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Autore: Kangaro_Stapler    26/01/2024    0 recensioni
Si tratta di un progetto che ho nella mente da qualche anno e che ho ripreso di recente. Una storia come tante, forse, di quelle ambientate al liceo in cui la protagonista si innamora e scopre questo sentimento per la prima volta. E, allora, vi chiederete "Perché dovrei leggerla?" Io rispondo, molto semplicemente, perché questa è un po' la mia storia. Alcuni eventi sono realmente accaduti, altri sono più la versione che vorrei si fosse avverata. Sta a voi lettori intuire il confine fra la mia realtà e la mia fantasia. Come dicevo all'inizio, è la classica storia ambientata al liceo: romantica sicuramente, ironica lo spero, triste per certi versi; ma partiamo dal 3 anno e seguiremo la nostra protagonista fino all'università e forse, anche di più.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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Capitolo 22 “Ultimi giorni”
 
Il mattino seguente, il suono della sveglia aveva fatto sussultare Ella; si era alzata dal letto facendo attenzione a non urtare Elia, con l’intenzione di farlo riposare un altro po’. Ma quando si era girata dal lato opposto del letto si era resa conto che del biondo non era rimasto altro se non i segni lasciati dalle lenzuola sgualcite; non avrebbe nemmeno creduto che lui avesse dormito lì, lo avrebbe scambiato per un sogno se il lenzuolo e il cuscino in quel lato del letto non fossero stati tutti stropicciati. Unico segno del passaggio di Elia in quella camera. Nella sua camera. Non sapeva dire se si fosse alzato nel cuore della notte o solo da pochi minuti, l’unica certezza era che di lui non c’era traccia. Il letto era vuoto, così come il suo petto, memore dell’occasione mancata della scorsa sera: non aveva avuto il coraggio di farsi avanti, nonostante avrebbe potuto, eccome. Quando anche le sue amiche si svegliarono, si accorsero subito, tutte e tre, che qualcosa non andava; Ella sembrava una bambola rotta. Nessuna, però, si azzardò a fare domande: Elena non aveva ancora una confidenza tale da intromettersi nelle sue fragilità, Anna e Laura preferivano aspettare che Elena le lasciasse sole, per fare alla mora il quarto grado. Dopo la colazione, mentre si dirigevano in stazione con un’ora di anticipo, Elena si era saggiamente unita al gruppetto di ragazze che chiacchieravano con Federica, mentre Anna e Laura avevano approfittato per farsi raccontare tutto da una Ella che cercava di trattenere le lacrime, continuando a lagnarsi di essersi spinta troppo oltre: ci era cascata; si era fatta abbindolare dagli occhi blu di Elia e lui non si era degnato nemmeno di… di fare cosa? D'altronde lui non aveva nessun dovere nei suoi confronti. Non si erano promessi niente, non si erano scambiati neanche un misero bacio a stampo.
- Però lui ti ha un po’ illusa… - disse Anna che, per la prima volta in assoluto, sembrava leggermente arrabbiata con il biondo;
- Un po’!? – replicò Laura, furiosa. – Ti ha usata come fa con tutte. È un bene che non ti abbia baciata, quello stronzo. Almeno non sei un’altra delle sue tacche sulla cintura. –
Ella non aveva la forza né di accusarlo, né di difenderlo.
- Io non ce l’ho con lui ma con me. Dopo tutto quello che ho combinato con Marco, dovevo farmi gli affari miei invece di dare tutta questa confidenza a lui. –
- El, non è mica colpa tua. – la consolò Laura stringendola a sé.
- Non scegliamo noi di chi innamorarci. – aggiunse Anna, mentre Laura continuava a ripeterle che, per fortuna, nessuno sapeva nulla di questa storia e che loro si sarebbero impegnate a mantenere il segreto.
- Dite che mi passerà? La cotta per lui, intendo. –
- Ma certo El, cavolo abbiamo sedici anni... –
- E lui è un coglione. Fidati, è meglio così. –
- Per non parlare poi di tutte le fesserie che ha detto sul… sul… -
- Sul sesso? – risposero in coro Ella e Laura.
- Sì, quello. – asserì Anna, imbarazzata.
Sul treno, la loro chiacchierata dovette troncarsi perché Elena si era riunita al gruppetto e, senza dire assolutamente nulla, aveva preso la mano di Ella e le aveva sorriso, aiutandola a trascinare la valigia carica di roba; furono le ragazze ad aiutarla a sistemare il bagaglio nell’apposito spazio, sotto lo sguardo duro di Elia che le sorpassò seguito da Filippo.
