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Autore: Red Owl    25/01/2024    1 recensioni
NUOVA VERSIONE DI UNA STORIA GIA' PUBBLICATA, MA MAI FINITA
In un'epoca simile a quella della Roma Antica, Lidia, figlia di un senatore, viene data in sposa a un giovane germano. Quando deve trasferirsi in Germania, la sua vita viene sconvolta. A Roma non lascia solo la casa e le amicizie, ma anche Tito, il suo fidanzato, che è però determinato a non perderla.
Mentre aspetta che qualcuno venga a salvarla, Lidia deve imparare a convivere con la sua nuova famiglia e, soprattutto, con il suo nuovo marito. Tutto attorno a lei ci sono un villaggio che la guarda con sospetto, dei sacerdoti che parlano per enigmi e le ombre di un vecchio delitto che si allungano sempre di più sulla sua vita.
Genere: Avventura, Storico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Storico
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160 a.U.c. – Marzo

Roma

A Lidia non era proibito uscire di casa da sola: semplicemente non lo faceva mai, preferendo essere accompagnata da un'ancella o da sua madre. Quand'era stata l'ultima volta che aveva attraversato le strade di Roma in compagnia solo dei propri pensieri?

La città era così bella e lei non si era mai davvero presa il tempo per ammirarla. L'aveva sempre data per scontata, credendo che sarebbe sempre stata lì, a portata di mano.

E invece no, considerò mestamente mentre sfilava a capo chino attraverso il quartiere nel quale era nata e cresciuta.

Si fermò e alzò lo sguardo sulle imponenti colonne di un tempio. Non era mai stata particolarmente religiosa e nel segreto della sua mente non era nemmeno così sicura che gli Dei esistessero davvero, ma aveva sempre amato lo spazio ombroso tra le colonne e l'ingresso del tempio. Da bambina amava camminare lentamente lungo il deambulatorio, godendosi il gioco di luci e ombre che si creava lungo il perimetro dell'edificio. Era un rifugio, in un certo senso. Un riparo dal sole nelle calde giornate estive, un luogo fatto di pietra bianca, dell'eco dei passi e delle voci dei fedeli. Quando era nervosa o di cattivo umore, passeggiare lì la tranquillizzava.

Per un istante indugiò di fronte alla rampa che portava alle colonne. Forse poteva fermarsi qualche minuto... Subito scosse il capo, rinunciando a quell'idea. Non si illudeva che suo padre non si fosse accorto che fosse uscita di casa - certamente qualche servitore l'aveva avvisato appena si era chiusa la porta alle spalle - ma sapeva di non potersi permettere di sprecare del tempo in cose inutili.

Se il Senatore le aveva concesso un po' di solitudine per riordinare i pensieri, le aveva anche ingiunto di cenare con lui, così da iniziare a discutere i preparativi per il suo trasferimento in Germania. Lidia non aveva a disposizione che poche ore per accomiatarsi dai luoghi e dalle persone che amava, e nessuna di queste era più importante di Tito.

Suo padre le aveva ordinato di dimenticarsi di lui, ma quello era un ordine che Lidia non aveva nessuna intenzione di rispettare, almeno finché si trovava a Roma.

Il fatto che il suo fidanzato - ex-fidanzato, in effetti - fosse già a conoscenza della decisione dell'Imperatore era un piccolo conforto: non avrebbe mai sopportato di vederlo venirle incontro sorridente e dovere spezzare il suo sorriso in un modo così crudele.

Altro che impassibile matrona romana! Le sussurrò malevolo il suo subconscio. Sei una codarda, ecco cosa sei! Una ragazzina incapace di assumersi le proprie responsabilità!

Lidia si morse nervosamente le labbra. Be', era vero. Non aveva alcuna difficoltà ad ammetterlo. Avrebbe dovuto impegnarsi a fondo per diventare una persona più forte e coraggiosa, ma non c'era motivo per cui non dovesse riuscire nel proprio intento.

Lasciandosi il tempio alle spalle, proseguì con passo spedito verso la villa di Tito. Conosceva bene la strada, i suoi piedi percorrevano il tragitto famigliare in modo automatico, permettendole così di concentrarsi sulla città che la circondava. Lidia respirò il profumo del pane e dei piccoli fiori bianchi che adornavano i cespugli che delimitavano i giardini, quello delle verdure grigliate che qualcuno stava già preparando in vista della cena, quello del pesce e delle mandorle tostate.

