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Autore: Chillram9    26/01/2024    2 recensioni
Elizabeth Belvoir ha un sogno: incontrare il suo idolo Aldric, il mago più potente del regno.
L'occasione per riuscirci si presenta quando riceva una lettera d'ammissione dalla misteriosa Accademia di Magia Reale Duelcrest.
Di questa scuola si sa poco e nulla, se non che Aldric è l'unico ad averne mai ottenuto il diploma.
Elizabeth è determinata a fare lo stesso. Non sa però che il terribile segreto che si cela dietro l'Accademia e l'incontro con una strana ragazza cambieranno per sempre la sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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1. Una foto e una lettera


 

I suoi freddi occhi neri, come una notte d’inverno. La sua fulgida chioma corvina. Le sue spalle larghe, i suoi lineamenti forti che più che a un mago, lo facevano assomigliare ad un potente guerriero.
Sospirai per quella che doveva essere la centesima volta ammirando la foto di Sir Aldric, il mio idolo.
Di umili origini, si diceva fosse l'unico mago ad aver superato l'esame finale dell'Accademia Reale di magia Duelcrest.
Dopo solo due anni dal diploma, Aldric si era imbarcato con i migliori guerrieri del regno in una campagna per sconfiggere il Re dei demoni, le cui forze da tempo minacciavano i nostri confini occidentali. Secondo le testimonianze, il giovane mago aveva personalmente sconfitto il Re con un solo incantesimo.
Da allora, in questi tempi di pace, era diventato una vera e propria celebrità con migliaia di ammiratori. Io ero una di loro. Non ero una di quelle che non sognava altro che sposarlo eh (anche se non è che mi sarebbe dispiaciuto...). Semplicemente era il mago a cui mi ispiravo.  In una società in cui la nobiltà guardava dall’alto in basso i semplici cittadini come me, aveva dimostrato che lo status sociale non era rilevante quando si trattava di potere magico.
La mia libreria era piena di libri e riviste su di lui, suoi ritratti tappezzavano le mura della mia stanza e avevo quella foto, il mio tesoro più prezioso. Si trattava di una riproduzione perfetta del suo aspetto, frutto di un nuovo incantesimo inventato da poco. Avevo risparmiato per mesi per potermene permetterne una!
"Ed ora, forse avrò l'opportunità di incontrarlo!" pensai spostando lo sguardo sulla lettera, poggiata sulla scrivania vicino alla fotografia.
Avevo letto e riletto quella pergamena decine di volte da quando era arrivata, circa un mese fa. La prima volta che l'avevo aperta ero quasi svenuta.
Tanto valeva darle un’occhiata un'ultima volta, giusto per assicurarsi che non fosse stato tutto un bellissimo sogno.
Aprii la busta, separando le due parti del sigillo di ceralacca, le quali raffiguravano due spade incrociate con una bacchetta magica al centro.

"Cara Signorina Elizabeth Belvoir,
È un
mio piacere informarla che è stata selezionata per frequentare l'Accademia Reale di Magia Duelcrest. Per mandato reale, una volta selezionati la frequentazione è obbligatoria. La durata del suo soggiorno sarà di un massimo di due anni ed inizierà il prossimo primo Settembre. Si assicuri per allora di disporre di una bacchetta funzionante e di una spada, o di un’altra arma bianca a suo piacere, in buone condizioni. Si premuri altresì di portare con sé vestiario e altri effetti personali che ritiene necessari per un serena permanenza nella nostra scuola.
È fortemente consigliato che non comunichi i contenuti di questa lettera a nessuno, a parte i suoi genitori.
Il giorno designato, un funzionario si recherà al suo domicilio per accompagnarla a destinazione.
Il
Preside, Professor Evander Skylark. "