Il rientro a scuola non fu meno traumatico: dopo una prima settimana di relax, i professori si resero conto, tutti insieme, che avevano decisamente bisogno di voti per completare la pagella e cominciarono ad interrogare a raffica. E quando non interrogavano era giorno di verifica. Ella, con l’aiuto di Anna riuscì a recuperare Greco per il rotto della cuffia e a non beccarsi la strigliata di suo padre, un po’ fissato con i voti. Ridendo, scherzando e studiando giunse, silenziosa, la fine di maggio e la scuola era agli sgoccioli. Di tanto in tanto, si ritrovava a fissare Elia. Da quando si era bruscamente allontanato, non faceva altro che notare quanto fosse bello: desideriamo sempre le cose che non possiamo avere, aveva constatato. I loro battibecchi, che si erano anche fatti più frequenti, avevano perso la solita giocosità ed erano diventati veri e propri diverbi inutili, al solo scopo di sfogare le reciproche frustrazioni: lui prendeva un brutto voto? Si sfogava con lei. Lei litigava con i suoi fratelli? Accusava lui di una qualsiasi sciocchezza. Si guardavano in cagnesco e non si sfioravano mai, nemmeno per sbaglio; Ella, in quelle discussioni, non faceva altro che torturarsi i capelli mentre lo insultava ed Elia rispondeva sputando sentenze velenose ed incastrando le unghie nei palmi, per trattenersi dall’afferrarle malamente un polso, solo per poter provare di nuovo la sensazione di toccarla. Non lo faceva da secoli e la cosa lo stava consumando dentro: respirava pesantemente cercando di trattenere gli scatti d’ira, non per paura di farle male ma per paura di sentire di nuovo la voglia di fare quello che non aveva fatto quella maledetta notte a Firenze. Avevano realizzato entrambi, ognuno ragionando per conto proprio, che la soluzione migliore era ignorarsi del tutto ma poiché sia per Ella che per Elia era pressoché impossibile, allora si sarebbero odiati. Si sarebbero urlati contro per evitare di finire a fare altro. Se solo si fossero parlati, poi, avrebbero capito che nemmeno odiarsi aveva senso. Dopo quella fatidica notte, erano entrambi giunti a conclusioni troppo affrettate: lui aveva creduto che lei stesse aspettando il principe azzurro, quello che lui decisamente non era; lei aveva creduto di non essere abbastanza, per uno come Elia.
Una mattina di fine maggio, Filippo non ne poté più di sentire quei due urlarsi, specialmente durante la sua tanto attesa ricreazione, perciò, contrariamente a tutti i suoi principi, decise di mettersi in mezzo; lui che fino a quel momento era sempre stato alla larga dai loro battibecchi ma, questa volta, ne andava dei suoi poveri timpani.
- Adesso tu – disse indicando il biondo – vieni con me. – e lo afferrò trascinandolo fuori dall’aula per un braccio, mentre Ella gli urlava cose del tipo: “Sì, bravo, vattene!”. Elia continuava a protestare ma Filippo, nettamente più forte di lui, riuscì sia a portarlo via che a zittirlo.
- Dovete smetterla. Siete ridicoli.
- È colpa sua. –
- No. La colpa è solo tua. E non sto parlando del fatto che sei stato tu a prendere, di proposito e non per sbaglio, le sue cuffiette. –
- Guarda che le ho confuse con le m… -
- Non ci pensare nemmeno! L’hai fatto apposta ma non è questo il punto. –
- State facendo di tutto per non evitarvi! –
- Non è vero… -
- Fatti un favore, non dire cazzate anche a te stesso. –
Elia fece per parlare ma di bocca gli uscì solo un pesante sospiro; Filippo, come sempre, aveva capito tutto.
