Corvonero in pieno allenamento. Gettò uno sguardo al suo orologio da polso; le lancette segnavano le sette e trenta, per questo realizzò che avrebbe dovuto attendere un’altra ora prima della fine degli allenamenti. Quantomeno poteva stare tranquillo, in quanto la squadra dell’inquisizione era particolarmente accanita con gli studenti grifondoro e se questi ultimi avevano appena liberato il campo, voleva dire che i suoi membri li avevano seguiti.
I sottili occhi verdi rimbalzavano distrattamente da un passaggio all’altro di pluffa, per poi finire sul boccino d’oro, che il cercatore della loro squadra, con ogni evidenza, non era stato in grado di individuare. Se solo fosse stato capace di volare decentemente, Elliott sarebbe stato un ottimo cercatore, ma lo sport non faceva proprio per lui.
Mentre seguiva il boccino si ritrovò nuovamente a pensare a quanto detto da Parvati, e quelle parole lo distrassero fin quando la voce di Roger, a cavallo della sua Nimbus 2000 fluttuante davanti a lui, non lo riportò alla realtà.

“Che ci fai qui? Non dirmi che hai scoperto di preferire il Quidditch ai compiti di Storia della Magia!”

“No, ecco… volevo parlarti, van. Forse ho bisogno di un tuo consiglio.”

“Elliott Johansson che chiede consiglio a qualcuno?” Esclamò Roger planando sugli spalti e issando la scopa sulla spalla destra “Questo sì che è un evento storico, dobbiamo brindare con del whisky incendiario quanto prima! Accennami qualcosa mentre torniamo al dormitorio, non voglio che qualche cabrón della squadra d’inquisizione colga l’occasione per toglierci qualche punto. Quale sarebbe l’argomento?”

Elliott fece spallucce e poi infilò le mani nelle tasche dell’ampio mantello.

“Ragazze.”

Fu inevitabile, per Roger Davies, strabuzzare gli affilati occhi scuri nel sentire uscire quella parola dalla bocca del suo migliore amico. Da che ne avesse memoria, Elliott non aveva mai mostrato interesse per nessuno che non fosse se stesso e i suoi soggetti di studio. Il venticello piacevole di quella serata d’aprile scompigliò i capelli neri del mezzo svedese, che con gesto automatico tentò di sistemarli mentre, con passo cadenzato, si avviava fuori dal campo da Quidditch.

“Beh…” si riprese Roger, tentando di mascherare l’eccessivo stupore che aveva donato colore al suo viso olivastro, “…sai bene che sono il massimo esperto in materia, hai fatto bene a venire dal sottoscritto. Allora chi è la niña che ti occupa i pensieri?”

