160 a.U.c.
– Marzo
Roma
A Lidia non era
proibito uscire di casa da sola: semplicemente non
lo faceva mai, preferendo essere accompagnata da un'ancella o da sua
madre.
Quand'era stata l'ultima volta che aveva attraversato le strade di Roma
in
compagnia solo dei propri pensieri?
La
città era così bella e lei non si era mai davvero
presa il
tempo per ammirarla. L'aveva sempre data per scontata, credendo che
sarebbe
sempre stata lì, a portata di mano.
E invece no,
considerò
mestamente mentre sfilava a capo chino attraverso il quartiere nel
quale era
nata e cresciuta.
Si
fermò e alzò lo sguardo sulle imponenti colonne
di un tempio.
Non era mai stata particolarmente religiosa e nel segreto della sua
mente non
era nemmeno così sicura che gli Dei esistessero davvero, ma
aveva sempre amato
lo spazio ombroso tra le colonne e l'ingresso del tempio. Da bambina
amava
camminare lentamente lungo il deambulatorio, godendosi il gioco di luci
e ombre
che si creava lungo il perimetro dell'edificio. Era un rifugio, in un
certo
senso. Un riparo dal sole nelle calde giornate estive, un luogo fatto
di pietra
bianca, dell'eco dei passi e delle voci dei fedeli. Quando era nervosa
o di
cattivo umore, passeggiare lì la tranquillizzava.
Per un istante
indugiò di fronte alla rampa che portava alle
colonne. Forse poteva fermarsi qualche minuto... Subito scosse il capo,
rinunciando a quell'idea. Non si illudeva che suo padre non si fosse
accorto
che fosse uscita di casa - certamente qualche servitore l'aveva
avvisato appena
si era chiusa la porta alle spalle - ma sapeva di non potersi
permettere di
sprecare del tempo in cose inutili.
Se il Senatore le
aveva concesso un po' di solitudine per
riordinare i pensieri, le aveva anche ingiunto di cenare con lui,
così da
iniziare a discutere i preparativi per il suo trasferimento in
Germania. Lidia
non aveva a disposizione che poche ore per accomiatarsi dai luoghi e
dalle
persone che amava, e nessuna di queste era più importante di
Tito.
Suo padre le
aveva ordinato di dimenticarsi di lui, ma quello era
un ordine che Lidia non aveva nessuna intenzione di rispettare, almeno
finché
si trovava a Roma.
Il fatto che il
suo fidanzato - ex-fidanzato, in effetti - fosse
già a conoscenza della decisione dell'Imperatore era un
piccolo conforto: non
avrebbe mai sopportato di vederlo venirle incontro sorridente e dovere
spezzare
il suo sorriso in un modo così crudele.
Altro che
impassibile matrona romana! Le
sussurrò malevolo il suo subconscio. Sei
una codarda, ecco cosa sei! Una ragazzina
incapace di assumersi le proprie responsabilità!
Lidia si morse
nervosamente le labbra. Be', era vero. Non aveva
alcuna difficoltà ad ammetterlo. Avrebbe dovuto impegnarsi a
fondo per
diventare una persona più forte e coraggiosa, ma non c'era
motivo per cui non
dovesse riuscire nel proprio intento.
Lasciandosi il
tempio alle spalle, proseguì con passo spedito
verso la villa di Tito. Conosceva bene la strada, i suoi piedi
percorrevano il
tragitto famigliare in modo automatico, permettendole così
di concentrarsi
sulla città che la circondava. Lidia respirò il
profumo del pane e dei piccoli
fiori bianchi che adornavano i cespugli che delimitavano i giardini,
quello
delle verdure grigliate che qualcuno stava già preparando in
vista della cena,
quello del pesce e delle mandorle tostate.
Persino l'odore
intenso dell'incenso che fuoriusciva dai templi le
sembrava gradevole, sebbene solitamente non lo sopportasse, e gli occhi
le si
riempirono di lacrime al pensiero di lasciarsi quel mondo alle spalle.
Lo usano
l'incenso, a Erding?
Suo padre le
aveva detto che il villaggio in cui si sarebbe
trasferita aveva dei costumi simili a quelli di Roma, ma lei sapeva che
i
Germani adoravano degli Dei diversi da quelli che conosceva lei.
Certamente
anche i loro riti religiosi sarebbero stati diversi. Con un brivido di
disgusto, si chiese se il suo futuro marito l'avrebbe obbligata ad
assistere a
qualche rito barbarico. Sono i
Germani,
quelli che fanno i sacrifici umani, o i Celti? Si
chiese in preda a
un'ondata di panico. Probabilmente
entrambi.