- Se ti piace El… -
- Non mi piace. –
- Ok, mettiamola così: se vuoi andarci al letto – iniziò, cercando di parlare la lingua del biondo, in modo che capisse una volta per tutte – fallo e basta. Cosa ti sta frenando? -
Elia si appoggiò alla macchinetta del caffè, accasciandosi e abbassando la testa, poi rispose:
- Io ci avrei pure provato, a Firenze, ma lei se n’è uscita con stronzate sull’amore e io non ce l’ho fatta. –
- Spiegati meglio. –
- Lei si è messa a farmi tutto un discorso sulla persona che un giorno incontrerà e che la amerà, la rispetterà e altre stronzate varie… sai cosa penso dell’amore no? – vedendo che l’amico non rispondeva, continuò: - beh, io non so amare così. E non me la sono sentita di infrangere il suo sogno. Non volevo che perdesse la verginità con uno come me, dopotutto, è una cosa importante, fare sesso per la prima volta, dico. -
Filippo sembrò rifletterci su, poi rispose, annuendo leggermente con il capo: - Hai fatto bene, però… -
- Però cosa? –
- Beh, non era necessario andarci al letto, potevi limitarti a baciarla… non ci hai pensato? –
Elia prese il secondo sospiro nell’arco di cinque minuti. – Fa lo stesso. Sarebbe stata comunque una prima volta e l’avrebbe avuta con uno che non può darle quello che vuole. –
- E non ti è mai venuto in mente che magari lei vuole te e basta? –
- Mi ha espressamente detto che sta aspettando QUELLA persona, che io evidentemente non sono. –
Stavolta fu Filippo a sospirare e lo strinse in un profondo e lungo abbraccio; messa così, la situazione non aveva soluzioni. E chi meglio di Filippo poteva capire cosa stesse provando il suo amico? D’altronde lui faceva i conti con questa cosa ogni giorno. Quando si staccarono dall’abbraccio, Elia glielo lesse negli occhi quello sguardo così simile al suo e si trovò seriamente a riflettere sull’eventualità di spingerlo a fare coming out; forse, però, quello non era il posto adatto, con tutta quella gente nei corridoi che avrebbe potuto sentirlo: non che ci fosse nulla di male nell’essere gay ma si trattava comunque di una cosa personale, non sapeva che rapporto avesse Filippo con quel suo aspetto di sé. Allora decise di non entrare nel merito della questione e di cambiare argomento, ma l’amico lo anticipò: - Senti, andiamo a bere stasera? –
- Ci sta! –
- Ok e… ti avviso, devo dirti una cosa. Non so come la prenderai ma… non ti anticipo nulla. –
CAZZO! Era già giunto quel momento? Elia si trattenne dal dirgli che aveva intuito tutto e si limitò ad alzare le spalle in segno di assenso; se ne tornarono in classe con le mani nella tasca dei pantaloni e si sedettero ognuno al proprio posto ancora prima che la ricreazione finisse.
Ella, già seduta al suo posto accanto a Valerio, aveva seguito con gli occhi tutto il tragitto di Elia dalla porta al banco ed aveva distolto lo sguardo un attimo prima che il diretto interessato se ne accorgesse. Valerio la osservò incuriosito, poi le parlò: - Pensi ancora a Marco? – Lei quasi si strozzò con la sua stessa saliva! Per un attimo aveva avuto il terrore che il ragazzo avesse scoperto la sua seconda cotta non corrisposta; poi, si ricordò che effettivamente Elia era seduto accanto a Marco e Valerio poteva benissimo aver frainteso la direzione dei suoi occhi. Nonostante ciò, la domanda l’aveva spiazzata e ci mise un po’ a inventare una cazzata: - Marco è una merda. Ma non si dimentica facilmente una persona dopo che ti sei presa una cotta per lui. –
- Mi sento un po’ in colpa, Ella… -
- Tu non hai fatto nulla. –
- È questo il punto. Io non ho fatto niente, non ti ho difesa quando Marco ha detto tutte quelle cose. –
- È normale che tu non dica nulla, lui è tuo amico. –
- Ma questo non lo giustifica; proprio perché sono suo amico dovevo rimproverarlo e poi, sono anche tuo amico. Avrei dovuto difenderti e invece lo ha fatto Elia a mio posto.
- Non mi devi niente, Vale. Sei il mio compagno di classe non il mio migliore amico. –
- Brutale, come sempre, El. Ma anche Elia è un tuo compagno però non ha esitato a schierarsi dalla tua parte. Ha afferrato Marco per la maglietta e quasi lo alzava… -
- Non esagerare, anche volendo non avrebbe potuto. –
- Eppure, ti assicuro che in un primo momento Marco le ha prese di brutto… poi, per forza di cose la situazione si è ribaltata. –
Ella non rispose ma un piccolo sorriso fece capolino tra le sue labbra, insieme ad una serie di ricordi nella sua mente; cazzo se le mancava quel biondo idiota! Ma sarebbe stato inutile avvicinarsi a lui come amica ed altrettanto inutile sarebbe stato confessargli i suoi sentimenti: lui non ricambiava, altrimenti quella sera l’avrebbe baciata di sicuro, non era il tipo che si faceva scrupoli da quel punto di vista. Quello che, però, non riusciva a spiegarsi era perché lui fosse stato tanto gentile con lei, da quando avevano imparato a conoscersi meglio; nei momenti di difficoltà lui c’era sempre stato, ovunque lei fosse, lui era al suo fianco o dietro di lei, pronto a riafferrarla quando cadeva, in senso figurato e letterale. “Ma chi sei?” non faceva altro che chiederselo, pensando al biondo.
