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Autore: Fanny Jumping Sparrow    18/02/2024    0 recensioni
La maledizione azteca è finalmente spezzata, la Perla Nera è svanita nella notte e i nostri tre eroi, Jack, Will ed Elizabeth, dopo tante battaglie, si ritrovano tutti sulla stessa nave, dovendo fare i conti con il futuro incerto che li attende una volta tornati a Port Royal.
In questa breve storia in 5 capitoli ho provato ad immaginare come sia potuta andare la loro navigazione.
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elizabeth Swann, Jack Sparrow, James Norrington, Weatherby Swann, Will Turner
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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V – Quello che un uomo può

Il risuonare stridulo e acuto di un fischietto la fa svegliare di soprassalto.
Anche quella notte ha stentato ad addormentarsi, tra la scomodità della branda, il caldo umido imperante e quel grosso macigno a gravarle sul petto.
Non vuole deludere le aspettative del suo buon genitore, perciò alla fine ha accettato di impersonare il ruolo della figlia giudiziosa e ubbidiente. Ma come può rimanere incatenata per il resto della sua vita ad un uomo che stima ma non ama?
Soltanto il movimento ondulatorio dello scafo è riuscito a conciliarle per qualche ora un sonno leggero, tormentato da dilemmi e dubbi, e, dopo che quel moderato oscillare si è interrotto, i suoi sensi sono tornati irrimediabilmente vigili.
C’è un gran tramestio sopra coperta, ingombranti cassoni che si spostano, passi affrettati che si susseguono, comandi scanditi che si rincorrono; tutto quello scalpore le fa presentire che stia accadendo qualcosa degno di nota.
Il beccheggio si è notevolmente ridotto, le vele devono essere state ammainate.
Elizabeth non riesce a tenere a bada la sua curiosità, si sgranchisce e comincia a cercare tentoni i vestiti dismessi la sera prima. Non le serve accendere alcuna candela, dalle vetrate penetra già un tenue bagliore dorato, sufficiente a permetterle di muoversi senza inciampare né urtare nulla, evitando anche di svegliare anzitempo suo padre, che, col suo persistente mal di mare, ha faticato ancora più di lei ad assopirsi.
Rientra silenziosamente nei grezzi pantaloni di fustagno, infila calzamaglia e scarponcini, e infine rientra nell’appariscente giubba rossa, arricciando un po’ il naso: quegli indumenti prestati hanno ormai un odore vissuto. Disponendo di un guardaroba principesco, non le era mai capitato di dover indossare gli stessi abiti per tre giorni di fila.
Detesta ammetterlo, ma le sono mancate certe finezze e comodità, come non potersi strofinare per bene con acqua e sapone. Mentre si riveste, avverte prepotente il bisogno di concedersi un lungo bagno ristoratore, di distendersi su lenzuola pulite e profumate, di lavare via dalla pelle il sale, la polvere e la stanchezza accumulate durante quell’indimenticabile girandola di eventi inimmaginabili per una ragazza della sua estrazione, la cui quotidianità è sempre stata scandita da ozio, riverenze e privilegi.
Le intense emozioni vissute in quei giorni l’hanno cambiata profondamente.
La visione romantica e mitizzata che aveva dei pirati ne è uscita stravolta, sfatata, l’irresistibile attrattiva che provava nei loro riguardi si è ridimensionata, ma non estinta.  
Già rimpiange l’imminente ritorno alla sua monotona normalità.
Se solo lo volesse, potrebbe addurre un’indisposizione per restare anche un’intera settimana in camera sua a struggersi nei ricordi. È un genere di capriccio che, in quanto fragile donna, non le verrebbe negato, anzi il riposo le verrebbe caldamente consigliato, ma non si addice al suo modo di essere e qualcuno a lei vicino potrebbe nutrire più di qualche sospetto su una sua improvvisa volontà di inerzia e isolamento, si ravvede inviando uno sguardo accorto oltre il paravento sistemato per dividere il suo giaciglio da quello dell’altro ospite.
Il febbrile vociare dei marinai intanto giunge sempre più vivido fin dentro la cabina posta sul ponte maggiore, la sistemazione che è stata loro concessa essendo le persone di maggior prestigio a bordo della Dauntless.
«Elizabeth? Che succede?», anche suo padre è stato svegliato da quel gran trambusto.
«Sembra che non ci muoviamo più», presume lei, acconciandosi i lunghi capelli bisognosi di una lavata in una molle treccia, che appunta come può con un pezzo di nastro.
