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Autore: Francine    13/02/2024    1 recensioni
Milo Papadopoulos, rampante chef, re dei social network e host di innumerevoli programmi sulla cucina, ha indetto un concorso per trovare un dolce che incarni la vera essenza di S. Valentino. E un bel giorno nella sua casella di posta elettronica trova la candidatura del Cafè Verse-Eau, elegante locale di Parigi, a Montmartre, a due passi dal Sacro Cuore e dal Carousel des Abbesses.
Peccato che Étienne Arnoul, il giovane proprietario del Cafè, non solo non badi molto alla promozione sui social, affidandosi al traffico di turisti che affollano Montmartre, ma non abbia neppure candidato il proprio locale alla singolare tenzone...
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Aquarius Camus, Cancer DeathMask, Capricorn Shura, Pisces Aphrodite, Scorpion Milo
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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11.


 

Le notti di febbraio sapevano essere rigide, a Parigi.
Un vento gelido e dispettoso si andava insinuando tra le stradine strette del V Arrondissement, giocando con gli orli dei cappotti e i baveri testardamente alzati sul collo. Avrei dovuto portarmi un cappello, pensò Rodrigo; ma poi l’aria della sera gli snebbiò in parte il cervello. Sì, aveva bevuto troppo. Forse era per questo che si era sbottonato così tanto con Tiennot. Sì, era colpa del vino. Del vino e basta.
Quattro passi mi faranno bene, si disse, annodandosi la sciarpa attorno al bavero rialzato. Così avrebbe smaltito anche l’alcool. E sarebbe stato lucido per la sorpresa di cui aveva parlato Tiennot.
Anche non dovesse essere il Plaisir d’Amour, avrò qualcosa da mettere nella guida, pensò, la busta di Shakespeare and Co. stretta nella mano destra.
«Grazie per la cena.» 
L’alito nell’aria notturna si levava come fumo dalle fauci di un drago.
Tiennot l’aveva dribblato con un tagliafuori da manuale e aveva porto la propria carta di credito a Giselle prima che lui potesse anche solo manifestare l’intenzione di avvicinarsi alla cassa e pagare il conto.
«Mi pare il minimo», disse Tiennot, producendo altrettanti sbuffi di fumo. «Chi ci ha giocato questo scherzo da prete è mia sorella, dopotutto.»
«Sì, ma la serata non è andata poi così male, no?», replicò Rodrigo.
«No, hai ragione», convenne Tiennot. «Vorrà dire che la prossima volta offrirai tu. Andiamo. Stasera si gela.»
 
Sapendo che non ci sarebbe stata una prossima volta, Rodrigo annuì e seguì Tiennot per le stradine di Parigi. L’altro ebbe la delicatezza di abbandonare Rue du Dragon quasi subito, e Rodrigo gliene fu grato. Raggiunsero la Senna, che scorreva per i fatti suoi, indifferente a quei due uomini che avanzavano sul pavé a passo malfermo.
Attraversarono Pont des Arts, la Sainte Chapelle alla loro sinistra e il Louvre di fronte, che sonnecchiava, placido e incurante degli sparuti turisti ancora a zonzo nelle sue vicinanze.
Ci sarà abituato, pensò Rodrigo mentre scivolavano silenziosi come gatti per un dedalo di strade e stradine e vicoletti — alcuni familiari, altri piacevoli scoperte — puntando verso nord. Tiennot guidava, svoltando ora a destra, ora a sinistra, come seguendo un proprio navigatore personale. Fu solo quando sbucarono in Boulevard de Clichy che il loro percorso apparve chiaro. Avevano fatto un bel giro. Un bel giro largo. Segno che anche Tiennot aveva bisogno di smaltire quanto ingurgitato a cena. Però Rodrigo se ne era avveduto appena. Camminando in silenzio, la busta di Shakespeare and Co. in battere e levare contro la sua gamba destra, si era goduto quella passeggiata a tarda sera. 
Adesso mancava la parte più tosta del percorso: la scalata alla Butte.
Ma, come ebbe modo di scoprire lui stesso, non gli pesò. Sarà stata l’abitudine, o il fatto che il suo stomaco reclamasse un altro po’ di moto — un’altra mezz'ora almeno —,  Rodrigo seguì Tiennot senza dar segno di affaticamento. Da spento, il Carousel des Abesses assomigliava più alla reliquia di un mondo passato, abbandonato di punto in bianco come un castello di sabbia in riva al mare alla fine della giornata.
Le insegne del Gökotta e del Susumella erano ancora accese.
 