*

Demelza raggiunse il proprio dormitorio sbuffando con la stessa frequenza dell’’Hogwarts Express, già pentita di non essersi fermata a mangiare; il suo stomaco brontolava a più non posso e a ogni brontolio la rimbrottava, facendola sentire stupida e codarda. Possibile che avesse così timore di un confronto con Elliott Johansson? Fra tutti i difetti che possedeva, Demelza non si riteneva di certo una pavida -perché cavolo sarebbe finita nella casa del coraggioso Godric Grifondoro, altrimenti?-, eppure quel ragazzo corvonero dall’aria stralunata era in grado di stravolgere la sua personalità, ormai era un dato di fatto.
Con meccanicità, senza farci più caso, dopo aver riposto la sua scopa la giovane grifondoro aveva afferrato l’ennesima lettera che Zacharias Smith aveva fatto in modo di infilarle sotto la porta del dormitorio e la gettò sulla pila di quelle già ricevute. A seguito di una lunga doccia con annesso gratta e netta si era poi gettata sul suo letto e aveva perso lo sguardo chiaro sul telo che ornava il consumato baldacchino. Come era possibile fosse già arrivato aprile? All’ennesimo brontolio, la strega sbuffò e rotolò su se stessa, per affondare la faccia spruzzata di lentiggini nel morbido cuscino. Non si sentiva minimamente preparata per gli esami che avrebbe dovuto affrontare di lì a qualche mese e il poco tempo che si trovava a disposizione doveva impiegarlo negli allenamenti di Quidditch, perché la sua squadra era ridotta in condizioni pietose. A tutto questo si aggiungeva la costante e molesta presenza di Zacharias Smith il quale, era chiaro, non era stato educato a chiedere il consenso dell’altra persona e non faceva che tartassarla di regali sgraditi e lettere melense.
Lo odiava.
E come se tutto questo non bastasse, doveva anche star dietro a quel cretino corvonero che le riempiva i pensieri, oltre che i momenti morti delle sue giornate a Hogwarts. Non sapeva bene se odiare anche Elliott per partito preso e buttarlo nella sua cantina emotiva insieme a Zacharias Smith e tutta una serie di altre persone che, fosse per lei, non avrebbero diritto di respirare il suo stesso ossigeno, o se accettare l’idea che, in realtà, la sua presenza non era poi così tanto sgradita.
Con ancora la faccia immersa nelle pieghe del cuscino, Demelza si ritrovò a ripensare alla serata trascorsa in compagnia del mezzo svedese con un certo… solletichino allo stomaco. Sorrise con spontaneità nel rivivere nella mente le battute del mago, poi sentì avvampare le guance rosee, quando i suoi ricordi si soffermarono nell’incastro con i suoi occhi tinti di quel colore di limpido mare, come la sua bocca che sbuffava fumo e si piegava nel sorriso più morbido che…

Eh-ehm… hanno lasciato questo per te.”

La voce di Hermione Granger, che assieme a Parvati e Lavanda condivideva con lei il dormitorio, la riportò bruscamente alla realtà(1). Hermione osservò la strana reazione della compagna e si affrettò a scusarsi per averla svegliata: fortunatamente aveva scambiato il rossore delle sue guance per la pressione del viso a contatto con il cuscino. Dopo aver rassicurato Hermione, l’attenzione di Demelza fu catalizzata dal gigantesco orso di peluche che la strega teneva fra le braccia; lanciò così l’ennesimo colorito impropero della giornata -che fosse sera e che lei si trovasse già a letto non erano garanzia del fatto che sarebbe stato l’ultimo-, così afferrò la bacchetta e tentò di far evanescere l’ennesimo regalo del tassorosso.

“Mi spiace averlo dovuto portare qui” pigolò Hermione con un certo imbarazzo, “ma, ecco… era stato lasciato davanti al quadro della Signora Grassa e beh, sai quanto non sopporti l’essere oscurata da chicchessia. Ha un ego molto sviluppato, quella lì!” Esclamò poi, prima di aiutare la sfinita Demelza nell’ardua impresa di far sparire in maniera definitiva il mastodontico orso con dei fluorescenti cuori rosa al posto degli occhi.

*

Elliott aveva deciso di attivare nuovamente il confesional, non tanto mosso da chissà quale spirito altruistico, o per l’esigenza di infilare in tasca qualche altro galeone; banalmente, non aveva intenzione di mettersi a discutere con Parvati per ritrovarsi poi fra le sue mire, specialmente una volta che era venuto a conoscenza che l’esotica grifondoro aveva preso parte a quel fantomatico Esercito di Silente. Elliott rabbrividì nel pensare a quale fattura sarebbe stata in grado di scagliargli contro se avesse osato contravvenire a un suo ordine. Così, sebbene a malincuore, aveva preso la decisione di accogliere di nuovo i suoi pazienti.
Di nuovi se ne erano aggiunti nell’ultimo mese, ma alcuni continuavano a recarsi da lui con cadenza regolare. In quel momento, rannicchiato sul water sempre accuratamente coperto e deterso con un potente incantesimo disinfettante brevettato da lui stesso, Elliott ascoltava il lamentoso Zacharias Smith.