Weatherby Swann sospira rinfrancato: ha sofferto di nausea e capogiri dal primo istante in cui ha messo piede su quel vascello instabile e maleodorante. È ancora acciaccato e intirizzito dal cattivo riposo su quel grezzo lettuccio. Afferra la parrucca brizzolata e si rende presentabile, recuperando i suoi vestiti, prima di uscire dal separé e raggiungerla sulla soglia della porta dai vetri rotti, che è stata grossolanamente accomodata con qualche tavola di legno per attutire spifferi e rumori esterni.

«Mollare gli imbandi e gettare gli ormeggi!»

Quando padre e figlia si affacciano sul cassero, quasi nessuno li nota, indaffarati come sono tutti quanti, ognuno nelle proprie marinaresche mansioni.
Sulla tolda fervono le manovre di messa alla fonda della Dauntless, c’è un brulicare di marinai affaccendati a darsi da fare tra il sartiame, gli alberi e i paranchi.
I due ospiti rimangono fermi, sentendosi fuori posto e quasi dimenticati.
Non fanno in tempo a dolersene, che James Norrington giunge tempestivo a prevenire qualsiasi loro rimostranza: «Buongiorno, Milord. Elizabeth», li riverisce con misurata galanteria, abbonando un garbato sorriso. «Ben tornati a casa».
«Siamo già arrivati, dunque?», il Governatore Swann gli chiede conferma, schermendosi con una mano dagli obliqui raggi del sole nascente per tentare di identificare il profilo della verdeggiante isola caraibica su cui da quasi dieci anni esercita la sua autorità per conto della Corona britannica.
«In anticipo?», si stupisce Miss Swann, rammentando la previsione con cui si è congedato la sera precedente. La ragazza per un attimo si domanda se l’ufficiale le abbia volutamente riferito una stima meno ottimistica per sorprenderla sulle sue eccellenti abilità di navigatore, ma in fin dei conti adesso non le importa mettersi a questionare su quel punto. Ha notato che sono in atto delle operazioni di trasbordo.
«Magnifico», sospira suo padre, «Almeno faremo una lauta colazione», le bisbiglia all’orecchio. Anche lo scadente cibo destinato ai marinai non è stato di suo gradimento.
Il Commodoro Norrington si riappropria della loro attenzione: «Non vi avevo ancora fatto avvertire perché, come potete vedere, dapprima stiamo provvedendo a sbarcare i prigionieri da trasferire a Fort Charles».
A quelle parole Elizabeth tenta istintivamente di avvistare Will. Le sembra essere trascorsa un’eternità dall’ultima volta in cui i loro occhi si sono specchiati. E non riesce a non ripensare al suo sguardo ferito.
Scoprendo anzitempo e chissà da chi la sua promessa di matrimonio, deve essersi sentito tradito, perché non è stata lei a rivelarglielo. Non voleva ingannarlo, gli deve delle spiegazioni. Dovrebbe andare a scusarsi con lui, tanto per cominciare, ma non sa quando potranno rivedersi e parlare.
Vuole almeno sincerarsi che stia bene, dopo aver subito quell’ingiusta prigionia.
Norrington nel frattempo risale le scalette del castello di poppa e si avvicina a loro, occupandole la visuale: «Governatore, se me lo consentite, propongo di fissare l’esecuzione del signor Sparrow a oggi pomeriggio».
Weatherby Swann ha un sussulto. Da che è stato investito della sua attuale carica, malgrado non siano scarseggiati svariati e frequenti atti di delinquenza di cui è stato ragguagliato, finora non ha mai dovuto sottoscrivere sentenze capitali.
«Quello screanzato ha causato problemi durante il viaggio?», domanda restio e un po’ timoroso della risposta che riceverà.
«È un tipo imprevedibile. Non mi fido di lasciarlo un solo giorno di più in una cella», il rampante ufficiale giustifica la sua categorica presa di posizione.
«Certo, certo. Meglio non procrastinare», conviene l’aristocratico, proprio mentre un altro gruppetto di pirati, incluso il summenzionato Sparrow, viene scortato e caricato forzosamente su una scialuppa, sotto stretta sorveglianza di un quartetto di soldati muniti di moschetto.
Elizabeth, che ha appena avvistato per un attimo anche Will, non si trattiene più dall’intervenire inorridita: «Giustizierete quell’uomo senza alcun processo?», si oppone con accorato puntiglio.