«No. Di qua», disse Tiennot, superando la piazza e dirigendosi oltre il Carousel. «Entriamo dal laboratorio.»
Scivolarono nel vicolo alle spalle del Verse-Eau, Tiennot estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca del cappotto, fece scattare la serratura ed entrarono. Disattivò l’antifurto ed accese la luce. Rodrigo si schermò gli occhi con la manica del cappotto.
«Entra», lo invitò Tiennot. E lui obbedì, chiudendosi la porta alle spalle.
L’altro, nel frattempo, si era liberato di sciarpa, cappotto e guanti, abbandonando il tutto su un attaccapanni. Fece scattare altri interruttori, stese un tovagliolo sul piano di lavoro immacolato e si voltò.
«Posa pure tutto lì», disse, indicandogli l’attaccapanni. 
Rodrigo obbedì. Quindi lo raggiunse al tavolo di lavoro. Tiennot aveva apparecchiato per due: due piattini, due bicchieri per l’acqua, due forchette da dessert. 
«Spero che la camminata ti abbia aiutato a digerire», disse, aprendo e chiudendo l’enorme frigorifero industriale che troneggiava in un angolo.
In realtà, no, avrebbe voluto rispondere Rodrigo, per decenza più che per amore di verità. La passeggiata non aveva cancellato con un colpo di spugna la cena sontuosa, ma gli aveva acceso una scintilla di appetito. Non proprio fame, no; era più voglia di qualcosa di goloso. E Tiennot sembrava avere tutte le intenzioni di colmare quel bisogno. 
Così si sentì replicare: «In effetti, adesso che mi ci fai pensare, ho un certo languorino», e prima che potesse dire altro, vide Tiennot sorridere. Un sorriso bello, aperto, uno di quelli che si tirano fuori solo all’occorrenza. Quando non ti vede nessuno. Quando è più importante.
E una salva di fuochi d’artificio esplose nel petto di Rodrigo.
Colpa del vino, si assolse. Colpa. Del. Vino.
Intanto Tiennot aveva indossato il proprio grembiule, acceso il forno e iniziato ad armeggiare con una terrina ed una serie di pirottini pronti all’uso. «Porta pazienza», disse. «Ce l’hai una mezz'ora, no?»
Rodrigo annuì, Tiennot versò il composto nei pirottini e li infornò.
Impostò il timer, poi guardò l’orologio.
«Beviamo qualcosa nell’attesa?», propose.
È francese, ricordi? «Acqua», replicò Rodrigo. «Ho bevuto sin troppo, e devo tornarmene alla chambre d’amis. A piedi. Vorrei evitare di passare la notte sulle panchine del parco…»
«Mi sembra ragionevole.», replicò Tiennot, col tono sconsolato di chi stava parlando con un barbaro. Uno appena sceso da cavallo, la scimitarra ancora lorda di sangue, un disperato bisogno di una doccia, e un vocabolario sprovvisto del termine ragionevolezza. Sollevò le mani e prese dal frigorifero una bottiglia di acqua minerale, la stappò, ne versò un bicchiere, a Rodrigo, e la posò sul bancone. 
«Grazie», e Rodrigo si scoprì ad avere sete all’improvviso. Faceva caldo, nel laboratorio. Colpa del forno, certo. E del vino. E della scarpinata fatta dal Quartier Latin. Ma si sentiva le orecchie in fiamme. Si sentiva strano. 
 
