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Autore: Signorina Granger    08/02/2024    7 recensioni
Storia semi-interattiva || Iscrizioni chiuse
[Prequel di “Phoenix Feather Camp” & reboot di “Magisterium”]
È il 2003, la Seconda Guerra dei Maghi è finita da cinque anni e Hogwarts è stata ricostruita quando Minerva McGranitt, seguendo le orme di un suo predecessore, convoca un Auror nel suo ufficio per offrirgli un particolare incarico nella speranza di preparare i suoi studenti a ciò che di nuovo potrebbero essere costretti a dover affrontare dopo il Diploma.
Tra questi figurano anche dei giovanissimi Philip MacMillan, Margot Campbell e Håkon Jørgen.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Horace Lumacorno, Maghi fanfiction interattive, Minerva McGranitt, Sibilla Cooman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo I  


binario

 
Lunedì 1 settembre
King’s Cross Station

 
 
 
Quel lunedì mattina – che almeno in teoria per lei avrebbe dovuto rappresentare una delle giornate più importanti di tutto l’anno – si stava brutalmente rivelando un completo disastro: Claudia sollevò il mento per far sì che il suo sguardo indugiasse sull’altissimo soffitto che sovrastava lei e chiunque si trovasse all’interno della stazione londinese, sfiorando con le cangianti iridi celesti la tettoia di ferro battuto che ricordava la forma di un gigantesco arco sperando con tutta se stessa nell’apparizione improvvisa di un qualche segno in grado di dirle cosa fare.
In realtà nemmeno l’americana avrebbe saputo dire con certezza a cosa le sue esigue speranze rimaste si stessero aggrappando con tanta intensità: il movimento fluido e sinuoso delle ali di un gufo? Un messaggio pronto a cadere ai suoi piedi dall’alto? La stessa Claudia non sapeva bene che cosa aspettarsi, tutto ciò in cui sperava era di non perdere il treno che avrebbe dovuto condurla ad Hogwarts, una speranza che si faceva progressivamente più flebile insieme al ticchettio del suo orologio da polso con il sottile cinturino di cuoio, le cui lancette sembravano più che felici di ricordarle quanto poco ormai mancasse allo scoccare delle 11.
La strega chinò tristemente lo sguardo distogliendolo dalla tettoia di King’s Cross per gettare un’ultima, rassegnata occhiata alla lettera che stringeva nella mano destra insieme al suo biglietto per l’Espresso per Hogwarts, biglietto che forse, di quel passo, nemmeno le sarebbe servito: le istruzioni per raggiungere la celebre scuola britannica le erano state recapitate insieme al biglietto una settimana prima, esattamente come la Preside le aveva preannunciato al termine del loro secondo colloquio di luglio, istruzioni che l’avevano caldamente invitata a raggiungere la stazione storica e di prendere il treno delle 11 al binario 9¾. Sul momento, presa dall’entusiasmo e dalla frenesia di ultimare i preparativi in vista della partenza, Claudia non ci aveva fatto caso. Solo un paio d’ore prima, quando aveva lasciato la camera d’albergo in cui aveva trascorso la notte precedente, dopo essere atterrata a Londra nel tardo pomeriggio, si era resa conto di non aver mai sentito parlare di binari contrassegnati da una frazione.
La strega aveva cercato di mettere a tacere i primi dubbi mentre faceva colazione, mentre lasciava l’albergo e fermava un taxi diretto a King’s Cross riflettendo sulle celebri bizzarrie adducibili al popolo britannico: non erano forse loro a guidare dal lato sbagliato della macchina e della strada e che avevano decretato illegale passare a miglior vita all’interno del Parlamento? Probabilmente avevano anche dei numeri tutti loro per contrassegnare i binari ferroviari.
Tristemente, una volta giunta a King’s Cross Claudia era stata costretta ad appurare l’inesattezza delle sue conclusioni: i binari ferroviari della stazione sembravano in tutto e per tutto identici a quelli che aveva visto in tutto il resto del mondo, contrassegnati solo ed esclusivamente da numeri interi. Il binario 9 e il binario 10 si trovavano esattamente uno accanto all’altro, ed era proprio sulla banchina del primo che Claudia si trovava in compagnia del suo bagaglio – una singola valigia color cognac in cui aveva sistemato e rimpicciolito gran parte dei suoi averi personali – e del suo biglietto ancora sprovvisto di timbro.
Forse non era destino che insegnasse ad Hogwarts, si era detta la strega con un sospiro rassegnato mentre continuava insistentemente a tormentare il biglietto con le dita studiando il via vai di passanti in mezzo a cui si era fermata, invidiando i no-mag che, a differenza sua, sapevano perfettamente dove trovare il loro treno. Forse se ne sarebbe dovuta tornare negli Stati Uniti, perché di certo se avesse perso il treno Madama Chips si sarebbe offesa, le avrebbe rimproverato aspramente la brutta figura dopo averla personalmente raccomandata alla Preside di Hogwarts e non avrebbe voluto più vederla. Claudia era ormai certa di aver accuratamente previsto il corso degli eventi futuri quando, dopo aver osservato un’anziana signora dai vaporosi capelli bianchi salire sul treno diretto a Glasgow insieme ad un trasportino per gatti, si rese conto di avere un paio d’occhi puntati su di sé.
Diversi metri più avanti, accanto ad una delle barriere di mattoni spartitraffico incolonnate nello spazio tra le due banchine, Claudia scorse una donna che dimostrava più o meno la sua età; nella mano destra stringeva un cellulare a conchiglia scarlatto, quasi avesse appena posto fine ad una conversazione telefonica, e vicino a lei sostava un carrello per bagagli che sosteneva una valigia Bric’s color panna e inserti di pelle, una borsa da viaggio abbinata, un trasportino e qualcosa che, agli occhi di Claudia, apparve come un faro di speranza: una gabbia per uccelli ospitante quello che aveva tutta l’aria di essere un barbagianni appisolato. Non dovevano essere molti i no-mag che viaggiavano con dei gufi, rifletté la strega studiando speranzosa prima la gabbia per uccelli bianca e poi il volto della donna, ma prima che riuscisse a decidersi ad avvicinarsi per parlarle la sconosciuta prese al suo posto l’iniziativa, dirigendosi verso di lei dopo aver chiesto ad un poliziotto di passaggio di controllare il suo carrello.
Impietrita, Claudia guardò con speranza crescente la donna colmare i metri che le dividevano con falcate distese e rilassate che fecero dondolare allegramente i lacci delle scarpe Oxford color cuoio che portava ai piedi, accennando persino un sorriso rassicurante sollevando di poco gli angoli delle labbra rosee e carnose. La donna sfoggiava occhi azzurri molto gradi e capelli di un colore a metà strada tra il castano chiaro e il rossiccio che le sfioravano la fronte in una frangia disordinata, incorniciandole con un paio di ciocche rimaste libere il viso dai lineamenti dolci, e a Claudia non restò che guardarla avvicinarsi stringendo nervosamente il manico del suo trolley sperando che potesse indicarle la direzione giusta per raggiungere il binario.
“Salve. Deve… deve per caso andare in Scozia?”
La sconosciuta le si fermò di fronte e dopo un’iniziale esitazione, quasi fosse alla ricerca delle parole giuste, accompagnò il suo sorriso con una domanda che Claudia aveva sperato di sentirsi rivolgere da un passante da quando aveva raggiunto i binari. L’americana, dopo aver riflettuto brevemente su come quella voce dal suono vellutato, che tradiva anche un lievissimo accento straniero, si accompagnasse magnificamente all’aspetto grazioso della sconosciuta più bassa di lei di alcuni centimetri, annuì guardandola con le iridi cangianti improvvisamente accese dal sollievo:
“Sì.”
Le labbra carnose della sconosciuta si distesero ulteriormente all’udire la sua risposta, e Claudia guardò il suo sorriso cortese allargarsi prima che la strega annuisse con un allegro guizzo nei grandi occhi azzurri. Alle sue spalle, invece, il poliziotto gettava occhiate stranite al barbagianni appisolato all’interno della gabbia.
“Lo sospettavo… Anche io! Mi era parso di scorgere lo stemma di Hogwarts sul retro della lettera. Sono Marjory.” La strega le tese senza indugio la mano destra e Claudia la imitò abbozzando un sorriso mentre porgeva la propria, lasciando che la futura collega gliela stringesse con una presa gentile quanto energica.
“Claudia.”
“Sei americana? Oh, poverina, ecco perché non sapevi dove andare! Si sono scordati di scriverti come raggiungere il binario? Non ti preoccupare, lo scordano sempre, a volte mi chiedo se non ci sia qualche Nato Babbano che non è mai riuscito a trovare il treno e ad arrivare a scuola.” Dopo aver scosso il capo con aria di disapprovazione Marjory invitò l’americana a seguirla per mostrarle in che modo raggiungere il binario 9¾ prima di darle le spalle, e Claudia la guardò iniziare ad incamminarsi verso il suo carrello prima di affrettarsi a seguirla insieme alla sua valigia, affrettando il passo scandito dai tacchi bassi delle mary jane color crema che portava ai piedi per adeguarsi a quello della nuova collega. Marjory, nel frattempo, continuò a parlare:
“Per fortuna mi sono fermata per chiamare mia madre, altrimenti non ti avrei visto… di là la tecnologia non funziona.”
Dal tono eloquente della strega Claudia intuì che con l’espressione “di là” si stesse riferendo ad una qualche conoscenza comune che avrebbe dovuto possedere a sua volta, ma non volendo fare fino in fondo la figura della sprovveduta si limitò ad annuire, fingendo di aver capito mentre Marjory ringraziava con un sorriso allegro il poliziotto per averle tenuto d’occhio il carrello, riprendendone il controllo mentre l’uomo in divisa, dopo aver rivolto un pacato cenno di saluto ad entrambe, si allontanava gettando un’ultima occhiata perplessa al gufo della strega.
“Per raggiungere il binario dobbiamo passare attraverso la barriera. Rilassati,” – mentre spostava il carrello per rivolgerlo verso la colonna di mattoni Marjory venne scossa da una lieve risatina al scorgere l’orrore dipingersi sul volto dell’americana – “prometto che non ti frantumerai il viso. Begli zigomi, a proposito.”
“Emh… grazie.” Impreparata ad un complimento Claudia si sentì arrossire leggermente mentre si sforzava di accogliere le istruzioni di Marjory con la massima fiducia, dicendosi che dopotutto, avendo studiato di certo ad Hogwarts, la strega aveva la competenza adatta per indicarle come raggiungere il binario. Non poté tuttavia esimersi dal deglutire nervosamente mentre la seguiva: dopo essersi assicurata che nessuno stesse facendo caso a loro Marjory stava spingendo in tutta calma il suo pesante carrello dirigendosi verso la barriera, e l’americana finì inevitabilmente col temere di schiantarsi contro quei mattoni dall’aria per nulla soffice. D’istinto Claudia serrò con decisione le palpebre appena prima del presunto impatto, scontro che fortunatamente non si verificò: quando udì la voce delicata di Marjory suggerirle di aprire gli occhi insieme ad una seconda risata cristallina Claudia obbedì, e ciò che vide la lasciò senza parole: accanto alla banchina non sostava più un moderno treno ad alta velocità, bensì una splendida locomotiva a vapore d’epoca scarlatta, e un cartello alla testa del treno recitava ciò che l’americana bramava di leggere da quando aveva messo piede all’interno della stazione: Espresso per Hogwarts.
Meravigliata e improvvisamente sollevata – avrebbe giurato di sentirsi più leggera di almeno un paio di chili – Claudia si voltò verso la barriera che avevano appena oltrepassato, ma anziché un muro di mattoni si ritrovò ad osservare un alto arco di ferro battuto con su scritto Binario 9¾. Ce l’aveva fatta, e forse, si disse mentre dava nuovamente le spalle all’arco per rivolgersi a Marjory con un sorriso grato, il segno che aveva aspettato le si era presentato con la parvenza di una donna dal lieve accento francese e grandi occhi chiari.
“È meraviglioso… Grazie Marjory.”
“Puoi chiamarmi Jo, se ti va. Ora dobbiamo solo sgomitare in mezzo a tutta questa gente e salire sulla prima carrozza del treno. Di norma la riservano ai Prefetti, li avranno fatti sloggiare per lasciare a noi la carrozza migliore.”
Per la seconda volta Marjory riprese a spingere il suo carrello costringendo Claudia a seguirla, e per la seconda volta l’americana non solo non si fece pregare e affrettò il passo temendo di perdere di vista la collega in mezzo al gran via vai di studenti, famiglie, bauli e gabbie che ospitavano ogni genere di gufi, ma si appuntò anche mentalmente di capire chi esattamente fossero i “prefetti” senza osare chiederlo direttamente a voce alta. Mentre lei e Marjory avanzavano lungo la banchina per raggiungere la prima carrozza della locomotiva l’americana si rassettò invece la spalla per spolverarsi con lieve nervosismo il trench color panna legato stretto sulla vita sottile, guardandosi attorno alla ricerca di altri nuovi colleghi proprio mentre una ragazza dai capelli rossi di passaggio munita di pattini a rotelle rischiava di investire un’anziana signora e il suo improbabile cappellino.
“Gli insegnanti nuovi viaggiano sempre in treno?”, s’interessò l’americana mentre seguiva Marjory impugnando saldamente il manico del suo trolley, temendo di perdere tutti i suoi averi su una banchina di Londra mentre il barbagianni di Marjory, svegliato dal caos che animava il binario, gettava attorno a sé occhiate visibilmente scocciate. Forse rimpiangeva la quiete del suo alloggio precedente, sprovvisto di adolescenti e ragazzini urlanti.
“Quasi mai, che io sappia. Si vede che vogliono regalarci un trattamento speciale. Chissà come sono gli altri nuovi insegnanti, speriamo sia gente simpatica… Non sai quali casi patologici hanno vagato per i corridoi di Hogwarts negli anni. Su una cattedra c’era persino una maledizione!” Fermato il carrello a poca distanza dalla seconda delle due porte del treno che permetteva di accedere alla prima carrozza Marjory iniziò a svuotarlo dei propri averi sollevando la sua bella valigia color crema, acquisto che si era concessa proprio in vista del suo nuovo impiego nella sua vecchia scuola, e parlò scuotendo debolmente la testa mentre Claudia, in piedi accanto a lei, si ritrovava a sgranare improvvisamente gli occhi in un misto di sorpresa ed orrore: una maledizione? E tutte quelle storie su come Hogwarts fosse un posto sicuro?!
“Una maledizione!?”, domandò infatti sgomenta la donna mentre Marjory, per nulla preoccupata, si limitava a liquidare il discorso con un pigro cenno della mano:
“Sì, ma non preoccuparti, acqua passata. Comunque, gran parte degli insegnanti attuali sono gli stessi che insegnarono a me, cosa che mi rincuora perché non mi fa sentire poi così vecchia. Ti dirò tutto quello che serve sapere su di loro e sulla scuola… Sarà divertentissimo, non vedo l’ora!”
Il sorriso vivace che la strega sfoggiò mentre sollevava la gabbia bianca del suo barbagianni per posarla sul cemento della banchina suggerì a Claudia che il suo entusiasmo fosse del tutto sincero, ma prima di salire a bordo dell’Espresso per Hogwarts l’americana non poté fare a meno di chiedersi quali altri sordidi segreti celasse il castello all’interno del quale stava per trascorrere i successivi nove mesi.