È impensabile che un recidivo fuorilegge del suo calibro possa essere scagionato, lei stessa sa bene che gravano troppe accuse su di lui, e che difficilmente si dichiarerebbe pentito, ma almeno rimanendo in prigione potrebbe guadagnare qualche mese o anno e infine forse ottenere addirittura il perdono.
A quanto ha letto, è già accaduto a filibustieri con capi di imputazione ben più gravi.
James Norrington le riserva un’occhiata perplessa. Gli sfugge come una donna della sua levatura, tanto colta, virtuosa e raffinata, possa continuare a parteggiare per quel depravato malvivente che ha provato ad oltraggiarla e molto probabilmente è stato anche colpevole di far cadere dei bravi soldati in una sanguinosa imboscata.
«I cittadini di Port Royal hanno subito ingenti perdite. Occorre dare loro un fermo segnale di ripristino dell’ordine e della sicurezza», la redarguisce, rimarcando la sua rettitudine e la sua fervente dedizione alla causa che ha giurato di servire.
Ha esposto con rigore forse eccessivo le sue argomentazioni, lo intuisce dall’espressione remissiva con cui la spigliata e inarrendevole fanciulla piega il collo di cigno, astenendosi dal continuare a contestare lui o suo padre, che d’altro canto si limita a mormorare un diplomatico: «Sono d’accordo con voi».
Accomiatandosi con i suoi rispettosi omaggi agli Swann, si domanda se con quell’arbitraria decisione non abbia compromesso irreparabilmente ogni possibilità di abbrivo nel guadagnarsi la simpatia e l’ammirazione della sua futura moglie.
Ma non può fare diversamente, ha dei doveri nei confronti della gente che è stato chiamato a proteggere e non può anteporvi le sue aspirazioni personali, né gli egoistici desideri del suo animo.

I loro sguardi si sono ricercati e ritrovati anche da lontano, sorvolando oltre il parapetto e le pavesate, velature e corde, oltrepassando cappelli, giacche a punta e stivali.
Ha potuto rivederla soltanto per qualche fugace attimo, ma il suo cuore non ha ancora smesso di scalpitare da allora.
Will non sa spiegarsi come o perché, in qualche modo era sicuro che lei sarebbe stata lì fuori ad aspettarlo, nel punto più alto del cassero. Seppure stiano continuando ad allontanarsi e non possa più discernere quali emozioni colorino la sua espressione, riesce a distinguere ancora la sua figura esile e vibrante, ritta tra i due gentiluomini che la amano, i lunghi capelli biondi riflettono la luce del mattino appena sbocciato, che sta dipingendo di sfumature rosate le tranquille acque della baia.
Vorrebbe urlare il suo nome a squarciagola, saltare giù dalla barca, nuotare da lei, confessarle quanto ha dovuto tacerle per troppo tempo e poi baciarla con fervore, davanti a tutti, anche a costo di essere malamente respinto.
Ha combattuto senza indugio contro una schiera di pirati maledetti, non avrebbe problemi a battersi contro un manipolo di soldati ben armati e addestrati.
Se negli anni non si fosse così temprato a controllare il suo lato più passionale e impulsivo, nonostante le manette ai polsi e quelle due paia di canne cariche puntate addosso, probabilmente in questo momento lo avrebbe già fatto, al diavolo il buon senso e ogni briciolo rimastogli di decoro.
Un sobbalzo dello scafo lo riporta repentinamente al presente. Oltre a coprirsi di ridicolo, molto più realisticamente come minimo finirebbe crivellato di pallottole. Il solo fatto di essere stato sfiorato da quel pensiero folle, lo inquieta un po’. Entrare in contatto con quella gentaglia ha avuto una cattiva influenza su di lui, o forse ha soltanto risvegliato un’indole dissennata che ha sempre avuto nel sangue.
Scacciando quelle macabre immagini e tentando di calmare il tumulto che gli ribolle nelle vene, distoglie lo sguardo dalla Dauntless, ormai sempre più distante, riportandolo sui compagni di bordo. Su di uno in particolare.
Ha creduto che non si sarebbe mai dato per vinto, che avrebbe escogitato qualcosa di inconsulto per sottrarsi a quella cattura, così non è stato, ma Will vuole supporre che forse sta soltanto aspettando l’attimo propizio per agire di soppiatto.