In quel momento, qualcuno bussò alla porta del laboratorio.
Tiennot osservò l’ora.
«Non mi dire…» E Tiennot andò a cercare conferma.
«Buonasera.» Rodrigo sentì trillare una voce fresca. Una voce di donna.
«Bentrovata», le rispose Tiennot, con una nota di familiarità, la stessa che si usa con chi ci sta a cuore. Una sorella, un’amica. Una fidanzata del passato. «Vieni, vieni», e tornò nel laboratorio.
Alle sue spalle, una ragazza. Capelli corti, occhi grandi e aspetto poco curato.
Una novizia, pensò Rodrigo osservando lo stesso abbigliamento che accomuna tutte coloro che hanno scelto di dedicare la propria vita al servizio degli altri.
«Oh, non sapevo…», disse lei quando si accorse della presenza di Rodrigo. «Buonasera…», aggiunse, timida.
«’sera», replicò Rodrigo, notando un sottile cerchio d’oro all’anulare sinistro.
«Dammi la giacca», le disse Tiennot. «Vieni, stavamo per…»
«Grazie, ma non mi fermo», rispose lei. Estrasse un pacchetto dalla tasca del cappotto e lo porse a Tiennot. «Buon Compleanno!»
«Te ne sei ricordata?», disse lui, rigirandosi il pacchetto tra le mani. Un pacchetto semplice ma incartato con cura. 
«Certo che sì.» 
«Grazie.» Scartò il pacchetto e ne estrasse un CD. «I Noir Désir! Ma come…»
La ragazza sorrise e annuì. «Un uccellino mi ha detto che l’avevi perso…»
«E questo uccellino ti ha detto come l’ho perso?»
«Posso immaginare», ridacchiò lei.
«Immagini bene.» Tiennot si strinse nelle spalle. «Grazie», le disse.
Un bacio sulle guance, un abbraccio e il timer suonò, con la stessa verve di un tiranno stizzito. 
«Ah, scusami», disse. Sgusciò via, aprì lo sportello, ne estrasse i pirottini e li mise a raffreddare su una griglia. «Ti fermi ad assaggiarli?», insistette.
Lei fece cenno di no con la testa. «Grazie, ma devo proprio andare.» Rivolse un sorriso gentile a Rodrigo. «Buonasera», e si voltò per uscire, in punta di piedi, così come era entrata. 
 
Tiennot la accompagnò fuori. Rodrigo li sentì chiacchierare sottovoce, con la complicità che nasce quando si trascorre molto tempo insieme. Poi la bise — destra, sinistra, destra — e lo vide restare sulla soglia, ad osservarla allontanarsi. 
Rientrò poco dopo, quando, con buona probabilità, lei aveva svoltato un angolo ed era uscita dal suo campo visivo.
«Venti minuti e sono pronti», gli disse, indicando i pirottini con un cenno del mento.
Io tra venti minuti sono già crollato dal sonno, pensò Rodrigo. Che si ricordò solo in quel momento del motivo per cui si trovava lì, nel laboratorio del Verse-Eau. Si sporse ad osservare quei piccoli dolcetti, in tutto e per tutto simili a dei moelleux au chocolat. L’aroma del cioccolato caldo aveva abbracciato l’intero laboratorio con il suo sentore avvolgente, e Rodrigo si lasciò sfuggire un «Oh» di autentica soddisfazione.
«Venti minuti», ripeté Tiennot. «Vedrai che l’attesa sarà premiata.»
«Non lo metto in dubbio», replicò Rodrigo. «Il profumo sembra promettere bene…»
«Tranquillo, tranquillo. Mantiene anche.»
«Lo spero bene», e Rodrigo annusò con fare teatrale l’aroma che si stava impossessando del laboratorio. 
«E per fortuna che eri pieno come un uovo», lo sfotté Tiennot.
«Questa è una città pericolosa», sentenziò Rodrigo. «Qui potrebbe addirittura prendere moglie un frate!»
Tiennot sorrise e pescò da un pensile una bottiglia di rosso già a metà. 
«Sicuro di non volermi fare compagnia?», gli chiese, cercando un paio di bicchieri panciuti. Non c’era bisogno di lasciarlo decantare, tuttavia un po’ d’ossigeno non gli avrebbe certo nociuto. Sentì l’altro sospirare.
«Va bene», concesse Rodrigo. «Ma un bicchiere. Uno solo», specificò, tornando ad osservare i pirottini. «Non vuoi proprio dirmi di che si tratta?»
Tiennot lo fissò come se gli fosse spuntata una seconda testa. Poi disse: «Segreto. Prima lo assaggi, poi mi saprai dire.».
Quindi si alzò e iniziò ad armeggiare con una serie di creme — tre giri veloci di frusta e poi via, nelle sac-à-poche. Prese due piattini, li decorò con degli sbuffi, poi prese un pirottino, ne liberò il contenuto e lo sistemò al centro.
«Ecco qua», disse, porgendo il dolce a Rodrigo. E attese. Lo vide valutare con attenzione l’impiattamento, prendere la forchettina e rompere il nucleo del dolce.
«Oh, un
moelleux au chocolat», commentò, inspirando l’aroma speziato che saliva dal dolce. Il vapore che si andava sprigionando gli suggerì di attendere ancora qualche minuto. Sì, ma come ingannare l’attesa?
Tiennot taceva, aspettando la sua reazione, nemmeno fosse uno scienziato pazzo — rigorosamente nazista — alle prese con un bizzarro esperimento. E lui non sapeva come riempire quel silenzio. Perché doveva riempire quel silenzio. Altrimenti, complice il vino in corpo, avrebbe posto la domanda che gli ronzava in testa come un’ape impazzita, o una vespa molto, molto incazzata.
Chi è quella ragazza?
 