 
divisorio

 
Mentre le due neo professoresse di Hogwarts salivano a bordo del treno insieme ai loro averi un ragazzo stava in piedi sulla banchina, le mani sprofondate nelle tasche di una felpa nera e gli occhi scuri impegnati a scrutare attentamente i volti dei tanti studenti e familiari che gli passavano accanto. Håkon aveva già salutato sua madre e suo padre, ma anche dopo aver visto Winnie e Wilhelm allontanarsi dalla banchina per raggiungere l’arco di ferro battuto che li avrebbe ricondotti nella zona Babbana della stazione il giovane era rimasto ad attardarsi vicino al treno in compagnia del suo baule che, con gran disappunto del Grifondoro, contrariamente a tutti gli abiti che conteneva era marrone e non nero. L’anno prima aveva pensato di verniciarlo, ma aveva desistito rapidamente immaginando l’ira della Preside.
La motivazione che stava trattenendo Håkon Jørgen sulla banchina era solo una, e oltre ad un nome aveva lunghi capelli rossi e un viso pieno di lentiggini; erano proprio dei lunghi capelli ramati che Håkon stava cercando di scorgere in mezzo alla folla, ma fino a quel momento non aveva avuto particolare fortuna. In fondo, dovette ammettere a se stesso mentre sospirava rassegnato, la sua migliore amica non era propriamente nota per la sua estrema puntualità.
Håkon stava ormai prendendo in seria considerazione l’idea di far apparire uno sgabello per sovrastare la folla e cercare di individuare la sua amica e compagna di Casa dall’alto quando, all’improvviso e del tutto inaspettatamente, la ressa davanti a lui si aprì creando un varco, come se tutti i passanti avessero simultaneamente deciso di fermarsi e di far passare qualcuno. Lo strano fenomeno trovò per il ragazzo una risposta un attimo dopo, quando dopo un’iniziale confusione scorse una ragazza avanzare in mezzo alla folla con dei pattini a rotelle ai piedi: indossava dei jeans un po’ troppo larghi con rivolti alle caviglie e tenuti stretti in vita da una spessa cintura, una maglietta color ruggine e una giacca di due taglie in più sempre in denim con la parte superiore cosparsa di spillette colorate. Sulla testa spiccavano delle grosse cuffie scarlatte, gli occhi erano celati dalle lenti scure di un paio di occhiali dalla montatura rotonda color oro e una delle mani della strega era impegnata a stringere il manico di un trasportino nero: i pattini bianchi con le ruote cremisi ai piedi e la custodia della sua chitarra sulle spalle, una inconfondibile Autumn Erwood stava intimando acidamente ai passanti di farla passare e di lasciarle spazio, e Håkon guardandola non ebbe alcun dubbio di essere esattamente colui che la sua bizzarra amica stava cercando. Non lo sorprese, infatti, il gridolino eccitato che si librò dalle labbra dischiuse della giovane strega quando Autumn riuscì finalmente ad individuarlo, spingendola a lanciarsi verso di lui con entusiasmo e ad agitare concitatamente entrambe le mani, inclusa quella che reggeva il suo gatto – in quel momento di pessimo umore –. Håkon fece per salutare l’amica, felice di vederla quanto rassegnato di fronte alla sua totale incapacità di agire con il minimo di discrezione di norma implicitamente richiesto al popolo britannico, ma prima di trovare le parole si rese conto con orrore di quanta velocità Autumn avesse accumulato, finendo col precipitargli addosso senza riuscire a frenare. Fortunatamente Håkon riuscì ad impedire ad entrambi di cadere rovinosamente sul cemento della banchina afferrando l’amica per la vita sibilando un’imprecazione, trattenendone la caduta mentre Chestnut, sballottolato senza ritegno, si lamentava furiosamente dal suo trasportino. Abile pattinatrice, Autumn si raddrizzò in tempo record, e si aggiustò la montatura degli occhiali sul naso prima di guardarsi attorno con nonchalance, del tutto incurante della figuraccia e caduta scampate per un soffio:
Cazzo, mi sa che dovevo rallentare… Ciao Håkon, mi sei mancato!”  Come di consueto Autumn ritrovò il sorriso in un battito di ciglia, e ben presto il ragazzo si sentì travolgere dal suo affettuoso e quasi stritolante abbraccio. Nel mentre un’impettita signora anziana munita di cappellino e borsetta rosa cipria in tinta – che avrebbe desiderato vivamente arrivare integra all’ora del tè, anziché investita da un’adolescente in pattini a rotelle – li superò mormorando stizzita qualcosa a proposito dei “giovani d’oggi”, ma Håkon non ci fece caso.
 “Anche tu, prima che cercassi di investirmi. Perché cazzo ti sei messa i pattini?!” Il Grifondoro sciolse l’abbraccio allontanandosi leggermente dalla compagna di Casa pur continuando a tenerle la mano libera stretta nella propria – non aveva nessuna voglia di inaugurare l’ultimo anno di scuola portando l’amica in Infermeria per una caviglia rotta –, e puntò lo sguardo sui pattini a quattro ruote dell’amica aggrottando la fronte in un’esibizione di eloquente scetticismo a cui Autumn trovò risposta con una pigra stretta di spalle:
“Per fare prima, me li sono messa in taxi mentre venivo qui, ero in ritardo! È tutta colpa della scuola, comunque, per me sarebbe molto più comodo andare direttamente in Scozia anziché fare questo cacchio di giro dell’oca ubriaca scendendo fino a Londra e poi risalire tutta la cazzo di isola in treno! Oltretutto il treno da Cardiff arriva a Paddington(1), e ci vogliono venti minuti di taxi per arrivare a King’s Cross.”
Autumn si lamentava dell’organizzazione die trasporti ogni singolo anno, e Håkon non stette a sentire le sue dimostranze con poi particolare attenzione. Si concentrò invece con tutto ciò che la strega sembrava avere con sé: i propri pattini, la sua chitarra, il suo walkman e il trasportino di Chestnut, in pratica quelli che Autumn avrebbe di certo classificato come “beni di prima necessità” insieme alla sua scopa. Del suo baule non vi era nemmeno l’ombra, tanto da spingere il ragazzo a tornare a guardarla inarcando per la seconda volta un sopracciglio – era certo, grazie ad Autumn, di detenere una sorta di record nazionale quanto a fronte aggrottata –:
“Autumn, dove sono i tuoi bagagli?”
Per una manciata di istanti Autumn, anziché rispondere, si limitò a scrutarlo impietrita attraversi le lenti dei suoi occhiali, e Håkon, dopo tutti quegli anni, ebbe l’impressione di poter intuire la risposta ancor prima di sentire quella dell’amica.
Cazzo.” Con quello che si poteva universalmente considerare il suo più tipico intercalare Autumn Erwood ruotò su se stessa e si diede uno slancio in avanti per pattinare il più velocemente possibile in direzione dell’arco di ferro battuto attraverso cui continuavano a fluire studenti ritardatari e familiari fortemente irritati, intimando ai passanti di farsi da parte per farla passare mentre sua madre, con ogni probabilità, in quel preciso istante stava attraversando la stazione con il suo baule riempiendo di insulti la sua unica figlia. Ad Håkon non rimase che stare a guardarla costringendosi ad aspettare ancora prima di salire finalmente sul treno, consapevole di avere parecchia pazienza con cui armarsi di lì fino ai M.A.G.O.
 

 
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Come quasi ogni altro studente di Hogwarts dopo aver salutato i suoi genitori – che anche quell’anno non avevano potuto fare a meno di gettare occhiate stranite ai maghi e alle streghe che li circondavano a King’s Cross, in particolare a coloro che indossavano sgargianti vesti ricamate ignorando lo Statuto di Segretezza – Margot Campbell si era messa alla ricerca dei suoi amici anziché salire immediatamente sul treno, decisa a trovare almeno uno di loro prima di andare a caccia di uno scompartimento libero. Le piccole mani pallide ben strette sui manici che permettevano di spingere e pilotare il carrello, la scozzese si muoveva in mezzo alla folla insieme al suo baule e alla gabbia del suo barbagianni guardandosi attorno con attenzione, alla ricerca di un volto familiare in mezzo alla marea di visi che sfilavano più o meno vicino a lei.
Fu, in effetti, con una discreta quantità di orrore che i grandi occhi blu della giovane strega riconobbero e indugiarono su una delle persone che più le erano sgradite in tutta la scuola, ovvero un Corvonero della sua età che, pochi metri più avanti, stava inginocchiato sul cemento della banchina davanti ad un bambino piccolo dai lisci capelli biondi. Le guance paffute del bambino, che con addosso quella minuscola camiciola azzurra e quei minuscoli pantaloni blu sembrava pronto per una campagna pubblicitaria Ralph Lauren, erano rigate dalle lacrime, e il primo impulso di Margot fu di chiedersi con orrore se il suo detestabile compagno di scuola non stesse importunando il fratellino di un qualche altro studente: la giovanissima strega smise di avanzare parallelamente al binario arrestando bruscamente il movimento del suo carrello, e sarebbe stata pronta a balzare tra il Corvonero dai capelli ricci e il bambino in lacrime per ergersi in sua difesa se solo non avesse visto il suddetto Corvonero asciugare le lacrime del bambino con il pollice della mano destra, stampargli un bacio su entrambe le guance e infine abbracciarlo.
A giudicare da come il bimbo gli cinse il collo con le braccine strofinando il viso contro la camicia bianca del ragazzo doveva essere proprio Philip MacMillan il misterioso fratello maggiore, e Margot non poté far altro che restare a guardare impietrita la prova di ciò che fino a quel momento aveva solo sospettato vagamente: Philip MacMillan aveva un cuore. Un cuore capace di provare emozioni e sentimenti umani.
La notizia la sconvolse a tal punto da spingerla a restarsene lì impalata finchè Phil non sciolse la presa sul fratellino e si rimise in piedi, rassettandosi la camicia mentre il bambino gli abbracciava le ginocchia piagnucolando di voler partire insieme a lui e di non voler restare solo a casa. Il Corvonero lasciò quasi meccanicamente una carezza sui lisci capelli biondi del fratellino mentre gli ricordava ancora una volta di non poter restare a casa e di non poter nemmeno portarlo con sé ad Hogwarts – anche se gli sarebbe piaciuto più di qualsiasi altra cosa –, e nel parlare il suo sguardo indugiò sui loro genitori, in piedi a qualche metro di distanza e impegnati in una fitta conversazione. L’occhiata che Phil lanciò all’uomo e alla donna, entrambi alti, biondi e di bell’aspetto, fu a dir poco velenosa, consapevole di come avrebbero lasciato Radcliff a se stesso per tutti i mesi successivi, senza giocare con lui per non più di mezz’ora alla settimana, o senza lo straccio di una favola della buonanotte, troppo impegnati con il lavoro o la loro intensa vita sociale.
Alla fine il giovane mago tornò a chinare lo sguardo per rivolgersi al fratellino e si sforzò di allargare le labbra per dar vita ad un sorriso affettuoso, deciso a non sprecare i preziosi minuti che restavano prima dello scoccare delle 11 preoccupandosi dei loro genitori mentre Radcliff, le braccine ancora strette attorno alle sue ginocchia, persisteva nel guardarlo con i grandi occhi grigio-azzurri pieni di lacrime:
“Ti scriverò più volte alla settimana, va bene? Te le leggeranno gli Elfi, e così, già che ci sei, potrai iniziare a fare pratica per imparare... E puoi mandarmi disegni, o scrivermi facendoti aiutare da qualcuno, quando vuoi.”
“Quanti giorni mancano a Natale?”
Radcliff MacMillan viveva nella ferma condizione di avere il fratello più intelligente del mondo, e proprio per questo motivo da qualche tempo era solito rivolgersi a lui per tutte le sue domande, anche quelle più complicate. Era certo che Phil sapesse esattamente quanti giorni mancassero fino alle vacanze natalizie, ma il maggiore si limitò a sorridergli mesto, anche se divertito, e a scuotere debolmente il capo senza smettere di accarezzargli i capelli color biondo miele:
“Non lo so, ma domani conterò e te lo farò sapere, ok? Faremo il conto alla rovescia… e quando tornerò ti farò un sacco di regali bellissimi.” Parlare di regali restituì come sempre il sorriso sul visino del piccolo Radcliff, che annuì con ritrovato entusiasmo mentre Phil, sollevato di avergli restituito un po’ di buonumore, gli chiedeva gentilmente di smettere di piangere. Il ragazzo distolse lo sguardo per gettare un’occhiata ad uno degli orologi appesi alle colonne di mattoni del binario per controllare quanto mancasse alla partenza del treno quando si accorse di essere osservato. Per di più da una delle persone di cui meno aveva sentito la mancanza durante le vacanze estive.
La sorpresa sul volto di Phil alla vista di Margot Campbell, ferma a poca distanza insieme al suo carrello, ebbe vita molto breve: ben presto il ragazzo si ricompose e sul suo viso tornò ad aleggiare la placida indifferenza, in mezzo alla quale non sarebbe stato difficile scorgere una certa dose di aria di superiorità, che era solito riservare pressochè a chiunque. A quella Tassorosso in particolare tuttavia il Corvonero riservava spesso un trattamento di riguardo, e l’accenno del tipico sogghigno ormai fin troppo familiare a Margot finì presto col sollevargli un angolo delle labbra:
“Ehy, Bocca Storta(2). Rubata la tovaglia della nonna per farti il vestito?”
Margot non rispose, ma la sua mano destra sembrò sfuggire al suo controllo mentre scivolava dall’impugnatura del carrello per andare a stringere d’istinto l’orlo della gonna del vestito che aveva indossato per la partenza, un abitino rosa polvere con colletto lungo fin poco sopra le ginocchia e decorato da un ricamo floreale color pesca. La Tassorosso ricambiò lo sguardo di scherno del Corvonero sforzandosi di sostenerlo, imponendosi di ricordare ciò che si era ripetuta per tutte le ultime due settimane di vacanze: quell’anno non sarebbe rimasta in silenzio, e non avrebbe permesso a Phil MacMillan di prendersi gioco di lei. O almeno avrebbe fatto di tutto per provarci.
Si considerava ormai abituata alle prese in giro che il compagno di scuola rivolgeva al suo guardaroba, ma quel vestito in stile anni 50 scovato in un negozio vintage le piaceva talmente tanto da aver deciso di indossarlo per le sue ultime ore senza l’obbligo della divisa, e intendeva difenderlo dal veleno che Phil era solito sputarle addosso, pertanto sollevò il mento e tornò a stringere il carrello sforzandosi di sostenere fermamente lo sguardo del compagno:
“È vintage. Esattamente come la galanteria, che per te, essendo uscito direttamente da una caverna, naturalmente è una sconosciuta.”
“Hai ragione. Io conosco il buon gusto e la sua amica sobrietà.”
La stretta sul carrello delle mani di Margot si fece talmente serrata da sbiancare le nocche della giovane strega, che si sforzò di ignorare il commento del ragazzo mentre faceva scivolare i grandi occhi azzurri dal bel viso e dall’espressione arrogante di Phil per osservare invece il suo fratellino, che nel frattempo si era praticamente nascosto dietro alle sue gambe e stava studiando la sconosciuta con la timida curiosità tipica dei bambini. Quel bimbo sembrava talmente dolce da portarla a chiedersi se per caso non fosse il frutto di un’adozione.
“Tuo fratello sembra adorabile. In effetti dicono che con il secondo si aggiusti il tiro. Sai, un po’ come il primo pancake, che fa sempre schifo.”
Con quelle parole Margot decise di congedarsi: non aveva intenzione di perdere altro tempo per Phil MacMillan, almeno non quel giorno. Sempre stringendo con un po’ troppo vigore il carrello superò a testa alta il Corvonero e il piccolo Radcliff, che domandò perplesso al fratello maggiore che cosa avessero voluto dire le sue parole e perché quella ragazza avesse parlato con quello strano accento.
Si stava ormai allontanando quando, presa dal riflettere sulla conversazione appena conclusa – dopo ogni attrito verbale che la vedeva coinvolta con MacMillan finiva col ripercorrere la conversazione chiedendosi che cosa avrebbe potuto dire di più efficace e quando, maledicendosi per la propria inettitudine – rischiò quasi di urtare qualcuno che si stava muovendo nella direzione opposta.
Gentile e accomodante di natura, Margot era pronta a scusarsi quando riconobbe colui davanti al quale era stata costretta a bloccare bruscamente il suo carrello, e finì con l’ammutolire quando i suoi occhi incrociarono quelli di Sawyer Rhodes, azzurri e schermati dalla lenti di un paio di occhiali dalla sottile montatura color oro. Momentaneamente incapace di articolare un pensiero di senso compiuto la strega percepì una sgradevolmente familiare sensazione di calore irradiarsi sul suo viso a partire dalle guance, e quando il Corvonero distese le labbra per rivolgerle un sorriso gentile fu del tutto certa di essere copiosamente arrossita fin quasi alla radice dei capelli castani:
“Scusami Margot.”
Margot non era sicura di che cosa trovasse più attraente nel ragazzo del VII anno che le stava di fronte, se il suo indiscutibile bell’aspetto, accentuato senza alcun dubbio da un abbigliamento che risultava sempre impeccabile – la camicia color avorio che indossava in quel momento sembrava che gli fosse stata cucita addosso – o se la sua parlata. Margot Campbell era scozzese e molto fiera di esserlo, ma doveva ammettere a se stessa che l’Oxford English(3) di Sawyer Rhodes esercitava su di lei un effetto del tutto simile a quello del calore su un panetto di burro.
“No… scusami tu. Non guardavo dove andavo.”
“Non ti preoccupare. Bel vestito.”
Sawyer accennò senza smettere di sorridere all’abito rosa polvere della Tassorosso con un lieve e appena percettibile cenno del mento, ma a giudicare da come la giovane strega ammutolì il complimento sembrò non sortire l’effetto sperato: all’improvviso la scozzese si irrigidì, e lo sguardo che Sawyer riuscì a scorgere nei suoi grandi occhi blu prima che lo superasse in fretta e a capo chino sembrò suggerire che le sue parole avessero turbato la ragazza in qualche modo. E dire, rifletté perplesso mentre si voltava accigliato per guardarla allontanarsi fino a quando non fu scomparsa in mezzo alla folla, impresa facilitata dalla statura minuta della Tassorosso, che il suo vestito gli era piaciuto davvero: aveva notato persino la cintura di cuoio stretta in vita abbinata alle scarpe, e Sawyer nutriva un particolare gradimento per dettagli come quello.
Nonostante le sue intenzioni la reazione della Tassorosso aveva suggerito al Corvonero un’unica interpretazione: Margot sembrava aver pensato che con quel complimento avesse deliberatamente voluto prendersi gioco di lei. Di per sé l’idea si presentò bizzarra agli occhi di Sawyer, che era certo di non aver mai offeso Margot Campbell in vita sua, ma una spiegazione del tutto logica gli apparve appena un istante dopo, quando si voltò di nuovo e il suo sguardo indugiò sulla silhouette di un suo amico e compagno di Casa.
“Hai per caso fatto a Margot Campbell un commento riguardo al suo vestito?”, esordì Sawyer con tono di rimprovero misto a rassegnazione quando ebbe raggiunto Phil e suo fratello, che sembrava ancora deciso a cercare di intrufolarsi ad Hogwarts insieme al maggiore. L’occhiata offesa che l’amico gli lanciò in risposta non si fece attendere, insieme alla sua proverbiale risposta piccata:
“Non ci vediamo da settimane e la prima cosa che mi dici riguarda la Campbell? Cavolo Rhodey, bel modo di salutare.”
“Sei un idiota.”, si limitò ad asserire con tono pacato il più grande prima di posare lo sguardo sul bambino che stringeva le ginocchia di Phil, chinandosi leggermente in avanti verso di lui con un sorriso gentile ad addolcirgli la curva delle labbra:
“Ciao Cliff… Sei felice di tornare ad essere il padrone di casa per qualche mese?”
“No.”, mormorò Radcliff scuotendo il capo prima di strofinarsi il nasino con una mano, gesto che allargò il sorriso di Sawyer e fece sospirare piano il fratello maggiore, che ancora gli stava accarezzando i capelli.
“Perché no? Sai, anche io ho un fratello più grande, e stare da solo a casa era bellissimo. Tutti, tutti i dolci della dispensa erano miei. E anche tutti i giocattoli… Praticamente avrai non una, ma due camere tutte tue.”
Una piccola traccia di tristezza sembrò dissolversi dal visino tondo del bambino, che sembrò colpito da una nuova consapevolezza improvvisa mentre il fratello maggiore, al contrario, si irrigidiva visibilmente: voleva bene a suo fratello più che a chiunque altro, ma la sua camera restava pur sempre la sua camera.
“Non dargli strane idee, in camera mia non deve giocare.”
Non lo saprà mai se giochi in camera sua.”, mormorò Sawyer – non abbastanza per impedire all’amico di udire le sue parole – ignorando il commento di Phil e strizzando l’occhio a Radcliff con aria complice, ridendo quando vide il bambino sfoderare un sorriso furbetto in grado di rendere improvvisamente palpabile la sua somiglianza con il fratello maggiore.
 

