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Autore: PrimPrime    14/02/2024    2 recensioni
Emily Lewis è sorpresa quando riceve la sua lettera per Hogwarts, ma inizia a frequentare la scuola con grandi aspettative.
Quello che una nata babbana come lei non sa, però, è che cinque anni prima in quella stessa scuola ha avuto fine una guerra che aveva spaccato in due il mondo magico.
Inoltre non sa che i pregiudizi tra i maghi non sono del tutto spariti, come anche la competizione e l’antipatia di una casa verso l’altra.
E così Emily, quando stringe le sue prime amicizie e viene smistata in una casa diversa dalla loro, non ha idea di cosa l’attende.
In quella scuola dove un tempo si era combattuta una guerra, dove in qualche modo lei riuscirà a sentirsi al sicuro, non sa che verrà messa alla prova da sfide ben più complicate di un compito in classe.
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Leggendo questa storia conoscerai Emily e i suoi amici, e li seguirai in un percorso di crescita ed evoluzione che avrà inizio al primo anno scolastico e continuerà fino al settimo e oltre.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Filius Vitious, Horace Lumacorno, Minerva McGranitt, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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CAPITOLO 40

 


In cima alla torre di astronomia tirava un’aria fresca ma piacevole. Emily, seduta per terra, era distante di qualche passo rispetto a Cecil, che si era accomodato davanti a lei.

“Ecco… so che non è un buon momento, ma voglio che tu lo sappia,” iniziò il ragazzo, abbassando il capo con aria imbarazzata.

C’era una strana atmosfera tra loro quel giorno, non solo perché non si vedevano da un po’ di tempo, o perché Emily non si sentiva a suo agio dopo ciò che le era successo. C’era dell’altro, qualcosa che impediva a Cecil di guardarla in faccia per troppo tempo, di incrociare il suo sguardo, e che riempiva l’aria di aspettativa e fermento.

“Avrei dovuto proteggerti e mi sento in colpa per non aver capito niente… perché tengo molto a te… Quindi d’ora in poi voglio starti vicino e proteggerti davvero.”

Emily sgranò gli occhi e il cuore le perse un battito. Cecil le voleva ancora bene! Peccato che ora lei si sentiva diversa. Temeva di non meritare le sue attenzioni.

“Dici davvero? Non… non ti faccio schifo adesso?” gli chiese, sentendosi sul punto di piangere.

“No! Perché dovresti?” esclamò, sgranando gli occhi con aria preoccupata.

“Perché un altro ha…” rispose, ma non riuscì a terminare la frase.

E rivolgendogli uno sguardo ebbe la conferma che lui sapesse... che avesse capito, almeno in parte, ciò che le era accaduto. E per un attimo sentì il cuore stretto in una morsa soffocante.

“Per me non è cambiato niente, tu sei sempre tu!” le disse Cecil.

Lei accennò un sorriso e si sentì estremamente sollevata, anche se non tutto il peso aveva lasciato il suo petto.

“Io… sono felice che tra noi sia tutto a posto. Però… scusami se ti tengo lontano, mi servirà un po’ di tempo. Non… non credo di poter sopportare del contatto fisico, adesso…” lo vide annuire con fare comprensivo, quindi continuò. “E tu non sentirti in colpa, ero io che dovevo stare più attenta… e mi sono protetta da sola, anche se non come avrei voluto.”

“A proposito… se ne senti il bisogno, puoi parlarne con me. Non per forza adesso, ma…”

“Cecil, ti ho già detto che di certe cose non riesco a parlarti proprio perché tu mi piaci...”

“Lo so, ma io voglio diventare il tipo di persona a cui potrai confidare qualsiasi cosa, anche la più difficile,” ribatté, tenendo lo sguardo basso. “E anche io ti dirò tutto. Non ci saranno più segreti tra noi.”

Emily annuì, sorpresa ma anche preoccupata.

“Sei già quel tipo di persona, Cecil… Sono io che faccio fatica,” ammise.