Fortunatamente, per intercessione del suo angelo custode, non porse proprio quella domanda. Non in quel modo, almeno. Mentre il vapore saliva dal molleu, come se lì dentro vi fosse un piccolo vulcano affaccendato, Rodrigo sentì la propria voce scandire: «Mi dispiace che quella ragazza se ne sia andata. Spero non sia per colpa mia.». Per poi aggiungere: «Una tua amica?».
Tiennot piegò la testa da un lato, perplesso.
Bella cazzata, si disse Rodrigo, impedendo alle proprie mani di salire a coprire gli occhi dalla vergogna. Bella. Cazzata.
«No.» Pausa. «Brigitte è la mia fidanzata»
E Rodrigo desiderò con tutto il cuore e tutta l’anima che il pavimento sotto di lui si aprisse, lo ingoiasse e se lo trascinasse a fondo, magari fino a sbucare da qualche parte inesplorata e inaccessibile delle Catacombe.
«Ah, scusa. Non volevo…»
Ma poi il cervello di Rodrigo, piano piano, rimise insieme i pezzi.

Che razza di fidanzato lascia andare la propria compagna in giro da sola, nel cuore della notte, senza accompagnarla? 
Magari abita qui dietro, rispose alla voce di Aiolos. Quella occasionalmente inascoltata del buonsenso. Non essere così vecchio stampo.
Non si tratta di essere vecchio stampo, ribatté, petulante più che di persona. Si tratta di essere realisti. Tra stare con Aiolia e stare con uno sconosciuto, tu che cosa avresti scelto?
 
Tiennot si accomodò sullo sgabello.
«Ex-fidanzata», precisò. E Rodrigo si scoprì a respirare di nuovo. «Siamo stati insieme per qualche anno. Poi, ognuno di noi ha trovato la propria strada.»
«Capisco…»
«Fidati, no.» Tiennot buttò giù un sorso di vino. «In un certo senso, è tutta colpa mia…»
Ok. Sarò io il tuo barista, stanotte, pensò Rodrigo.
Posò la forchetta e attese.
«Vedi, ad un certo punto ho scoperto la mia, di strada. E quando gliel’ho detto, a lei è crollato il mondo addosso.» Una pausa. Un sospiro. La bocca contratta in una linea dura. «Così Bibi, per riprendersi dalla tegola che le avevo tirato tra capo e collo, ha accompagnato sua nonna a Lourdes. E lì, ha trovato la Madonna.»
«Nel vero del senso della parola», commentò Rodrigo.
Tiennot annuì. Un sorriso mesto gli si spianò le labbra. 
«Lo dice sempre anche lei, quando racconta la sua storia», continuò, guardando un punto imprecisato davanti a sé. «Sono andata a Lourdes per un ragazzo e ho trovato la Madonna. Letteralmente
Almeno l’ha presa con filosofia, pensò Rodrigo, buttando giù un sorso d’acqua, onde evitare uscite poco piacevoli. I sentimenti umani sono un ginepraio. Ed avventurarsi in quelli di uno sconosciuto equivale ad entrare nel suddetto ginepraio al buio, bendati e con un braccio legato dietro la schiena. O anche tutt’e due.
«Io però…»
«Pensi sia colpa tua?», azzardò Rodrigo, dopo qualche minuto di silenzio.
Tiennot annuì. 
«Sì», soffiò fuori. 
 