 
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Nonostante mancasse sempre meno alla partenza dell’Espresso per Hogwarts Raymond Aldridge si stava attardando sulla banchina insieme alla gabbia nera del suo gufo reale e ad una rigonfia valigia di pelle tenuta chiusa da due lacci dove aveva stipato praticamente tutti i suoi abiti e parte dei suoi libri, un regalo ricevuto anni prima da suo zio quando era stato assunto alla Gringott,
Lo Spezzaincantesimi stava studiando distrattamente le nubi di fumo emesse dalla locomotiva in procinto di partire in direzione della Scozia chiedendosi se accettare quell’incarico e rinunciare per quasi un anno alla sua professione fosse stata una scelta saggia, anche se lasciare il Messico per fare ritorno sul suolo britannico era stata una sua decisione. Aveva pensato di prendersi un breve periodo di pausa dagli scavi archeologici e di restare per qualche tempo in Inghilterra per svolgere qualche incarico più sedentario e tranquillo quando un nome fin troppo familiare, quello della sua vecchia insegnante di Trasfigurazione, aveva bruscamente e inaspettatamente fatto ritorno nella sua vita: era stato convocato ad Hogwarts soltanto due giorni dopo essere tornato in Inghilterra, ma dopo un iniziale spaesamento non aveva perso troppo tempo ad interrogarsi su come Minerva McGranitt avesse appreso tanto in fretta del suo ritorno, certo che la Preside di Hogwarts potesse contare su un incomparabile rete di risorse e di contatti.
Certo quando aveva pensato ad una pausa e ad un incarico sedentario prendersi un anno per insegnare ad un branco di neomaggiorenni non era esattamente ciò che gli era passato per la mente, ma dopo una settimana di riflessione aveva finito con l’accettare: l’idea di tornare ad Hogwarts gli piaceva, e non si era mai considerato tipo da tirarsi indietro di fronte ad un’opportunità o ad una sfida.
Di certo, si disse Raymond mentre scrutava la locomotiva a vapore scarlatta per la prima volta dopo quindici anni – la consapevolezza di avere esattamente il doppio dell’età dei suoi nuovi studenti lo colse alla sprovvista facendolo quasi rabbrividire lì sulla banchina –, quando ad un paio di giorni di distanza dal Diploma era sceso da quel treno per quella che all’epoca aveva creduto essere l’ultima volta non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi a salircisi di nuovo, e stava proprio per decidersi finalmente a salire il gradino che l’avrebbe condotto dritto all’interno della prima carrozza quando una voce maschile si levò da un punto imprecisato alle sue spalle:
“Aldridge!”
Ritenendo assai improbabile che ci fossero altri Aldridge in circolazione Raymond istintivamente bloccò ogni movenza diretta verso il treno e si voltò perplesso in direzione della voce restando fermo sul posto, restando ancor più di stucco quando colui che aveva parlato si rivelò essere un uomo alto poco più di un metro e ottanta, sorridente e con una folta capigliatura color grano. Il viso dell’uomo, che si stava apprestando a raggiungerlo reggendo una valigia in una mano e un trasportino bianco nell’altra, aveva qualcosa di inequivocabilmente familiare così come il sorriso vitale e contagioso che gli allargava le labbra, e Raymond, superato un breve attimo di smarrimento e pur non riuscendo a celare lo stupore, non tardò a riconoscerlo:
“… DeLoughrey?”
Pensando alla sua partenza per Hogwarts Raymond non aveva mai considerato neppure per un istante la possibilità di imbattersi, lì a King’s Cross, in qualche ex compagno di scuola, ma quello che si fermò davanti a lui e posò la valigia color cognac sulla banchina lo era decisamente; ricordava vagamente di aver incontrato Declan DeLoughrey una volta al Paiolo Magico, almeno cinque o sei anni prima, e dovette riconoscergli di non essere cambiato quasi per nulla mentre sentiva la sua stretta energica attanagliarli le dita della mano destra.
“Cosa ci fai qui, è assurdo vederti, saranno passati anni! Ti trovo bene.”
Il largo sorriso di Declan anziché smorzarsi sembrò acquisire maggiore linfa mentre studiava brevemente il bel volto e la figura imponente dell’ex Serpeverde, che anche quindici anni prima svettava su buona parte dei compagni di scuola grazie ad un paio di spalle larghe e ad una considerevole altezza che sfiorava il metro e novanta. Vanitoso di natura e sensibile alle lusinghe, Raymond si ritrovò a ricambiare placidamente il sorriso di Declan mentre annuiva, lisciandosi quasi senza rendersene conto il bavero della giacca di tweed verde abbinata alla cravatta e indossata sopra ad un panciotto color tortora prima di ringraziarlo e ricambiare educatamente il complimento.
“Hai accompagnato tuo figlio o tua figlia?”, domandò Declan inarcando curioso un sopracciglio mentre faceva scivolare lo sguardo attorno a Raymond, quasi aspettandosi di veder spuntare da qualche parte un ragazzino o una ragazzina in partenza per Hogwarts. Le sue parole ebbero quasi l’effetto di far trasalire l’ex Serpeverde, che accennò d’istinto una smorfia inclinando verso il basso gli angoli delle labbra:
Merlino, no. No, pare che io stia per mangiare al tavolo degli insegnanti di Hogwarts da stasera fino a giugno.” Raymond si strinse debolmente nelle spalle con tono di falsa modestia, come se non fosse poi niente di che – in realtà moriva dalla voglia di sottolineare come la Preside avesse insistito in maniera particolare per assumere proprio lui tra i tanti Spezzaincantesimi della Gringott –, ma la reazione dell’ex Grifondoro non fu assolutamente quella prefigurata: Declan sgranò come incredulo i grandi ed espressivi occhi azzurri, ma Raymond non ci mise molto a comprendere che la sua non era ammirazione, bensì genuina sorpresa.
“Non mi dire?! Anche io!”
Questa volta a sentirsi cogliere di sorpresa fu Raymond, che esitò perplesso per un istante prima di inarcare un sopracciglio, sollevandolo verso l’attaccatura dei corti capelli ondulati:
“Vuoi dire che anche tu andrai a insegnare uno dei nuovi corsi per gli studenti più grandi?”
Non solo non aveva preso in considerazione l’ipotesi di imbattersi in qualche vecchia conoscenza al Binario 9¾, non aveva nemmeno minimamente riflettuto sulla possibilità di avere un ex compagno di classe come nuovo collega, ma Declan confermò annuendo con aria entusiasta:
“Esatto, mi sono anche messo la giacca perché mi sembrava una cosa da insegnante… Sai, negli ultimi anni sono sempre stato in giro per l’Asia girando come una trottola impazzita, volevo starmene buono buono a casa per un po’… e alla fine eccomi qui.” 
Raymond quasi non poteva credere all’assurdità di quella coincidenza, e si chiese se e quali altri visi noti avrebbe rivisto sul treno o direttamente quella sera, al tavolo degli insegnanti per assistere allo Smistamento da un’altra prospettiva per la prima – ed ultima – volta in tutta la sua vita. Del resto però, si ritrovò a riflettere il Serpeverde mentre i ragazzini iniziavano a sporgersi dai finestrini aperti per dare gli ultimi saluti a genitori e fratelli, c’erano moltissimi nomi che gli avrebbe fatto molto meno piacere risentire se paragonati a quello di Declan DeLoughrey, che nonostante l’orribile difetto di essere stato Smistato tra i Grifondoro aveva sempre considerato un ragazzo sveglio e dal carattere tollerabile – anche se un tantino troppo esuberante, Raymond le persone troppo allegre e piene di entusiasmo per la vita non era mai stato sicuro di riuscire a comprenderle fino in fondo – per la media della sua Casa.  
“Sì,”, asserì infine ridando forma ad un placido sorriso con le proprie labbra solleticate da un sottile strato di barba, “mi suona familiare.”

 
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Cornelia Lockwood non era ancora riuscita a darsi una spiegazione logica e razionale, ma per qualche motivo ogni singolo anno giungeva al Binario 9¾ pericolosamente poco prima dello scoccare delle 11, anche quando si alzava più che in orario e occupava la sua ultima sera di vacanza ad ultimare i preparativi per la partenza e ad organizzare una precisa tabella di marcia. A pensarci bene, tuttavia, i motivi principale di quei costanti ritardi avevano due nomi ben precisi, ovvero John e Theodore Lockwood, rispettivamente il padre e il fratello minore della giovane strega: ogni anno, puntualmente, i due sembravano impegnarsi al massimo per non rispettare i piani di Cornelia, mandandoli miseramente a monte.
“Sbrigatevi, non voglio fare la figura della scema che perde il treno!”, esclamò sbuffando con palpabile irritazione la giovane strega mentre correva verso la barriera spingendo personalmente – un’esperienza di lunga data le aveva insegnato a fare le cose da sola quando voleva che venissero svolte con efficienza – il carrello dove all’ingresso di King’s Cross lei e Theodore avevano accatastato i loro bauli e le gabbiette che ospitavano i loro animali domestici, due gatti e un corvo, tutti e tre sballottolati dai forti tremolii che agitavano il carrello in movimento.
“Tesoro, non è che preferisci che lo spinga io?”, domandò preoccupato suo padre quando, superata la barriera insieme al secondogenito, vide la figlia rischiare di perdere il controllo del carrello andando a schiantarsi con lo spartitraffico di fronte, ma Cornelia si limitò a scuotere il capo mentre, fermatasi di colpo, raddrizzava il pesante carrello mormorando una lieve imprecazione.
“Ce la faccio papà. Teddy, sbrigati.” Il suo fratellino, in effetti, non sembrava preoccuparsi molto del ritardo che avevano accumulato proprio a causa sua e di suo padre, da sempre etichettati dalla sorella maggiore come “generatori di caos e disordinati cronici”, e stava invece avanzando con fin troppa calma prendendosi il tempo di guardarsi attorno, visibilmente alla ricerca di qualcuno in particolare.
“Sto cercando Margi o Wendy!”, si giustificò infatti il Tassorosso mentre si alzava in punta di piedi nel tentativo di scorgere tra la folla i volti delle sue amiche e compagne di Casa, ma Cornelia non sembrò dello stesso avviso, anzi si premurò di voltarsi per gettargli un’occhiata ammonitrice:
“Le cercherai sul treno, non abbiamo tempo di bighellonare!”
Per una volta persino John sembrò trovarsi d’accordo con la primogenita, perché afferrò gentilmente il figlio per le spalle pilotandolo in modo da costringerlo a seguire la sorella maggiore verso la porta dell’Espresso per Hogwarts più vicina, un placido sorriso sulle labbra:
“Dalle retta, o rischiamo che ci trasformi entrambi in dei cubi di Rubik… è già abbastanza arrabbiata perché ieri abbiamo perso tempo a guardare Tarzan.”
“Dovevamo finire la lista di film da vedere entro la fine delle vacanze!”, si giustificò Teddy alzando il mento per far sì che i suoi brillanti occhi azzurri incrociassero quelli del padre, che annuì e gli sorrise con aria complice mentre gli picchiettava affettuosamente la spalla e Cornelia, giunta in prossimità del treno facendosi largo grazie al carrello portabagagli, iniziava a scaricarlo sollevando la gabbia del suo gatto nero e di Anubi, il suo corvo.
“Lascia tesoro, ti aiuto io.” Con un paio di falcate John superò il figlio e affiancò la figlia accanto al carrello per afferrare uno dei manici del suo baule e sollevarlo, tirandolo fuori per issarlo all’interno del treno al posto della ragazza. L’uomo salì e discese dalla locomotiva scarlatta per ripetere l’operazione con il baule di Theodore, che si limitò a stringere il manico del trasportino della sua gatta dal pelo fulvo senza smettere di guardarsi attorno, sempre cercando una delle sue migliori amiche ma convincendosi di come ormai entrambe dovessero già essere salite sul treno: considerata la sgargiante felpa gialla che indossava, perfettamente abbinata al colore brillante dei suoi capelli e alle sue Converse, era impensabile che Margot o Wendy non lo avessero già intravisto e raggiunto.
Cornelia invece attese in silenzio il ritorno del padre per salutarlo prima di salire definitivamente a bordo dell’Espresso per Hogwarts, indugiando con tutta la pazienza che le era rimasta in corpo in mezzo a genitori quasi sull’orlo delle lacrime e fratellini che sbraitavano di voler andare a scuola a loro volta.
Quando John riapparve sulla porta del treno e scese sulla banchina Cornelia e Teddy lo videro aggiustarsi la montatura degli occhiali sul naso e sorridergli sforzandosi di sembrare allegro e di buon umore, messinscena che ogni anno, puntualmente, non convinceva nessuno dei due: sapevano entrambi quanto il padre si sforzasse di dissimulare la tristezza che lo colpiva in vista di ogni loro partenza per Hogwarts, ma John Lockwood non era e non sarebbe mai stato un attore poi così credibile.
“Bene, direi che è tutto a posto… Visto tesoro, non avete perso il treno.”  John si rivolse alla figlia regalandole un sorriso affettuoso che trasudava un velo di tristezza che quasi rischiò di spezzare il cuore di Cornelia, che si limitò ad annuire prima di colmare la distanza che li separava e abbracciarlo allacciandogli le braccia attorno al collo; in punta di piedi per riuscire a poggiare il viso contro la spalla del padre, Cornelia chiuse le palpebre per godersi quell’ultimo abbraccio prima di mormorare istintivamente le esatte parole che ogni anno ripeteva puntualmente prima della sua partenza.
“Se hai bisogno di qualcosa scrivici. Ricordati di lavare i piatti almeno una volta al giorno, di fare la spesa e di cercare di mettere un po’ d’ordine ogni tanto, altrimenti poi finisci col perdere anche le cose importanti. Ti ho lasciato un sacco di post-it sul frigo.”
“E ricordati di uscire di tanto in tanto!”, le fece eco Theodore riservando al padre uno sguardo quasi implorante, finendo con l’unirsi all’abbraccio quando vide l’uomo annuire sbrigativo e fargli cenno di avvicinarsi con un lieve cenno della mano destra. Per qualche lungo istante nessuno dei tre parlò, impegnati a godersi l’ultimo abbraccio fino al sopraggiungere delle vacanze di Natale, finchè Cornelia, colta da un pensiero improvviso, non sollevò la testa di scatto per rivolgersi a John con un tono apprensivo che ebbe quasi l’effetto di far esasperare il padre:
“So che fa ridere che sia proprio io a dirlo, ma di tanto in tanto cerca di staccarti dai libri quando non sei al negozio… Almeno esci a passeggiare nel weekend.”
“Oh insomma, smettetela di parlare come se fossi un vecchio rimbambito solitario cronico senza speranza. Per quello ci sarà tempo tra un altro paio di decenni.”
Dopo aver sciolto l’abbraccio e aver gentilmente allontanato di mezzo metro da sé i figli ponendo ciascuna mano su una delle loro spalle John donò ad entrambi un sorriso allegro, ma nessuno dei due si unì a lui, persistendo invece nel guardarlo con aria cupa finchè il mago, esasperato, non intimò ad entrambi di salire sul treno con finto tono di rimprovero. Non avendo altra scelta Theodore e Cornelia obbedirono, non prima di essersi fatti scoccare un bacio ciascuno su una guancia, e salirono finalmente sul treno insieme alle gabbiette dei loro animali prima di indugiare e voltarsi verso la banchina per gettare un’ultima occhiata al padre, facendo del loro meglio per ricambiare il sorriso che l’uomo stava rivolgendo loro prima di salutarlo un’ultima volta e infine allontanarsi insieme lungo il corridoio della terza carrozza.
“Dovremmo trovargli una fidanzata?”, azzardò il ragazzo mentre seguiva la sorella maggiore insieme al trasportino di Chichi, la sua gatta, e studiava al contempo l’interno degli scompartimenti alla ricerca dei suoi amici.
“Ne dovremmo parlare. Ho detto a papà di ricordarsi di prendere i cereali per la colazione? Ah sì, glie l’ho scritto su un post-it.”



