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Autore: PrimPrime    29/01/2024    2 recensioni
Emily Lewis è sorpresa quando riceve la sua lettera per Hogwarts, ma inizia a frequentare la scuola con grandi aspettative.
Quello che una nata babbana come lei non sa, però, è che cinque anni prima in quella stessa scuola ha avuto fine una guerra che aveva spaccato in due il mondo magico.
Inoltre non sa che i pregiudizi tra i maghi non sono del tutto spariti, come anche la competizione e l’antipatia di una casa verso l’altra.
E così Emily, quando stringe le sue prime amicizie e viene smistata in una casa diversa dalla loro, non ha idea di cosa l’attende.
In quella scuola dove un tempo si era combattuta una guerra, dove in qualche modo lei riuscirà a sentirsi al sicuro, non sa che verrà messa alla prova da sfide ben più complicate di un compito in classe.
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Leggendo questa storia conoscerai Emily e i suoi amici, e li seguirai in un percorso di crescita ed evoluzione che avrà inizio al primo anno scolastico e continuerà fino al settimo e oltre.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Filius Vitious, Horace Lumacorno, Minerva McGranitt, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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ATTENZIONE: questo capitolo contiene delle scene forti che potrebbero turbare alcuni lettori.
 

CAPITOLO 38

 


La nuova professoressa di trasfigurazione, Yvonne Valence Rain, si rivelò un’insegnante capace e piacevole da ascoltare. A lezione, seduta accanto a Cecil, Emily prendeva appunti senza sosta, interessata.

L’argomento era metamorfomagus e differenza con animagus. Ogni tanto la giovane donna faceva domande agli studenti per farli partecipare, a detta sua per conoscerli meglio.

In ogni caso, si trattava di domande che servivano anche a capire chi stesse davvero ascoltando e chi no.

In un momento di calma, mentre uno studente rispondeva all’ennesima domanda, Emily si guardò intorno notando come tutti i ragazzi sembravano concentrati ad ammirare la professoressa.

Era una bella donna che dimostrava circa trent’anni, con una voce gentile e il tipico accento francese. Era stata un’alunna di Hogwarts, così aveva detto loro, ma era cresciuta in Francia ed era tornata lì per terminare gli studi.

Cecil, al suo fianco, venne colto di sorpresa da una delle domande della professoressa. Che fosse per timidezza o perché era davvero distratto, Emily non lo sapeva, ma il ragazzo non riuscì a rispondere. Alzò la mano lei per toglierlo da quella situazione spiacevole.

Lo aveva visto con la testa tra le nuvole per tutta la mattina ed era certa del motivo. Quel pomeriggio, infatti, ci sarebbero state le selezioni di quidditch.

Anche se diceva che quello sport non era la sua vera passione, era chiaro che ci tenesse.

La Valence Rain chiese a lei di rispondere ed Emily lo fece senza problemi, avendo già memorizzato le informazioni sull’argomento. Non solo aveva ascoltato e preso appunti, ma si era anche portata avanti con lo studio nei giorni prima, come da sua abitudine.

“Va tutto bene?” chiese a Cecil, a fine lezione.

“Sì…” rispose lui senza alzare lo sguardo, mentre metteva in borsa il libro di testo.

“È per le selezioni di quidditch, vero?” gli domandò, seguendolo fuori dall’aula.

“Mi hai beccato,” ammise, rivolgendole un sorriso tirato. “Spero di passare… ma mi sento già sotto pressione.”

Emily gli mise una mano sulla spalla per dargli forza e gli sorrise.

“Sono sicura che andrà bene. Io verrò a fare il tifo per te e dopo potremo festeggiare tutti insieme.”

Cecil annuì. Le sue guance si erano imporporate leggermente, forse per il tocco di Emily che subito, rendendosene conto, tolse la mano imbarazzata.

“Ehi piccioncini, se non andiamo in sala grande finirà tutto,” li prese in giro Parker, che li superò ridacchiando.

