Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Nolowende    01/02/2024    0 recensioni
Tjaryk è ormai prossimo al giorno in cui inizierà a servire la sua terra – non come soldato, né come semplice mago, ma come la più potente delle armi. Perché il suo potere non è frutto del suo sangue, ma un dono degli dei, e tutto ciò che può fare per ripagare l'ordine che lo ha cresciuto è usarlo contro i nemici che li minacciano.
Le parole di un uomo misterioso trovato in una foresta rivelano la verità. Ci sono altri come lui. Una signora del deserto divenuta regina del cielo. Un capitano privato del suo esercito. Una guaritrice disposta a combattere per la salvezza del suo amore.
E soprattutto, gli dei non concedono doni senza motivo.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Normalmente, Tachneri se ne sarebbe già andata, scivolando tra le ombre del crepuscolo. Tjaryk non riuscì a fare a meno di sentirsi grato che fosse rimasta al suo fianco. Lo straniero non sembrava pericoloso, e lui avrebbe saputo difendersi se ne avesse avuto bisogno, ma, in due, sarebbero stati più preparati a un eventuale attacco. 
 
 
L'uomo non si era ancora svegliato, ma non sembrava ferito – solo pallido ed esausto. La sua corta barba nera non nascondeva i suoi lineamenti affilati, né le sue guance scavate. Dalle poche rughe sottili intorno agli occhi e sulla fronte, non dimostrava più di quarant'anni. Ma le sue vesti avevano attirato l'attenzione di Tjaryk più del resto. Sembravano vecchie, ma di buona qualità, di un tessuto verde scuro, a malapena stinto, che lo aveva aiutato a confondersi con le ombre della foresta. Soltanto i bordi della sua tunica erano leggermente lisi. 
 
Con una fitta, subito repressa, di nostalgia per una vita che non aveva mai conosciuto, si chiese se quegli stessi vestiti fossero stati venduti dall'uomo che lo aveva generato – ma forse non erano così vecchi. 
 
 
Aveva altro a cui pensare. Lo straniero non pareva portare armi, e non indossava il mantello nero dei sacerdoti, ma non significava che fosse innocuo. Poteva avere nel proprio sangue la magia, o forse avere dalla propria parte le abilità imprevedibili dei maghi.
 
 
Nonostante quella consapevolezza, Tjaryk non riuscì a temere la figura dormiente davanti ai suoi occhi. Se avesse dovuto usarlo, il suo potere sarebbe stato invincibile.
 
 
Eppure, quando l'altro aprì gli occhi, non poté evitare di sussultare e indietreggiare. Tachneri a sua volta fece un passo indietro e l'aria parve addensarsi intorno alla sua mano, pronta a essere trasformata in arma.  
 
 
Lo sconosciuto ancora non si mosse. Si limitò a battere le palpebre più volte, come sforzandosi di mettere a fuoco le fronde sopra di sé. Non diede alcun segno di averli notati o di sapere con precisione dove si trovasse. 
 
 
Tjaryk rimase cautamente fermo a osservare, finché un lampo di consapevolezza non passò negli occhi dell'uomo. L'altro si irrigidì e tentò di alzarsi, ma non aveva nessun appiglio a cui aggrapparsi e i suoi stivali – robusti stivali di pelle, impolverati da quello che doveva essere un lungo cammino – strisciarono sul terreno senza riuscire a fare presa.
 
 
Il ragazzo lo osservò lottare per un istante di troppo prima di schiarirsi la gola e rivolgergli la parola. “Signore” iniziò con il tono più dolce che riuscì a ottenere dalla propria voce, “avete bisogno di aiuto?” 
 
 
Lo straniero strinse i denti e sollevò lo sguardo su di lui. I suoi occhi erano di un verde chiaro e brillante, con un anello nero a circondare l'iride. Solo per un momento, a Tjaryk parve di averli visti illuminarsi quando lo guardò, e fece un altro passo indietro. Non aveva con sé molti oggetti di valore, se non l'arpa e la collana di sua madre, e se l'uomo davanti a lui fosse stato un bandito quelli sarebbero bastati ad attirare le sue attenzioni. 
 