Persino l'odore intenso dell'incenso che fuoriusciva dai templi le sembrava gradevole, sebbene solitamente non lo sopportasse, e gli occhi le si riempirono di lacrime al pensiero di lasciarsi quel mondo alle spalle.

Lo usano l'incenso, a Erding?

Suo padre le aveva detto che il villaggio in cui si sarebbe trasferita aveva dei costumi simili a quelli di Roma, ma lei sapeva che i Germani adoravano degli Dei diversi da quelli che conosceva lei. Certamente anche i loro riti religiosi sarebbero stati diversi. Con un brivido di disgusto, si chiese se il suo futuro marito l'avrebbe obbligata ad assistere a qualche rito barbarico. Sono i Germani, quelli che fanno i sacrifici umani, o i Celti? Si chiese in preda a un'ondata di panico. Probabilmente entrambi.

Be', lei non avrebbe mai assistito a uno spettacolo così ributtante. Su quel punto non sarebbero riusciti a farla cedere.

Quando finalmente raggiunse la villa del padre di Tito, aveva il respiro affannato e il cuore che batteva a mille. Sollevando un braccio per suonare il campanello d'ottone incastonato nell'arco di marmo che delimitava l'ingresso della villa, vide che la mano le tremava. Era possibile desiderare tanto vedere una persona e al tempo stesso temere il momento in cui se la sarebbe trovata davanti? Cosa poteva dire a Tito per rendere meno dolorosa la separazione?

Il suono squillante del campanello vibrò nell'aria e poco dopo Lidia udì uno scalpiccio di passi leggeri e un po' zoppicanti che preannunciava l'arrivo di Ottavia, l'anziana domestica che aveva cresciuto Tito fin dal giorno in cui sua madre si era ammalata ed era stata costretta ad allontanarsi per lunghi periodi dal marito e dal figlio per prendersi cura delle sue ossa doloranti. Stando a quanto le diceva il suo fidanzato, la donna passava giornate intere immersa nelle acque delle stazioni termali che sorgevano a qualche decina di chilometri da Roma.

Ottavia le comparve davanti avvolta nello scialle verde salvia che Lidia le aveva sempre visto indossare, ma, diversamente dal solito, non sorrideva: sul suo viso segnato dal tempo c'era invece un'espressione preoccupata, quasi nervosa.

 «Donna Lidia!» le disse comunque, stirando le labbra in una smorfia che aveva solo una vaghissima somiglianza con un sorriso. «Non mi aspettavo di vederti qui.»

Non la invitò a entrare e anzi restò ferma sulla porta con le gambe leggermente divaricate, come per sbarrarle il passaggio.

Lidia chinò la testa, a disagio. Era abituata a trovarsi in una posizione di vantaggio nei confronti dei domestici, ma sapeva che non avrebbe dovuto trovarsi lì. Probabilmente Ottavia era al corrente della situazione ed era anzi piuttosto probabile che il suo padrone le avesse ordinato di tenerla lontana da Tito.

Schiarendosi la voce, la ragazza cercò comunque di mostrarsi sicura di sé. «C'è Tito?» chiese per tutta risposta, esattamente com'era solita fare. 

Ottavia corrugò la fronte e nei suoi occhi la fanciulla credette di leggere compassione. «Sì, è in casa, ma non credo...»

 «Lidia?»

Il cuore le balzò in gola. Anche se non l'aveva sentito arrivare, Tito aveva evidentemente riconosciuto la sua voce ed era comparso alle spalle di Ottavia senza che le due donne si accorgessero della sua presenza. Lidia si portò d'istinto le mani alla bocca e dovette resistere alla tentazione di lanciarsi verso di lui, travolgendo la domestica e le sue proteste. Avrebbe voluto salutarlo, dire qualcosa, ma la gola le si strinse.

Non piangere, si disse sbattendo più volte gli occhi. Non davanti a Ottavia. Mantieni la tua dignità.

L'anziana domestica si voltò per fronteggiare il ragazzo. «Tuo padre non vorrebbe che voi due vi vedeste» gli disse a bruciapelo.

Ah, è così? Si chiese Lidia, provando un'improvvisa antipatia per l'Avvocato.  

Tito sollevò le mani come per placare Ottavia. «Lo so, ma mio padre non è qui» replicò con voce ferma. «Ottavia, per favore: credo di avere il diritto di salutare Lidia, no?»