Si riempì il bicchiere, riempì quello di Rodrigo in automatico, scolò il vino tutto d’un fiato. Quindi, rivolse uno sguardo eloquente al bicchiere ancora pieno, quasi volesse tracannare anche quello. Così. Per un senso di compiutezza.
Che fai, lo lasci da solo?, pensò Rodrigo. Tentato di allungarglielo. Non è quello che farebbe un barista, in fondo? Gli altri bevono. Lui riempie bicchieri, li asciuga, ascolta gli psicodrammi altrui, e, se va bene, prende anche una mancia.
Io mi accontento di mangiare ‘sto dolce e andarmene a letto.
«Bibi era una ragazza fuori tempo. Sognava una casa con giardino, un marito, essere una madre di famiglia e crescere una nidiata di marmocchi. I nostri», sottolineò Tiennot, cercando un appiglio sul vetro spesso che si rigirava tra le dita, nemmeno contenesse qualche preziosissima informazione che potesse fargli da ancora nel mare in tempesta del rimorso. Qualcosa tipo, Io sono la Via, la Verità e la Vita, annaffiata da abbondante beaujolais. «E io le ho tolto tutto questo…»
«Non credo.»
 
Secco, come la lama della ghigliottina. E altrettanto implacabile.
Tiennot alzò lo sguardo, abbandonando quel benedetto bicchiere sul tavolo. Quasi a volerlo sfidare. Perché, di solito, quando si vuota il sacco davanti ad un bicchiere di vino rosso, nel silenzio ovattato della notte, ci si vuole solo liberare l’anima di un peso. Di una zavorra. Non vogliamo avere una soluzione pronta all’uso. Quella la cerchiamo di giorno, quando il sole splende in cielo senza concedere quartiere a ombre, mezze verità e scappatoie.
Eppure, nonstante si fosse armato delle migliori intenzioni possibili, Rodrigo aveva rotto l’incantesimo. Colle sue proprie mani. E ora, nel silenzio della notte, mitigato dal ronzio del frigorifero in sottofondo, fissava Tiennot come se non gliene importasse nulla. Non di Tiennot. Delle convenzioni sociali.
«Tu non credi?», lo rimbeccò Tiennot, le mani posate sulle ginocchia e l’espressione che passava dalla perplessità allo scontro aperto. «E cosa te lo farebbe credere?»
Rodrigo si sistemò meglio sullo sgabello. Ormai era in ballo; non poteva far altro che ballare, possibilmente senza pestare i calli altrui. Più di quanto non avesse già fatto, almeno.
«Adesso ti dirò una cosa. Una cosa che una persona più intelligente di me mi ha ripetuto fino alla nausea…»
«Ma che tu non hai fatto tua, scommetto», lo interruppe Tiennot. «Com’era quella storia della luce e del faro?»
«Chi è troppo vicino al faro vede peggio di tutti», lo rimbeccò Rodrigo. 
«Fammi indovinare. Tu sei ancora sotto al faro, vero?»
«Sotto al mio faro», replicò Rodrigo. «Posso dirtela, questa cosa, oppure è meglio chiudere qui la serata e fermarsi prima di fare danni?»
Pausa.
Silenzio eloquente.
«Altri danni.»
 
Ecco, bravo. Fermati qui. Dai la colpa al vino. Ringrazia per la serata e levati dalle palle, quasi ringhiò la voce di Aiolos. E a ragione: certi discorsi vanno affrontati a mente lucida. E se e quando i diretti interessati hanno richiesto un parere sulla faccenda, in maniera più che esplicita. Tipo, Che ne pensi di? O con una mezza chilata di carte da bollo. Eppure, qualcosa piombava le gambe di Rodrigo, e no, non era colpa del vino. Tiennot stava ancora bevendo; lui, no.
E allora perché insistere? Stavi andando così bene…
Aiolos, fottiti!
 