 
Ma l'altro si limitò a sorridergli, e la sua fronte si appianò. “No. Stavo solo cercando di raggiungere Petyskel” rispose. La sua voce era calda e profonda, e parlava l'othanar con naturalezza. Si mise finalmente in piedi, con un movimento troppo fluido per appartenere a un ferito. “Sono quasi al termine del mio pellegrinaggio...” precisò, scostando una ciocca di lunghi capelli neri dal viso e rivolgendo un'occhiata esitante a Tachneri. Tjaryk non si voltò, ma poteva quasi sentire la tensione che percorreva il corpo della ninfa. Forse aveva percepito qualcosa di cui lui non era ancora a conoscenza. 
 
 
Lui abbassò lo sguardo con apparente noncuranza ed canticchiò due brevi, alte note, sufficienti ad aumentare il potere nella sua voce. Tentò di insinuarsi nella mente dello sconosciuto, ma non vi scorse alcuna menzogna. I suoi pensieri riflettevano solo Petyskel. 
 
 
Rilassò i muscoli e sperò che il pellegrino non si fosse accorto di nulla. Una smorfia aveva attraversato il suo viso per un brevissimo istante, quando lui aveva invaso la sua mente, ma ora la sua espressione stava tornando tranquilla. “Per il Quinto Dio?” chiese Tjaryk quasi distrattamente, distogliendo lo sguardo. Avrebbe usato la forza se l'altro lo avesse attaccato, ma sembrava sempre più improbabile. Un devoto di Falham non lo avrebbe mai aggredito, e  lui non avrebbe avuto alcun motivo di colpire per primo, se la fede dello straniero era sincera.  
 
 
L'altro scosse la testa, lento e grave. “No. Per il Secondo.” Un sorriso triste si disegnò sul suo viso mentre si stringeva nel mantello, nonostante il calore lo rendesse superfluo. “Vengo a pregare per l'anima di un amico.” 
 
 
Per un momento, Tjaryk non riuscì a rispondere. Avrebbe voluto tentare di fare breccia di nuovo nella sua mente, di vedere se stesse mentendo, ma gli occhi dell'uomo si erano fatti lucidi e distanti, e lui non osò intromettersi. Aveva ricordi molto vaghi del suo padre naturale, ma in molte di quelle memorie, sul suo volto appariva la stessa espressione. 
 
 
“Potrei accompagnarvi fino al tempio del Quinto Dio” rispose, addolcendo la voce. Non aveva motivo di portarlo da Kniriv e dagli altri sacerdoti – non aveva detto o fatto nulla che avesse destato i suoi sospetti – e nella sua mente aveva visto Petyskel quasi identica a come era ora, con il nugolo di bassi templi rotondi al centro e le sue statue d'alabastro agli inizi delle vie, ma forse avrebbe potuto facilitargli il passaggio dal santuario di Falham a quello di Xamvor. 
 
 
L'altro scosse nuovamente la testa. “Conosco la strada.” Il sorriso si fece più caldo. “Ma ti ringrazio. Il tuo nome, ragazzo?” 
 
 
Tjaryk ricambiò il sorriso. “Tjaryk, ner Aiglanir” rispose educatamente. “Tjaryk nals Kniriv” aggiunse, raddrizzando la schiena e senza trattenere la nota più vivace che colorò la sua voce, anche mentre un'altra rapida smorfia sul volto del suo interlocutore gli faceva capire che stava di nuovo irrompendo nella sua mente. Se aveva già visto Petyskel, forse conosceva il Sommo Sacerdote – e se anche non l'avesse mai visto prima, parlandogli lui gli aveva quasi certamente trasmesso la sua immagine. 
 
 
Per un istante gli parve che l'uomo avesse teso i muscoli e si fosse rabbuiato, ma la sua espressione tornò a farsi cortese quasi subito. Doveva essere stata solo la sorpresa di fronte alla presenza estranea nei suoi pensieri. “Siete sotto la protezione del Sommo Sacerdote? Dovete essere una persona importante.”  
 
 
Il giovane non tentò nemmeno di nascondere l'orgoglio. Se anche l'altro aveva avuto intenzione di attaccare lui o Tachneri, l'autorità stessa del suo padre adottivo sarebbe bastata a fermare qualunque uomo. Un uomo di fede non si sarebbe opposto a colui a cui da anni, ormai, era affidata la tutela del culto di Falham. E un malvagio sarebbe incorso nella sua ira, e non avrebbe avuto vie di fuga.
 