“Non ti sforzare. Quando e se vorrai, sarò qui per te.”

“No, voglio provare,” disse con voce tremante e sospirò.

Sarebbe stato difficile raccontare anche il minimo particolare, e sarebbe stato anche umiliante, ma una parte di lei credeva anche che forse le avrebbe fatto bene. Forse... le sarebbe stato utile per riprendersi, per togliersi di dosso quella sensazione spiacevole.

“Se non te la senti, fai finta che io non ti abbia detto niente.”

Emily avrebbe voluto rispondere che non poteva, perché ogni cosa che lui diceva le rimaneva ben impressa nella mente, ma non commentò. Si limitò a scuotere la testa.

“Posso provare a dirti cos’è successo, ma… ti sembrerò una stupida.”

“Impossibile,” rispose, rivolgendole uno sguardo intenso e sincero.

Calò il silenzio, un silenzio pesante perché Emily era combattuta. Avrebbe voluto essere tra le sue braccia in quel momento, confidarsi con lui mentre si teneva aggrappata al suo petto, o ci appoggiava la sua schiena… In questo modo non lo avrebbe guardato in viso, ma avrebbe sentito il suo calore confortante infonderle fiducia.

Malgrado questo suo desiderio, sentiva di non potersi avvicinare più di così… Non ancora. Non avrebbe voluto aver paura di Cecil, ma l’idea di trovarsi di nuovo tanto vicino a un individuo di sesso maschile la spaventava.

Cercò di non pensarci, altrimenti sarebbe scoppiata a piangere da sola, il che l’avrebbe fatta sentire ancora più stupida. Ogni tanto le capitava di piangere, ma era un evento raro… eppure in quei giorni era stata un fiume in piena. Non si sentiva più se stessa.

Puntò lo sguardo sulle sue mani, che teneva appoggiate sulle ginocchia, prese un respiro profondo e decise di provare davvero.

“Io… l’ho seguito in un’aula vuota perché aveva bisogno di una cosa. In quel momento avrei dovuto essere sugli spalti di quidditch per guardare le selezioni, perciò speravo che fosse una cosa veloce,” iniziò a raccontare, percependo il magone farsi più forte, come a volerle togliere la forza di parlare prima che fosse troppo tardi. “All’improvviso si è messo a dire che gli piacevo e che avrei dovuto prenderlo in considerazione…”

Chiuse gli occhi e strinse i denti. Si lasciò scappare un sospiro sofferto tra le labbra tremanti. Solo a ripensarci si sentiva nauseata, e la consapevolezza che quell’uomo viscido fosse ancora lì, nel castello di Hogwarts, le fece ribollire il sangue nelle vene.

“Ha iniziato a… baciarmi il collo…” si zittì di nuovo, perché stava per piangere davvero.

Se fosse stata vicina a Cecil si sarebbe buttata tra le sue braccia per farlo in silenzio, confortata dalla sua stretta gentile. Purtroppo però erano lontani circa un metro l’uno dall’altra e il suo corpo era come pietrificato sul posto… ma era la sua mente a renderla incapace di avvicinarsi a lui.

Riuscì a muoversi solo per portare le ginocchia al petto e stringere le braccia intorno alle gambe, in un gesto di protezione che non la fece sentire affatto meglio. Non avrebbe detto altro di ciò che le aveva fatto perché non si stava sentendo più leggera, anzi sembrava che si stesse infliggendo una tortura.

“Ho provato a spingerlo via ma era così forte…” aggiunse con voce tremante, per poi decidere che il discorso era chiuso definitivamente.

Era troppo doloroso.

Le parve che Cecil stesse tremando, quindi alzò timidamente lo sguardo su di lui. Lo vide che stringeva i pugni, aveva le spalle rigide e gli occhi lucidi, puntati sul pavimento. Sembrava persino sbiancato.

