Cap. 26 e ultimo: Whatever it
takes
I've opened every door
I always wanted more
I didn't have much to believe in
I searched the world for you
I found what's really true
It's your love that gives me a reason
Baby it's only you who can free my heart
I can't do it on my own
It seems like just yesterday I was in the dark
Whatever it takes I will be there
By your side baby anywhere
When you're lost and alone
I'll bring you home
I will come through for you
Whatever it takes…
(“Whatever it takes” – Belinda Carlisle)
Il ritorno in patria
della Compagnia Charlie fu salutato con grande entusiasmo: la nave, appena
giunta al porto, fu accolta da folle festanti e ovviamente dalle famiglie dei
soldati, da tutte le personalità più importanti della politica e dell’esercito
e da una pletora di giornalisti e fotografi. La storia tragica ma a lieto fine
del soldato James Ryan fu raccontata in tutte le salse e anche la vicenda di
Josef Saltzmann, il tedesco che aveva tradito il suo Paese per salvare dei
giovani soldati americani… chissà come la stampa era venuta a conoscenza della
vicenda ma, probabilmente, qualcuno prima o poi ci avrebbe scritto perfino un
libro!
Dopo i primi giorni
di caos, tuttavia, la situazione iniziò a tornare pian piano alla normalità e
tutti poterono riprendere a pensare alle cose serie. Ryan tornò a vivere a Mansfield
in Iowa con la madre e la fama ottenuta,
suo malgrado, per la vicenda dei suoi fratelli e del suo salvataggio lo aiutò
comunque a trovare subito un acquirente per la loro fattoria, ormai troppo
grande da mandare avanti, e un’offerta molto vantaggiosa per l’acquisto di una
più piccola che sarebbe stata perfetta per James e sua madre. Upham, Jackson,
Wade e il Sergente Horvath tornarono a casa con le loro famiglie, ma solo
Horvath sarebbe rimasto definitivamente a Minneapolis con i suoi: Upham,
Jackson e Wade avevano altri progetti e il loro futuro era a New York,
sarebbero restati con le loro famiglie solo qualche settimana per ritrovare e
riabbracciare i loro cari.
Miller si ricongiunse
subito alla moglie e ai figli che erano venuti ad accoglierlo al porto, ma poi
spiegò loro che, prima di tornare a Addley, in Pennsylvania, dov’era la loro
casa, avrebbe dovuto trascorrere del tempo a New York per assicurarsi che tutti
i progetti dei suoi ragazzi andassero a buon fine e per aiutare Saltzmann ad
ottenere asilo politico negli USA. Lui e la moglie ne avevano già parlato, ma
la famiglia decise che, vista la felice conclusione della guerra, avrebbero
festeggiato rimanendo anche loro a New York con lui e concedendosi una bella
vacanza, così poi sarebbero tornati a casa tutti insieme. Miller fu molto
felice della sorpresa e questo mitigò almeno in parte la sua preoccupazione…
perché, dopo aver dato una rapida occhiata alla famiglia di Mellish, che era
venuta ad accoglierlo al suo sbarco, aveva capito che aiutare il ragazzo non
sarebbe stata affatto una passeggiata, anzi probabilmente sarebbe stato molto
più difficile che mettere una buona parola per l’asilo politico di Saltzmann e
l’ingresso nell’Accademia di Polizia di Jackson. Avrebbe dovuto usare tutta la
sua pazienza e la sua diplomazia con i genitori di Mellish!
La famiglia di Mellish
abitava a Yonkers, una città vicina a New York sulla riva orientale del fiume
Hudson e il padre possedeva un’importante impresa di costruzioni in società con
il figlio maggiore Benjamin. Erano dunque ricchi e abitavano in una elegante
villa che ospitava i genitori del ragazzo, il fratello maggiore sposato e con
un figlio e il fratello più giovane, Adam, che a settembre sarebbe partito per
il college. La sorella di Mellish, Sarah, invece, abitava in una villetta a
pochi isolati di distanza con il marito Daniel, un dentista, e due bambini
piccoli. Insomma, per Miller fu subito chiaro che i genitori di Mellish erano
fieri di ciò che avevano ottenuto e avevano progettato un futuro ben preciso
per ognuno dei loro figli allo scopo di assicurare loro lo stesso benessere
economico e un’eredità cospicua. Era molto difficile che accettassero di buon
grado un qualsiasi altro progetto di vita. Miller decise quindi di non imporre
la propria presenza per non peggiorare le cose e, durante i suoi primi giorni a
New York, oltre a trascorrere del tempo con moglie e figli, si occupò prima di
tutto di parlare con l’ufficio immigrazione per ottenere al più presto l’asilo
politico per Josef e poi contattò un vecchio amico dell’esercito che adesso era
Commissario del New York Police Department per riferirgli di Jackson che presto
avrebbe fatto domanda per essere ammesso all’Accademia di Polizia. Si recò
dunque a Yonkers per incontrare i genitori di Mellish dopo qualche giorno,
sperando che in quel periodo la famiglia non avesse fatto troppe pressioni al
giovane. Era indeciso se portare o meno con sé Saltzmann, ma poi decise per il
sì: era importante che i genitori di Mellish comprendessero che quell’uomo
aveva salvato la vita al loro figlio e che, per questo, il ragazzo si era preso
la responsabilità di aiutarlo a integrarsi negli Stati Uniti, cosa che
dimostrava una crescita e una maturazione importanti.