Perciò tiene d’occhio l’ineffabile pirata, scruta ogni suo gesto o espressione, aspetta un suo cenno, un guizzo, tenendosi pronto ad entrare in azione.
Jack Sparrow, invece, dopo il loro ultimo diverbio è diventato stranamente taciturno, quasi disinteressato a ciò che lo attende, ancora più indecifrabile. Perso nelle sue più intime riflessioni, non guarda in faccia nessuno degli altri compagni imbarcati con lui, piuttosto fissa malinconicamente il mare, socchiude le palpebre e ne ispira a fondo e con lentezza quell’odore unico eppure mutevole, dolce e salato, pungente e inebriante.
Non c’è nient’altro al mondo che ami in maniera tanto viscerale e da cui gli dispiaccia maggiormente doversi separare.

Nell’approssimarsi alla terraferma l’umore di tutti gli arrestati si è sensibilmente incupito. Si limitano a bofonchiare, sospirare, imprecare sottovoce, qualcuno piagnucola perfino, ma nessuno di loro ostenta più la meschinità e la crudeltà con cui si sono fatti spaventosamente conoscere quale masnada maledetta, funestando per un decennio porti e insediamenti del Nuovo Mondo.
Neanche le galere di Fort Charles sono state risparmiate dalla furia dei cannoni della Perla Nera, l’impatto delle palle di piombo ne ha squarciato le mura, riducendo lo spazio riservato alla custodia dei criminali, che ora vengono ammassati in quei pochi cubicoli rimasti intatti, in attesa di un trasferimento o di una sentenza che li liberi da quella lenta agonia.
E così Will Turner si ritrova costretto, gomito a gomito, con quegli stessi uomini senza scrupoli che fino a qualche giorno prima hanno tentato di ucciderlo.
Con gli assassini di suo padre.
Sparrow stavolta non divide la prigione con lui, è stato rinchiuso da solo, dietro le stesse sbarre da cui il giovane fabbro costruttore lo ha tirato fuori, sfruttando un accorgimento celato nella realizzazione di quelle celle, finendo per invischiarsi in quella controversa alleanza che lo ha condotto a condividere la sua stessa deprecabile sorte.
Chiunque sia stato preposto a ripristinare le carceri, in ogni caso, si è preoccupato di rimuovere qualunque potenziale leva, si accorge desolatamente il ragazzo, cercandosi un angolino per sedersi.

La carrozza sobbalza spedita sul selciato malmesso e ricoperto di buche, inerpicandosi verso l’estremità settentrionale dell’isola, laddove si erge sontuoso e solitario il Palazzo del Governatore, che dal promontorio domina il pittoresco e ampio golfo di Port Royal.
Nonostante l’ora alta, per le vie della città ci sono già parecchie persone indaffarate.
Qualche lampionaio si occupa di spegnere le ultime torce rimaste accese dalla notte precedente, ciurme di pescatori si dirigono verso le banchine caricandosi reti e lenze, locandieri e massaie sostano sugli usci spazzando via cenere e detriti, commercianti e bottegai preparano la mercanzia da esporre sulle bancarelle o su dei malconci carretti con cui andranno in giro tra i vicoli e le piazze.
Alla luce del giorno l’entità della devastazione inferta dai pirati si mostra in tutta la sua esecrabile efferatezza. Le costruzioni più vicine al porto sono ridotte in cumuli di macerie pericolanti, alberi e cespugli appaiono bruciacchiati e inceneriti, le strade sono disseminate di rottami, fuliggine e fango.
Alcuni abitanti hanno perso tutto durante l’incursione di una settimana prima e vagano disorientati, tristi e attoniti tra gli edifici pieni di crepe e in rovina, altri, invece, non si scoraggiano, adoperandosi a riparare con travi e chiodi almeno le imposte e i tetti delle loro povere case.
Continuando ad osservare da dietro il vetro oscurato da una raffinata tendina di pizzo la miseria e la distruzione dei bassifondi, la figlia del Governatore è scossa da un fremito di vergogna. Si sente viziata ed egoista per aver pensato solo alle proprie paturnie.
Vorrebbe rendersi utile in qualche modo per quella gente sfortunata. Ma sa che non le è concesso sporcarsi le mani.
Comprende un po’ meglio il punto di vista del Commodoro Norrington, anche se non condivide la sua volontà di fare di Jack Sparrow l’unico capro espiatorio per quanto è successo. Le sembra solo una sterile rivalsa.