- In effetti, tu ed Elia siete molto amici. – con questa sentenza innocente, Valerio la fece sussultare per la seconda volta; maledetto lui e le sue affermazioni a bruciapelo.
- Ti sbagli. –
- Sì, cioè, a volte litigate ma ci siete sempre l’uno per l’altra. –
- E tu che ne sai, scusa. – rispose, con gli occhi che iniziavano a lanciare stilettate taglienti come shuriken.
- Niente, niente. Dicevo per dire. – cercò di tagliar conto, spaventato.
- Comunque, da dopo Firenze non facciamo altro che litigare. –
- E perché? Se posso… -
- Perché siamo diversi. Punto e basta. E ora zitto che devo prendere appunti, grazie. -
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….
Il restante mese sembrò volare ed Ella si svegliò di malumore, quella mattina del suo ultimo giorno; nemmeno la prospettiva di andare dieci giorni in Calabria con Anna e Laura sembrava rallegrarla. Si caricò la borsa sulla spalla per l’ultima volta, quell’anno, ed uscì di casa, sotto lo sguardo assonnato del piccolo carlino, acciambellato nella sua cuccia: - Beato te… - farfugliò assonnata, mentre i suoi fratelli ancora facevano colazione, con le palpebre mezze chiuse. Attese le sue amiche davanti al cancello ed entrarono insieme, chiacchierando a mezza bocca, con le voci ancora impastate dal sonno; entrarono in aula e si separarono per prendere posto ognuna accanto ai rispettivi compagni, sperando che l’anno successivo avrebbero potuto scegliere da soli i loro posti: questa cosa dell’estrazione aveva causato più danni che altro, per lo meno non era finita accanto a Marco o, peggio, di nuovo accanto ad Elia. Quest’ultimo non si era ancora avvicinato a lei per un qualsiasi motivo/scusa per litigare e sembrava non avere alcuna intenzione di farlo o, forse, aveva finito le idee.
Suonata l’ultima campanella fu il momento dei saluti e degli abbracci ed Anna quasi si mise a piangere.
- Avanti non fare così! – le disse Laura, che stava per aprire anch’essa i rubinetti.
- Ma sì, ci vedremo in questi giorni. E dobbiamo anche partire! -
- Vi voglio bene, ragazze! – rispose Anna abbracciandole e inondandole di lacrime.
- Ma che scena tenera… - fu Filippo a parlare, con evidente ironia che Ella colse in meno di mezzo secondo.
- Che vuoi? -
- Ti devo parlare. – le disse, mentre lei lo guardava in attesa, invitandolo con una mano a farlo e in fretta. Lui le rivolse un’occhiata annoiata per poi far saettare lo sguardo in direzione delle due amiche. Filippo, constatò Ella, parlava la sua stessa lingua; era davvero assurdo il fatto che due che comunicavano nello stesso identico modo non andassero per niente d’accordo.
- Ragazze andate o perderete il treno, vi chiamo più tardi ok? – aspettarono che Anna e Laura annuissero per spostarsi in fondo alla classe ormai vuota; Ella si sedette a gambe incrociate su un banco e il moro le si piazzò davanti.
- Non ho tutto il giorno… - iniziò lei.
- Dio quanto non ti reggo! Ma non stai mai zitta? – sbottò, dopo essersi trattenuto per un anno intero.
- La cosa è reciproca, dimmi quello che hai da dire. Oggi torno con i mezzi e non voglio tornare a casa tardi ho danza e… ok, ho capito, parlo troppo, scusa. – disse, vedendo che Filippo si massaggiava le tempie e respirava pesantemente, innervosito.
- In questi mesi di vacanza cerca di fare chiarezza. E non lo dico perché mi sei simpatica ma perché ne va della salute mentale del mio amico. –
- Se la sua salute è a rischio, potrebbe cominciare a curarsi evitando di urlarmi contro alla prima occasione che gli si presenta! –
- Non era questo che intendevo… -
- E allora spiegati meglio. – gli disse, indurendo lo sguardo ed incrociando le braccia sotto il seno. Filippo giocava a fare il duro ma non aveva idea della belva che aveva davanti; Ella, che in quegli ultimi giorni era stata parecchio nervosa per ovvi motivi, non vedeva l’ora di attaccar briga con qualcuno. Sostenne lo sguardo accigliato del moro che, senza staccare gli occhi ossidiana da quelli di lei, continuò:
- Non sta a me dirti tutto, anzi, Elia non sa nemmeno che sono qui ma cerca di darti una svegliata e di pensare al peso che hanno le parole.