Purtroppo, però, i
genitori del giovane erano veramente molto severi e rigidi e in quei pochissimi
giorni trascorsi a casa sembrava che il povero Stanley fosse ritornato il
ragazzino immaturo che era quando viveva ancora in famiglia.
“Sì, Stanley ci ha
parlato di questa storia, del resto è anche su tutti i giornali, ma cosa
dovremmo fare noi?” attaccò bruscamente il padre del ragazzo, Amos. “Non voglio
neanche parlare di tutto quello che i Nazisti hanno fatto alla nostra gente,
già solo per quello non dovremmo permettere a nessun tedesco, neanche a quelli
che si sono opposti a Hitler, di mettere piede negli Stati Uniti! Ma lasciamo
perdere questo, va bene, quest’uomo ha salvato la vita di Stanley, e adesso
cosa vuole in cambio? Gli ha salvato la vita solo per poi rovinargliela? Mio
figlio dovrebbe rinunciare a un futuro di prestigio come i suoi fratelli per
occuparsi di questo tizio che farà… beh, al massimo l’operaio?”
“Signor Mellish,
capisco benissimo la sua preoccupazione” replicò Miller, che in realtà era
disgustato dalla grettezza di quell’uomo, “anch’io sono un padre e ci tengo a
un futuro in cui i miei figli possano realizzarsi, ma… ecco, lei ha mai chiesto
a Stanley cosa desidera veramente? Lei vuole che si associ anche lui all’impresa
di famiglia, ma se a lui non interessasse?”
“Se a lui non
interessasse? Cosa vorrebbe dire? Stanley non ha ancora ventun anni e non può
capire cosa significhi il vero lavoro, come può sapere adesso cosa vorrà fare
della sua vita? A questa età i ragazzi pensano solo a divertirsi con gli amici,
agli sport e alle ragazze” obiettò l’uomo. “Non vorrà farmi credere che lei
lascerà i suoi figli liberi di diventare, che so, saltimbanchi di strada o di
lavorare in un circo?”
Mellish, dal canto
suo, se ne stava in disparte senza osare neanche alzare lo sguardo su Miller
né, tanto meno, su Josef. Sapeva che li stava deludendo, ma non aveva mai
trovato la forza, in tutta la sua vita, di ribellarsi al padre. Anzi, l’unica
scelta che aveva compiuto autonomamente era stata quella di arruolarsi
volontario, e anche allora aveva comprato
la benevolenza dei genitori sostenendo che voleva andare a combattere in
Europa contro quei Nazisti folli e crudeli che uccidevano gli Ebrei!
“Certo che no, ma
Stanley non andrà a lavorare in un circo o cose del genere” ribatté Miller,
innervosito dall’ottusità del padre di Mellish. “A New York vivrà con alcuni
dei suoi commilitoni, altri ragazzi con cui ha combattuto e che stanno
scegliendo proprio in questi giorni il loro futuro. C’è chi diventerà un
medico, chi un poliziotto, chi uno scrittore… e, nel frattempo, tutti loro
aiuteranno Josef Saltzmann a trovare un lavoro e una casa, a imparare bene l’inglese,
insomma, a integrarsi. Mi sembra una decisione molto generosa da parte di
Stanley e dei suoi compagni e io sono molto orgoglioso di loro.”
“Beh, sono contento
per lei, ma io non sono affatto orgoglioso di un figlio che vuole buttare via
la sua vita per fare da balia a un crucco!”
esclamò irato Amos Mellish, dimostrando che alla fine non solo i tedeschi erano
dei razzisti… “Stanley ha già perso anni preziosi per colpa della guerra, ma è
ancora in tempo per andare al college, laurearsi e trovare un lavoro degno di
lui, se proprio non vuole entrare nell’impresa di famiglia!”
Il pensiero del
futuro che gli si offriva se fosse rimasto in famiglia apparve a Mellish come
un tunnel oscuro, asfissiante e infinito. Come poteva restare a lavorare con
suo padre e suo fratello che non capivano un bel niente di ciò che aveva
passato, senza mai poter parlare con nessuno dei suoi incubi e dei traumi che
ancora lo tormentavano? E come avrebbe potuto sopportare di andare a un
qualsiasi college dove i compagni sarebbero stati tutti più giovani e sciocchi
di lui, gente che magari si era iscritta al college per avere la scusa di non
arruolarsi, gente che davvero non aveva altro in mente che i divertimenti e le
ragazze? No, non poteva, sarebbe morto!