La fanciulla osò sbirciare in direzione della domestica. Sembrava già un po' più incerta di quanto non fosse stata un istante prima: era evidente che aveva un debole per Tito e che trovava difficile negargli qualcosa.

La vecchia strinse un paio di volta la mascella e poi allargò le braccia, apparentemente sconfitta. «E va bene» sospirò. «Ormai siete qui: salutatevi, ma fate in fretta, che io non voglio finire nei guai per colpa vostra.»

 «Qui sull'ingresso?» chiese Lidia, che non sapeva se essere più addolorata da quell'addio sbrigativo o più oltraggiata dalla scortesia dell'altra donna.

«No, non qui» replicò Tito. «Vieni, andiamo in un posto in cui possiamo parlare un po' più con calma.»

Dal momento che tutti i loro incontri precedenti si erano svolti all'interno delle mura domestiche o comunque in compagnia di qualche ancella che li obbligasse a mantenere una condotta impeccabile, Lidia si sarebbe aspettata che Tito la invitasse a entrare, ma il ragazzo si diresse invece verso di lei.

«Dove...?» balbettò confusa.

«Dove state andando?» chiese invece con molta più decisione Ottavia.

 «Usciamo» replicò secco Tito. «Se mio padre dovesse tornare a casa, digli che sono andato a farmi un giro. Mi è ancora permesso, da quanto mi risulta.»

Ottavia gonfiò il petto ossuto. «Un'ora, padroncino» ringhiò puntandogli contro un dito deformato dall'artrite. «Se tra un'ora non sarai rientrato, sta' pur certo che racconterò tutto a tuo padre. E anche al tuo, di padre, Donna Lidia.»

«Un'ora sarà sufficiente» replicò il ragazzo, anticipando così le parole che erano sulla punta della lingua di Lidia.

Senza aggiungere altro, il giovane la prese per mano e la accompagnò in strada. La sua presa era salda, ma il suo palmo era leggermente sudato, unico segnale tangibile del nervosismo che, nonostante le apparenze, anche lui provava.

Quando si furono allontanati di qualche decina di metri dall'ingresso, Lidia si fermò. «Tito...» iniziò, con la voce già rotta dalle lacrime.

Lui però scosse il capo. «Non ancora» mormorò sollevando una mano ad accarezzarle la guancia. «Andiamo in un posto in cui possiamo parlare lontani da orecchie indiscrete.»  

Lei aggrottò la fronte, ma rimase in silenzio e si lasciò portare dove Tito voleva. La villa dell'Avvocato Fusco sorgeva nella parte più recente del centro cittadino, ai margini del nucleo nel quale si trovavano le ville più antiche di proprietà dei Senatori. Lì la natura non era stata ancora del tutto sostituita dalle pietre e dalle calce delle strade e degli edifici, e negli angoli e nelle nicchie dei muri crescevano erbe selvatiche e piantine che nessuno aveva coltivato. Per qualche motivo, Lidia aveva sempre amato quella specie di piccola insubordinazione al rigore cittadino.

Quando Tito imboccò uno stretto viottolo in discesa, comprese che la stava portando sulle rive del Tevere. Sorpresa, Lidia puntò per un attimo i piedi e il ragazzo le strattonò inavvertitamente il braccio.

 «Tutto a posto?» le chiese aggrottando la fronte.

«Sì» annuì lei dopo un istante. Certo che era tutto a posto, ma il posto in cui Tito la stava conducendo era sicuramente molto più isolato di qualsiasi luogo in cui si fossero trovati insieme - e da soli! - in passato.

E allora? Pensò, infastidita da quella vocina giudiziosa sembrava volerle suggerire di rispettare le indicazioni datele dagli adulti. Tito era un bravo ragazzo, certo non aveva nulla da temere da lui, e oltretutto quella era l'ultima occasione che avevano per stare insieme, per parlare e per dirsi addio. 

Il viottolo sbucava direttamente sul fiume e la ragazza fu brevemente abbagliata dal riverbero del sole sulle onde del Tevere. Un grande salice piangente colmo di tenere foglioline primaverili oscillava lentamente sospinto dalla brezza e qualcuno aveva sistemato alcune grosse pietre a mo' di panchina. Come aveva immaginato, il luogo era deserto.

«Eccoci» mormorò Tito.

Lidia gli rivolse un piccolo sorrise e si sedette con la schiena appoggiata al tronco dell'albero. Chissà se ci sarebbero stati salici come quello, in Germania, o se in quel clima ostile crescevano solo piante alte e scure, colme di muschio e dal tronco duro come granito.   