Be', lei non
avrebbe mai assistito a uno spettacolo così
ributtante. Su quel punto non sarebbero riusciti a farla cedere.
Quando finalmente
raggiunse la villa del padre di Tito, aveva il
respiro affannato e il cuore che batteva a mille. Sollevando un braccio
per
suonare il campanello d'ottone incastonato nell'arco di marmo che
delimitava
l'ingresso della villa, vide che la mano le tremava. Era possibile
desiderare
tanto vedere una persona e al tempo stesso temere il momento in cui se
la
sarebbe trovata davanti? Cosa poteva dire a Tito per rendere meno
dolorosa la
separazione?
Il suono
squillante del campanello vibrò nell'aria e poco dopo
Lidia udì uno scalpiccio di passi leggeri e un po'
zoppicanti che preannunciava
l'arrivo di Ottavia, l'anziana domestica che aveva cresciuto Tito fin
dal
giorno in cui sua madre si era ammalata ed era stata costretta ad
allontanarsi
per lunghi periodi dal marito e dal figlio per prendersi cura delle sue
ossa
doloranti. Stando a quanto le diceva il suo fidanzato, la donna passava
giornate intere immersa nelle acque delle stazioni termali che
sorgevano a
qualche decina di chilometri da Roma.
Ottavia le
comparve davanti avvolta nello scialle verde salvia che
Lidia le aveva sempre visto indossare, ma, diversamente dal solito, non
sorrideva: sul suo viso segnato dal tempo c'era invece un'espressione
preoccupata, quasi nervosa.
«Donna
Lidia!» le disse comunque, stirando le labbra in una
smorfia che aveva solo una vaghissima somiglianza con un sorriso.
«Non mi
aspettavo di vederti qui.»
Non la
invitò a entrare e anzi restò ferma sulla porta
con le
gambe leggermente divaricate, come per sbarrarle il passaggio.
Lidia
chinò la testa, a disagio. Era abituata a trovarsi in una
posizione di vantaggio nei confronti dei domestici, ma sapeva che non
avrebbe
dovuto trovarsi lì. Probabilmente Ottavia era al corrente
della situazione ed
era anzi piuttosto probabile che il suo padrone le avesse ordinato di
tenerla
lontana da Tito.
Schiarendosi la
voce, la ragazza cercò comunque di mostrarsi
sicura di sé. «C'è Tito?»
chiese per tutta risposta, esattamente com'era solita
fare.
Ottavia
corrugò la fronte e nei suoi occhi la fanciulla credette
di leggere compassione. «Sì, è in casa,
ma non credo...»
«Lidia?»
Il cuore le
balzò in gola. Anche se non l'aveva sentito arrivare,
Tito aveva evidentemente riconosciuto la sua voce ed era comparso alle
spalle
di Ottavia senza che le due donne si accorgessero della sua presenza.
Lidia si
portò d'istinto le mani alla bocca e dovette resistere alla
tentazione di
lanciarsi verso di lui, travolgendo la domestica e le sue proteste.
Avrebbe
voluto salutarlo, dire qualcosa, ma la gola le si strinse.
Non piangere, si disse
sbattendo più volte gli occhi. Non
davanti a Ottavia. Mantieni la tua dignità.
L'anziana
domestica si voltò per fronteggiare il ragazzo.
«Tuo
padre non vorrebbe che voi due vi vedeste» gli disse a
bruciapelo.
Ah, è
così? Si
chiese Lidia, provando un'improvvisa antipatia per
l'Avvocato.
Tito
sollevò le mani come per placare Ottavia. «Lo so,
ma mio
padre non è qui» replicò con voce
ferma. «Ottavia, per favore: credo di avere
il diritto di salutare Lidia, no?»
La fanciulla
osò sbirciare in direzione della domestica. Sembrava
già un po' più incerta di quanto non fosse stata
un istante prima: era evidente
che aveva un debole per Tito e che trovava difficile negargli qualcosa.
La vecchia
strinse un paio di volta la mascella e poi allargò le
braccia, apparentemente sconfitta. «E va bene»
sospirò. «Ormai siete qui:
salutatevi, ma fate in fretta, che io non voglio finire nei guai per
colpa
vostra.»
«Qui
sull'ingresso?» chiese Lidia, che non sapeva se essere
più addolorata da quell'addio sbrigativo o più
oltraggiata dalla scortesia
dell'altra donna.