Dopo aver sistemato il suo baule all’interno di uno scompartimento vuoto della quarta carrozza Lena aveva preso posto accanto al finestrino, seduta con le lunghe gambe dalla pelle diafana accavallate e lasciate parzialmente scoperte da una gonna a pieghe a quadri neri, grigi e bianchi che Ares, il suo gatto, sembrava aver deciso di utilizzare come cuccia per sonnecchiare non appena lo aveva tirato fuori dal trasportino. Mentre con la mano sinistra accarezzava meccanicamente il pelo fulvo del micio gli occhi scuri della giovane indugiarono su alcuni dei numerosissimi volti che affollavano la banchina prima di riuscire ad individuare suo padre, impresa per nulla ardua se considerata la considerevole stazza vantata da Lukyan Liubimov, e un sorriso istintivo le distese dolcemente la curva delle labbra mentre sollevava di poco la mano destra per rivolgere un ultimo saluto al padre accennando un movimento con le dita, pallide e sottili come la sua intera figura e abbellite da uno smalto color perla.
Nonostante l’aspetto serio e quasi minaccioso l’uomo, che solo pochi minuti prima aveva stretto la sua unica e adorata figlia, la sua króshka(4), in una morsa quasi stritolante, ricambiò il sorriso con palpabile affatto e levò a sua volta la mano destra per rivolgerle un ultimo cenno di saluto, visibilmente impaziente di vederla fare ritorno su quello stesso binario in occasione delle vacanze di Natale. Lena era quasi sul punto di alzarsi in piedi, aprire il finestrino e raccomandarsi per un’ultima volta con il padre di non affannarsi troppo sul lavoro quando la porta di vetro dello scompartimento venne fatta scorrere e una voce familiare dal tono sollevato la sorprese levandosi da un punto alle sue spalle:
“Eccoti qui, ormai pensavo di dovermi fare tutto il treno.”
D’istinto Lena si voltò per posare lo sguardo sull’ingresso dello scompartimento, e un sorriso vivace e luminoso le allargò le labbra quando i suoi occhi scuri indugiarono su un volto inequivocabilmente familiare, pallido e incorniciato da un caschetto biondo.
“Ciao Connie!” Dopo aver gentilmente spostato Ares in modo da sistemarlo sul sedile verde scuro accanto a sé – il micio non sembrò gradire particolarmente e aprì pigramente gli occhi verdi per gettare alla padrona un’occhiata un tantino seccata – Lena si alzò in piedi per accogliere l’amica, guardandola sistemare la gabbia di Anubi, il suo corvo, e il trasportino del suo gatto sul sedile di fronte prima di trascinare faticosamente il baule all’interno dello scompartimento.
“Ciao Lena… Ti sembra possibile che siamo nel nuovo millennio e ancora non hanno inventato un incantesimo per rendere leggeri gli oggetti pesanti?”, sbuffò Cornelia mentre tratteneva con una mano la montatura sottile e leggermente squadrata degli occhiali per impedir loro di scivolarle sul naso e camminava al contempo all’indietro per trascinare il baule sufficientemente all’interno dello scompartimento per, quantomeno, riuscire a chiudere la porta scorrevole.
Quando il pesante baule della Corvonero ricadde sulla moquette con un tonfo entrambe le streghe rimasero ad osservarlo in silenzio per un paio di istanti, finchè la proprietaria non stabilì di poterlo tranquillamente lasciare lì fino al loro arrivo ad Hogsmeade. A quel punto la ragazza ruotò su se stessa per rivolgersi finalmente all’amica, donandole un sorriso mentre Lena sollevava leggermente le braccia verso di lei, come titubante:
“Posso abbracciarti?”, domandò la russa come temendo di poter mettere a disagio l’amica abbracciandola senza permesso, ma rilassò le spalle e tornò presto a sorridere quando vide la Corvonero annuire e invitarla ad avvicinarsi con un lieve cenno della mano:
“Certo, non devi neanche chiederlo. Come stai?” Cornelia raggiunse l’amica per abbracciarla, lasciandosi stringere brevemente dalle braccia lunghe e sottili di Lena, che era più alta di lei di alcuni centimetri, prima di complimentarsi con lei per il morbidissimo maglione grigio chiaro a trecce che la russa aveva indossato sopra ad una camicia bianca e abbellito con un nastrino nero legato a mo’ di fiocco attorno al colletto. Lieta per il complimento, la Serpeverde rispose con un sorriso grato mentre tornava a sedersi al suo posto sfiorandosi d’istinto la manica del maglione, tornando ad accavallare con grazia le gambe mentre Cornelia si sedeva esattamente di fronte a lei.
“Direi bene… Mi dispiace un po’ lasciare mio padre a casa da solo, anche se lavora così tanto che dubito ci stia molto, a casa… ma a parte quello sono più che felice di tornare a scuola.”
“Ah, non dirlo a me, ogni anno parto senza sapere se troverò una casa al mio ritorno! Aspetta, ora ti faccio uscire.” Dopo aver armeggiato brevemente con la porticina del trasportino Cornelia riuscì ad aprirla e a prendere delicatamente Tutankhamon, il suo micio nero, e sistemarselo in grembo, prendendo a coccolarlo affettuosamente mentre un sorrisino divertito sollevava gli angoli delle labbra di Lena al solo sentir nominare la componente maschile della famiglia Lockwood: mai nessun padre di qualche amico o conoscente le era mai piaciuto quanto le piaceva John Lockwood, da Lena personalmente etichettato come “l’uomo più inodiabile del globo”.
“Come stanno John e Teddy?”, s’interessò infatti la ragazza con un sorriso mentre negli scompartimenti che precedevano e seguivano il loro alcuni studenti, specie quelli più piccoli, iniziavano a sporgersi dai finestrini per salutare rumorosamente genitori e fratelli.
“Stanno benone, oserei dire che si sono goduti le vacanze molto più di me… e anche se mi mancherà essere a casa ammetto che sarà un sollievo non dover fare costantemente la babysitter a quei due per qualche settimana. Spero solo che papà se la passi bene, Teddy è piuttosto preoccupato per lui, che resti troppo solo mentre noi non ci siamo... Dice che dovremmo trovargli una fidanzata.” La Corvonero parlò aggrottando le sopracciglia bionde, riflettendo sull’idea avanzata qualche settimana prima dal fratellino mentre Lena, di fronte a lei, annuiva accennando un sorriso comprensivo; istintivamente i suoi pensieri vagarono fino a soffermarsi sul suo, di padre, ma dovette ammettere a se stessa che l’idea di trovargli una fidanzata le sembrava quasi troppo assurda per apparire realistica.
“Non è affatto malvagia come idea, io approvo su tutta la linea. Ma dovrebbe essere una donna meravigliosa, tuo padre è un uomo adorabile.”
“Pensa che meraviglia se a scuola capitasse cadendo dal cielo un’insegnante bella, intelligente e della sua età. In alternativa, sostiene Teddy, resta sempre la Cooman.” Cornelia parlò con tono neutro e fece spallucce accarezzando ininterrottamente il suo gattino, ma le sue parole colpirono l’amica quasi con la stessa intensità di uno schiaffo in pieno viso, e subito i grandi occhi scuri di Lena vennero spalancati dal più sincero sgomento:
“Ti prego dimmi che scherzi, o che hai sbattuto la testa cadendo dal letto.”
“Ovvio che scherzo, ti immagini vivere con qualcuno che ogni santa mattina ti domanda che cosa hai visto nei fondi del tè?! Atroce.”

 
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Una volta raggiunto il binario Keith non aveva perso tempo – non che di norma farlo rientrasse nelle sue abitudini – prima di salire sul treno, spingendosi all’interno della prima carrozza insieme all’unica valigia nera che aveva portato con sé e alla gabbia di Randall, il suo allocco degli Urali. Aveva occupato un sedile vicino al finestrino all’interno dello scompartimento in capo al treno, il più vicino alla cabina del macchinista e costituito da un salone unico, con otto posti a sedere divisi da un corridoio centrale, e dopo aver sistemato la gabbia e la valigia sul sedile accanto aveva ripreso a dedicarsi alla lettura di Storia di Hogwarts. Curiosamente, si era reso conto solo un paio di settimane prima di non aver mai effettivamente letto il celebre volume di Bathilda Bath quando, di passaggio a Diagon Alley per gli ultimi acquisti in vista della partenza, lo aveva scorto su uno scaffale del Ghirigoro. Spinto da una curiosità mai provata nel corso dei sette anni da studente ad Hogwarts – e forse preda di una forma di senso di colpa nei confronti della defunta autrice – lo aveva comprato, e aveva iniziato a leggerlo appena un paio di giorni prima.
Stava giusto riflettendo, accigliato, su quanto la lettura si stesse rivelando interessante – chissà per quale motivo tutti gli studenti di Hogwarts finivano puntualmente con lo snobbare il volume in questione – quando l’eco di un paio di voci femminili anticipò l’apparizione di due donne in procinto di salire sul treno insieme ai propri bagagli. In realtà alzando lo sguardo dalla carta stampata lo sguardo di Keith indugiò dapprima su quello che aveva tutta l’aria di essere, a giudicare dalla giacca rossa a doppio petto con lo stemma della scuola ricamato sul lato destro con un filo color bronzo, un giovane facchino esausto che non doveva essersi diplomato da molti anni. Il ragazzo, che sopra ai corti capelli castani portava un cappello dello stesso tono di rosso della giacca, reggeva un trasportino e una gabbia contenente un barbagianni dall’aria irritata, e Keith lo vide sistemare entrambe le gabbie su uno dei due sedili vicini al corridoio dei quattro speculari rispetto a dove sedeva. Essendo state collocate sul sedile rivolto nel verso opposto rispetto al suo, seguendo la direzione della traiettoria del treno, Keith ebbe modo di osservare entrambe le gabbie e di scorgere il musetto chiaro di un coniglietto spingersi sulla graticola che faceva da porticina al trasportino, guardandosi attorno spaventato e forse alla ricerca della sua padrona mentre il barbagianni, accanto a lui, si guardava attorno annoiato chiedendosi per quale motivo lo avessero destato dal suo sonno ristoratore.
Subito dopo l’attenzione di Keith venne rivolta altrove, quando sentì dei passi leggeri avvicinarsi e un’allegra quanto vellutata voce femminile ringraziare il facchino per il suo aiuto. Nello scompartimento era apparsa una donna più o meno della sua età che stringeva una borsa da viaggio color crema abbinata ad un trolley straordinariamente immacolato, e Keith non ebbe alcun dubbio di avere di fronte la prima dei suoi nuovi “colleghi”. La strega in questione aveva grandi occhi azzurri e capelli di una particolare sfumatura di castano chiaro legati alla base del collo con quello che, una volta voltata, si sarebbe rivelato un nastro color ruggine, esattamente dello stesso colore del maglione indossato sopra ad una camicia bianca e ad una cravatta nera.
Il facchino salutò la strega e lasciò lo scompartimento consentendo ad una terza persona di fare il suo ingresso, una seconda donna, più alta della prima e con una sola valigia appresso. Suo malgrado Keith aggrottò le sopracciglia mentre osservava la donna guardarsi attorno come se non avesse mai messo piede su quel treno prima di quel momento, colpito dalla fastidiosamente pruriginosa sensazione di averla già incontrata in passato senza tuttavia riuscire a dare un nome a quel volto pallido e dagli zigomi pronunciati dove spiccavano un paio di iridi cangianti.
“Cavolo, qui si sta molto più larghi, a saperlo sarei diventata Prefetto! Beh, per questo e per il bagno con la piscina.”, asserì Marjory mentre si esibiva in una specie di piroetta per guardarsi per bene attorno e Claudia, sempre più convinta di avere un mucchio di cose da imparare, sistemava la sua valigia sul sedile di fronte a quello dove sostavano gli animali della collega inarcando stupita un sopracciglio:
“C’è una piscina ad Hogwarts?”
“Ah, ad Hogwarts c’è di tutto e di più, ti stupirebbe cosa non riesci ad immaginare. Sì, c’è un bagno con piscina, ma è riservato a Prefetti e ai Caposcuola, ovviamente.” Marjory sbuffò piano mentre liquidava il discorso con un pigro gesto della mano destra, chiedendosi se in quanto insegnante le sarebbe stato possibile farsi una nuotata nel famigerato bagno più lussuoso della scuola. Lo sguardo di Claudia invece vagò fino ai finestrini del lato opposto del treno soffermandosi sul volto di Keith, studiandolo per un istante prima di emulare l’espressione pensosa e dai tratti perplessi dell’Auror:
“Scusi, per caso ci conosciamo già?”, domandò con tono incerto la Medimaga mentre osservava i lineamenti familiari dell’Auror che sedeva ad un paio di metri di distanza da lei, quasi del tutto certa di averlo già incontrato in passato. Keith dal canto suo ricambiò lo sguardo della donna annuendo debolmente, le mani ancora strette attorno al libro aperto sulle sue ginocchia mentre cercava di ricordare in quale occasione lui e la strega si fossero precedentemente incontrati:
“Credo di sì.”
“Sono Claudia Westbrook.” Nella speranza che presentandosi avrebbe aiutato il forse non proprio sconosciuto a ricordarsi di lei Claudia distese leggermente le labbra rosee in un sorriso mentre muoveva un passo in direzione dell’Auror, le mani pallide allacciate l’una nell’altra, e dopo una brevissima riflessione la strega vide la fronte di Keith rilassarsi: il mago annuì debolmente mentre ricambiava il suo sorriso cordiale guardandola con una nuova consapevolezza, come se avesse svelato l’arcano per entrambi. 
“Certo. Lei era ad Hogwarts nel ’98.”
“Allora sei già stata ad Hogwarts?”, domandò Marjory incapace di trattenersi mentre scrutava sorpresa la schiena e lo chignon basso con cui Claudia aveva legato i lisci capelli scuri, guardando l’americana voltarsi brevemente verso di lei e sorriderle mentre annuiva con un lieve cenno del capo.
“Sì, nell’estate del ’98, ma come avrai capito senza prendere questo treno… per qualche settimana ho dato una mano a rimettere in sesto la scuola.” Claudia tornò a concentrarsi sull’uomo che sedeva vicino al finestrino, e all’improvviso i suoi occhi azzurri scivolarono sul libro aperto sulle sue gambe e sulle mani che lo reggevano, entrambe fasciate da un paio di guanti di pelle color caffè assolutamente non resi necessari dalle temperature correnti. Le mani guantate del mago accesero nella mente di Claudia ricordi rimasti sopiti fino a quel momento, e le sue labbra si tirarono di nuovo in un sorriso gentile mentre tornava a ricambiare direttamente lo sguardo di Keith, questa volta sapendo perfettamente per quale motivo si fossero già incontrati:
“Lei è un Auror, vero?”, domandò con delicatezza mentre il britannico annuiva, schiarendosi debolmente la voce prima di presentarsi alla Medimaga per la seconda volta:
“Keith. Whiteoak.”
Pur temendo di risultare invadente e inappropriata Claudia gettò una seconda occhiata alle mani dell’Auror, e stava per azzardarsi ad esprimere a voce alta la speranza che la sua mano stesse meglio rispetto al loro primo incontro di cinque anni prima quando Marjory, definitivamente incuriosita da quello scambio verbale, la raggiunse di fronte al nucleo di quattro sedili per rivolgere a Keith un sorriso gentile che le si estese fino ai luminosi occhi azzurri.
“Marjory Leblanc, molto piacere. Insegnerà ai ragazzi a duellare, o cose del genere?”
Keith si allungò sul sedile per stringere delicatamente la mano che la strega gli aveva porto, finendo col stupirsi della stretta energica con cui la piccola mano di Marjory scrollò la sua prima di scuotere la testa con un sorriso educato:
“Potrei, ma la Preside sostiene di non voler istigare nessuno alla violenza, quindi mi ha chiesto di ripiegare su altro… ed essendo sano di mente non me lo sogno nemmeno di contraddire Minerva McGranitt.”
“Sono sicura che avere un Auror a fargli da insegnante sarà fantastico per i ragazzi. Io sono laureata in Storia e specializzata in Archivistica e Biblioteconomia, roba molto meno emozionante.”
“È interessante invece!”, asserì Claudia sgranando gli occhi azzurri, forse anche per incoraggiare la neo collega, che si strinse debolmente nelle spalle prima di tornare a sorridere con aria divertita, le mani allacciate dietro la schiena fasciata da una giacca di tweed color castagna:
“Beh, mi consolo perché di certo non potrò battere la pallosità di Rüf neanche provandoci, paragonata a lui sembrerò il Carnevale di Rio.”
Dall’angolo in cui sedeva Keith si levò una specie di risatina strozzata, e a Claudia non restò che aggrottare le sopracciglia, confusa, non sapendo che avrebbe compreso a cosa Marjory si stesse riferendo solo il giorno dopo, quando avrebbe visto nientemeno che il fantasma di un uomo molto anziano con un paio di spessi occhiali sul naso fluttuare lungo un corridoio reggendo un libro.
 