 
Non ora che lui stava per diventare l'arma che era nato per essere.
 
 
La ninfa, dietro di lui, si schiarì la gola, ma lui si voltò per rivolgerle uno sguardo rassicurante. Sopra di loro, il cielo si stava lentamente oscurando, divorato da una marea lilla. Ma la notte non poteva ferirli. Non loro due.
 
 
Tornò a fronteggiare lo straniero, che era rimasto in silenzio, con gli occhi abbassati e il mantello ancora avvolto strettamente al corpo magro. A ogni secondo che passava, gli pareva sempre più innocuo. Solo un viandante come tanti. Persino i suoi pensieri erano inoffensivi.
 
 
“E il vostro nome?” chiese bruscamente, alzando di nuovo la voce e attaccando di nuovo la mente del pellegrino. Ancora una volta, non trovò nessun pensiero empio, nessun segnale di pericolo. Non aveva davvero nulla da temere. 
 
 
Il pellegrino tornò a rivolgergli un sorriso che non illuminò i suoi occhi. “Fordraichd ner Rocnem.” Un soffio di vento freddo parve accompagnare le sue parole e si insinuò sotto il lino marrone del mantello leggero di Tjaryk, facendolo rabbrividire contro la sua volontà. 
 
 
“Un nome ambizioso” commentò Tachneri alle sue spalle, l'irritazione ben percepibile nella sua voce. Tjaryk si morse il labbro inferiore e mosse un altro passo nella sua direzione. Fordraichd continuò a non guardarla, tutta la sua attenzione fissa sul ragazzo.
 
 
Sentendo la mano dell'amata sulla sua spalla, lui non poté fare a meno di condividere il suo pensiero. Non erano in molti a saper ancora parlare quel poco lunyan che i millenni avevano preservato, ma una parola era nota a tutti coloro che avessero tentato di imparare l'antica lingua, e la sua ombra era rimasta nei suoni duri dell'othanar e in quelli aspirati e fluidi del madil, in tutte i linguaggi del sud e del nord, e persino in quello delle ninfe. 
 
 
Draichd. Magia.  
 
 
“È tardi. Devo andare” proseguì la ninfa con un tono più brusco del solito. Si appoggiò al fusto dell'albero più vicino, lanciando un'occhiata a Tjaryk. “Stai attento nel tornare indietro” aggiunse più gentilmente, prima che la sua pelle morbida iniziasse a trasformarsi in legno, fino a quando la sua figura esile non fu inghiottita dall'ampio tronco robusto. 
 
 
Tjaryk fissò la pianta per un momento, tentando di apparire ancora rilassato di fronte al pellegrino. Sapeva che Tachneri lo avrebbe seguito se avesse creduto che stesse correndo rischi, ma sarebbe rimasta nascosta nel terreno o nelle piante fino a quando non fosse stato necessario per lei uscire e intervenire – e lui sperava che non ce ne fosse bisogno. Le visioni che il suo potere gli avevano mostrato parevano indicare che quell'uomo era inoffensivo quanto sembrava.
 
 
Ma la sua amante aveva reagito in modo strano. Non era da lei andarsene così improvvisamente. Avrebbe fatto meglio a non abbassare la guardia.
 
 
“Bene” si limitò a commentare, accarezzando distrattamente la colonna dell'arpa. “Se non avete bisogno del mio aiuto, dovrei tornare a casa.” Provò a parlare educatamente, ma iniziò subito ad allontanarsi. Non poteva sottovalutare qualunque cosa Tachneri avesse sentito in Fordraichd. In circostanze diverse si sarebbe fidato unicamente di quanto la sua voce poteva comunicargli, ma mancava troppo poco al momento della realizzazione dei suoi sogni per rischiare.
 
 
Fordraichd annuì, voltandosi nella direzione opposta alla sua. Le stelle stavano iniziando a mostrarsi, ma la postura eretta non mostrava alcuna paura di affrontare la foresta. Forse era davvero più forte di quel che appariva, forse c'era in lui qualcosa di segreto che lo avrebbe protetto da qualsiasi minaccia.
 