“Mi dispiace… che tu abbia dovuto sopportare tutto questo,” le disse, con un tono di voce basso e forzato, come se avesse fatto fatica a trovare la forza per parlare.

“Non pensi che sono stata una stupida? Una debole?”

“Assolutamente no! Io, al tuo posto, forse sarei stato bloccato dalla paura…”

“Anche io lo ero,” ammise, abbassando nuovamente lo sguardo sulle proprie ginocchia. “Ma non potevo permettergli di fare quello che voleva. Sono riuscita a sfuggirgli buttandomi a terra, e credo volesse oblivarmi ma prima che potesse farlo l’ho schiantato.”

Lo aveva detto in fretta, senza pensare, ma quando vide Cecil sgranare gli occhi si accorse di aver parlato troppo. Lo aveva spiazzato e di colpo tutto il malessere che stava cercando di soffocare le fu di nuovo addosso. Ma fu solo un istante, perché poi lui scosse la testa e assunse un’espressione più rilassata, anche se non del tutto genuina. Stava cercando di non dare a vedere quanto fosse turbato?

“Una mossa degna del prodigio del club dei duellanti,” commentò, e il fatto che cercasse di scherzare per portare i suoi pensieri altrove la fece sorridere.

“Nessuno mi chiama così…”

“Io lo faccio,” insistette. “È stato un vero bastardo... Anzi, chiamarlo così è riduttivo. Vorrei cruciarlo!”

Emily schiuse le labbra, sorpresa. Cecil sembrava arrabbiato e aveva gli occhi arrossati. Ancora una volta desiderò di andare da lui ad abbracciarlo, ma non sentiva di farcela ad avvicinarsi più di così in quel momento.

“Grazie… ma non serve. A me basta che mi stia alla larga.”

Cecil le rivolse un sorriso tirato.

“Ti proteggerò io d’ora in poi,” dichiarò.  

“Non ho dubbi,” rispose lei, sincera.

Quella volta si era ritrovata da sola, a dover pensare a se stessa, e doveva ringraziare la sua prontezza e il duro allenamento nei duelli se le cose erano andate così. In passato, però, Cecil era arrivato in suo soccorso più volte. Lei aveva fiducia in lui quanta ne aveva nelle proprie capacità, se non di più.

“Adesso potremmo andare in biblioteca?” gli propose, perché quello spazio isolato iniziava a starle stretto. “So che stiamo saltando entrambi una lezione, ma… in questi giorni sono rimasta indietro con tutto e vorrei prendere in prestito alcuni libri...”

“Certo, andiamo,” rispose lui, alzandosi.

Emily fece segno a Cecil di scendere per primo e, mentre percorrevano le scale, lo osservò silenziosamente trovando rassicurante la sua presenza. Era stato doloroso raccontargli quei dettagli, ma in un certo senso si sentiva davvero più leggera. Aveva anche potuto spazzare via parte delle sue insicurezze, perché ora sapeva che lui non la vedeva diversamente a causa di ciò che aveva subito.

Arrivati in fondo alle scale imboccarono il corridoio che li avrebbe condotti alla biblioteca, questa volta camminando l’uno accanto all’altra. Erano ancora in silenzio e ogni tanto incrociavano dei compagni più piccoli o più grandi intenti a chiacchierare mentre andavano da qualche parte.

Intorno a loro era come se non fosse successo niente, eppure il mondo interiore di Emily era in subbuglio, anzi era stato proprio stravolto.

Ogni tanto spostava lo sguardo su Cecil per studiarlo di nascosto, e così facendo si ritrovò a guardare anche la sua mano destra.

“Cecil, possiamo…” si zittì e si morse il labbro inferiore sentendosi una stupida.

“Che cosa?” chiese lui, voltandosi nella sua direzione.

“Beh… Mi piacerebbe provare a prenderti per mano adesso, se a te non dà fastidio. So che non stiamo insieme o altro, però…” si zittì di nuovo e sospirò sentendosi tremare.