 
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Dopo essere riuscito nell’ardua impresa di arrivare a King’s Cross senza accumulare troppo ritardo Ian aveva salutato sulla banchina i suoi padri, Mason e Jack, e poi era salito a bordo del treno a vapore trascinandosi appresso il suo pesante baule coperto da adesivi di gruppi musicali, squadre di Quidditch, calcistiche e di rugby e la gabbia – notevolmente più grande rispetto a quelle sfoggiate dai suoi compagni di scuola – che ospitava il suo grifone euroasiatico.
Dopo essersi seduto vicino al finestrino ed essersi sistemato Jigen accanto – che si era messo a dormire assumendo la posizione che agli occhi divertiti del padrone lo faceva sembrare quasi un tacchino – Ian aveva indossato le cuffie del suo lettore CD portatile e aveva chiuso gli occhi verdi, deciso a rilassarsi e a godersi più che poteva il suo ultimo viaggio di inizio anno verso Hogwarts. Stava giusto riflettendo, mentre la musica dei Sex Pistols gli martellava le orecchie, su quanto quei viaggi in treno gli sarebbero mancati una volta finito l’anno e preso il Diploma quando qualcosa di piccolo, duro e spigoloso lo colpì in pieno petto, dritto sullo stemma rosso, giallo e bianco sorretto da un leone e un cane del Manchester Rugby Club(5) impresso sulla t-shirt nera che indossava. Istintivamente Ian aprì gli occhi, e stava quasi per imprecare quando, chinato lo sguardo, individuò nell’oggetto che l’aveva colpito la scatola di una Cioccorana che ora gli giaceva in grembo.
Superato lo sbigottimento iniziale Ian sollevò il mento per puntare lo sguardo sull’ingresso dello scompartimento, notando così la porta scorrevole tenuta aperta da un ragazzo biondo e sorridente che conosceva molto bene.
Sei il solito coglione.” O forse il coglione era lui, che ogni anno si scordava dell’abitudine dell’amico di salutarlo, a inizio anno, lanciandogli contro una Cioccorana, anche se Ian doveva ammettere di essersi portato parecchio avanti con la collezione delle figurine proprio grazie ad Aster. Quest’ultimo invece, essendo più che avvezzo agli sguardi truci dell’amico, non si scompose neanche di un millimetro:
“Scusa, ti offro spuntini gratis per il viaggio e reagisci così? Per niente carino da parte tua.”
Tirando le labbra in una smorfia che voleva sembrare offesa Aster entrò definitivamente nello scompartimento insieme al suo baule, sedendosi di fronte al Compagno di casa e usando il suo ingombrante bagaglio come poggiapiedi mentre l’amico, sbuffando piano, scartava la Cioccorana.
“Ti è andata bene, ho trovato Hermione Granger, mi mancava.”
“Ecco, vedi, lagna che non sei altro? A parte l’abbronzatura noto che sei il solito scorbutico… come sta Jinge invece?” Dopo aver gettato una brevissima occhiata alle braccia abbronzate di Ian, segno tangibile delle settimane trascorse in Spagna durante le vacanze, Aster puntò lo sguardo sul gigantesco rapace dell’amico, che ancora sonnecchiava tranquillo.
“Dorme, e comunque reagisce solo se gli parli in spagnolo, lo sai.”
Una battutina su come il rapace fosse evidentemente un po’ rompipalle tanto quanto il suo padrone solleticò la punta della lingua di Aster, ma il biondo decise di astenersi – del resto avevano tutto l’anno per sfottersi – e il suo sorriso si allargò, invece, mentre accennava in direzione del finestrino con un lieve movimento della testa:
“Mason e Jack come stanno? Li ho intravisti sulla banchina e ci siamo salutati, ma ero un po’ di fretta.”
Aster aveva capito che avrebbe adorato i padri del suo amico sin dall’istante in cui li aveva incontrati, proprio su quella stessa banchina, cinque anni prima, quando erano scesi dal treno di ritorno dal secondo anno. In un primo istante aveva faticato a comprendere come Ian potesse avere non uno, ma ben due uomini ad occuparsi di lui, uomini che venivano chiamati entrambi “papà” dal ragazzino, ma dopo la perplessità iniziale Aster era riuscito a focalizzarsi solo e soltanto su come entrambi sembrassero persone piacevoli, gentili e genitori affettuosi, genitori che stravedevano visibilmente per il figlio. Ad Aster quel quadro familiare era apparso nuovo e sconosciuto, non soltanto per l’assenza di una madre, ma anche per il rapporto che il suo compagno di Casa sembrava avere con le persone che si prendevano cura di lui, e proprio in quell’istante aveva compreso come, probabilmente, non avrebbe mai smesso di provare anche solo una punta di invidia nei suoi confronti.
“Stanno bene. Ieri si sono fatti prendere dai classici sentimentalismi pre-partenza, ma immagino che senza avermi tra i piedi riusciranno a rilassarsi un po’ di più e concentrarsi sui fatti loro, quindi in realtà sono contento di partire.” Ian si strinse debolmente nelle spalle e parlò senza guardare l’amico mentre spezzava a metà la Cioccorana, intenzionato a dividerla. Addentò la sua parte e si sporse in avanti per offrire l’altra ad Aster prima di iniziare a spolverarsi la t-shirt nera da briciole inesistenti, e l’amico accettò il suo dono scoccandogli al tempo stesso un’occhiata quasi esasperata: aveva perso il conto delle occasioni in cui si erano ritrovati a vagliare quello stesso, identico argomento.
“Per loro non sei un peso, si vede da miglia. È tutta una tua stupida idea cretina.”
“Non permetto a uno che saluta le gente lanciando dolci di giudicare le mie idee, grazie tante… Li hai fatti tutti i compiti di Trasfigurazione?”
“Chiaro che no, devo finirli adesso. Tu?”
“Neanche io, ricordiamoci di finirli prima di arrivare.”


 
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“La peggior riunione della mia vita. Prima ci fanno spostare di carrozza per motivi misteriosi costringendoci a stringerci in uno scompartimento normale, e poi come se non bastasse… Aspetta.”
Dopo aver percorso buona parte della lunghezza del treno con passi lunghi, decisi e furiosi Wendy Lightwood si fermò bruscamente nel bel mezzo del corridoio della quarta carrozza per frugare all’interno della sua borsetta a tracolla bianca, estraendo una boccetta di profumo alla vaniglia che si spruzzò sul collo, sui lunghi e ondulati capelli color grano che le ricadevano sulla schiena e persino sul maglione a trecce color panna che indossava.
“Ne vuoi?”, domandò la Tassorosso mentre ruotava su se stessa per rivolgersi al ragazzo che l’aveva seguita fino a quel momento, mostrando al Serpeverde dai ricci capelli scuri la boccetta. Dopo un breve istante di esitazione volto ad adocchiare il profumo Isaac assentì con un cenno del capo, certo di averne un gran bisogno: non era sicuro che l’aroma alla vaniglia rientrasse tra i suoi preferiti, dolce com’era, ma di sicuro sarebbe stato comunque di gran lunga migliore rispetto al tremendo olezzo che si portava appresso da qualche minuto a quella parte.
“Decisamente un inizio anno di merda. Dici che non la possiamo mettere in punizione?”, domandò il ragazzo mentre Wendy lo avvolgeva con una nube che lo avrebbe fatto profumare come un cupcake appena uscito dal forno. La bionda, visibilmente risentita per quanto appena accaduto nel corso della riunione tra Prefetti, sbuffò seccata mentre chiudeva la boccetta e la rimetteva nella borsa, parlando con tono infastidito:
“No, non possiamo perché tecnicamente l’anno scolastico non è ancora iniziato. Pensi che i jeans dovrò bruciarli o con trenta lavaggi l’odore andrà via?”
Isaac non ne aveva idea – anche se confidava fortemente nell’abilità degli Elfi Domestici per non dover buttar via la giacca di jeans con lo stemma della sua Casa ricamato sulla schiena che indossava: la possedeva da ben sei anni, dopo averla ingrandita man mano che cresceva per poter continuare a metterla, e non avrebbe sopportato di doversene liberare per colpa di uno scherzo cretino –, ma in compenso sapeva per certo che avrebbe trovato il modo di restituire il favore ad Autumn Erwood entro la fine del primo trimestre. E Wendy, che evidentemente ormai doveva conoscerlo bene, sembrò intuire la natura dei suoi pensieri:
“Stai pensando a come vendicarti?”, domandò infatti la Tassorosso dopo aver ripreso a percorrere il corridoio per fare ritorno al loro scompartimento mentre si voltava brevemente verso di lui, aggiustandosi la montatura rotonda, sottile e dorata degli occhiali sul naso mentre un lieve sogghigno incurvava le labbra di Isaac.
“Chiaramente.”
 
Un paio di minuti dopo, quando Isaac spalancò la porta dello scompartimento della quarta carrozza dove, alcune ore prima, lui e Wendy avevano stipato i bagagli, Theodore e Margot smisero bruscamente di chiacchierare per voltarsi all’unisono verso gli altri due. Dapprima sorridenti, i volti dei due Tassorosso tradirono rapidamente una malcelata forma di lieve disgusto mentre guardavano perplessi Isaac e Wendy raggiungerli all’interno dello scompartimento, il primo sedendo vicino a Theodore e la seconda vicino a Margot.
“Che avete fatto? Cos’è questa puzza orribile?”, domandò Margot prima di riuscire a trattenersi, rendendosi conto solo un attimo dopo aver parlato di come quella domanda avrebbe potuto suonare potenzialmente molto offensiva. Fortunatamente né Wendy né Isaac sembrarono prendersela, anzi un accenno di sorriso divertito sollevò gli angoli delle labbra del ragazzo mentre si lisciava la giacca di jeans gettando un’occhiata di sbieco alla bionda:
“Sembra che il tuo profumo non funzioni poi così bene.”
“Autumn Erwood, ecco che è successo. Ha avuto la premura di interrompere la nostra riunione gettando una Caccabomba nello scompartimento. Vorrei ucciderla!”
“Mi state dicendo che MacMillan si è beccato una Caccabomba e io non c’ero?! Perché non me ne va mai bene una?” Margot gemette e premette la fronte contro il finestrino, guardando tetra il verdeggiante paesaggio scozzese in mezzo al quale stavano sfrecciando sotto ad un cielo grigio che prometteva pioggia, quasi stentando a credere di avere tanta sfortuna.
Scusa Margi, non abbiamo pensato di fare una foto. E tu levati quel sorriso idiota dalla faccia!”, intimò severamente Wendy puntando il pallido indice destro verso Theodore, che come da manuale solo sentendo menzionare la Grifondoro aveva iniziato a sfoggiare un sorriso un tantino ebete. Teddy arrossì, ma come sempre si affrettò a difendere le gesta di Autumn definendola “la persona più divertente che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita”.
L’amica, dal canto suo, nutriva seri dubbi a riguardo, ma decise di lasciar perdere ben sapendo quanto quell’ipotetica discussione non li avrebbe condotti da nessuna parte; in compenso però aveva urgente bisogno di uno snack per placare i nervi, così riprese a frugare nella borsetta per cercare una delle barrette al caramello con cui aveva riempito il baule e che era sempre solita portarsi dietro.
“Ammetto che la faccia di Phil sarebbe stata degna di essere immortalata. Ti ho proprio pensata, mentre gli pulsava una vena sulla tempia sembrando quasi sul punto di esplodere.” Mentre imitava Wendy aprendo una delle tasche del suo zaino (cosparso di spillette che raffiguravano i volti di Britney Spears e delle componenti delle Spice Girls) per tirare fuori una mela – ne aveva un sacchetto pieno raccolte direttamente da casa nello zaino –, una matita e un taccuino con l’elastico e la copertina verde scuro Isaac si rivolse a Margot con un sorriso e un giocoso colpetto sul piede, quasi a volerle tirare su il morale dopo aver appreso di non aver assistito al miglior spettacolo di tutto l’anno scolastico. Il piano del Serpeverde funzionò, e la Tassorosso smise di tenere lo sguardo incollato sul vetro del finestrino per ricambiare con un sorriso vivace che le si estese fino ai grandi occhi blu:
“Lo immaginerò nei momenti di tristezza. Quello e le facce che fa quando parliamo in gaelico davanti a lui.” Margot ridacchiò e Isaac si unì a lei mentre apriva il taccuino per tornare alla pagina che aveva abbandonato al momento di lasciare lo scompartimento insieme a Wendy – che si allungò verso Teddy per porgergli una barretta al caramello – per la riunione dei Prefetti. Aveva incollato il biglietto verticalmente su un lato e sull’altra metà della pagina aveva iniziato a dar vita ad un disegno dell’Espresso per Hogwarts rimasto incompleto.
“Lo fai anche a me un disegno sul tuo diario di viaggio dell’anno?”, gli chiese Teddy accennando al taccuino prima di rimettersi nelle orecchie le cuffie gialle del suo lettore CD, deciso a godersi parte del viaggio che restava ascoltando le canzoni degli ABBA che lui e Margot non avevano ascoltato insieme per la durata della tragica riunione che aveva coinvolto i due amici. La scozzese lo imitò tirando fuori il suo lettore dalla borsa a tracolla di cuoio, mentre Wendy dalla propria – i suoi amici non smettevano mai di chiedersi come riuscisse ad infilare tante cose in borsette minuscole – tirava fuori una copia di Emma di Jane Austen che vantava un’immacolata copertina di tessuto verde salvia. Solo osservando le loro cose non sarebbe stato affatto difficile per un estraneo stabilire chi fosse, dei quattro, quello più preciso e ordinato.
“Certo, ma prima che l’immagine di poco fa svanisca per sempre dalla mia mente faccio un ritratto di Phil, così Margot può guardarlo nei momenti di sconforto.”


 
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In vista dell’arrivo Lena e Cornelia si erano già cambiate, sostituendo gli abiti con cui quel mattino avevano lasciato casa insieme a genitori e bagagli con la divisa. L’Espresso per Hogwarts sfrecciava rapido nell’ormai completa oscurità, rendendo difficile alle due giovani streghe scorgere qualcosa al di là del finestrino appannato dalle pesanti gocce di pioggia che si abbattevano violentemente sulla superficie di vetro a causa della velocità della locomotiva.
Per ammazzare l’attesa Cornelia aveva tirato fuori una scacchiera e un piccolo scrigno di legno che conteneva i pezzi dal baule, sedendosi vicino all’amica e sistemando il tavoliere a quadri in mezzo a loro.
“Non si direbbe proprio che siamo in Scozia, eh? Credo che ci sia persino la nebbia.”, osservò distrattamente Lena gettando una rapida occhiata al di sopra della spalla dell’amica per scrutare brevemente il finestrino appannato, quasi pentendosi di essersi presa la briga di sistemarsi con tanta cura i lunghi capelli biondi prima di uscire di casa mentre si sfiorava il nodo della cravatta verde e nera, allacciata e infilata nello scollo del maglione nero.
“Sinceramente speravo non piovesse almeno per l’arrivo, se diluvia come sembra ad Hogwarts ci dovremo arrivare a nuoto. Cavallo in H3.”
Entrambe rimasero in silenzio mentre osservavano il pezzo nero di Cornelia spostarsi trascinandosi sui riquadri, e Lena stava riflettendo sulla mossa successiva quando un gran baccano proveniente dal corridoio ne attirò l’attenzione, portando la russa a voltarsi verso la porta scorrevole chiusa dello scompartimento giusto in tempo per riuscire a scorgere la silhouette di una ragazza dai lunghi capelli rossi sfrecciare lungo la carrozza con le braccia piene di confezioni di carta colorate. A quanto sembrava, Autumn Erwood aveva saccheggiato il carrello degli snack.
“Come fa a muoversi tanto in fretta?”, osservò Cornelia aggrottando le sopracciglia proprio mentre Håkon Jørgen entrava nel loro campo visivo ancora senza divisa e seguendo a grandi passi l’amica, intimandole a gran voce di smetterla di schizzare da una parte all’altra come un fuoco d’artificio impazzito e facendole notare, Lena avrebbe potuto citarlo testualmente, che “i Prefetti avrebbero fatto ad entrambi un culo grande come la Torre di Astronomia grazie alla solita idea di merda con cui aveva deciso di iniziare l’anno”. A cosa di preciso il Grifondoro si stesse riferendo la Serpeverde non lo sapeva, ma venne colta dall’improvvisa certezza che lo avrebbe compreso molto presto.
“In verità l’ho intravista sulla banchina insieme ad Håkon, e aveva i pattini ai piedi. Credo che li indossi anche ora.” Lena tornò a puntare il proprio sguardo sull’amica abbozzando un sorriso divertito con gli angoli delle labbra, e Cornelia reagì fissando assorta la porta di vetro dello scompartimento mentre cercava di comprendere quale fosse la sua opinione a riguardo: conosceva Autumn Erwood da quando entrambe erano solo delle ragazzine, e ancora non era sicura di essere in grado di etichettare la Grifondoro. Quel che era certo, si disse la Corvonero, era che sia suo padre che suo fratello avrebbero approvato l’idea dei pattini su tutta la linea; poteva solo sperare che Teddy non l’avesse vista, o l’anno dopo avrebbe dovuto comprargli delle ginocchiere.
“Non so proprio dire se è geniale o fuori di testa. Ma credo che stiamo iniziando a rallentare, forse non manca molto per arrivare.”
“Per fortuna, ho famissima. Quando sono andata a vedere il carrello degli snack era quasi vuoto.”
Lena gettò un’altra occhiata al finestrino sperando di riuscire a scorgere le luci di Hogsmeade brillare in lontananza agognando il momento in cui avrebbero finalmente varcato le porte della Sala Grande, che le avrebbe messe al riparo dal freddo e dalla pioggia in tutta la sua maestosità. Quella era di gran lunga la parte del castello che la ragazza preferiva: calda, accogliente e magnifica, si poneva in netto contrasto con la sua Sala Comune, che invece era sempre piuttosto fredda, oltre che perennemente semibuia e dall’atmosfera un tantino lugubre. Si capiva quanto Salazar Serpeverde fosse stato un tipo allegro semplicemente mettendo piede lì dentro.
“E ti sorprende? MacMillan, Clarence e Autumn lo saccheggiano ogni anno.”