«No,
non qui» replicò Tito. «Vieni, andiamo
in un posto in cui
possiamo parlare un po' più con calma.»
Dal momento che
tutti i loro incontri precedenti si erano svolti
all'interno delle mura domestiche o comunque in compagnia di qualche
ancella
che li obbligasse a mantenere una condotta impeccabile, Lidia si
sarebbe
aspettata che Tito la invitasse a entrare, ma il ragazzo si diresse
invece
verso di lei.
«Dove...?»
balbettò confusa.
«Dove
state andando?» chiese invece con molta più
decisione
Ottavia.
«Usciamo»
replicò secco Tito. «Se mio padre dovesse tornare
a casa, digli che sono andato a farmi un giro. Mi è ancora
permesso, da quanto
mi risulta.»
Ottavia
gonfiò il petto ossuto. «Un'ora,
padroncino» ringhiò
puntandogli contro un dito deformato dall'artrite. «Se tra
un'ora non sarai
rientrato, sta' pur certo che racconterò tutto a tuo padre.
E anche al tuo, di
padre, Donna Lidia.»
«Un'ora
sarà sufficiente» replicò il ragazzo,
anticipando così le
parole che erano sulla punta della lingua di Lidia.
Senza aggiungere
altro, il giovane la prese per mano e la
accompagnò in strada. La sua presa era salda, ma il suo
palmo era leggermente
sudato, unico segnale tangibile del nervosismo che, nonostante le
apparenze,
anche lui provava.
Quando si furono
allontanati di qualche decina di metri
dall'ingresso, Lidia si fermò. «Tito...»
iniziò, con la voce già rotta dalle
lacrime.
Lui
però scosse il capo. «Non ancora»
mormorò sollevando una mano
ad accarezzarle la guancia. «Andiamo in un posto in cui
possiamo parlare
lontani da orecchie indiscrete.»
Lei
aggrottò la fronte, ma rimase in silenzio e si
lasciò portare
dove Tito voleva. La villa dell'Avvocato Fusco sorgeva nella parte
più recente
del centro cittadino, ai margini del nucleo nel quale si trovavano le
ville più
antiche di proprietà dei Senatori. Lì la natura
non era stata ancora del tutto
sostituita dalle pietre e dalle calce delle strade e degli edifici, e
negli
angoli e nelle nicchie dei muri crescevano erbe selvatiche e piantine
che
nessuno aveva coltivato. Per qualche motivo, Lidia aveva sempre amato
quella
specie di piccola insubordinazione al rigore cittadino.
Quando Tito
imboccò uno stretto viottolo in discesa, comprese che
la stava portando sulle rive del Tevere. Sorpresa, Lidia
puntò per un attimo i
piedi e il ragazzo le strattonò inavvertitamente il braccio.
«Tutto
a posto?» le chiese aggrottando la fronte.
«Sì»
annuì lei dopo un istante. Certo che era tutto a posto, ma
il
posto in cui Tito la stava conducendo era sicuramente molto
più isolato di
qualsiasi luogo in cui si fossero trovati insieme - e da soli! - in
passato.
E allora? Pensò,
infastidita da quella vocina giudiziosa sembrava volerle suggerire di
rispettare le indicazioni datele dagli adulti. Tito era un bravo
ragazzo, certo
non aveva nulla da temere da lui, e oltretutto quella era l'ultima
occasione
che avevano per stare insieme, per parlare e per dirsi addio.
Il viottolo
sbucava direttamente sul fiume e la ragazza fu
brevemente abbagliata dal riverbero del sole sulle onde del Tevere. Un
grande
salice piangente colmo di tenere foglioline primaverili oscillava
lentamente
sospinto dalla brezza e qualcuno aveva sistemato alcune grosse pietre a
mo' di
panchina. Come aveva immaginato, il luogo era deserto.
«Eccoci»
mormorò Tito.
Lidia gli rivolse
un piccolo sorrise e si sedette con la schiena
appoggiata al tronco dell'albero. Chissà se ci sarebbero
stati salici come
quello, in Germania, o se in quel clima ostile crescevano solo piante
alte e
scure, colme di muschio e dal tronco duro come granito.
Ora che non aveva
più scuse per rimandare ancora quella
conversazione, Lidia si accorse di non avere le parole giuste per
esprimere
quello che provava. In piedi davanti a lei, Tito sembrava preda della
stessa
difficoltà.
La fanciulla fece
un respiro profondo e strinse le dita sulla
gonna. «Te l'hanno detto, quindi?» chiese con un
filo di voce.