Entrambi avvamparono e rivolsero lo sguardo altrove, quindi si decisero ad affrettare il passo per andare a pranzo.

 
Le selezioni di quidditch per la squadra di Grifondoro sarebbero iniziate a breve, ma Emily si trattenne nella sala grande ancora un po’ perché Patricia e un suo amico di Corvonero le avevano chiesto aiuto con un argomento di pozioni.

C’era ancora tempo e lei aveva studiato bene quel capitolo, perciò rimase seduta con loro a uno dei tavoli, prendendo in prestito il libro del ragazzo.

Non erano gli unici studenti rimasti nella sala grande, infatti qualcun altro era seduto a studiare. Lei e i suoi amici avevano sempre preferito altri posti, più appartati o silenziosi, ma doveva ammettere che stare lì non era poi tanto male.

Nessuno era pronto a zittirli se alzavano un attimo la voce, per esempio.

Non fece caso all’ora e quando finì di aiutarli pensò che doveva essere molto tardi, quindi prese la borsa e corse fuori dalla sala. Quando girò l’angolo finì addosso a qualcuno e sarebbe caduta a terra se lui non l’avesse prontamente presa per le spalle.

“Emily! Tutto bene?”

Alzò lo sguardo e si accorse che si trattava del professor Fiery. Lui le stava rivolgendo uno sguardo preoccupato e le teneva ancora le mani sulle spalle, come a volerla sostenere.

“Sì, mi scusi,” rispose, dispiaciuta di essergli andata addosso.

“Ottimo. Stavo cercando giusto te, vorrei mostrarti qualcosa.”

Emily, combattuta, si morse il labbro inferiore.

“In realtà stavo andando a vedere le selezioni di quidditch per la squadra di Grifondoro. A lei non interessano?”

“Non molto, ma confido che il capitano farà le scelte giuste. Non pensavo che seguissi il quidditch, la squadra di Grifondoro poi… Ah, scommetto che c’entra il ragazzo che ti piace.”

Emily si sentì arrossire e rivolse lo sguardo altrove, colta sul fatto. Il professore le accarezzò una ciocca di capelli, ma lo fece per un breve istante, tanto breve che lei si domandò se non l’avesse solo immaginato.

“Non voglio rubarti molto tempo, faremo presto,” le garantì, al che lei decise di arrendersi e annuì.

Probabilmente sarebbe arrivata a selezioni terminate o quasi. Mentre seguiva il professore fino all’aula di babbanologia, ci pensò su e sospirò. Aveva detto a Cecil che avrebbe fatto il tifo per lui, invece era ancora bloccata nel castello.

“Ho sorpreso degli studenti del quarto anno a disturbare le lezioni servendosi di oggetti babbani, perciò li ho confiscati e mi chiedevo se potessi aiutarmi a determinarne la funzione. Chissà, dal loro scherzo potrei ricavare qualche argomento interessante per una lezione,” dichiarò, aprendo la porta per lei.

Prese una delle sedie e la mise in prossimità della cattedra, accanto alla sua, quindi indicò a Emily di accomodarsi e raccolse una scatola da uno degli scaffali.

Malgrado avesse altro per la testa, Emily guardò nella scatola e si impose di concentrarsi, così avrebbero finito in fretta. Si ritrovò a osservare una grande quantità di oggetti colorati che conosceva bene.

“Questa è una trombetta,” disse, prendendo in mano l’oggetto in carta e plastica. “Soffiandoci dentro, questa parte si allunga e fa rumore. Si usa durante le feste. Anche questo, è un cappellino da festa.”

Si domandò se quei ragazzi fossero andati a una festa babbana, dato che si erano procurati quelle cose.

“Questo è un cubo di Rubik. È una sorta di enigma da risolvere, facendo ruotare le sue parti si deve arrivare ad avere ogni lato di un solo colore,” spiegò, dando una veloce dimostrazione di come si usasse.

“Affascinante,” commentò sottovoce il professore.