“Piove da far schifo.”, osservò Raymond gettando un’occhiata rassegnata fuori dal finestrino – solo in quel momento si ritrovò a riflettere su come tutti quegli anni trascorsi a girovagare per il Centro e Sud America lo avessero reso totalmente impreparato per affrontare il clima scozzese – mentre Declan, seduto di fronte a lui all’interno dello scompartimento della prima carrozza, vicino a dove si erano radunati i Prefetti per la loro consueta riunione di inizio anno, si lamentava sommessamente di aver fame.
L’ex Serpeverde alzò gli occhi al cielo, ma fortunatamente il treno stava visibilmente rallentando da qualche minuto a quella parte, segno inequivocabile del loro essere ormai quasi arrivati alla stazione di Hogsmeade.
“Hai paura di rovinare il tweed?”, gli domandò Declan rivolgendogli un sorriso allegro e guardandolo divertito mentre, seduto con le gambe accavallate, faceva dondolare lentamente il piede destro. Ora che ci rifletteva, ricordava vagamente qualche cenno di vanità da parte dell’ex compagno di scuola risalente già ai tempi in cui entrambi erano studenti. Non era Raymond quello che se l’era presa con uno studente più piccolo che gli aveva rovinato la veste calpestandola accidentalmente?
Certo che ho paura di rovinare il tweed.”, replicò l’ex Serpeverde senza scomporsi di un millimetro e guardandolo con aria sostenuta, come se non avesse alcun problema a far sapere al prossimo di tenere in maniera particolare alle proprie cose. Soprattutto quelle belle, e Raymond di cose belle e di valore ne possedeva parecchie.
“Io ho passato troppo tempo nelle foreste pluviali per aver paura di un po’ di pioggerella. Speriamo invece che per cena ci sia lo shepherd’s pie…”
“Questa la chiami pioggerella?”, domandò Raymond indicando scettico il finestrino mentre inarcava un sopracciglio, ma Declan si limitò ad un placido sorriso e a una debole stretta di spalle, come se il mal tempo non lo preoccupasse affatto. No, ciò a cui pensava l’ex Grifondoro era l’ormai imminente Banchetto di inizio anno, visto da quanto non mangiava.
Poco dopo, mentre il treno si fermava, entrambi si vestirono, e Raymond indossò un impermeabile beige che a detta di Declan lo fece sembrare, anche grazie alla sua stazza, in tutto e per tutto un detective creato dalla penna di Raymond Chandler.
“Se avessi un cappello saresti pronto ad andare all’aeroporto ad impedire ad Ingrid Bergman di salire su un aereo.”, sghignazzò Declan mentre precedeva lo Spezzaincantesimi fuori dallo scompartimento insieme alla sua valigia e al trasportino di Daffodil, la gatta balinese dagli occhi color cielo che il Grifondoro aveva coccolato per la maggior parte del viaggio.
“Bogart sarà stato alto più o meno un metro meno di me, genio.”
Determinati a scendere dal treno non appena il mezzo si fosse fermato alla stazione per evitare di restare incastrati in una folla di ragazzini i due si piazzarono vicino alle porte della prima carrozza, che Raymond aprì con un solo movimento deciso del braccio destro non appena l’Espresso per Hogwarts ebbe arrestato la sua corsa. L’ex Serpeverde si sporse per osservare dopo tanti anni la stazione di Hogsmeade, stupendosi nel constatare come quasi ogni dettaglio fosse sorprendentemente rimasto impresso molto chiaramente nei suoi ricordi.
“Non ci credo, c’è Hagrid! Non è ancora andato in pensione?”, esclamò sgomento e piacevolmente stupito Declan quando, sporgendosi a sua volta dal treno, scorse l’altissima figura del mezzogigante stagliarsi in fondo alla banchina, la lunga barba ormai completamente grigia e impegnato a richiamare a gran voce l’attenzione dei giovani studenti dei primo anno.
“Evidentemente no. Forza, andiamo a prenderci una carrozza.”
Raymond balzò agilmente giù dal treno insieme alla valigia e alla gabbia del suo gufo reale, immediatamente seguito dal collega mentre anche i primi studenti iniziavano a fluire sulla banchina. I due divennero immediatamente uno degli oggetti principali degli sguardi intimoriti dei bambini del primo anno, e Raymond dovette persino arrestare bruscamente le proprie lunghe falcate per evitare di investire un paio di ragazzine bionde, due sorelle gemelle identiche con le trecce. Lo Spezzaincantesimi le invitò pacatamente a superarlo, ed ebbe come l’impressione di sentire Declan ridacchiare quando le due giovanissime streghe, minuscole se paragonate a lui, lo guardarono spaurite prima di schizzare via senza dire una parola, scarlatte in volto.
“Che rubacuori, fai già conquiste!”
La nomea di rubacuori Raymond l’aveva avuta per buona parte della sua carriera scolastica, ma a mantenerla nelle vesti di insegnante non ci teneva affatto, soprattutto se si parlava di minorenni, pertanto roteò gli occhi blu prima di invitare caldamente il collega a seguirlo con un cenno della sua valigia di pelle. Declan obbedì ma non senza smettere di sorridere: da quando aveva scorto Raymond sulla banchina di King’s Cross era stato colpito dalla consapevolezza che quell’anno sarebbe stato molto più divertente del previsto.

 
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“Freddino, eh?”
Più o meno venti minuti dopo essere scesi dal treno Declan e Raymond avevano finalmente messo piede nel Salone d’Ingresso, e l’ex Grifondoro si stava asciugando i lisci capelli biondi umidi di pioggia facendo fuoriuscire rivoli di aria calda dalla punta della sua bacchetta. I bagagli e le gabbiette dei rispettivi animali ai loro piedi, i due ex studenti si erano fermati in un angolo del vasto salone per non ostruire il passaggio dei ragazzi che cercavano riparo dal maltempo varcando di corsa il portone di quercia, alcuni rischiando di scivolare rovinosamente sul pavimento di pietra bagnato. Raymond, in piedi accanto all’ex compagno di classe, si sfilò l’impermeabile ripiegandolo con cura sul braccio destro mentre faceva rimbalzare i grandi occhi blu sull’ambiente familiare che lo circondava: le clessidre alle sue spalle, la grande porta della Sala Grande, la scalinata di marmo che conduceva ai piani superiori, nonché quella che portava ai Sotterranei e alla sua vecchia Sala Comune, gradini che aveva salito e disceso almeno un paio di volte al giorno per una buona fetta della sua vita, tutti elementi che evocavano un infinito flusso di ricordi che gli si accavallavano in maniera confusionaria gli uni sugli altri nella mente.
“Pare impossibile che l’abbiano rimessa in sesto di recente, mi sembra identica a quindici anni fa.”
“È vero, l’ho pensato anche io ad agosto, quando sono venuto a parlare con la Professoressa McGranitt… e non è assurdo pensare che non ci sia più Silente? Ricordo che quando morì quasi non ci credetti per settimane intere. Continuo a pensare di entrare lì dentro,” Declan accennò con il mento in direzione delle porte aperte della Sala Grande “e di vederlo seduto al centro del tavolo.”
“Sì, ma sono sicuro che la McGranitt stia facendo un ottimo lavoro.”
“Quindi adesso chi è Vicepreside?”
“Di solito queste cose funzionano per anzianità, quindi immagino che si tratti del caro vecchio Professor Lumacorno.”
Raymond si strinse debolmente nelle spalle larghe simulando un’indifferenza che non gli apparteneva affatto quando si parlava del loro ex insegnante di Pozioni, e parlò sperando con tutto se stesso che Declan, dopo tutti quegli anni, avesse dimenticato. A giudicare, invece, dal modo in cui il botanico spalancò improvvisamente i tondi occhi azzurri Raymond dovette arrendersi all’evidenza e alle prese per il culo che ne avrebbero conseguito.
“Porco Godric, l’avevo scordato. Non eri tipo il suo cocco?!” Ed ecco che i peggiori timori dello Spezzaincantesimi si materializzarono brutalmente, ma fece del suo meglio per continuare a fingersi indifferente mentre scuoteva il capo e inarcava un sopracciglio con studiata perplessità, come se non stesse capendo a cosa il coetaneo si stesse riferendo.
“Non lo ero affatto.”
Sfortunatamente Reymond aveva sottovalutato l’ottima memoria di Declan, che messo da parte lo stupore iniziale scoppiò a ridere senza nessuna pietà per l’orgoglio del Serpeverde:
“Sì invece, Merlino, ti sventolava a destra e a sinistra con quel fare trionfo, ti adorava. Pendeva dalle tue labbra.”
“Sono sicuro che i tuoi ricordi sono riconducibili a qualcun altro, del resto sono trascorsi secoli.”
Declan stava invitando il collega a non prenderlo per il culo quando Marjory, Claudia e Keith varcarono a loro volta la soglia del castello, mettendosi finalmente al riparo dalla pioggia violenta che si stava abbattendo su tutta la zona.
“Avevo quasi scordato quanto spesso piova da queste parti.”, rise Marjory, per nulla preoccupata dal maltempo, mentre si dava una lieve strizzata alla coda bassa con cui aveva legato i lunghi capelli castano-rossicci dopo aver posato brevemente sul pavimento i trasportini dei suoi due animali – Cary, il suo barbagianni, non sembrava per nulla contento di essersi bagnato le piume –. Claudia, seguendola insieme alla sua valigia mentre quelle dell’ex Tassorosso seguivano la proprietaria galleggiando a mezz’aria, si tastò sospirando i capelli scuri umidi prima di gettare un’occhiata sconsolata ai propri piedi, improvvisamente più che pentita di aver scelto di indossare un paio di Mary Jane per il viaggio.
“Ti consiglio di indossare degli stivali quando esci dal castello.”
Keith indugiò accanto all’americana guardandosi brevemente attorno prima di gettare a sua volta un’occhiata ai piedi quasi nudi della strega, rivolgendole un mite accenno di sorriso che la strega ricambiò mentre annuiva, rassegnata e grata di aver messo un paio di Hunter di gomma in valigia:
“Suppongo che farò meglio a ricordarlo.”
Mentre estraeva la bacchetta dalla tasca interna della giacca di tweed marrone con l’obbiettivo di asciugarsi almeno parzialmente i capelli Marjory fece vagare lo sguardo sul resto del Salone d’Ingresso, e un sorriso allegro le incurvò le labbra rosee quando i suoi occhi blu indugiarono su un paio di persone ferme in un angolo della sala, entrambe con il proprio bagaglio al seguito. Certa di avere di fronte i restanti futuri colleghi la strega non esitò ad avvicinarsi per andare a presentarsi, entusiasta all’idea di fare nuove conoscenze.
Raymond non amava fare nuove conoscenze, ma quando scorse una donna avvicinarsi a lui e a Declan quasi tirò un sospiro di sollievo: se conosceva Declan almeno un po’ sapeva che il Grifondoro si sarebbe fatto prendere dalla parlantina dimenticandosi di lui e di Lumacorno almeno per qualche minuto. La strega, che non era difficile immaginare fosse una dei loro colleghi nuovi di zecca, si fermò infatti ad un metro da loro e rivolse ad entrambi un sorriso cordiale, vivace e contagioso:
“Buonasera. Sono Marjory, molto piacere.”
Aveva un aspetto decisamente bizzarro, osservò Raymond mentre Declan, ricambiando il sorriso della strega, allungava la mano per stringere la sua e presentarsi, e non solo per i capelli bagnati che le incorniciavano il viso dalla carnagione rosea. Non era molto alta, e i suoi grandi occhi rotondi, uniti al sorriso che sfoggiava e ad un abbigliamento bizzarro – al di là delle uniformi scolastiche Raymond non aveva mai visto una donna portare la cravatta in tutta la sua vita – gli fecero immediatamente pensare al personaggio di un qualche cartone animato per bambini. Sembrava persino di ottimo umore nonostante avesse i capelli quasi completamente fradici, altro elemento che stranì leggermente lo Spezzaincantesimi. Però, dovette ammetterlo, indossava una bella giacca di tweed.
“Declan.”
Dopo aver stretto la mano al sorridente ragazzo biondo Marjory si rivolse all’altro, più alto di alcuni centimetri e particolarmente ben vestito. La piccola mano della strega non vacillò, sospesa a mezz’aria verso di lui, e Raymond la strinse delicatamente con la propria, molto più grande, dopo qualche breve istante passato a giudicarla silenziosamente con lo sguardo.
“Raymond Aldridge.”
Mentre si presentava con un tono infinitamente più formale e distaccato rispetto a quello usato da Declan Marjory ebbe la certezza che l’uomo la stesse in qualche modo giudicando silenziosamente, ma anziché farsi intimidire o scoraggiare continuò imperterrita a sorridere, per nulla preoccupata:
“Oh, siete entrambi inglesi. È bello essere tornati, vero?”
“Sorvolando sul tempo delizioso.”, commentò con tono pacato Raymond mentre Keith e Claudia, ancora alle spalle di Marjory, si avvicinavano al trio. Declan roteò gli occhi blu prima di gettare al Serpeverde un’occhiata con cui era sua intenzione consigliargli di sforzarsi per sembrare più simpatico, ma Marjory dimostrò di avere un entusiasmo difficile da smontare rivolgendogli un sorriso altrettanto pacato:
 “Se ha studiato qui sa che fa parte dell’esperienza, o sbaglio?”
Raymond non rispose, limitandosi a studiarla leggermente accigliato, e prima che potesse dire altro Claudia e Keith li raggiunsero.
“Salve. Claudia Westbrook, molto piacere.” Di norma non si presentava al prossimo con i piedi fradici, specie in ambito lavorativo, ma Claudia si sforzò comunque di sorridere ai due sconosciuti cercando di apparire più socievole di quanto in realtà non fosse: poco prima aveva guardato Marjory dirigersi senza indugio per fare le presentazioni realizzando quanto profondamente invidiasse le persone spigliate e spontanee quanto lei, che invece in certe situazioni i discorsi doveva quasi prepararseli in anticipo. L’americana strinse la mano a Declan e poi a Raymond e Keith la imitò subito dopo mentre il botanico, sorridendo con aria amichevole, batteva una mano sulla spalla del Serpeverde:
“Declan, lui è Raymond. Stiamo aspettando che la nostra carissima Preside venga a darci istruzioni, presumo… A proposito, come dovremmo chiamarla, Preside o Professoressa?”, domandò il biondo alzando lo sguardo sul collega, che sbuffò piano mentre incrociava le braccia muscolose al petto:
“Perché lo chiedi a me, ti sembro un suo amico? Chiamala come vuoi, basta che eviti McGranator come quando eravamo al VI anno.”
“Sì, scusa, scordavo che tu sei culo e camicia solo con Luma.”
Mentre Claudia rivolgeva una rapida occhiata quasi affranta in direzione di Keith, che le assicurò con un cenno silenzioso che le avrebbe spiegato in un secondo momento, Marjory dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per astenersi dal far sapere a voce alta di aver avuto la certezza di essere di fronte un ex cocco di Lumacorno non appena si erano presentati: sua madre glielo aveva ripetuto fino allo sfinimento fin da quando era bambina, di non poter sempre dare voce a tutto quello che le passava per la mente. Le scappò comunque un accenno di risatina, e Raymond, a giudicare dall’occhiata sostenuta che le scoccò dall’alto in basso, non diede cenno di aver gradito.

 
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“Che tempo di merda.”
Dopo ben tre mesi trascorsi sulla West Coast il clima scozzese lo aveva accolto, se possibile, nel peggiore dei modi: Aster varcò la soglia del castello superando l’alta porta di quercia aperta scrollandosi leggermente il cardigan nero della divisa che aveva infilato, sbottonato, sopra alla camicia bianca. La veste non ne aveva voluto sapere di indossarla quando, ancora a bordo del treno, lui e Ian avevano appurato quanto violentemente stesse piovendo: indossare la veste avrebbe significato trascinarsi appresso un pesante e ampio pezzo di stoffa fradicio fino alla fine del Banchetto, e nessuno dei due aveva intenzione di usare i propri indumenti per lucidare i pavimenti di pietra della scuola.
Mentre alle loro spalle imperversava una tempesta in piena regola Aster si passò una mano tra i lisci capelli biondi lunghi fino alle spalle, quasi del tutto madidi di pioggia tanto quanto quelli scuri dell’amico, cercando di rendersi un po’ più presentabile mentre nel Salone d’Ingresso stracci incantati cercavano di asciugare come potevano il pavimento e gli studenti accorrevano all’interno per cercare rifugio dalla pioggia, alcuni lamentandosi a gran voce per lo stato pietoso in cui avrebbero versato i propri capelli in occasione del Banchetto di inizio anno.
“Mi fanno quasi pena quelli del primo anno, pensa arrivare in barca con questo tempo.”
“Probabilmente si faranno una nuotata.”, convenne Ian mentre i due si affrettavano in direzione delle porte spalancate della Sala Grande, ansiosi di sedersi a tavola dopo tante settimane di assenza e di attendere l’inizio dello Smistamento insieme ai loro compagni di Casa, riparati dal calore emesso dai due enormi caminetti che scaldavano l’ambiente. Passando il Serpeverde adocchiò un curioso manipolo di persone che non aveva mai visto prima d’allora, tre uomini e due donne che conversavano in un angolo del salone, a poca distanza dalle quattro enormi clessidre dei punti ancora vuote.
Ian aggrottò la fronte chiedendosi di chi potesse trattarsi, ma convincendosi che dovesse trattarsi di qualche inviato del Ministero non si attardò nel salone sempre più gremito di studenti fradici e neppure condivise a voce alta le sue perplessità con l’amico, che sembrava non aver affatto notato il gruppo di sconosciuti. I due superarono le porte ritrovandosi a fronteggiare l’enorme e familiare Sala Grande ancora quasi deserta, le lunghe tavolate apparecchiate, come voleva la tradizione, con posate e piatti d’oro e decine e decine di candele che fluttuavano sopra le panche.
Nessuno dei due aveva avuto l’accortezza di indossare la cravatta verde e nera della divisa, e mentre si incamminavano verso il loro tavolo Aster ebbe come l’impressione di scorgere un’occhiata torva rivolta a se stesso e all’amico proveniente dalla Preside, che stava attraversando la sala a passo svelto e avvolta da una veste verde fluttuante. Essendo avvezzo alle ramanzine a causa della scarsa considerazione che era solito nutrire nei confronti della divisa – caratteristica che lui e Ian avevano in comune – Aster non si scompose per nulla, anzi sorrise gentilmente alla Preside come se nulla fosse, certo che quella sera la donna avesse ben altro da fare piuttosto che perdere tempo per un paio di cravatte dimenticate volutamente all’interno dei bauli.
“Che fame, speriamo che con lo Smistamento se la sbrighino in fretta.” Aster sospirò mentre lui e Ian si affrettavano a prendere posto dando le spalle alla parete, sia per godere di un’ottima visuale sul resto della Sala Grande, sia per fare in modo di mettersi il più vicini possibili all’enorme caminetto di pietra, lasciando che le fiamme asciugassero l’acqua che si era accumulata sui loro maglioni nel breve tragitto tra la carrozza e il portone di quercia dell’ingresso.
“Sempre che i poverini del primo anno arrivino sani e salvi.”, ironizzò Ian mentre si metteva comodo sulla panca cercando di scollarsi il cardigan e la camicia fradici dalla schiena, per nulla intenzionato ad iniziare il suo ultimo anno scolastico con l’influenza.
“Peggio che a quelli della nostra età non potrà andare comunque. Pensa che bellezza venire accolti da quella megera della Carrow... Ciao Lena.” Il solo ricordo della donna più perfida che avesse mai avuto la sfortuna di incontrare in tutta la sua vita aveva destato una smorfia di puro disgusto sul viso di Aster, che a causa di quegli orribili ricordi salutò la ragazza alta, longilinea e bionda che passò davanti a lui e all’amico con un tono un po’ più cupo di quanto non fosse stata sua intenzione.
“Ciao ragazzi.” Mentre superava i loro posti camminando accanto a Cornelia la ragazza indirizzò un lieve accenno di sorriso ad entrambi i compagni di classe, andando infine a sedersi qualche metro più avanti in modo da poter seguire meglio lo Smistamento. Com’era loro abitudine per riuscire a scambiare qualche parola anche nel corso dei pasti Cornelia sedette al tavolo dei Corvonero praticamente alla stessa altezza del posto che aveva occupato l’amica, a poca distanza da Sawyer Rhodes e da Philip MacMillan, che si stava strofinando nervosamente i ricci capelli biondi certo che la pioggia li avrebbe ben presto resi in condizioni pietose.
“Certo che potrebbero lasciarcelo qualche grissino mentre aspettiamo lo Smistamento.”, osservò distrattamente Aster dopo qualche breve istante di silenzio mentre fissava pensoso le candele che fluttuavano sopra la sua testa e quella dell’amico, deciso a fare in modo di eliminare il ricordo del suo primo anno ad Hogwarts dalla conversazione. Nonostante potesse intuire facilmente le intenzioni dell’amico Ian all’udire quelle parole smise di scrutare il tavolo degli insegnanti – i cinque sconosciuti che aveva notato prima di entrare avevano appena sfilato in mezzo ai tavoli insieme alla McGranitt e si erano uniti al corpo docenti occupando un’estremità della tavolata – per gettargli un’occhiata piena di rassegnazione:
“Ma non ti sei mangiato non so quante Gelatine sul treno?”
“In mia difesa, la metà faceva schifo. Ho una sfiga rara quando si tratta di azzeccare i gusti decenti.”
 