Al di sotto era stampato il sigillo reale a confermare l'autenticità della lettera. Quel simbolo era soggetto ad un potente incantesimo che lo rendeva irriproducibile se non da funzionari che ne avessero ricevuto il diritto direttamente dal sovrano. Ed era una fortuna che ci fosse. Altrimenti avrei probabilmente pensato che si fosse trattato di un qualche elaborato scherzo.
Quelle istruzioni particolari infatti mi avevano inizialmente messo qualche dubbio. Cosa intendeva con un massimo di due anni?
Ma dopo averci pensato per un po', forse non erano poi così strane.
L’accademia Duelcrest era circondata da un alone di mistero, tant'è che molti dubitavano della sua esistenza. Aldric era l'unica persona nota per averla frequentata e era l'unico ad averne ottenuto il diploma. Ero quasi certa che tutti gli altri alunni avessero subito un incantesimo cancella-memoria, altrimenti questa cosa non si spiegava. Probabilmente gli incantesimi che venivano insegnati in quella scuola erano estremamente pericolosi e chi non riusciva a completare gli studi non veniva considerato all'altezza di utilizzarli. D’altra parte era meglio che un incantesimo in grado di sconfiggere il Re dei demoni in un sol colpo non circolasse tra la popolazione.
Probabilmente c’erano delle condizioni per cui si poteva essere bocciati anche prima della fine del corso, per questo nella lettera c’era scritto un massimo di due anni.
"Ma io non mi farò bocciare!" mi feci forza.
L'idea che solo uno studente fosse riuscito a completare con successo i due anni di studio non era molto rassicurante. Ma la prospettiva che se ci fossi riuscita avrei di sicuro avuto l'opportunità di incontrare Sir Aldric, mi riempiva di convinzione.
Afferrai la lettera e la foto, e con dolcezza le infilai nella valigia poggiata affianco a letto.
Avevo finito di riempirla con tutti i miei averi la notte precedente. Erano le 8 del mattino del giorno designato per l’inizio dell’anno scolastico. Nella lettera non era specificato l'orario quindi mi ero alzata alle 6. Non che avessi chiuso occhio.
"Ora manca un ultimo tocco".
Per prima cosa mi sincerai che la mia bacchetta fosse nella fondina assicurata alla parte destra sua cintura. Dopodiché afferrai la spada che avevo comprato qualche giorno prima e ne fissai il fodero sulla sinistra.
"Spero proprio mi insegnino come usarla".
Se c'era una cosa che poteva farmi bocciare, era di sicuro la mia abilità con la spada. Finora avevo fatto affidamento sulla mia grande attitudine per la magia e non avevo mai sentito il bisogno di imparare a combattere con un'arma.
Mi girai verso lo specchio per assicurarmi che fossi presentabile. Non mi avevano spedito un'uniforme, quindi avevo indossato quella grigia e anonima della mia vecchia scuola. Non era di sicuro al livello di un accademia reale, probabilmente piena zeppa di nobili.
A parte casi limiti come Sir Alder, solitamente potere magico e sangue blu andavano a braccetto. Come lui, speravo di essere l'eccezione che confermava la regola. I miei erano semplici mercanti. Nonostante ciò, sin da piccola, avevo dimostrato di possedere una grande propensione per la magia, aiutata anche da una riserva di mana fuori dal comune.
"Spero non mi prendano in giro," pensai allisciando la gonna spiegazzata e raddrizzando il fiocco agganciato ai miei capelli biondi.
Era meglio aspettare in cucina, altrimenti l’ansia mi avrebbe divorata.
Scesi le scale e attraversai la casa immersa nel silenzio. I miei genitori non c'erano. Forse era meglio così, mia madre avrebbe solo peggiorato le cose. La sera prima, quando lei e papà erano partiti verso la capitale con il carretto carico di merci, mi ero subita un bel piagnisteo.
In fondo la capivo. Non avevo mai lasciato la nostra piccola cittadina situata ai confini del reame. Ma era anche per questo che oltre all’ansia non riuscivo a contenere la mia eccitazione.
Mi sedetti in cucina e accesi una candela. Il mio sguardo si perse nella sua fiamma ondeggiante, con mille pensieri e preoccupazioni che vorticavano nella mia testa . Fu solo quando sentii bussare alla porta, che mi risvegliai da quello stato di trance. Avevo perso la cognizione del tempo, magari forse mi ero addirittura addormentata.
Mi alzai di scatto, allisciai un'altra volta la gonna, e mi diressi verso l'ingresso.
Aprii la porta. Davanti a me trovai un imponente uomo barbuto, probabilmente sulla quarantina. Portava un'uniforme bianca e nera, sul petto stampato lo stesso emblema stampato sulla ceralacca che sigillava la lettera. «La signorina Belvoir, suppongo?» chiese, squadrandomi con un’espressione seria.
«S-sì, sono io,» risposi con la voce che tremava appena. Non so perché ma quell’uomo mi metteva un po’ in soggezione.
«Benissimo,» e mi tese una manona guantata.
«P-piacere!» esclamai e feci per afferlarla.
Ma l’uomo non ricambiò la stretta. Prima che me ne rendessi conto, la sua mano mi afferrò il polso chiudendolo in una morsa ferrea.
«Ma ch-»
Prima che riuscissi a terminare la frase, uno strano senso di torpore si impadronì del mio corpo e il mondo, all’improvviso, divenne nero.

   
 
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