Nella scatola c’erano un sacco di cose, perciò passò oltre. Nominò qualche altro oggetto e il suo utilizzo, mentre il professore annuiva e si appuntava il tutto su una pergamena.

“Un gioco per cani,” disse, schiacciando un pollo di gomma che emise un fischio. “Questo invece è sicuramente per gatti,” continuò, prendendo in mano un piccolo topino di stoffa.

Fece per rimetterlo a posto quando si accorse che sul fondo della scatola c’era quello che sembrava essere un singolo preservativo ancora chiuso nella sua confezione. Si sentì tremendamente in imbarazzo e sperò che il professore non se ne accorgesse, quindi ci riappoggiò sopra il gioco e scelse un altro oggetto, ignorandolo con tutte le sue forze.

Chiunque avesse portato quegli oggetti a scuola, l’aveva messa in una posizione davvero scomoda.

“Una paperella di gomma? Questa… si usa quando si fa il bagno. Galleggia e tiene compagnia, ma non serve a molto in realtà…”

“Qualcuno ha pensato che fosse divertente tirarla in testa ai compagni,” commentò il professore, prendendogliela dalle mani.

Emily trattenne una risata amara. Pensò che quei ragazzi fossero degli stupidi e che lei, al quarto anno, era molto più matura di così.

“E questo? Ne avevano tanti e ci facevano dei palloncini, ma ho trovato strano che fossero incartati singolarmente.”

Emily alzò lo sguardo ed ebbe conferma del suo timore, cioè che il professor Fiery teneva tra due dita la causa del suo disagio. Un disagio che la colpì di nuovo con prepotenza, insediandosi alla base della sua nuca.

Si sentì arrossire e, consapevole di non poter ignorare la questione, prese un respiro profondo per darsi coraggio.

“No, è… È un contraccettivo babbano…” spiegò brevemente, senza guardarlo in faccia.

Con la coda dell’occhio vide il pacchettino che gli scivolava dalle dita e finiva di nuovo nella scatola.

“Ah. Mi domando… come abbiano fatto a procurarselo,” commentò, prendendo la scatola dalle gambe di Emily e posandola sulla cattedra.

Lei avrebbe voluto dire che non era poi così difficile, ma si trattenne perché erano rimasti anche troppo sull’argomento, per i suoi gusti. Il pensiero le corse alla sua borsa, appesa allo schienale della sedia, nella quale aveva sigillato la tasca contenente il suo pacchetto personale. Lo aveva completamente dimenticato fino a quel momento.

“Adesso è meglio che vada…” disse, imbarazzata.

“Aspetta,” le chiese lui, allungando una mano per posarla di nuovo sulla sua spalla destra. “Io speravo che volessi dare un’occhiata ai miei appunti per alcune lezioni. Il tuo aiuto ha cambiato tutto e mi è davvero mancato in queste settimane, ma… mi rendo conto che è colpa mia, se ti sei allontanata.”

Emily strabuzzò gli occhi, sorpresa. Aveva fatto di tutto per non farglielo capire, ma evidentemente aveva fallito. Stava per replicare che non aveva tempo in quel momento, ma il professore continuò.

“Eravamo un’ottima squadra… Non ti piacerebbe se tornasse tutto come prima, o anche meglio di prima?”

Ancora una volta la sua mano si spostò per accarezzarle una ciocca di capelli e questa volta Emily tenne sott’occhio quel gesto così improvviso, poi tornò a guardarlo negli occhi.

“Che vuole dire?”
Vedendolo più vicino, fece per ritrarsi ma lo schienale della sedia glielo impedì.

“Voglio dire che a te piace qualcun altro, ma non state insieme, allora potresti prendere in considerazione anche me,” rispose, accarezzandole una guancia.

Emily sgranò gli occhi.

“No… Non è proprio il caso,” provò ad alzarsi, ma entrambe le mani del professore sulle sue spalle glielo impedirono.

Il suo profumo di lavanda le invase prepotentemente le narici, nauseandola.