 
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“Hai idea di chi siano quelle persone?”
A pochi minuti dall’inizio del Banchetto Håkon pronunciò quelle parole stringendo una pirofila di ceramica piena di carote al burro e con gli occhi scuri puntati sul lungo tavolo degli insegnanti, scrutando i cinque volti nuovi che sedevano uno accanto all’altro, tutti presi dalla cena e dalle chiacchiere. Uno di loro, un tizio molto attraente con la barba e gli occhi azzurri, sembrava essere stato preso in ostaggio da Lumacorno – che chiacchierava tagliando un’enorme bistecca al sangue, con tanto di tovagliolo appeso allo scollo del maglione a mo’ di bagaglio per non sporcarsi – e dalla sua parlantina fluente, mentre gli altri quattro, due uomini e due donne che dimostravano all’incirca tutti tra i trenta e i trentacinque anni, parlavano tra loro.
Fno.”
Håkon distolse lo sguardo dall’estremità del tavolo che ospitava i nuovi arrivati, nonché la più vicina al tavolo dei Grifondoro, per gettare un’occhiata alla sua migliore amica, che come da consuetudine gli si era seduta di fronte. Il ragazzo si rammentò delle carote e se ne servì una generosa cucchiaiata, accanto alle patate arrosto e al filetto di salmone che aveva adocchiato non appena i piatti da portata d’oro, le zuppiere di porcellana e le teglie ammassate sul tavolo si erano riempite, e si ritrovò ad inarcare scettico un sopracciglio mentre osservava Autumn alle prese con la cena con tutta la grazia e l’eleganza che notoriamente la contraddistinguevano: la giovane strega stava dimostrando il suo apprezzamento per il pollo arrosto stringendo una coscia per mano, addentando l’una e l’altra senza curarsi di ungersi le labbra carnose.
“Come fai ad avere così fame dopo tutto quello che ti sei sbafata sul treno?”, domandò perplesso il Grifondoro nel rammentare tutte le schifezze che, come voleva la tradizione, lui e Autumn avevano acquistato dall’anziana e gentile signora che spingeva il carrello degli snack avanti e indietro per l’Espresso per Hogwarts. Lui, naturalmente, si era anche portato da casa una bella scatola di metallo piena dei biscotti al burro che preparava sua madre, e lui e Autumn avevano diviso anche quelli durante il viaggio (avrebbe provveduto a chiederne altri a Winnie entro la fine della settimana).
Certo anche lui era affamato, ma anche dopo sei anni di amicizia si domandava come facesse la sua amica ad ingurgitare tanto cibo.
Ho fame! Ehy, Jones, non azzardarti a finire lo Shepherd’s Pie! Håkon, passami la teglia.” Dopo aver silurato un ragazzino del terzo con una sola occhiata Autumn mollò le cosce di pollo sul piatto e si pulì le dita unte sul tovagliolo bianco mentre l’amico, alzando gli occhi al cielo, si allungava verso lo sformato oggetto del desiderio della ragazza, nonché uno dei suoi piatti preferiti in assoluto.
“Ne vuoi ancora Gregory? Non preoccuparti di Autumn.” Una volta sollevata la teglia Håkon si rivolse gentilmente al ragazzino che gli sedeva accanto, invitandolo a servirsi ancora mentre dall’altra parte del tavolo Autumn sbarrava gli occhi inorridita, accusando l’amico di non “stare dalla sua parte” mentre Gregory, intimorito da Håkon e dal suo aspetto minaccioso ma infinitamente di più dalla sua amica, scuoteva il capo facendosi piccolo piccolo sulla panca di legno.
“Come preferisci… Tieni Autumn.” Arreso, il Grifondoro porse la teglia di porcellana all’amica, che fu ben lieta di farsi posto nel piatto pieno – impresa ardua – per servirsi un po’ di sformato mentre il ragazzo iniziava finalmente a tagliare il suo invitante filetto di salmone al forno. Una volta che Autumn si fu servita Håkon seppe di poter ritornare alle sue domande:
“Allora, che ne pensi dei nuovi arrivati?”
“Penso siano tutti molto fighi, ma al mio arco non ho altre informazioni purtroppo. Ma non ha senso che si tratti di insegnanti nuovi, no?”, osservò distrattamente la strega mentre raccoglieva dal piatto una generosa quantità di patatine fritte cosparse di ketchup. Scettico, Håkon inarcò un sopracciglio mentre masticava il suo salmone, aspettando di deglutire prima di tornare a parlare:
“Perché dici di no?”
Autumn si strinse nelle spalle mentre tornava a rivolgersi all’amico, puntandogli contro una coscia di pollo e prendendo ad agitarla debolmente man mano che elencava – con una serietà che difficilmente ci si sarebbe immaginati da qualcuno che parlava brandendo del pollo – le ragioni che l’avevano spinta a trarre quella conclusione:
“Punto primo, sono cinque. Sono troppi. Punto secondo, nessuno doveva andare in pensione, anche se per Luma sarebbe ora… Punto terzo, nonché più importante, basta guardare il tavolo per appurare che i prof ci sono tutti. Forse sono ex studenti pupilli di Luma in visita di cortesia, o magari lavorano per il Ministero o che so io.”
Nonostante fosse arduo prendere sul serio Autumn dato ciò che teneva in mano – a cui si aggiungevano suoi i capelli, raccolti in un disordinato ammasso color rame sulla nuca per non rischiare di sporcarli –Håkon dovette riconoscere che le osservazioni dell’amica avevano una loro logica, pertanto gettò un’ultima occhiata in direzione del tavolo prima di annuire e stringersi nelle spalle:
“Immagino che la McGranitt ce lo dirà alla fine della cena.”
“Esattamente. E poi, cosa mai potrebbero insegnarci di nuovo?”
Forse a mangiare con le posate.”
 

Mezz’ora più tardi il Banchetto stava ormai giungendo al termine: le portate principali erano sparite dai piatti lasciando posto ai dolci, e quasi tutti gli studenti non avevano esitato a servirsi porzioni di pudding, soufflé al cioccolato, Tiramisù, gelato o soffici e alte fette di Carrot Cake o Victoria Sponge(6).
Al tavolo dei Corvonero Phil, come da tradizione, aveva deciso di concedersi un assaggio di praticamente tutti i dolci – non voleva certo offendere il duro lavoro degli Elfi Domestici –, inclusa una meringa avvolta da una vaporosa nuvola di panna montata. Stava giusto spostando un po’ di panna su un angolo della sua fetta di Carrot Cake quando Sawyer, che gli sedeva accanto e aveva preso solo un soufflé al cioccolato, gettò un’occhiata divertita al suo piatto pieno prima di ridacchiare:
“Ogni anno mi scordo della tua ossessione per i dolci.”
“La mia non è affatto ossessione, potrei smettere quando voglio.” Esattamente ciò che andava ripetendo suo padre quando la madre lo pregava di smettere di fumare, osservò silenziosamente Sawyer prima di raccogliere le ultime briciole di soufflé con il cucchiaio d’oro da dessert.
“Vorrei proprio vederti mentre ci provi. Stai attento però, il diabete è una brutta piaga.”
Phil non rispose, ma in compenso infilzò con una minuscola forchettina d’oro il pezzo di torta e fu ben felice di assaggiarla, gioendo silenziosamente per il suo ritorno ad Hogwarts: certo, suo fratello gli mancava, ma ogni anno dimenticava quanto eccellente fosse la cucina degli Elfi Domestici.
Pochi minuti dopo il giovane Corvonero stava giusto discutendo insieme a Sawyer per decretare quale fosse la materia più inutile insegnata ad Hogwarts – secondo Phil Divinazione svettava clamorosamente su tutte le altre, ma Sawyer si diceva combattuto con Erbologia – quando ogni singola voce che fino ad un attimo prima aveva animato la Sala Grande si spense bruscamente: Minerva McGranitt sembrava aver deciso di poter porre fine al Banchetto, o quantomeno che fosse giunta l’ora delle sue rituali comunicazioni di servizio di inizio anno, e la sua figura alta e sottile si stagliò contro la sedia simile ad un trono su cui sedeva quotidianamente.
Mentre i capelli un tempo corvini, ormai argentei, quasi brillavano sotto la calda luce emessa dalle candele fluttuanti la donna attese finchè la Sala Grande non divenne del tutto silenziosa, facendo scivolare gli ammonitrici e severi occhi verdi sulle quattro tavolate mentre anche Declan e Marjory, temendo che potesse sentirli e forse a causa di qualche reminiscenza del passato, smettevano improvvisamente di scambiarsi i loro personalissimi ricordi legati proprio alla donna in questione.
“Prima di tutto, vorrei risolvere la curiosità che probabilmente molti di voi serbano da quando hanno preso posto: immagino avrete notato un insolito numero elevato di commensali seduti al tavolo degli insegnanti. I signori qui presenti saranno nostri ospiti, quest’anno, per tenere dei corsi extra rivolti agli studenti del VI e del VII anno, dunque siete pregati di trattarli con lo stesso rispetto che riservate a tutti gli altri insegnanti.”
Un notevole brusio si impossessò della Sala Grande non appena Minerva McGranitt ebbe parlato, e centinaia di voci echeggiarono in maniera confusionaria tra le alte pareti del castello, alcune prese a bisbigliare concitate e altre a lamentarsi sommessamente con il proprio vicino di posto. Håkon Jørgen, al contrario, smise brevemente di osservare la Preside per rivolgersi direttamente alla sua migliore amica, che se ne stava a bocca aperta come gran parte dei loro coetanei, scuotendo il capo rassegnato:
Come al solito non hai capito un cazzo.”
Ma che cazzo vuoi, ti sembro Sherlock Holmes? Taci un po’, voglio sentire!”
 
“Perché le ragazze sembrano colpite da dei fulmini?” La considerazione che Phil nutriva verso alcune delle sue coetanee non era propriamente elevatissima già di norma, ritenendone una parte uno stormo di oche giulive ossessionate dal suo migliore amico e dallo smalto per le unghie, ma dopo la comunicazione della Preside ebbe l’impressione che i cervelli di alcune di loro fossero andati in cortocircuito: accigliato, guardò le sue compagne di classe prendere a bisbigliare concitate tra loro rivolgendo continue occhiate condite da risolini al tavolo degli insegnanti mentre alcune ragazzine del quarto anno gemevano e si lamentavano, visibilmente deluse di non essere state incluse. E non erano le sole, osservò rapidamente il Corvonero mente lo stesso fenomeno si diffondeva a macchia d’olio anche tra i commensali degli altri tavoli. Da quando tutta quella gente moriva dalla voglia di studiare?
“Lo hai guardato bene il tavolo degli insegnanti?”, fu tutto ciò che riuscì a chiedergli Sawyer mentre smetteva di scrutare la Preside per tornare a guardare l’amico inarcando un sopracciglio, scettico. Phil obbedì, studiando per una manciata di istanti tutti e cinque i volti nuovi – una delle due streghe sembrava essere arrossita mentre stava a capo chino giocherellando con una posata, quasi la mettesse a disagio tutta quell’attenzione improvvisa – e soffermandosi in particolar modo sui tre uomini prima di annuire distrattamente: aveva compreso alla perfezione.
 