«E va bene», concesse Tiennot, un sorriso poco amichevole dipinto sul viso. «Sentiamola, questa grande verità…»
Rodrigo ignorò l’acido che colava dalla voce di Tiennot come un liquido denso, viscoso, ad ogni sillaba. «Le persone entrano ed escono dalla tua vita per insegnarti una lezione.»
«E quale sarebbe, questa lezione?»
«Nel tuo caso, non lo so», rispose serenamente Rodrigo. «In quello di Brigitte, probabilmente che non c’è bisogno di scodellare dei figli tuoi per essere madre.»
Tiennot sbatté le palpebre un paio di volte. «Come, prego?»
«Segui il mio ragionamento», gli disse Rodrigo, con la pazienza infinita che si elargisce ai poveri in ispirito e a chi ha alzato il gomito oltre ogni decenza. «Se Bibi avesse davvero voluto avere dei figli, prima o poi avrebbe trovato un altro ragazzo.»
Un muscolo guizzò sulla mascella di Tiennot. 
Ma tu guarda. Sei geloso. L’hai lasciata tu, e sei geloso?, pensò Rodrigo.
«Invece, ha optato per una scelta radicale. Di quelle che sono troppo radicali, per essere frutto di una delusione d’amore.»
«Non per Bibi. Tu non la conosci.»
«Vero», concesse Rodrigo alzando le mani. «Ma anche ammesso che sia una ragazza che ha perso il treno per l’Ottocento, non credi anche tu che la sua famiglia… sì, insomma, che la sua famiglia, i suoi amici, i suoi conoscenti, se vuoi anche il parroco, il Vescovo e la Madre Superiora, e pure il Santo Padre, le avrebbero impedito di fare una stronzata colossale come prendere i voti perché il suo ragazzo l’ha mollata?»
Aveva alzato la voce, mano a mano che prendeva coraggio e gli forniva la sua opinione. Sempre non richiesta.
No. Davvero non richiesta, rincarò la dose la voce di Aiolos, che di andare a farsi fottere proprio non ne voleva sapere.
Tiennot taceva, del silenzio che prelude allo sconquasso senza fine. Si stringeva le mani, forse nel pio tentativo di non serrarle attorno al collo di Rodrigo e guadagnarsi un soggiorno di vent’anni nelle patrie galere. Senza appello.
Okay, hai ballato. Hai pestato tutti i calli, possibili e immaginabili. Anche quelli che non esistono. Adesso alzati, ringrazia per la cena e ficca ‘sti maledetti moelleux au chocolat nella guida. E tanti saluti al Plaisir d’Amour.
 
Rodrigo inspirò, riempiendosi i polmoni, ed affondò la stoccata fatale dritta al cuore. 
«Nei tuoi panni, io mi sentirei sollevato. Brigitte ha trovato la sua strada. Ma tu non riesci ad essere felice per lei. Perché? Perché non è quello che tu avevi previsto per lei?»
«E allora perché tu non riesci ad essere felice per Aiolia?», chiese Tiennot, gelandolo sul posto. Aveva lasciato il fianco scoperto e lui aveva aspettato, paziente, l’occasione per una bella stoccata. Una di quelle che si infilano tra le costole e sconquassano milza, reni e polmoni.
«Forse è meglio che io vada», disse Rodrigo alzandosi. Non era il caso di ribattere che no, non era proprio la stessa cosa, né menchemeno quasi la stessa cosa. Tiennot aveva spezzato il cuore di Bibi così come Aiolia aveva maciullato il suo. Semmai, a voler cercare il pelo nell’uovo, Tiennot avrebbe potuto domandargli se Aiolia fosse felice per lui, ma Rodrigo sapeva già quale fosse la risposta a quel quesito: ad Aiolia non interessava dell’altrui felicità se non quando questa intercettava e si sovrapponeva alla sua. Un insieme univoco che si sovrappone ad un altro, questo era Aiolia; né più, né meno.
Però il suo nome te lo sei ricordato. Il mio, no. Ma il nome di quello stronzo, sì?
«Ho toccato un nervo scoperto?», gli chiese Tiennot, alzandosi a sua volta. «Ultim’ora: lo hai fatto anche tu.»
«Mi dispiace», si smarcò Rodrigo, dirigendosi verso il cappotto. «Ho esagerato con il vino, stasera, e mi sono spinto troppo in là.»
«Ecco. Diciamo che se Aiolia ti ha insegnato qualunque cosa ti abbia insegnato», proseguì Tiennot, seguendolo come un’ombra, prendendo il posto della petulante voce della coscienza, di Aiolos, «io ti ho insegnato…».
«Cosa?» Rodrigo si era voltato, il cappotto tra le mani e la sciarpa sul collo. «Che sei più scorbutico di un vecchio scorbutico?»
«A farti una generosa dose di cazzi tuoi.»
Silenzio.
Rodrigo infilò il cappotto, aprì la porta. 
«Buona serata. E grazie di tutto.» 
E scivolò fuori dal Cafè Verse-Eau a passi lunghi e ben distesi.
Tiennot scosse la testa e non si degnò neppure di sospirare. Chi di spada ferisce, eccetera eccetera. Tornato al tavolo trovò il bicchiere di Rodrigo, abbandonato e ancora pieno. 
‘fanculo, pensò. E se lo scolò tutto d’un fiato.
   
 
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