“Io posso farti delle cose che quel ragazzo non può nemmeno immaginare,” sussurrò al suo orecchio, facendole provare un brivido spiacevole lungo la schiena.

Sentì il naso di Fiery che tracciava la linea del suo collo, sostituito poi dalla sua lingua. Emily trasalì.

“La smetta…” disse, con la voce ridotta quasi a un sussurro e un nodo a stringerle gola.

Lui non l’ascoltò e si avventò sulle sue labbra facendole emettere un urlo strozzato. Tentò di spingerlo via puntando le mani sul suo petto, ma non riuscì a smuoverlo di un millimetro.

Quella che sentiva sulle sue spalle era la presa forte di un uomo, qualcosa che non aveva mai sperimentato prima e che la terrorizzò.

Provò a sfuggirgli scivolando sulla sedia, ma lui mise un ginocchio tra le sue gambe e si spinse contro di lei bruscamente facendole male.

Mentre la sua lingua si insinuava nella bocca di Emily, lei sentì una mano lasciarle la spalla per spostarsi sul suo seno e palparlo. Con il cuore in gola e la poca lucidità che le rimaneva, cercò la sua bacchetta nella tasca ma il professore le prese la mano impedendoglielo.

“Mi lasci!” urlò quando lui si allontanò per un istante, ma subito tornò a baciarla come se non l’avesse sentita.

Emily aveva iniziato a piangere senza rendersene conto e nella sua testa pregava che qualcuno la salvasse. La porta non era chiusa a chiave, perciò forse aveva qualche speranza.

Mentre sentiva la bocca del professore premuta sulla sua, una mano sul suo seno e il ginocchio che spingeva contro il suo inguine, invocò mentalmente l’aiuto dei suoi amici, degli altri professori, di chiunque.

Stava ancora provando a spingerlo con la mano libera e a fargli lasciare l’altra, ma non riusciva a fare niente se non a piangere.

Quando sentì una mano infilarsi sotto la sua gonna lo spinse più forte ma non ottenne risultati e si sentì morire. Per un istante che parve lunghissimo la sua mente si svuotò e lei rimase lì, tremante e incapace di reagire.

Si riscosse realizzando che le cose stavano precipitando e che nessuno l’avrebbe salvata. Gli morse le labbra con tutta la forza che aveva e sollevò con fatica una gamba per tentare di dargli un calcio.

Non bastò a spingerlo via ma la sua sedia traballò e lei cadde all’indietro, battendo la testa sul pavimento dell’aula. Strinse gli occhi per il dolore e lo spavento, ma subito li riaprì conscia del pericolo.

Da terra, vide il professore osservarla con lo sguardo sconvolto e la bocca sanguinante.

Prese la bacchetta e gliela puntò contro, perché intendeva andarsene da lì senza che osasse farle altro. La mano le tremava, ma non lo avrebbe perso di vista né avrebbe abbassato la bacchetta finché non fosse arrivata alla porta.

Con sua sorpresa, anche lui si armò di bacchetta.

“Obli…”

Prima che potesse finire di pronunciare la formula, Emily gli scagliò addosso uno schiantesimo quasi senza pensare, spingendolo con forza contro un mobile dall’altra parte dell’aula.

Si alzò in piedi barcollando e corse alla porta rischiando di cadere perché le tremavano le gambe, ma riuscì ad aggrapparsi alla maniglia e a raggiungere il corridoio per chiudersela alle spalle.

Sconvolta e con il fiato corto, riprese la sua corsa per scappare a testa bassa, senza guardare in faccia nessuno, percorrendo a fatica le scale che l’avrebbero portata al piano terra. Da lì intendeva scendere nei sotterranei e nascondersi nella sua stanza. Non riusciva a pensare ad altro, anzi non stava pensando affatto.

Non fece in tempo a raggiungere la seconda rampa di scale che sbatté addosso a qualcuno e cadde sul sedere, facendosi male di nuovo.

“No, basta!” esclamò, tenendo gli occhi chiusi e portando le braccia al petto per proteggersi.