“Ho tentato di fare quello che mi hai detto, ma è stato totalmente inutile… anzi, è stato un totale disastro!”

La voce lamentosa del tassorosso rimbalzava da una parete all’altra, tanto che anche Mirtilla Malcontenta, solitamente molto interessata ai pettegolezzi che trapelavano dalle sedute che teneva Elliott nel bagno, si era vista costretta a sparire nelle tubature. Da lì alla fine dell’ora, non aveva mai fatto ritorno. Il corvonero, di contro, stava tentando di non seguire la fantasmina o di non cercare anche lui un definitivo incontro con la Morte, ma l’impresa si presentava sempre più ardua. Mentre all’inizio dell’anno era riuscito a mantenersi in qualche modo distaccato, ultimamente ogni qualvolta che incrociava Zacharias Smith anche solo per sbaglio, sentiva montare dentro di sé una rabbia scalpitante e la pazienza, che era sempre stata sua amica fedele, lo stava  abbandonando.

“Perdonami, ma non credo di averti mai consigliato nemmeno velatamente di mostrare il tuo ossessivo interesse morboso con regali inappropriati.” Ad ascoltarsi da fuori, Elliott Johansson non sarebbe stato in grado di riconoscere il tono della propria voce, inclinato in una spazientita quanto irritata risposta al vetriolo. E la cosa peggiore è che non riuscì a trattenersi dall’offenderlo ancora, affibbiandogli appellativi quali inquietante e tossico.

“Ma… ma come ti permetti?!” Aveva squittito il tassorosso dalla sua posizione  per poi, con un gran trambusto, catapultarsi fuori di lì per spalancare la porta del bagno in cui si trovava Elliott. Quest’ultimo osservò la faccia paonazza di Zacharias, piegata in un’espressione di difficile interpretazione: era chiaro che da un lato era stato mosso dall’istintiva voglia di afferrare il corvonero per il colletto della camicia, d’altro canto, probabilmente, non si sentiva in grado di dar via a una baruffa alla babbana. Ed Elliott, che era davvero l’ultima persona al mondo in grado di venire alle mani, era ormai talmente fuori di sé che per reazione era saltato in piedi come un grillo e lo aveva provocato di nuovo:

“Solo uno stolto del tuo livello avrebbe potuto pensare che a una strega come Demelza Robins potesse piacere un orso di peluche in scala uno a uno! Mi piace pensare che tu non la conosca affatto, perché se fosse altrimenti dovrei registrarti come caso irrecuperabile di demenza precoce!”

Perché se la stesse prendendo tanto, Elliott proprio non riusciva a capirlo. Per lui ogni reazione eccessiva in conseguenza a una forte carica emotiva, era da considerarsi totalmente inedita. Ma ancora una volta -mentre il tassorosso, dopo aver strabuzzato gli occhi dallo stupore, aveva deciso di lanciare un gancio molto scoordinato nella sua direzione-, ragionò sul fatto che tutte le emozioni più forti provate nella sua vita erano in qualche modo legate a Demelza Robins. Curioso, valuto fra sé intanto che si premurava di evitare il pugno del tassorosso.
Fortunatamente Zacharias Smith andò a vuoto, ma finì per cadergli addosso. Elliott lo spinse lontano in maniera istintiva, facendolo barcollare fino la parete opposta: da quel momento fu il caos.
Zacharias tornò alla carica sfoderando un urlo disumano e calò su Elliott con un altro gancio, questa volta colpendolo di striscio sullo zigomo. Con i lacrimoni agli occhi, il corvonero tentò di contrattaccare (oh, se solo fosse riuscito a tirar fuori la sua bacchetta riposta purtroppo nella borsa), ma riuscì solo a colpire, benché con non troppa potenza, la spalla destra di Zacharias Smith.
I due finirono a terra e cominciarono a rotolare, fin quando non fu il tassorosso, scontatamente, a sovrastare Elliott; quest’ultimo se la stava vedendo proprio brutta e difficilmente sarebbe stato in grado di evitare il gancio che stava caricando Zacharias. Così Elliott serrò gli occhi e attese l’inevitabile, eppure stranamente non sentì nessun impatto con il pugno del compagno. Tutt’altro, Elliott si sentì alleggerito del peso di Zacharias.