Ora che non aveva più scuse per rimandare ancora quella conversazione, Lidia si accorse di non avere le parole giuste per esprimere quello che provava. In piedi davanti a lei, Tito sembrava preda della stessa difficoltà.

La fanciulla fece un respiro profondo e strinse le dita sulla gonna. «Te l'hanno detto, quindi?» chiese con un filo di voce.

Che domanda stupida. Certo che l'ha saputo.

Lui chiuse gli occhi per un istante e annuì. «Che bastardi!» sputò poi.

Lidi sussultò. Non l'aveva mai sentito imprecare in quel modo e c'era una parte di lei che si scandalizzò davanti alla facilità con cui aveva insultato l'Imperatore. Ma come poteva dargli torto?

Gli occhi le si inumidirono di nuovo. «Ho provato a parlare con mio padre, ho cercato di fargli cambiare idea, ma non c'è stato niente da fare. Io non...» Le parole le morirono in gola e lei si asciugò stizzosamente gli occhi. Si sentiva così impotente!

«Mio padre si mi ha detto che andrai a Erding. È vero?» chiese il ragazzo in uno strano tono basso, quasi gutturale.

Lei deglutì e annuì.

Tito irrigidì la mascella e per un attimo i suoi occhi parvero guardare lontano, oltre a Lidia e oltre al salice alle sue spalle. «Verrò a prenderti.»

La ragazza credette di aver capito male. «Come?»

Questa volta Tito incontrò il suo sguardo. «Ho detto che verrò a prenderti. Non so perché mio padre mi abbia detto che ti porteranno a Erding, probabilmente gli è sfuggito, ma quello che conta è che lì io ho un amico.»

Lidia aggrottò la fronte. Non ne aveva idea. Tito non le aveva mai detto di avere conoscenze al di fuori di Roma. «Un... germano?» chiese incerta.

Il ragazzo sbuffò sprezzante. «Certo che no. Lucio è uno dei legionari che l'Imperatore ha mandato a Erding. Da bambini eravamo ottimi amici e ogni tanto ci scambiamo ancora delle lettere. So cosa ne pensa dei Germani e sono certo che, se glielo chiederò, mi aiuterà.» Tito si mosse velocemente e si inginocchiò davanti a Lidia, incurante del terreno umido che gli macchiò la tunica. «Lidia, io non ho nessuna intenzione di lasciarti in balia di quei barbari: verrò a prenderti e ti porterò via da lì.»

Per qualche istante, lei lo guardò con la bocca spalancata. Non poteva essere serio.

Non badando alla sua espressione allibita, Tito continuò. «Ho già qualche idea su come fare. Ci servirà un posto in cui andare a vivere, visto che ovviamente non potremo più tornare a Roma. Cosa ne pensi della Cirenaica?»

«La... Cirenaica

«Sì. A te piace il caldo, no? Se ci trasferissimo lì, non dovresti più preoccuparti dell'inverno.»

Lidia iniziò a scuotere lentamente la testa. «Non mi sembra una buona idea.»

Lui parve preso in contropiede. «Ah. Altrimenti avrei pensato anche alla Tracia. Non fa così caldo, ma...»

«No, intendo che non mi pare una buona idea che tu mi venga a prendere» lo interruppe la ragazza. «È troppo pericoloso.»

«Mai quanto trasferirti in Germania, però!» ribatté secco Tito. «Sposare uno di loro, vivere nel loro villaggio lontana da tutto e da tutti... questo è pericoloso, Lidia! Non lo posso sopportare.»

Lei si torse le mani in preda all'angoscia. Capiva il punto di vista di Tito e in un certo senso gli dava anche ragione, ma ciò che le stava proponendo era semplicemente inconcepibile. Una fuga d'amore sfidando il volere dell'Imperatore e delle loro famiglie? Era assurdo anche solo pensarlo. Non avevano mai fatto nulla che fosse anche solo vagamente avventuroso, non avevano mai lavorato, non avevano mai dovuto badare a loro stessi nemmeno per un giorno, abituati com'erano a essere circondati da servitori: come potevano pensare di sopravvivere in clandestinità in un paese straniero? Senza soldi e senza conoscenti, poi!