Non ce l’aveva fatta, non era scappata abbastanza velocemente.

Le orecchie le fischiavano e nella sua mente continuavano a ripetersi gli scenari peggiori, tanto che le sembrava di impazzire.

“Emily!” esclamò qualcuno scuotendola per le spalle.

Lei emise un urlo strozzato, ma quando aprì gli occhi vide che era Blue. Si era chinata davanti a lei e la osservava con un’espressione sconvolta che non le aveva mai visto prima. Dietro l’amica, Hanna Arsen se ne stava in piedi in silenzio con un’espressione simile.

Non c’era nessun altro.

Emily scoppiò a piangere e si strinse forte a Blue. Avrebbe voluto urlare il suo nome, pregarla di portarla al sicuro, ma non riuscì a fare altro.

“Hanna, chiama la McGranitt,” le sentì dire e si scostò da lei, allarmata.

“Perché? No!” esclamò, ma la ragazza più piccola stava già correndo in direzione del suo ufficio.

“Sì invece! È stato lui, non è così? Devi dirlo alla preside!” ribatté ed Emily si accorse che anche l’amica era sull’orlo delle lacrime.

Malgrado ciò aveva uno sguardo determinato e le teneva saldamente le mani, riuscendo a trasmetterle sicurezza.

“A-aiutami ad alzarmi,” le chiese solo, dopo qualche secondo di silenzio.

Non aveva più le forze perché lo slancio di adrenalina si era esaurito. Anche a livello mentale era esausta, quindi si affidò a lei e al suo giudizio. Con un braccio di Blue che l’avvolgeva per sorreggerla, raggiunse lentamente l’ufficio della preside.

Anche senza parola d’ordine, il passaggio si aprì e le scale si mossero, segno che lei le stava aspettando.

Pochi istanti dopo erano entrambe sedute sulle poltroncine davanti alla sua scrivania. La professoressa, preoccupata, ascoltò Blue mentre Emily era troppo stanca e sconvolta per capire cosa stesse dicendo.

“Signorina Lewis, cos’è successo?” chiese la McGranitt, con la preoccupazione tipica di una madre.

Emily alzò lo sguardo su di lei e si rese conto di non aver mai smesso di piangere. Inoltre stava ancora tenendo in mano la bacchetta, stretta in una morsa dettata dalla paura.

“È stato… il professor F-Fiery…” ammise, con poca voce e la gola che faceva male. “Lui mi ha… Ha tentato di…”

Si strinse nel mantello e chiuse gli occhi, sentendo nuove lacrime che le scorrevano sulle guance. Cercò di prendere un respiro profondo, ma stava tremando così tanto che anche il respirò le tremò.

“Mi ha baciato con la forza e mi ha… t-toccata… Non… Io gli ho detto di smettere, ma non mi ascoltava… Per scappare sono caduta e poi…”

Sgranò gli occhi e la voce le morì in gola per un istante.

“Ha… ha provato a oblivarmi, ha pronunciato metà dell’incantesimo… allora l’ho attaccato…” continuò, iniziando a tremare più forte.

E se quella non era stata la prima volta? Se l’aveva già fatto e poi era riuscito a oblivarla? Emily se lo domandò. Il cuore le martellava nel petto, il respiro si era fatto corto e veloce e la testa le girava a vuoto.

Sentì l’amica chiamarla più volte e prenderle le mani, vide che anche lei stava piangendo. Si strinse a lei e nascose il viso sui suoi vestiti, ascoltando la sua voce che la spronava a respirare con calma e le sue mani che le accarezzavano i capelli in modo confortante.

Dopo alcuni minuti che le sembrarono interminabili, si allontanò da Blue per rivolgere uno sguardo timoroso alla preside.

Sembrava sconvolta quanto loro, ma anche arrabbiata. Probabilmente stava ponderando sul da farsi e la prospettiva di ciò che sarebbe successo dopo spaventò di nuovo Emily, che richiamò a sé le poche forze che le erano rimaste per costringersi a parlare ancora.