 
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“Forse non dovevo fare il bis di Tiramisù…”
La voce di Teddy Lockwood si levò come un pigro lamento dalla poltrona imbottita nella quale il ragazzo si era lasciato sprofondare non appena varcata la soglia della Sala Comune dei Tassorosso, i corti capelli biondi che quasi si confondevano con la tappezzeria color oro della poltrona.
“È il problema del Tiramisù,” suggerì una delle sue migliori amiche parlando a bassa voce, seduta sul divano – anch’ello di una calda tonalità color oro – collocato alla destra della poltrona con le gambe raccolte contro il corpo dopo essersi sfilata i loafer neri senza lacci della divisa “è impossibile non mangiarne troppo.”
Sistemata contro il bracciolo, Margot stava studiando distrattamente una delle finestre di forma circolare che dalla cima delle pareti riempivano costantemente di luce, anche quando il tempo era inclemente, la Sala Comune, offrendo idilliaci scorci su prati in fiore e di denti di leone dolcemente mossi da un’irrealistica brezza.
“Stai pensando alle materie nuove? Chissà che cosa si sono inventati… Forse ce lo diranno domani insieme all’orario.”
Teddy si mosse leggermente sulla poltrona per poter gettare un’occhiata all’amica, che sedeva tenendo il capo leggermente reclinato all’indietro sullo schienale del divano, le dita della mano destra che giocherellavano con la catenella di una collina che aveva una minuscola riproduzione del Millenium Falcon come ciondolo.
“In realtà stavo pensando a casa… I primi giorni mi chiedo sempre come se la passeranno senza di me, mi sembra quasi impossibile che ci riescano visto come vanno le cose. Ieri sera i bambini piangevano come disperati.” La giovane strega smise di studiare gli inesistenti filamenti lanosi del tarassaco che si libravano a mezz’aria staccandosi dal fiore per volgere a sua volta lo sguardo sull’amico, gli occhi blu meno allegri della norma mentre si faceva prendere dalla malinconia nel ricordare i vani tentativi della sera prima di mettere a letto i suoi cuginetti senza che i bambini si agitassero disperati per la sua partenza imminente. E dire, si ritrovava a constatare spesso Margot, ogni volta in cui le mancavano, che vivevano a nemmeno poi molta distanza da Hogwarts. Era ironico che non potesse vederli per mesi e mesi quando erano così vicini.
“È ovvio che gli manchi, insomma, quando sei a casa te ne occupi sempre tu, si abituano a stare sempre con te per tutta l’estate. Se ti consola anche mia sorella si domanda sempre come se la cavi mio padre, ma a fine anno torniamo e lo troviamo sempre in perfetta salute, con la casa ancora in piedi.”
Teddy sorrise e malgrado la nostalgia di casa Margot finì con l’imitarlo – le folli imprese dei Lockwood allietavano le sue vacanze estive tutte le settimane, quando l’amico le inviava lunghissime lettere piene di aneddoti assurdi o, ancor meglio, quando Teddy la invitava a casa loro e poteva assistere a quel bislacco quadretto familiare direttamente con i propri occhi – pur non riuscendo a trattenersi dal provare un moto di malinconia nei confronti del padre dell’amico: John Lockwood era una persona e un padre fantastici, e immaginarlo a patire la distanza dai figli, che amava più di qualsiasi altra cosa, quasi le spezzava il cuore.
“Mi dispiace pensarlo a casa da solo, però.”
“Anche a me. Margi, abbiamo una missione.” Resosi conto di non aver messo al corrente l’amica della sua decisione Teddy si raddrizzò improvvisamente sulla poltrona mettendocisi a sedere di sghimbesci, la schiena appoggiata contro un bracciolo e le ginocchia sull’altro, con i piedi fasciati da un paio di calzini gialli con delle apine ricamate che penzolavano nel vuoto. Di colpo serissimo, il ragazzo parlò guardando l’amica come se stessero per affrontare una questione di vitale importanza:
Gli troveremo una fidanzata.”
Dopo un breve sgomento iniziale l’idea sembrò entusiasmare Margot, che cambiò a sua volta posizione sull’angolo del divano e ripiegò i piedi sotto le gambe mentre si rivolgeva completamente all’amico, un gran sorriso sulle labbra carnose:
“Ohh, fantastico, saremo come quegli amici che nelle commedie romantiche si attivano per trovare un fidanzato o una fidanzata al personaggio principale!”
Esatto. I tizi che alla fine del film restano chiaramente sempre single, e trattandosi di noi non fa una piega.”
Un po’ come gli amici di Bridget Jones.”
“Sì, più o meno, ma noi non siamo così disagiati.”
A dirla tutta Margot non era poi così sicura che fosse vero, ma prima che potesse palesare qualche dimostranza la porta d’ingresso della Sala Comune – di forma tondeggiante come tutte le altre, seppur di diametro maggiore, e identica in tutto e per tutto al coperchio di una botte – venne spalancata, e una loro certa conoscenza li raggiunse con aria un tantino seccata e in compagnia di due ragazzine del primo anno fresche di Smistamento.
“Quella porta laggiù conduce al Dormitorio femminile, ora vi ci accompagniamo… Vedete di aspettarmi, non ho nessuna intenzione di vagare nei tunnel per ora per cercarvi una seconda volta.” Dopo aver indicato la porta che conduceva ai tunnel del Dormitorio femminile alle due giovanissime studentesse – entrambe visibilmente piene di vergogna per essersi perse nei meandri dei Sotterranei – Wendy individuò gli amici e li raggiunse sospirando e sbottonandosi i bottoni che tenevano allacciata la sua lunga veste nera con la spilla da Prefetto appuntata in alto a destra, sfilandosela prima di lasciarsi scivolare stancamente sul divano accanto a Margot.
“Prima sera e ho già dovuto raccattare due ragazzine.”, borbottò la strega mentre afferrava stancamente un cuscino con una federa con un ricamo floreale per abbracciarlo, reclinando il capo contro lo schienale del divano mentre i due amici la guardavano con sorrisetti divertiti sulle labbra:
“La dura vita da Prefetto.”
“Il prezzo da pagare per il bagno con la piscina. A proposito…” Teddy si mosse leggermente sulla poltrona per sporgersi verso l’amica, ma Wendy, intuendo dove volesse andare a parare, gli evitò di sprecare fiato raddrizzandosi contro lo schienale del divano per rivolgergli un’occhiata severa:
“Scordatevela la parola d’ordine del Bagno dei Prefetti, l’anno scorso con quella gara di tuffi avete combinato un macello.”
“Io non ci tengo più ad andarci, non voglio rischiare di incontrare MacMillan. Di sicuro mi prenderebbe in giro fino alla morte se mi vedesse in costume.”, mormorò cupa Margot incrociando le braccia sotto il seno e sprofondando un poco nel divano, temendo anche solo la lontana eventualità che il suo acerrimo nemico – Wendy poteva insistere quanto voleva che solo nelle opere di finzione si avessero “acerrimi nemici”, lei avrebbe continuato a reputarlo tale – potesse vederla in costume da bagno, anche considerando quanto schifosamente magro era quel ragazzo. E dire che lo vedeva rimpinzarsi di dolci ogni volta in cui il suo sguardo indugiava su di lui durante i pasti! Probabilmente quando avevano distribuito il metabolismo veloce lei stava facendo la fila per la calamità per le figuracce.
“Ma mandalo a quel paese MacMillan Margi, sei così bella. E simpatica.” Wendy colpì l’amica con una debole gomitata sul fianco prima di gettare un’occhiata in tralice alle ragazzine del primo anno che aveva riaccompagnato poco prima, impegnate ad osservare affascinate e stranite al tempo stesso il gran numero di piante, molte delle quali bizzarre, con cui la Professoressa Sprite in persona aveva riempito la Sala Comune. L’indomani avrebbe radunato i nuovi arrivati per assicurarsi che nessuno si avvicinasse troppo alla pianta di bulbi balzellanti.
“E gentile, lui se lo sogna di avere un bel carattere come il tuo.”, aggiunse Teddy mentre si alzava dalla poltrona per appollaiarsi sul bracciolo del divano e cingere così le spalle dell’amica con un braccio, ricambiando il sorriso grato che Margot gli rivolse prima di guardarla voltarsi verso Wendy:
“Andiamo in camera? Dobbiamo accompagnare anche le due disperse.”
“Va bene, in effetti comincio ad essere un po’ stanca. Notte Teddy.” Wendy si alzò recuperando la sua veste, e lanciò un bacio aereo all’amico con le dita della mano destra mentre Margot, dopo essersi alzata a sua volta, si dirigeva verso le due ragazzine del primo anno con un sorriso gentile e rassicurante sulle labbra:
“Ciao ragazze, io sono Margi! Non vi preoccupate, capita a tutti di perdersi all’inizio… Venite, io e Wendy vi portiamo a vedere la vostra nuova camera. Che belli i tuoi fermagli!”
Mentre Margot si scambiava complimenti con le due piccole nuove arrivate in merito agli accessori indossati Wendy e Teddy stettero a guardare in silenzio, la fronte della prima visibilmente aggrottata mentre scuoteva lentamente il capo e i lunghi capelli biondo grano:
“Dove la trova quella pazienza infinita con i ragazzini?”
“Connie dice che ha fatto pratica con me. Cavolo, mia sorella è proprio un’acidona.”
 
 
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Terminato il Banchetto e congedati gli studenti la Preside aveva chiesto a Keith, Raymond, Declan, Marjory e Claudia di attardarsi brevemente all’interno della Sala Grande: lasciati i loro posti avevano atteso vicino al tavolo, salutando e guardando il corpo docenti della scuola sfilare davanti ai loro occhi per raggiungere l’uscita e dirigersi nelle rispettive stanze. Dopo aver conversato brevemente con Lumacorno, che si era allontanato salutando allegro tutto il gruppo e in particolare Raymond, Minerva aveva raggiunto il piccolo gruppo facendo foggio di una falcata rapida e agile quasi sorprendente se considerata l’età avanzata della donna, le labbra sottili strette a conferire al suo volto un’espressione seria.
“Vi ringrazio per la pazienza, vi ruberò solo un minuto. Ora, queste sono le chiavi delle vostre stanze, si trovano tutte al terzo piano.”
Da una tasca della lunga veste verde ricamata con dettagli d’oro Minerva estrasse una piccola fodera di pelle di drago che, aprendola, si rivelò contenere cinque chiavi di bronzo, ognuna con una decorazione differente sulla testa.
 “Meraviglioso. Il cane a tre teste lo avete tenuto?” Mentre Claudia sbarrava gli occhi azzurri inorridita Minerva ignorò deliberatamente la domanda di Declan, limitandosi a consegnare una chiave a ciascuno dei cinque nuovi insegnanti prima di riporre la fodera all’interno della tasca della veste e lisciarne sbrigativamente il tessuto con le dita lunghe, pallide e sottili.
“Farò in modo che vediate i vostri uffici domani mattina, vista l’ora credo sia meglio che andiate a riposarvi e a disfare i bagagli… le vostre valige vi aspettano nelle vostre stanze, naturalmente.”
Dopodiché la donna si rivolse direttamente a Claudia, scrutandola attraverso le lenti rettangolari degli occhiali:
“Signorina Westbrook, ritengo che abbia bisogno di una visita approfondita del castello, domani nel pomeriggio può andarle bene? Preferirei evitare di andare a caccia di insegnanti dispersi nei Sotterranei come già è accaduto in passato.”
“Certo, come preferisce, basta che nessuno si disturbi.” Claudia assentì con un lieve cenno del capo e con un mite sorriso, grata alla Preside di aver avanzato la proposta: ora che aveva sentito parlare di cani a tre teste era più che sicura di non aver nessuna voglia di perdersi in qualche anfratto del castello.
“Gli altri insegnanti hanno un orario piuttosto fitto e vista la vastità del castello una visita approfondita richiederebbe tempo, potrei chiedere ad un fantasma… a meno che uno dei presenti non si offra di accompagnare personalmente la Signorina Westbrook. Conoscete tutti molto bene il castello, direi.” Questa volta i penetranti occhi verdi della donna indugiarono con fare eloquente su ciascuno dei quattro volti di Declan, Raymond, Keith e Marjory, che sorrise e prese prontamente la parola prima di tutti gli altri:
“Posso farlo io, Professoressa.”
“Grazie Marjory. Come ho detto inizierete le lezioni solo la prossima settimana, avete tutto il tempo di ambientarvi… Buonanotte e bentornati ad Hogwarts.”
Con quelle parole Minerva si congedò, salutando i cinque con un ultimo cenno del capo prima di girare sui tacchi e allontanarsi rapida nello spazio compreso tra il tavolo dei Tassorosso e quello dei Corvonero, ripetendo a ritroso il percorso che ogni anno il resto della scuola vedeva compiere agli studenti del primo anno per essere Smistati. Rimasti soli vicino al tavolo degli insegnanti e all’interno della Sala Grande, Declan si stiracchiò ruotando le spalle prima di accennare un sorriso e proporre ai colleghi di imitare la Preside e andare a dormire.
Mentre il gruppo si dirigeva verso l’uscio dell’immensa sala e Raymond discuteva con Declan di un modo per sfuggire alle grinfie di Lumacorno Marjory prese Claudia sottobraccio, seguendo un silenzioso Keith mentre sorrideva allegra all’americana:
“Vieni Claudia, meglio che ci segui. E attenta ai gradini quando sali le scale, alcuni amano fare scherzi.”
“C’è davvero un cane a tre teste vicino alle nostre stanze?”, domandò la strega inarcando preoccupata un sopracciglio mentre Declan, in testa alla fila e udite le sue parole, smetteva brevemente di consigliare a Raymond modi per nascondersi efficacemente dietro alle armature per voltarsi verso le due:
“C’era, qualche anno fa… ricordo di averlo letto sulla Gazzetta del Profeta. Speriamo che Hagrid lo abbia portato in qualche zoo.”
“Alla peggio gli spediremo gli studenti indisciplinati.” Raymond si strinse debolmente nelle spalle mentre si spolverava distrattamente la spalla della giacca di tweed, voltandosi e rendendosi conto di essere osservato dal resto del gruppo quando non udì alcuna risposta.
Sto scherzando.”, si affrettò a sottolineare inarcando un sopracciglio quando colse l’entità quasi allarmata degli sguardi altrui, alzando gli occhi azzurri al cielo quando vide i colleghi sorridere e rilassarsi. Che fine aveva fatto l’altrui senso dell’umorismo?
 
 
 
 
 
 
(1): Stazione ferroviaria londinese
(2): Nomignolo che forse suonerà familiare a chi ha letto il Camp in quanto il gentilissimo Phil persisterà nell’utilizzarlo anche da adulti; il cognome di Margot, Campbell, è un antico cognome scozzese che deriva dal gaelico caimbeul, traducibile letteralmente con “bocca storta”
(3): L’Oxford English, noto anche come la “received pronunciation” (gli inglesi dicono RP), è la definizione di inglese perfetto e corrisponde, almeno in teoria, alla pronuncia tipica di Londra e Oxford. Nella realtà non corrisponde alla vera pronuncia sfoggiata da tutti i londinesi, ma contraddistingue invece l’appartenenza ad una classe sociale elevata o l’aver conseguito studi di un certo livello.
(4): Briciola in russo
(5): Squadra di rugby di Manchester, tra le più antiche della Gran Bretagna
(6): Torta inglese composta da pan di spagna farcito da panna e confettura di lamponi
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice:
Qualora aveste colto la citazione a Ron Weasley in Autumn che mangia il pollo mi congratulo, siete persone molto ben istruite.
Buonasera!
È da almeno un paio d’anni che non scrivevo un vero e proprio capitolo per accompagnare la presentazione dei personaggi, ma quando si parla di Magisterium unire la selezione alla partenza sull’Espresso per Hogwarts è quasi una tradizione, e da persona fortemente nostalgica quale sono non potevo esimermi dal rispettarla.
Detto ciò ringrazio ovviamente le persone che hanno deciso di iscriversi, meno numerose rispetto alla media delle storie passate ma ammetto che la cosa mi ha fatto molto piacere, ero piena di idee per personaggi nuovi e per una volta ho potuto sfruttarle tutte inserendo parecchi OC miei rispetto ai soliti uno/due aggiungendo, rispetto a quelli che già avevo presentato nel Prologo, alcuni insegnanti (personaggi che, spero, vi piaceranno).
Vi lascio quindi al consueto elenco e ci vediamo in fondo con le prime domande.
 
 
Studenti
 
 
Alexandra Hèlena Liubimova
Lena
VII anno, Serpeverde, aiuto bibliotecaria, Mezzosangue, Demisessuale eteromantica
 
Lena-1 Lena-2

 
Caspian William
Ian
VII anno, Serpeverde, Battitore, Mezzosangue, Eterosessuale
 
Caspian-1 Caspian-2  

Clarence Grimsditch Lenglade Jr
Aster
VII anno, Serpeverde, Cacciatore, Purosangue, Eterosessuale
 
Aster-1 Aster-2  

Cornelia Emma Lockwood
Connie
VII anno, Corvonero, membro del Club di Scacchi e fotografa del Giornale, Mezzosangue, Demisessuale eteroromantica
 
Cornelia-1 Cornelia-2
 
Isaac John Scott
Izzy
VI anno, Serpeverde, Prefetto, Nato Babbano, orientamento sessuale confuso
 
Isaac-1 Isaac-2
 
Theodore Edgar Lockwood
Teddy
VI anno, Tassorosso, Cercatore, Mezzosangue, Eteroflessibile
 
Teddy-1 Teddy-2
 
Wendy Penelope Lightwood
VI anno, Tassorosso, Prefetto e aiuto bibliotecaria, Mezzosangue, Eterosessuale
 
Wendy-1 Wendy-2  
 
Insegnanti
 
 
Claudia Julianne Westbrook
33 anni, statunitense, ex Magicospino, Nata Babbana, Eterosessuale
Medimaga – Insegnante di Principi di Medimagia
 
Claudia-1 Claudia-2
 
Declan Alexander DeLoughrey
34 anni, inglese, ex Grifondoro, Mezzosangue, Eterosessuale
Botanico e Ricercatore – Insegnante di Botanica orientale

Declan-1 Declan-2  
 
Marjory Emma Leblanc
31 anni, anglo-francese, ex Tassorosso, Mezzosangue, Eterosessuale
Documentarista e Archivista – Insegnante di Storia magica europea
 
Marjory-1 Marjory-2
 
Raymond Byron Aldridge
34 anni, anglo-statunitense, ex Serpeverde, Purosangue, Eterosessuale
Spezzaincantesimi – Insegnante di Magia Oscura

Raymond-1 Raymond-2
 

 
L’unica precisazione che voglio fare riguarda il numero dei personaggi: in tutto sono 17, tendenzialmente io preferisco prenderne molti meno e sono passati anni dall’ultima volta in cui sono stati così tanti. Metto le mani avanti assicurando che farò del mio meglio per dare il giusto spazio a tutti, e proprio per questo motivo molto probabilmente pubblicherò capitoli molto lunghi, direi che già questo esordio parla chiaro, spero che siate in vena di leggere parecchio. Allo stesso tempo voglio anche sottolineare che questa storia avrà toni leggeri e salvo naturalmente i momenti dedicati al trattamento di tematiche di un certo spessore sarà spesso comica, coloro che già leggono e partecipano alle mie storie conoscono bene la mia forte propensione all’ironia, mentre ai nuovi arrivati consiglio di armarsi del proprio humor, ne avrete bisogno. Questa storia è pur sempre il prequel e figlia del Camp, e il Camp è in assoluto la storia più demenziale che io abbia mai scritto.
Veniamo ora alle primissime domande✨
 
  • Qualora non l’aveste già fatto nella scheda potete (not mandatory) scrivermi un piccolo “approfondimento” inerente allo stile e all’abbigliamento del vostro personaggio (nel weekend gli studenti non indosseranno la divisa).
  • Per gli studenti: fanno parte del Lumaclub? (Naturalmente la domanda vale solo per chi non l’ha già specificato nella scheda) Se la risposta è sì giustificatela, sapete che il vecchio Horace è molto selettivo con i suoi pupilli.
  • Sempre per gli studenti: adesso che sapete quali sono le materie proposte vorrei sapere quali corsi verranno seguiti dai vostri personaggi (in tutto sono cinque, devono essere almeno due ma non possono essere tutte, direi quattro al massimo), in più vorrei sapere quale sarà la loro reazione all’idea di doversi approcciare a dei nuovi corsi, saranno entusiasti o amareggiati per la carenza di tempo libero?
  • Sul versante prof, invece, vorrei sapere quale potrebbe essere l’impatto con gli insegnanti di Hogwarts, in particolare l’opinione e il rapporto con nomi come Lumacorno (che ne pensa del suo particolare atteggiamento nei confronti degli studenti?), la Cooman e soprattutto la Mc. Se avete letto Magisterium sapete che Luma non risparmia nessuno, neanche i prof, le cene da cui Charlotte Selwyn cercava di fuggire come da un Dissennatore torneranno.
 
Per il momento non ho bisogno di approfondire altro, quindi vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo, grazie ancora per aver deciso di unirvi a questa storia per me molto speciale mandandomi i vostri personaggi.
Baci,
Signorina Granger
   
 
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