“Io non voglio
lavorare nell’impresa di famiglia e non voglio andare al college” riuscì a dire
con la forza della disperazione.
Il padre si voltò
verso di lui, fissandolo come se fosse diventato improvvisamente pazzo.
“Ah. E che cosa
vorresti fare, allora, sentiamo? Quali grandi piani hai per il tuo futuro,
oltre che badare a questo crucco che, magari, sarà anche meglio dei suoi
connazionali, ma non ha mai fatto niente per noi?”
A quelle parole un
lampo passò negli occhi del giovane.
“Non ha mai fatto
niente? Ma ti ascolti quando parli, almeno? Josef Saltzmann mi ha salvato la vita! Ha ucciso un suo
compagno per salvare me, non è abbastanza?” esclamò.
“Ma sì, la sappiamo
la storia, è stato furbo, glielo concedo. A quel punto era chiaro che gli
Alleati avrebbero vinto la guerra e lui ti ha salvato e poi si è arreso per
avere l’opportunità di salvarsi la pelle e venire negli Stati Uniti” fece il
padre, caustico. “Sono più vecchio di te, figliolo, e questi trucchetti li
conosco tutti. Magari pensava anche di guadagnarci dei bei soldi, salvando un
ragazzo ebreo, tanto si sa che gli Ebrei sono tutti dei ricconi, non è così, mangiacrauti?”
Miller afferrò per un
braccio Josef, temendo che il tedesco reagisse con la sua solita spontaneità e
semplicità e dicesse di aver salvato Mellish perché lo amava o cose del genere, e allora sì che sarebbe stato
un vero disastro. Ma lo aveva sottovalutato, perché Saltzmann prese un lungo
respiro per controllarsi prima di rispondere con pacatezza.
“Io salvato vostro
figlio perché stanco di guerra. Mia famiglia morta per bombardamenti e io
rimanere solo. Io non volere più altro sangue di giovani vite, solo questo. Non
soldi, non bella vita, solo pace” disse.
I fratelli di
Mellish, Adam e Benjamin, che erano di un’altra generazione e quindi non ottusi
come il padre, rimasero colpiti dalle parole del tedesco e iniziarono a capire
perché il loro fratello aveva deciso di ricambiare il favore. Si rendevano
conto, loro, di quanti ragazzi della loro età non fossero più tornati a casa e
di quanto fossero fortunati ad essere vivi e con le loro famiglie sane e salve.
Per tanti non era stato così. Anche per quel Josef Saltzmann non era stato
così.
“Papà, ora stai
esagerando” disse Benjamin, il figlio maggiore. “Quest’uomo ha messo a rischio
la sua vita per salvare quella di Stanley, perché sappiamo bene che, se i
Nazisti lo avessero scoperto, lo avrebbero fucilato su due piedi. Ed è questo
il modo di ringraziarlo?”
“Questo è vero, Amos”
concordò la madre di Mellish, Ruth, che fino a quel momento era sembrata in
perfetto accordo con il marito. “Neanche a me piace pensare che Stanley se ne
vada a New York e trovi un lavoro qualunque pur di restare accanto ai suoi
commilitoni e all’uomo che gli ha salvato la vita, ma non riesco a non pensare
a tante madri che, invece, i figli li hanno riavuti indietro solo in una bara…
e a volte neanche quella. Se non ci fosse stato quel tedesco, Stanley ora non
sarebbe qui e… e se in cambio volesse anche metà del nostro patrimonio, io
glielo darei!”
A quel punto la donna
scoppiò in lacrime e Mellish andò ad abbracciarla.
“Dai, mamma, non fare
così. Io sono qui, sto bene, sono tornato” mormorò affettuosamente. Ma anche
lui non poté fare a meno di pensare alla madre di Caparzo, che non avrebbe mai
più riabbracciato suo figlio…
“E va bene, siete
tutti d’accordo, allora. Fate pure quello che volete, andatevene a New York,
andate a fare i senzatetto per le strade, non mi importa più niente!” gridò il
padre di Mellish, rendendosi conto di avere tutti contro.
“Non le importa neanche
che suo figlio sia vivo? Che sia sano e salvo? Io ho visto morire tanti e tanti
ragazzi sotto il mio comando e per me anche una sola vita è preziosa,
nonostante Stanley non sia mio figlio”
commentò Miller. “Comunque sia, lei ha dato il suo consenso e quindi Stanley
verrà a New York con noi, dove ritroverà i suoi compagni. Naturalmente voi
siete la sua famiglia e potrete andarlo a trovare quando vorrete, New York e
Yonkers sono molto vicine.”