 
Forse aveva sangue di ninfa nelle vene, o forse poteva avere ricevuto un dono dagli dei, come era stato per lui.
 
 
Tjaryk si guardò un'ultima volta alle spalle, quasi aspettandosi che Fordraichd si fermasse a fissarlo, ma vide solo la sua sagoma che si faceva sempre più sfocata mentre riprendeva il cammino, il mantello verde scuro che svolazzava nella brezza.
 
 
Accelerò il passo, canticchiando a bassa voce per tenere lontano tutto ciò che l'oscurità poteva celare. Kniriv lo stava aspettando, e forse avrebbe voluto sapere ciò che era successo.
 
 
                                                                                                                               …
 
 
L'ampia strada che conduceva al tempio principale, nonostante fosse ormai notte, sarebbe stata ancora gremita di fedeli e postulanti, e si sarebbe forse iniziata a svuotare solo nelle ore successive. Tjaryk aveva passato lì ogni giorno degli ultimi sedici anni e non riusciva a ricordare un tempo in cui la pietra candida che lastricava la via fosse stata ancora immacolata, invece che segnata dalla terra, dalla fuliggine e dal sudore portati da coloro che venivano ad assistere ai riti.
 
 
Si sarebbe potuto fare strada tra la folla, e molti lo avrebbero riconosciuto come uno dei figli di Kniriv e lo avrebbero lasciato passare. Ma era giunto fino a lì quasi correndo, senza sapere esattamente quale fosse il motivo dell'agitazione che gli scuoteva il petto, e non aveva intenzione di fermarsi ad aspettare che la massa  si spostasse goffamente per aprirgli un sentiero troppo stretto e sottile.
 
 
L'entrata secondaria, almeno, sarebbe stata spoglia, e gli avrebbe permesso di risparmiare tempo e parlare immediatamente con suo padre. 
 
 
Imboccò il sentiero, più stretto ma più pulito, fiancheggiato dall'erba alta e curata, punteggiata dai petali viola che i rami degli alberi lasciavano cadere, del giardino del santuario. La ghiaia brillava candida alla luce della luna, e solo i suoi passi infrangevano il silenzio, e il suo cuore iniziò finalmente a calmare il battito.  
 
 
“Dovresti imparare a tornare all'ora giusta.” Tjaryk sussultò e cercò con lo sguardo la fonte delle parole. Si sarebbe dovuto aspettare di udire quella voce, quelle parole, ma quella sera era stato troppo immerso nei propri pensieri per notare la figura che stava emergendo da dietro il tronco della quercia a sinistra del tempio. 
 
 
La tunica blu brillante di Kyoul e i suoi lunghi capelli bianchi erano mossi dalla brezza leggera della notte, ma per il resto era completamente immobile mentre lo fissava. Anche il suo viso era inespressivo, come se fosse stata una delle tante statue che ornavano la città, ma Tjaryk non dubitava che, se il madil ne fosse stato in grado, si sarebbe fuso con le piante o con il terreno per il puro piacere di apparirgli di fronte all'improvviso e spaventarlo. 
 
 
Si lasciò sfuggire un sospiro. “Anch'io sono felice di rivederti, Kyoul.” 
 
 
C'era stato un tempo in cui la voce di suo fratello non sarebbe stata così tagliente al suo arrivo. Avrebbe dovuto smettere di pensarci, dopo tutti gli anni che erano passati da allora. 
 
 
Gli occhi quasi indaco dell'altro scintillarono e una smorfia apparve sul suo volto di fronte al sarcasmo nella risposta, ma lui non si avvicinò. Abbassò le palpebre e incrociò le braccia sul petto. “Nostro padre ti sta ancora aspettando” sibilò. Si voltò senza dire altro, raggiungendo a passi rapidi e leggeri all'arco dell'entrata.
 
 
Tjaryk esitò prima di seguirlo. “Kyoul, aspetta...” iniziò, ma si bloccò quando l'altro si voltò, fissandolo con uno sguardo tagliente. Si chiese quante volte, negli ultimi anni, avessero avuto una conversazione simile, e se le sue parole, in quel momento, potessero placare l'ostilità del ragazzo accanto al quale era cresciuto.
 