- Non devi dire a me quanto siano importanti le parole, Filippo. – rispose alterata – Lo so benissimo. –
- Allora, forse il problema non sono le parole ma i sentimenti. Devi capire cosa provi per Marco, in primis, e poi pensare a cosa c’è fra te ed Elia. – lei provò un brivido di fottuto terrore, la paura profonda che Filippo avesse capito, che avrebbe confessato tutto al suo amichetto che, a sua volta, l’avrebbe presa in giro proprio come aveva fatto Marco; non poteva, per nessuna ragione al mondo, ammettere ad anima viva che non fosse Anna o Laura, i suoi sentimenti per Elia. E non c’era assolutamente niente da chiarire: a lei lui piaceva da matti e non era ricambiata. Non sapeva e non voleva sapere che genere di film mentali si fosse fatto il moro, magari aveva pensato, in un remoto angolo del suo limitato cervello che anche ad Elia piacesse lei ma si sbagliava. Il biondo le aveva dimostrato di non volerla, dopo Firenze era tornato a ronzare attorno a Giulia e Virginia contemporaneamente, perciò, o Filippo credeva nei miracoli oppure voleva solo farsi gli affari suoi per poterli spifferare ad Elia e, in entrambi i casi, la cosa non le andava giù.
- Marco è una merda. – rispose, convinta – ed Elia… Elia è… - cercò di calmarsi e non lasciarsi tradire dal linguaggio del corpo, poi affermò: - Elia era un amico, ora non è niente. – era quasi doloroso dire queste parole, anche se per finta, faceva malissimo. Guardando il lato positivo, ce l’aveva fatta. Filippo sembrava più rassegnato che convinto ma non aveva insistito.
- Bene, Ella. – riprese a dire, dopo un istante di silenzio in cui aveva solo scosso la testa leggermente. – Se questa è la verità, allora devi stargli lontana. Basta escursioni sul tetto, basta dormire insieme, basta ascoltare musica seduti nello stesso banco senza motivo apparente, basta battibecchi e occhiatacce. Se lui per te non è niente fai in modo che rimanga tale! – senza accorgersene, aveva perso le staffe ed alzato la voce tanto che lei si era fatta piccola piccola, accucciandosi su sé stessa e chinando la testa. Vedendo che lei sembrava spaventata, abbassò i toni ma continuò a parlare: - Te lo chiedo per favore, lascialo in pace. – stava per rinfacciargli il fatto che era Elia che non lasciava in pace lei e la tormentava, dal vivo e nei suoi pensieri, ma guardandolo si accorse, in quel momento, di una verità che, forse, era stata sempre sotto i suoi occhi e all’improvviso le fu tutto chiaro: perché Filippo non sopportasse di vederla con Elia, perché Filippo non sopportasse lei… divenne tutto così limpido; il moro non era solo il migliore amico di Elia, ne era innamorato. E lo capì perché aveva parlato per tutto il tempo con gli occhi scuri, così simili a quelli di lei, velati dalle lacrime trattenute. Non poteva esserne certa, ma quando ti trovi spiattellati in faccia i sentimenti che tu stessa provi li riconosci, specialmente quando chi li prova ti somiglia così tanto nei gesti, nel modo di parlare, nel modo di pensare e di porsi. Lei e Filippo erano stati fregati dallo stesso sorriso, dallo stesso paio di maledettissimi occhi blu. Non ebbe il coraggio di dirglielo esplicitamente ma volle comunque provare a domandargli, pur sapendo che non avrebbe risposto: - Siete molto legati, vero? Tu ed Elia. – lui capì perfettamente cosa intendesse dire. Era fin troppo sveglio per non cogliere un tono così allusivo.
- È complicato. – non riusciva più a guardarla negli occhi come aveva fatto all’inizio del discorso e, per un attimo, sembrò crollare. – Comunque tu pensaci. – riprese a dire, appoggiando il palmo della mano sul banco dove Ella sedeva - A quello che hai detto. Hai tutta l’estate per farlo, poi torna qui e comportati di conseguenza! – poi, si girò e prima di sparire dietro la porta aggiunse: - Dopotutto, non mi sembri una che si nasconde dietro un dito. -

Note Autrice:
siamo arrivati all'ultimo capitolo della prima parte, spero che finora abbiate apprezzato; se trovate il tempo, fatemelo sapere lasciando una recensione. La seconda e le successive parti della storia sono ancora in fase di creazione, perciò, questo è il miglior momento per ricevere i vostri consigli e le vostre critiche.
A prseto con la seconda parte!
Grazie di cuore a che è arrivato fin qui.
  
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