Forse lui non la vedeva come una debole ma lei si percepiva proprio così, perché non riusciva a comunicargli nemmeno una cosa tanto semplice, né sapeva se ce l’avrebbe fatta davvero, anche se lo voleva.

“Per me va bene,” rispose dolcemente Cecil, sorprendendola.

Guardandolo bene Emily si accorse che sembrava in imbarazzo, eppure lei non si era nemmeno avvicinata.

Annuì e si fece coraggio, quindi tese la mano e sfiorò quella dell’amico, ferma in attesa che fosse lei a fare la prima mossa. Sussultò e la ritrasse subito, ma si riscosse e, tentando di nuovo, gliela afferrò con decisione.

Dovette armarsi di molto autocontrollo per non lasciargliela andare all’istante. Aveva puntato lo sguardo davanti a sé nella speranza di mantenersi concentrata su ciò che stava facendo e non sulle sue paure.

Si ripeté che quella era la mano calda e rassicurante di Cecil; non era certo una delle mani che l’aveva stretta con forza per non farla scappare, per poi toccarla dappertutto contro la sua volontà.

Uno spiacevole brivido le percorse la spina dorsale. Si sentiva molto a disagio a causa dei pensieri che stava facendo, che smontavano i suoi tentativi di essere razionale, ma almeno adesso non sentiva più l’impulso di lasciare la presa.

Lo fece solo quando furono ormai arrivati in biblioteca, perché capì che non era il caso di entrare lì così… anche perché Cecil non sembrava molto tranquillo.

Si erano già baciati qualche volta, ma lui non era ancora abituato al contatto con lei. Probabilmente quelle volte aveva agito d’istinto, senza rendersene conto. Emily abbassò lo sguardo e si chiese se fosse un bene o un male, ma alla fine si disse che non doveva per forza trovare subito la risposta a ogni sua domanda.

Aveva altro di cui preoccuparsi al momento.

 
Era passato un mese da quel fatidico giorno che aveva distrutto la sicurezza e l’autostima di Emily, un mese durante il quale era uscita dalla sua camera solo in compagnia delle amiche o di Cecil. Lui le era stato particolarmente vicino, anche se solo in senso figurato, dimostrando che la sua intenzione di proteggerla era autentica.

Non avevano più parlato dell’accaduto, né avevano provato a cancellare la distanza fisica tra loro, e a lei questo andava bene.

Non aveva paura di Cecil, anzi sapeva di potergli affidare la sua vita. L’idea di buttarsi tra le sue braccia però, malgrado in parte le piacesse, la terrorizzava anche. Lo stesso poteva dire dell’eventualità di trovarselo addosso all’improvviso, perciò stava sempre in allerta, ma in fondo sapeva che lui non era il tipo.

Il problema erano gli altri ragazzi, che non le stavano mai troppo vicini, però chissà. Lei sentiva di non potersi fidare di nessuno mentre si spostava da un’aula all’altra, o nei corridoi particolarmente affollati, per questo faceva di tutto per stare alla larga dalle folle di studenti in movimento.

Persino i suoi amici la spaventavano, ma in loro presenza Emily si irrigidiva solamente, fingendo che andasse tutto bene. Le era successo con Parker, con Nathan e persino con Solomon Sharpridge, che l’aveva avvicinata per chiederle se stesse bene, con la scusa che era Hanna Arsen quella preoccupata.

In ogni caso, era chiaro che non sapessero perché fosse così turbata. Gli unici a saperlo, a parte Blue, erano Cecil, Patricia e Ana. Forse anche Hanna, dato lo stato in cui l’aveva vista quel giorno. Comunque, loro conoscevano quegli eventi solo superficialmente.

Che i professori sapessero o meno, quello era un mistero che la turbava abbastanza. Nessuno aveva fatto storie per le sue assenze, né per saperne il motivo né per sovraccaricarla di lavoro come punizione. Nessuno, nemmeno il professor Brodie, il che non la convinceva affatto.