“Se lo può scordare.
Io non andrò da nessuna parte finché mio figlio non metterà giudizio!” tagliò
corto l’uomo.
Suo
figlio ha molto più giudizio di lei, anche se è così giovane,
pensò Miller, ma non lo disse, non voleva rovinare ancora di più la situazione.
Aveva ottenuto ciò che voleva e Mellish aveva trovato l’appoggio della madre e
dei fratelli. Li lasciò da soli perché si salutassero e uscì sul portico con
Josef.
“È andata bene,
Capitano? Io potere abitare con Stan?” domandò il tedesco.
“Sì, è andata bene, e
anche grazie a te, hai detto poche frasi ma venivano dal cuore e chi doveva
capire ha capito” rispose Miller.
Poco dopo, Mellish
uscì anche lui dalla villa con in mano una grossa valigia, pronto per partire. Miller
aveva preso a noleggio un’auto per quei giorni, salirono a bordo e si avviarono
in direzione New York. Mellish sembrava sollevato per essersi potuto spiegare
almeno con la madre e i fratelli, ma c’era qualcosa che continuava a turbarlo e
Miller lo vedeva, ma non voleva forzarlo a parlarne.
Quella sera,
tuttavia, nella piccola e modesta camera d’albergo che lui condivideva con
Saltzmann, Mellish aprì il suo cuore al tedesco.
“Mi dispiace
tantissimo, Josef, non solo per le cose orribili che mio padre ti ha detto, ma
anche perché io non ti ho difeso, io non ho detto nulla… insomma, ero
disgustato e mi vergognavo, ma non ce la facevo a dire niente, non riuscivo a
oppormi a lui” mormorò, a occhi bassi.
Saltzmann gli prese
il viso tra le mani e lo attirò a sé.
“Io so che tu non
volere quelle cose, tuo padre brutta persona, ora io capire perché tu paura
quando io dicevo che in America noi stare insieme” lo rassicurò con dolcezza. “Io
non volere che tu triste, ora noi insieme e pian piano trovare casa e lavoro,
qualsiasi cosa che accadere noi poter superare perché noi insieme.”
Mellish lo abbracciò,
forse per la prima volta fu lui a farlo spontaneamente, ma quella era una sera
speciale per tutti e due.
“Mentre lui diceva
quelle cose io… io ho capito che… che ti
amo, ti amo davvero, Josef, sono stato fiero di come ti sei difeso davanti
a lui e ho sentito che ti amavo e che ero fortunato ad averti. Non te l’ho mai
detto prima, forse me ne sono accorto veramente solo oggi, ma io ti amo e sarò felice di vivere e di
condividere tutto con te… qualsiasi cosa
succeda” sussurrò il giovane tra le sue braccia.
“Mio Stan!” esclamò
felice Josef (ora sì che lo poteva dire senza timore che lo sentissero le
persone sbagliate…).
Strinse tra le
braccia il suo giovane soldatino e lo distese sul letto con sé, accarezzandolo
dolcemente e iniziando a baciarlo profondamente fino a unire e confondere i
loro respiri e godere di ogni singolo istante, mentre
Mellish, smarrito, dimenticava ogni preoccupazione nell’abbraccio avvolgente
del tedesco e lo accoglieva con amore e spontaneità. Per molto tempo ogni altra
cosa scomparve, spazio e tempo si confusero in un crescendo di dolcezza, calore
ed estasi, fino alla fine, quando i due poterono stringersi in un abbraccio
tenero e confortevole e lasciarsi vincere dalla dolcezza del sonno. Perché solo
stretti l’uno all’altro, nel calore e nella tenerezza del ritrovarsi ancora una
volta, Mellish e Saltzmann potevano riavere la pace e la serenità perdute e
riposare, finalmente liberi da ostacoli, turbamenti e brutti pensieri, due
persone che si amavano e che si erano trovate per completarsi e rendersi felici
vicendevolmente. La guerra era finita e loro due, un tedesco e un ebreo
americano, con il loro amore avevano combattuto il Nazismo, il genocidio degli
Ebrei e tutte le atrocità, dimostrando che l’amore era più forte e potente di
ogni odio e distruzione. Avevano creato un ponte e un legame tra due popoli che
il conflitto avrebbe voluto nemici, e insieme agli amici di Mellish e alle
scelte delle loro giovani vite (Wade sarebbe diventato un medico, Upham uno
scrittore, Jackson un poliziotto, ma anche gli altri avrebbero preso le
decisioni giuste per una vita serena e pacifica), avrebbero gettato le basi di
un mondo nuovo, fondato sulla giustizia, la pace, la solidarietà e la
fratellanza.
Qualsiasi
cosa fosse accaduta e a qualunque costo.
FINE