D'impulso si piegò in avanti e afferrò le mani del ragazzo, stringendole tra le sue. «Nemmeno io posso sopportarlo, ma dobbiamo essere realisti» disse. Le parole suonarono strozzate alle sue stesse orecchie: colpa dell'improvviso nodo che le aveva stretto la gola. «Se anche riuscissimo a scappare da Erding, come faremmo a sopravvivere? La Cirenaica non è esattamente dietro l'angolo e non conosciamo nessuno lì. Saremmo completamente da soli, senza una casa e senza un lavoro.»

Tito liberò le mani da quelle di Lidia e le sollevò fino a posarle sulle guance della fanciulla. Chinandosi in avanti, posò la fronte contro quella di lei e chiuse gli occhi. «Non sto dicendo che è una cosa che possiamo fare subito» mormorò, soffiandole dolcemente sulle labbra. «Se fosse per me, ti porterei via anche adesso, subito, ma so che non andremmo lontano. Ti chiedo solo di avere un po' di coraggio, un po' di pazienza e, soprattutto, un po' di fiducia in me.»

Lidia sospirò, ma si trovò ad annuire quasi inconsciamente.

«Ho bisogno di un po' di tempo per organizzarmi e per capire cosa possiamo fare», continuò Tito, «ma sono sicuro che non siamo gli unici a essere scontenti di quello che sta succedendo. Magari mi ci vorrà qualche mese per parlare con qualcuno senza attirare l'attenzione di mio padre e per preparare tutto, ma ti prometto che prima dell'autunno verrò da te in Germania.»

La ragazza indietreggiò di qualche centimetro. Tito sembrava davvero determinato e quella sua determinazione stava dando un po' di speranza anche a lei, ma non riusciva a togliersi dalla testa la miriade di difficoltà e incognite a cui sarebbero andati incontro. «Mi sembra così pericoloso» mormorò con gli occhi bassi, cercando di trattenere le lacrime.

«Ho paura anch'io» sussurrò di rimando Tito. «Però non ho nessuna intenzione di rinunciare a te. Perché io ti amo, Lidia, e ti voglio sposare.»

Profondamente commossa da quelle parole, Lidia gli gettò le braccia al collo e si lasciò scivolare a terra di fronte a lui, inginocchiata sull'erba umida della sponda del fiume. «Anch'io» confessò in un singhiozzo, affondandogli il volto nella piega del collo.

Oh, quella di Tito era davvero una cattiva idea, ma quella dell'Imperatore era ancora peggiore. Se c'era anche solo una possibilità di sottrarsi al destino crudele che le era stato assegnato, decise in quell'istante, non se la sarebbe fatta sfuggire – anche se l'idea di fare una cosa tanto avventata le faceva tremare i polsi.

Tito la staccò dolcemente da sé e cercò gli occhi con i suoi. «Posso baciarti?» le chiese sottovoce.

Lei deglutì. Si erano già baciati, ovviamente, bacetti rubati alle spalle dei servi che li accompagnavano e che fingevano di non vedere, ma che poi sorridevano con aria complice. Però quel bacio sarebbe stato diverso: quel bacio sarebbe stato solo loro.

Con il cuore che le martellava in gola, Lidia annuì.

Nemmeno si accorse di chiudere gli occhi, ma un istante più tardi le labbra di Tito, morbide e delicate, si posarono sulle sue in un bacio dolce e del tutto innocente. Non poi così diverso da quelli che si erano scambiati in precedenza.

«Lidia» sospirò lui senza allontanarsi dal suo volto.

Lei strofinò affettuosamente il naso contro il suo i e le mani del ragazzo salirono di nuovo a circondarle il volto. Quando i loro occhi si incrociarono di nuovo, in quelli scuri di lui Lidia lesse qualcosa che le fece accelerare il battito del cuore.

Questa volta, quando Tito la baciò fu diverso. La strinse a sé e la sua bocca si aprì su quella di lei, la sua lingua trovò la sua e Lidia non riuscì a trattenere un gemito sorpreso. E così quello era un bacio. Un po' più umido di quanto si fosse immaginata e con qualche contatto di troppo tra i denti, ma comunque capace di crearle uno strano rimescolamento nel petto.

Quando si separarono, la giovane cinse di nuovo con le braccia le spalle del ragazzo. Tito la strinse contro il proprio petto e per la prima volta da quando suo padre le aveva dato la notizia del suo imminente trasferimento in Germania, Lidia riuscì quasi a respirare.

Il piano di Tito era nella migliore delle ipotesi avventato, ma in quel momento, confortata dal calore famigliare del suo corpo, le parve che il futuro fosse un po' meno cupo.

   
 
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