 
“Posso chiedere che tu venga impiegato al mio fianco” sussurrò infine. Con il giorno del suo trionfo ormai vicino, quella era una promessa che poteva mantenere. 
 
 
Le labbra del madil si incurvarono in un sorriso, ma i suoi occhi rimasero gelidi. “Non è quello che voglio da te.” Si voltò e sparì oltre l'uscio in un lampo blu. Tjaryk ascoltò in silenzio i suoi passi che si facevano sempre più lontani, il fruscio della sua veste sempre più attutito. 
 
 
Aspettò finché i suoni non si furono spenti, diventando impercettibili anche al suo udito allenato, prima di entrare a propria volta nel tempio. Avrebbe dovuto smettere di provare a parlargli. 
 
 
L'ombra del corridoio, a malapena rischiarata dalle fiamme delle torce, lo inghiottì. Non sentiva il bisbiglio melodioso delle ultime preghiere della giornata. Il pensiero gli strappò un sorriso, nonostante le parole di Kyoul. Aveva chiesto, quattro anni prima, di poter partecipare ai canti che venivano quotidianamente levati, ma suo padre aveva respinto la proposta. Lui aveva insistito sulle potenzialità del proprio potere, sulle immagini che avrebbe potuto creare, magnifiche quanto le statue del tempio e più vive, ma Kniriv gli aveva ricordato gentilmente che il ruolo che lo attendeva sarebbe stato molto diverso, e avrebbe servito il Quinto Dio più fedelmente. Aveva accettato il rifiuto, ma sapeva che, non appena i sacerdoti avessero iniziato a cantare, si sarebbe fermato ad ascoltarli.
 
 
Ma doveva ancora avere tempo prima di quel momento. Kniriv, probabilmente, era sveglio, non era impegnato con le suppliche dei fedeli o con i riti e sarebbe stato libero di ascoltarlo. 
 
 
Non si diresse immediatamente nella sua cella, ma percorse il labirinto formato dai corridoi a passi sicuri, continuando a seguire le svolte fino a trovarsi di fronte alla porta lignea della sua stanza. Si tolse il mantello, estraendo la chiave dalla tasca che vi aveva cucito, ed entrò, fermandosi solo il tempo necessario ad appoggiare l'arpa sullo sgabello sotto alla piccola finestra. 
 
 
Si richiuse la porta alle spalle e riprese il cammino, ripercorrendo la strada a ritroso fino a imboccare il corridoio principale. Il soffitto sarebbe stato quasi troppo basso per chiunque a parte lui – un semplice accorgimento per far risultare ancora più maestosa l'alta navata in cui immetteva – e le torce illuminavano a malapena l'ampio spazio tra le pareti, ma lui sapeva perfettamente dove andare. 
 
 
La cella di Kniriv era rimasta sempre la stessa da quando era un novizio, nonostante il ruolo prestigioso che aveva iniziato a ricoprire. Scavata direttamente nella roccia della parete, era la terza più vicina all'ambiente principale del tempio, l'aula in cui si trovava la grande statua di Falham e i sacerdoti recitavano le loro preghiere insieme ai fedeli. 
 
 
Bussò delicatamente alla porta, anche se questa era sottile che era certo del fatto che Kniriv lo avesse sentito arrivare. Se avesse toccato il portone esterno, il suono si sarebbe comunicato in tutto il tempio e il sacerdote sarebbe già stato pronto ad accoglierlo, ma il rumore dello sgabello trascinato sulla pietra del pavimento e i pochi passi pesanti che si avvicinavano gli confermarono che il suo arrivo non lo aveva colto di sorpresa.
 
 
La porta si spalancò, mostrando la figura tarchiata di Kniriv. Sul volto rotondo di suo padre si aprì un ampio, rassicurante sorriso. “Ti stavo aspettando” lo salutò con voce dolce. “Hai passato una buona giornata?” 
 
 
Tjaryk gli sorrise a sua volta. Non si era portato dietro l'arpa, ma non dubitava del fatto che Kniriv sapesse perché era uscito, eppure non sembrava comunque in collera. Il sollievo che lo inondò fu quasi sufficiente a fargli dimenticare il vero motivo per cui era giunto lì. “Ho... incontrato una persona” iniziò. 
 