La pregò di non dirlo a nessun altro e di non metterla nella condizione di doverlo raccontare nuovamente. Lo fece tra le lacrime, con la voce resa ancora più flebile dal magone e dalla stanchezza.

L’anziana strega inizialmente si oppose alle sue richieste e cercò di farla ragionare, ma Emily insistette e alla fine la preside dovette darsi per vinta. Solo allora la Serpeverde si abbandonò sullo schienale della poltrona, sfinita.

La professoressa McGranitt dichiarò che avrebbe pensato lei al collega e la convinse ad andare in infermeria, anche se Emily non avrebbe voluto.

Non intendeva dare alcuna spiegazione sul suo stato e non voleva farsi visitare, ma sapeva anche che un esame le avrebbe fatto capire se quella era la prima volta che succedeva o meno.

La McGranitt l’accompagnò e si occupò di parlare con Madama Chips, che chiese a Blue di uscire e la visitò. A parte qualche livido non trovò nulla, anche la botta alla testa non aveva provocato danni e il sangue che le sporcava le labbra non era il suo.

Emily si sentiva un po’ più sollevata, ma era ancora scossa. Bevve la pozione che le aveva dato la medimaga senza nemmeno chiederle cosa fosse e si rivestì.

Blue e la preside tornarono da lei per sentire come stava, e lei chiese di poter tornare nella propria stanza. Cercava di non darlo a vedere ma era terrorizzata all’idea di passare la notte lì.

“Non lo dica ai miei genitori, la prego,” chiese poi, quando la donna le diede il permesso di tornare nel suo dormitorio.

“Signorina Lewis, non posso fare finta di niente. Loro devono essere informati.”

“No! La prego, lo farò io alla prima occasione. Potrebbero togliermi da scuola se lo sapessero,” insistette, sentendosi di nuovo a pezzi.

“E va bene,” le concesse, con un sospiro carico di tristezza.

Si raccomandò di parlarne con loro al più presto e la lasciò libera di andare.

Tenendo la mano di Blue, si avviò in silenzio e a sguardo basso verso il dormitorio di Serpeverde. Era distrutta e si sentiva uno schifo. Si faceva schifo.

Sentiva ancora le sue mani su di sé e temeva che quella sensazione non l’avrebbe abbandonata mai.

“Siamo arrivate,” le fece notare Blue.

Chissà da quanto tempo erano ferme davanti al passaggio, Emily non se n’era accorta. Pronunciò la parola d’ordine ed entrò insieme all’amica.

Nella sua stanza trovò Ana e Patricia che chiacchieravano e quando le due incontrarono il suo sguardo capì che le avrebbero fatto delle domande. Quella consapevolezza le tolse il fiato.

Per fortuna quell’anno condivideva la camera solo con loro, altrimenti sarebbe stato tutto ancora più difficile.

“Emily, cosa ti è successo?” chiese Ana, mentre Patricia si portava le mani davanti alla bocca.

Lei scosse la testa per indicare che non era successo niente, ma le labbra le tremarono e sentì che gli occhi minacciavano di riempirsi nuovamente di lacrime.

“Datele tempo,” si raccomandò Blue, accompagnandola fino al suo letto. “Ha bisogno di tranquillità e di riposare… Emily, ti dispiace se resto un po’ qui?”

Devi restare qui,” le rispose, facendole spazio nel suo letto. “Salazar! Ho lasciato là la mia borsa!” esclamò di nuovo spaventata, rendendosene conto solo in quel momento.

“Non pensare alla borsa adesso, te la recupero io più tardi,” le assicurò Blue mentre si sdraiava con lei avendo la premura di non starle troppo vicina, ma continuando a tenerle la mano.

Sotto gli occhi preoccupati delle due Serpeverde che dividevano la stanza con lei, Emily annuì, sospirò e decise che avrebbe chiuso gli occhi per un po’… perché si sentiva davvero prosciugata.

 
   
 
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