“Non ti permettere di toccarlo!” Gridò Millicent che sentito il gran trambusto era entrata nel bagno di cui si trovava a guardia e aveva fatto giusto in tempo ad afferrare per le spalle il tassorosso; Zacharias venne catapultato fuori in men che non si dica. Infine Milly si avvicinò al malconcio corvonero, allungò la mano per aiutarlo ad alzarsi e lo tirò su con neanche troppo sforzo. Elliott la ringraziò, aveva l’aria confusa e lo zigomo si era gonfiato parecchio.

“Tutto bene capo? Vuoi andare da madama Chips?”

Con il fiato corto, Elliott puntò lo sguardo in quello di Millicent e per un po’ rimase immobile, tanto che la strega si allarmò, intimorita che al suo amico fosse venuto un ictus.

“Temo mi piaccia Demelza Robins.” Disse infine, con il suo solito tono grigio.

“Capo, non prendertela ma questo lo hanno capito anche i muri; vuoi dirmi qualcosa che non so?”

Elliott aggrottò le sopracciglia scure ma non aggiunse altro. Si sentiva molto frastornato, anche se era difficile dire se il motivo fosse la zuffa appena avvenuta con Zacharias Smith -che intanto se l’era data a gambe levate, non avendo intenzione di vedersela anche con Millicent Bulstrode- o se la colpa fosse l’avere appena realizzato che, per la prima volta in tutta la sua vita, si fosse preso una bella cotta.

Allora era un essere umano funzionale anche lui?

E quindi Roger aveva ragione, alla fine pare proprio che l’unico a non essere consapevole dei sentimenti provati verso quella grifondoro dai capelli rossi fosse proprio lui. La sera in cui Elliott aveva raggiunto il suo migliore amico che si stava allenando, quest’ultimo aveva ascoltato con attenzione ogni parola che Elliott aveva faticosamente fatto uscire dalla bocca. Gli aveva spiegato che credeva che fosse proprio Demelza Robins la persona che mostrava così tanto odio nei confronti della sua attività di psicoterapeuta sessuale, anche se non aveva ancora ben chiaro quale fosse il motivo. Proseguì nel raccontargli della serata che avevano passato insieme e di come lei si fosse scusata per averlo sempre trattato così tanto male. In quel momento Elliott, totalmente inconsapevole della sua cotta, si era mostrato particolarmente felice di sentir dire a Demelza che in realtà lo invidiava.

“Non ci vuole un genio per capirlo, tio, ti sei preso una cotta per Demelza Robins!”

Nel sentire quell’affermazione buttata lì da Roger con tono ovvio, Elliott aveva strabuzzato gli occhi, poi aveva negato. A lui non piaceva affatto Demelza Robins, era solo molto curioso di sapere per quale motivo la ragazza si fosse accanita così tanto contro di lui.
Allora Roger aveva risposto di non averlo mai visto così tanto scosso, non emotivamente almeno. Da quando lo aveva conosciuto, non c’era stata persona o evento che avessero spinto Elliott Johansson a indispettirsi e incaponirsi così tanto. “Dai retta a me, io queste cose le capisco, è il mio campo!”

E poi anche Parvati gli aveva detto la stessa cosa, ma Elliott aveva liquidato anche le sue parole. Alla fine persino Millicent se ne era accorta.
Tutti, tranne lui.

“E ora che faccio?”

La domanda retorica venne rivolta a Millicent, che stava procedendo con lui verso la Sala grande. Era così tanto soprappensiero, che la serpeverde dovette spostarlo di peso per evitare che finisse dritto dritto in una delle paludi create dai gemelli Weasley (2), che per altro emanavano un odore nauseabondo, difatti Millicent non si capacitava di come la persona più suscettibile agli odori sgradevoli che conoscesse, non se ne fosse resa conto. Doveva stare proprio fuori di testa, ragionò lei.