Che domanda
stupida. Certo che l'ha saputo.
Lui chiuse gli
occhi per un istante e annuì. «Che
bastardi!» sputò
poi.
Lidi
sussultò. Non l'aveva mai sentito imprecare in quel modo e
c'era una parte di lei che si scandalizzò davanti alla
facilità con cui aveva
insultato l'Imperatore. Ma come poteva dargli torto?
Gli occhi le si
inumidirono di nuovo. «Ho provato a parlare con
mio padre, ho cercato di fargli cambiare idea, ma non c'è
stato niente da fare.
Io non...» Le parole le morirono in gola e lei si
asciugò stizzosamente gli
occhi. Si sentiva così impotente!
«Mio
padre si mi ha detto che andrai a Erding. È
vero?»
chiese il ragazzo in uno strano tono basso, quasi gutturale.
Lei
deglutì e annuì.
Tito
irrigidì la mascella e per un attimo i suoi occhi parvero
guardare lontano, oltre a Lidia e oltre al salice alle sue spalle.
«Verrò a
prenderti.»
La ragazza
credette di aver capito male. «Come?»
Questa volta Tito
incontrò il suo sguardo. «Ho detto che
verrò a
prenderti. Non so perché mio padre mi abbia detto che ti
porteranno a Erding,
probabilmente gli è sfuggito, ma quello che conta
è che lì io ho un amico.»
Lidia
aggrottò la fronte. Non ne aveva idea. Tito non le aveva mai
detto di avere conoscenze al di fuori di Roma. «Un...
germano?» chiese incerta.
Il ragazzo
sbuffò sprezzante. «Certo che no. Lucio
è uno dei
legionari che l'Imperatore ha mandato a Erding. Da bambini eravamo
ottimi amici
e ogni tanto ci scambiamo ancora delle lettere. So cosa ne pensa dei
Germani e
sono certo che, se glielo chiederò, mi
aiuterà.» Tito si mosse velocemente e si
inginocchiò davanti a Lidia, incurante del terreno umido che
gli macchiò la
tunica. «Lidia, io non ho nessuna intenzione di lasciarti in
balia di quei
barbari: verrò a prenderti e ti porterò via da
lì.»
Per qualche
istante, lei lo guardò con la bocca spalancata. Non
poteva essere serio.
Non badando alla
sua espressione allibita, Tito continuò. «Ho
già
qualche idea su come fare. Ci servirà un posto in cui andare
a vivere, visto
che ovviamente non potremo più tornare a Roma. Cosa ne pensi
della Cirenaica?»
«La... Cirenaica?»
«Sì.
A te piace il caldo, no? Se ci trasferissimo lì, non
dovresti
più preoccuparti dell'inverno.»
Lidia
iniziò a scuotere lentamente la testa. «Non mi
sembra una
buona idea.»
Lui parve preso
in contropiede. «Ah. Altrimenti avrei pensato
anche alla Tracia. Non fa così caldo, ma...»
«No,
intendo che non mi pare una buona idea che tu mi venga a
prendere» lo interruppe la ragazza. «È
troppo pericoloso.»
«Mai
quanto trasferirti in Germania, però!»
ribatté secco Tito.
«Sposare uno di loro, vivere nel loro villaggio lontana da
tutto e da tutti... questo è
pericoloso, Lidia! Non lo
posso sopportare.»
Lei si torse le
mani in preda all'angoscia. Capiva il punto di
vista di Tito e in un certo senso gli dava anche ragione, ma
ciò che le stava
proponendo era semplicemente inconcepibile. Una fuga d'amore sfidando
il volere
dell'Imperatore e delle loro famiglie? Era assurdo anche solo pensarlo.
Non
avevano mai fatto nulla che fosse anche solo vagamente avventuroso, non
avevano
mai lavorato, non avevano mai dovuto badare a loro stessi nemmeno per
un
giorno, abituati com'erano a essere circondati da servitori: come
potevano
pensare di sopravvivere in clandestinità in un paese
straniero? Senza soldi e
senza conoscenti, poi!
D'impulso si
piegò in avanti e afferrò le mani del ragazzo,
stringendole tra le sue. «Nemmeno io posso sopportarlo, ma
dobbiamo essere
realisti» disse. Le parole suonarono strozzate alle sue
stesse orecchie: colpa
dell'improvviso nodo che le aveva stretto la gola. «Se anche
riuscissimo a
scappare da Erding, come faremmo a sopravvivere? La Cirenaica non
è esattamente
dietro l'angolo e non conosciamo nessuno lì. Saremmo
completamente da soli,
senza una casa e senza un lavoro.»