Emily era giunta alla conclusione che la McGranitt l’avesse giustificata con il corpo insegnanti, ma sperava che non avesse detto loro cosa le era successo davvero.

Quel giorno si trovava in sala grande insieme a Cecil e Blue. Si erano seduti a uno dei tavoli a studiare insieme, come era capitato spesso anche in passato. Circa un’ora dopo avrebbero avuto lezione di cura delle creature magiche, ma c’era tempo perciò non se ne preoccuparono.

Il vociare degli altri studenti distrasse Emily dal libro di trasfigurazione, così alzò lo sguardo e notò che alcuni dei presenti stavano uscendo dalla sala. Fuori, in corridoio, si vedevano tanti altri ragazzi che camminavano a passo svelto verso il portone di ingresso.

“Cosa starà succedendo?” domandò, più a se stessa che agli amici.

Quella massa di gente non le faceva venire nessuna voglia di alzarsi e andare a vedere di persona, ma era comunque curiosa. Insomma, se così tanti studenti si erano mossi doveva significare pur qualcosa.

“Mmm, ho sentito che oggi se ne sarebbe andato il professore di babbanologia,” rispose Blue, rivolgendole uno sguardo preoccupato.

Emily tremò impercettibilmente sentendolo nominare. Si irrigidì, ma poi capì che, se tutti stavano uscendo, significava che lui si trovava già nel giardino del castello. Insomma, non l’avrebbe visto neanche per sbaglio, mentre passava in corridoio.

Tirò un sospiro di sollievo appena udibile e si impose di tornare concentrata sul suo libro, anche se sembrava impossibile in quel momento.

“Cecil, tu non vai con gli altri a salutare il tuo capo casa?” gli chiese Blue, giocherellando con la sua piuma per mascherare il suo disagio, che per Emily era comunque visibile.

No,” rispose Cecil in un tono categorico, senza nemmeno alzare lo sguardo.

Fu Emily ad alzarlo su di lui, terrorizzata. Cecil sapeva tutto, non aveva idea di come fosse possibile ma era così! 

Rivolse lo sguardo a Blue e la trovò con gli occhi sgranati e la bocca schiusa, la penna che le era scappata di mano macchiando di inchiostro il libro.

Forse a causa del loro silenzio improvviso, Cecil alzò il capo ritrovandosi trafitto dai loro sguardi.

“C-Come l’hai capito?” gli domandò Emily, trovando le parole a fatica.

Non era più il caso di farne mistero, dato che era chiaro che lui lo sapesse. Però doveva capire come fosse possibile, perché non voleva che nessun altro lo scoprisse o che la voce si spargesse per tutta la scuola.

Cecil sospirò e chiuse il suo libro.

“Dopo le selezioni della squadra di quidditch, la McGranitt si è presentata nel mio dormitorio insieme al professor Paciock. Ha detto che lui sarebbe stato il nuovo capo casa da quel momento in avanti, perché Fiery avrebbe presto lasciato la cattedra per motivi personali… Quindi di rivolgerci al professore di erbologia, o ai prefetti, per qualsiasi necessità, non più a lui. Il giorno dopo tu non sei scesa a colazione e le tue amiche non mi hanno fatto entrare a vedere come stavi. Blue mi ha detto… che qualcuno ti aveva fatto del male, e per me è stato subito ovvio il colpevole, anche se all’inizio non volevo crederci.”

Emily storse le labbra in un’espressione disgustata e tenne lo sguardo incollato al legno del tavolo mentre lo ascoltava. Non solo l’aveva capito da sé, ma lo aveva fatto fin dall’inizio. Per questo non aveva insistito per sapere chi fosse.

“Emily? Non volevo prenderti in giro o altro, solo non mi sembrava il caso di dirtelo,” continuò Cecil, richiamando la sua attenzione. “Non volevo farti soffrire ancora di più…”

Le era sembrato arrabbiato mentre spiegava tutta la storia, mentre ora era solo dispiaciuto. Annuì, comprendendo le sue ragioni. Alla fine aveva solo voluto proteggerla da una sofferenza inutile e lei non aveva motivo di avercela con lui.