“Beh, potresti invitarla a uscire”, rispose con semplicità Millicent.

Un verso di difficile definizione -forse un accenno di risata, forse un singulto- uscì dalla bocca di Elliott, prima di rispondere: “Non credo esista in questa dimensione conosciuta una sola eventualità in cui questo possa accadere.”

“Che cazzo vai dicendo, capo?”

Elliott non rispose. In cuor suo, il brillante quanto disastroso corvonero era convinto che se Demelza Robins fosse venuta a conoscenza della sua assurda cotta per lei, probabilmente lo avrebbe preso a bastonate con la sua scopa. Quelli come lui non piacevano a nessuno, nonostante sua madre gli avesse sempre detto quanto fosse unico e speciale.
No, avrebbe tenuto la sua cotta per sé e prima o poi quella sarebbe passata, ne era certo. Non c’era nulla di importante in quel sentimento, assolutamente nulla. Inoltre, anche se non voleva ammetterlo, Elliott non voleva dover affrontare una catastrofica delusione, vedendosi sbattere la porta in faccia dalla strega.
Avrebbe persino messo da parte la propria curiosità e avrebbe rinunciato a capire per quale motivo Demelza lo avesse minacciato per mesi.
Certo, Elliott Johansson non poteva sapere che la battitrice grifondoro aveva sviluppato anch’ella una cotta.
Così, entrato nella Sala grande per consumare la cena, Elliott incrociò lo sguardo di Demelza, seduta al tavolo della sua casa. Quest’ultima abbassò lo sguardo sul suo polpettone e Elliott capì di avere appena preso la miglior decisione possibile.
Era meglio dimenticare in fretta Demelza Robins e tornare ad essere il solito, apatico, Elliott Johansson.


(1) Nella saga originale pare che Hermione condividesse davvero il dormitorio con Parvati Patil e Lavanda Brown, così ho voluto mantenere questo dettaglio, aggiungendo all’appello anche Demelza Robins.

(2) I gemelli Weasley hanno davvero creato varie situazioni di disagio l’anno in cui la Umbridge è diventata preside; fra le varie malefatte, hanno brevettato e utilizzato una vera e propria palude maleodorante, piazzata nel bel mezzo di uno dei corridoi di Hogwarts. Come non amarli?

 

Come si dice, chi non muore si rivede, giusto?
Cari lettori, sono contenta di essere tornata. Quest’ultimo anno e mezzo è stato molto intenso e travagliato per la sottoscritta; la vita si è totalmente stravolta (in buona parte in positivo, grazie all’arrivo di G) e non sono più stata in grado di scrivere nulla, un po’ per mancanza di tempo, ma per buona parte a causa di una improvvisa e totale incapacità di scrivere. Ora che la concentrazione ha fatto di nuovo capolino, ho deciso di riprendere pian piano a scrivere e ho voluto iniziare proprio da questa storia, alla quale mancavano solo due capitoli per essere conclusa e che ho abbandonato all’improvviso, presa dall’emotività di un momento particolarmente delicato che ho vissuto.
Insomma, quale modo migliore per riprendere in mano questa mia grande passione, se non portando a termine un progetto sospeso?
Scrivere Sex Education mi ha sempre fatta ridere di gusto e anche se, quantomeno per il momento, mi sento molto arrugginita, ho bisogno di concludere la storia di Elliott Johansson e la squinternata Demelza, per potermi poi dedicare ad altre storie. Un passetto alla volta, conto di farcela.
Spero che qualcuno di voi sia rimasto all’ascolto e, ai nuovi arrivati, do il benvenuto in questa follia, alla cui conclusione manca un solo capitolo.
Insomma, sono proprio contenta di essere di nuovo qui, mi è mancato tutto questo.
Un grande abbraccio a tutti, vi aspetto nel gran finale.

Bri

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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