Tito
liberò le mani da quelle di Lidia e le sollevò
fino a posarle
sulle guance della fanciulla. Chinandosi in avanti, posò la
fronte contro
quella di lei e chiuse gli occhi. «Non sto dicendo che
è una cosa che possiamo
fare subito» mormorò, soffiandole dolcemente sulle
labbra. «Se fosse per me, ti
porterei via anche adesso, subito, ma so che non andremmo lontano. Ti
chiedo
solo di avere un po' di coraggio, un po' di pazienza e, soprattutto, un
po' di
fiducia in me.»
Lidia
sospirò, ma si trovò ad annuire quasi
inconsciamente.
«Ho
bisogno di un po' di tempo per organizzarmi e per capire cosa
possiamo fare», continuò Tito, «ma sono
sicuro che non siamo gli unici a essere
scontenti di quello che sta succedendo. Magari mi ci vorrà
qualche mese per
parlare con qualcuno senza attirare l'attenzione di mio padre e per
preparare
tutto, ma ti prometto che prima dell'autunno verrò da te in
Germania.»
La ragazza
indietreggiò di qualche centimetro. Tito sembrava
davvero determinato e quella sua determinazione stava dando un po' di
speranza
anche a lei, ma non riusciva a togliersi dalla testa la miriade di
difficoltà e
incognite a cui sarebbero andati incontro. «Mi sembra
così pericoloso» mormorò
con gli occhi bassi, cercando di trattenere le lacrime.
«Ho
paura anch'io» sussurrò di rimando Tito.
«Però non ho nessuna
intenzione di rinunciare a te. Perché io ti amo, Lidia, e ti
voglio sposare.»
Profondamente
commossa da quelle parole, Lidia gli gettò le
braccia al collo e si lasciò scivolare a terra di fronte a
lui, inginocchiata
sull'erba umida della sponda del fiume. «Anch'io»
confessò in un singhiozzo,
affondandogli il volto nella piega del collo.
Oh, quella di
Tito era davvero una cattiva idea, ma quella
dell'Imperatore era ancora peggiore. Se c'era anche solo una
possibilità di
sottrarsi al destino crudele che le era stato assegnato, decise in
quell'istante, non se la sarebbe fatta sfuggire – anche se
l'idea di fare una
cosa tanto avventata le faceva tremare i polsi.
Tito la
staccò dolcemente da sé e cercò gli
occhi con i suoi.
«Posso baciarti?» le chiese sottovoce.
Lei
deglutì. Si erano già baciati, ovviamente,
bacetti rubati alle
spalle dei servi che li accompagnavano e che fingevano di non vedere,
ma che
poi sorridevano con aria complice. Però quel bacio sarebbe
stato diverso: quel
bacio sarebbe stato solo loro.
Con il cuore che
le martellava in gola, Lidia annuì.
Nemmeno si
accorse di chiudere gli occhi, ma un istante più tardi
le labbra di Tito, morbide e delicate, si posarono sulle sue in un
bacio dolce
e del tutto innocente. Non poi così diverso da quelli che si
erano scambiati in
precedenza.
«Lidia»
sospirò lui senza allontanarsi dal suo volto.
Lei
strofinò affettuosamente il naso contro il suo i e le mani
del
ragazzo salirono di nuovo a circondarle il volto. Quando i loro occhi
si
incrociarono di nuovo, in quelli scuri di lui Lidia lesse qualcosa che
le fece
accelerare il battito del cuore.
Questa volta,
quando Tito la baciò fu diverso. La strinse a sé
e
la sua bocca si aprì su quella di lei, la sua lingua
trovò la sua e Lidia non
riuscì a trattenere un gemito sorpreso. E
così quello era
un bacio. Un po' più umido di quanto si fosse immaginata e
con qualche contatto
di troppo tra i denti, ma comunque capace di crearle uno strano
rimescolamento
nel petto.
Quando si
separarono, la giovane cinse di nuovo con le braccia le
spalle del ragazzo. Tito la strinse contro il proprio petto e per la
prima
volta da quando suo padre le aveva dato la notizia del suo imminente
trasferimento in Germania, Lidia riuscì quasi a respirare.
Il piano di Tito
era nella migliore delle ipotesi avventato, ma in
quel momento, confortata dal calore famigliare del suo corpo, le parve
che il
futuro fosse un po' meno cupo.