 
L'espressione di Kniriv non parve cambiare, ma i suoi occhi si fecero più seri. “Chi?” chiese suadente, invitando il ragazzo a entrare. La stanza era abbastanza grande da ospitare entrambi, anche se a malapena, e nello spazio angusto l'odore dell'inchiostro emanato dal libro aperto sul leggio accanto al letto era ancora più penetrante del solito. “Sai che puoi fidarti di me.”
 
 
Tjaryk si insinuò nella cella, indugiando sui colori vivaci che decoravano le pagine – l'arancione delle fiamme che incorniciavano il testo e il verde e il rosso del titolo in alto – prima di iniziare a parlare. “Ho visto un pellegrino nella foresta” ammise. “Non ha detto nulla di compromettente e non ho visto alcuna malvagità quando ho sondato la sua mente, ma... Tachneri sembrava insospettita, e voglio fidarmi di lei.” Sentì il sangue affluire alle guance. Anche se Kniriv sapeva già da tempo della sua relazione, non era un segreto che gli permetteva di continuare a vedere la ninfa solo perché impedirglielo lo avrebbe distratto dai suoi doveri più di quanto lo facesse trascorrere parte del proprio tempo con lei. 
 
 
Kniriv tacque per un tempo che a Tjaryk parve infinito. “Solo questo?” chiese infine. Le spalle del ragazzo si afflosciarono al tono che la sua voce aveva assunto. Era chiaro ciò che le poche parole di suo padre nascondevano. Si era fatto prendere da timori irrazionali, e aveva disturbato il Sommo Sacerdote per nulla. 
 
 
L'uomo tornò a sorridere e gli accarezzò i capelli. “Posso capire che ti fidi della tua donna, ma probabilmente ha solo percepito del sangue di ninfa in lui. Ma è un bene che ti prepari a prevenire ogni minaccia... vedrai che, nei prossimi anni, Othanar te ne sarà grata. Se ricordi il nome di questo... pellegrino, posso farlo controllare per assicurarmi che non sia un pericolo.” 
 
 
 
Tjaryk prese un respiro profondo, concentrandosi ancora un momento sulla mano calda del sacerdote sulla propria testa. “Fordraichd ner Rocnem” rispose infine. Lo straniero non poteva avergli mentito su quello. Non dopo che aveva letto la sua mente. “Doveva raggiungere il tempio di Xamvor.”
 
 
“Molto bene.” Il modo in cui Kniriv aveva pronunciato le parole era tornato a farsi dolce e rassicurante. “Non credo che sia una minaccia, ma staremo in guardia, se necessario. Hai fatto bene a parlarmene.” Tjaryk risollevò lo sguardo, ogni delusione cancellata dal modo in cui gli occhi di suo padre stavano brillando mentre lo guardavano. 
 
 
Forse la sua azione non era stata necessaria, ma aveva agito per il bene di Othanar e per la gloria di Falham, come aveva giurato di fare.
 
 
“E se quest'uomo, chiunque egli sia, si dimostrerà pericoloso,” riprese Kniriv, prendendo la mano piccola e scura del figlio tra le proprie, “allora lo porterò da te. Potrebbe essere una buona occasione per dimostrare agli altri quanto tu sia degno del tuo ruolo.” Il suo sorriso si fece diverso, la soddisfazione visibile nella piega delle sue labbra. “Tre giorni, e potrai avere tutto quel che desideri... anche la tua ninfa, se è quello che vuoi. Devi solo restare qui.” 
 
 
“Non potrei mai andarmene” mormorò Tjaryk. Non riusciva a immaginare un futuro diverso da quello che gli era stato promesso.
 
 
I sacerdoti gli avevano dato tutto – gli avevano donato la vita più serena e luminosa che potesse immaginare. Avrebbe ripagato loro e il dio che, con il proprio potere e la propria benevolenza, aveva protetto Othanar e l'intera umanità dall'alba dei tempi.
 
 
E avrebbe continuato a servirli fino all'ultimo respiro, come era sempre stato destinato a fare. 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Nolowende