Il fatto che lui sapesse la turbava, però non sembrava cambiare la situazione, né la considerazione che il ragazzo aveva di lei.

 
La sera stessa, appena prima della cena, la preside tenne un breve discorso. Forse il giorno prima non l’aveva fatto per avvisare della dipartita di Fiery, sia perché lui non si presentava più in sala grande, sia perché probabilmente non voleva attirare su di lui l’attenzione di tutti.

Ora che se n’era andato, comunicò la cosa come per assicurarsi che lo sapessero anche gli studenti più distratti. Nominò ufficialmente Neville Paciock come capo casa di Grifondoro e presentò il nuovo insegnante di babbanologia, anche se avrebbe ricoperto quel ruolo solo temporaneamente.

Si trattava di Arthur Weasley, che Emily conosceva superficialmente perché aveva sentito parlare di lui – e della sua famiglia – nei testi relativi alla seconda guerra magica.

La McGranitt disse che era stato direttore dell’Ufficio per l'Uso Improprio dei Manufatti dei Babbani, mentre ora dirigeva l’Ufficio Intercettazioni e Confisca di Incantesimi Difensivi e Oggetti Protettivi Contraffatti. Si era preso una piccola pausa dal Ministero per occupare la cattedra di babbanologia, rimasta scoperta con così poco preavviso.

A Emily tutti quei paroloni entrarono da un orecchio e uscirono dall’altro, però le rimase impresso il fatto che esistesse un dipartimento del Ministero dedicato all’uso improprio degli oggetti babbani. Si disse che le era necessario informarsi a riguardo.

In quanto al nuovo insegnante – temporaneo – di babbanologia, era un uomo di quasi sessant’anni dai capelli di un color arancione acceso e dall’aria amichevole.

Una parte di lei, quella ancora interessata alla materia, avrebbe voluto fargli delle domande. Un’altra però era rimasta recentemente scottata e malediceva il giorno in cui aveva dato confidenza a Fiery, e quella ebbe la meglio. Si disse che, malgrado la sua curiosità, non si sarebbe mai avvicinata al professor Weasley senza che fosse davvero necessario.

Il discorso della preside fu breve e diede il via al solito banchetto delizioso. Emily si sentiva più leggera ora che era certa che quell’uomo viscido non era più nel castello, e che era stato finalmente rimpiazzato, quindi mangiò serenamente.

La sua amica Patricia, accanto a lei, iniziò a chiacchierare di argomenti frivoli e anche quello la rassicurò, perché in sua compagnia sembrava che la normalità di sempre non si fosse mai incrinata. Ana e Nathan, davanti a lei, battibeccavano come al solito dandole la stessa impressione.

E pensare che al primo anno si era trovata male nella sua casa perché tutti le erano sembrati freddi e presuntuosi. Era felice di aver fatto amicizia almeno con loro tre, alla fine, e doveva dire che l’atmosfera generale del dormitorio era presto diventata meno soffocante.

Era davvero felice di quei momenti di serena normalità, tanto che sperava sarebbero diventati sempre più presenti fino a far svanire del tutto le sue preoccupazioni.




Note di quella che scrive

ALLORA, so che la scelta di inserire Arthur per quel ruolo è un po' forzata, e che per lui è sicuramente doloroso tornare al castello, ma volevo far comparire una faccia amica. E soprattutto, volevo fosse chiaro che non tutti sono interessati o disposti ad accettare la cattedra di babbanologia. Per questo Fiery resta a scuola UN MESE (maledettoooo) prima che possano effettivamente liberarsi di lui. Comunque, ditemi cosa ne pensate!

So che i toni della storia sono cambiati, ma vi garantisco che è solo una fase. Spero non sia troppo pesante per voi...

Alla prossima!
   
 
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