Non sono arrivati neanche a metà del tragitto, quando, tutto d’un tratto, il sostenuto galoppare dei cavalli si arresta. Miss Swann si sporge a guardare dal finestrino, per capire cos’abbia indotto il cocchiere a frenare.
Quel che vede è una misera famigliola, i genitori non avranno che qualche anno in più rispetto a lei e Will, ma si portano dietro una nidiata di figli petulanti e scalmanati, che, scorrazzando spensierati, per poco non finivano schiacciati sotto le ruote del veicolo.
La più grande delle bambine, capendo chi sia, si prodiga a rivolgerle un piccolo inchino, esibendo anche un sorriso sdentato, prima che la madre la sproni con brusca solerzia a venir via dalla strada e togliere l’intralcio, allontanandosi con il resto della prole senza tanti convenevoli.
Qualche altro passante allora la nota, soffermandosi a salutarla. Sembrano tutti incuriositi e sbalorditi, la riveriscono cordialmente, ma dai loro ossequi più che un sincero rallegramento traspare della sottesa malizia.
La notizia del suo insperato ritorno in breve finirà sulla bocca di tutti. E immagina già cosa si malignerà sul suo conto: giacché ha trascorso giorni alla mercé di pirati dissoluti e debosciati, crederanno che sia stata disonorata. Non aveva riflettuto neanche su quello.
Compunta dal loro invadente scrutinio su di sé, la ragazza si ritrae all’interno della vettura, richiamata anche da suo padre, che subito dopo si rimette a sonnecchiare, mentre la carrozza riprende a muoversi celere in direzione del ricco quartiere di St. Paul.
Varcato il cancello della magione, l’accoglienza che le riserva la fedele servitù è molto diversa, sono tutti molto contenti e sinceramente commossi di rivederla sana e salva e si offrono di esaudire ogni sua richiesta, la premurosa Estrella in primis.
Nota un alone rosso scuro proprio davanti alla porta d’ingresso che una domestica armata di strofinaccio sta alacremente tentando di scrostare, ed Elizabeth non trattiene un brivido, ricollegandolo al ricordo della brutale uccisione del maggiordomo avvenuta l’ultima notte che ha trascorso lì.
Suo padre le si accosta con fare protettivo, invitandola a passare oltre quella funerea visione: «Confido che presenzierai anche tu più tardi. E dopo che questa spiacevole faccenda sarà conclusa, organizzeremo una festa per ufficializzare il tuo fidanzamento con il Commodoro Norrington».
Weatherby Swann si decide a rompere la mancanza di dialogo che ha accompagnato il loro tragitto da che hanno lasciato il molo, e il suo annuncio accende d’entusiasmo le cameriere che si congratulano con i padroni di casa per il lieto evento.
Agli occhi dell’aristocratico, forse un po’ abbacinati dalle proprie ambizioni, la sua unica erede e l’ineccepibile ufficiale formano una coppia ben assortita; li ha visti fare conversazione, passeggiare insieme, confrontarsi in maniera stimolante. Lui ha la maturità giusta per aiutarla a crescere e ad abbandonare le sue fatue fantasie infantili.
«Sarà anche un modo per ritornare alla normalità», aggiunge con le migliori intenzioni, ma gli sembra che le sue blande parole accrescano l’attrito tra lui e l’insolitamente ritrosa figlia, la quale, annuendo sommessamente, si limita a farsi sfuggire un fievole sospiro, che lui non sa bene come interpretare, per poi rifugiarsi in tutta fretta al piano superiore.
Il Governatore sale a sua volta verso i suoi appartamenti, anelando a recuperare un po’ di ristoro, anche se prima di poggiare la testa sul cuscino o rifocillarsi deve assolvere ad una promessa fatta ad Elizabeth.
Convoca perciò il suo segretario, affinché possa sbrigare subito quell’incombenza.

Avere una cella tutta per sé più che una punizione sembra quasi un trattamento di favore.
Che lo ritengano diverso dagli altri della sua risma lo lusinga. È quello in cui ha sempre confidato, distinguersi dalla feccia, dimostrare di non essere un semplice criminale di bassa lega, bensì un gentiluomo di ventura unico nel suo genere, un uomo impavido che ha scelto volutamente di rinnegare gli asfissianti vincoli della società e di condurre una vita libera, esaltante, scostumata, senza costrizioni di alcun tipo.
Anche se, a voler essere un pizzico onesto con se stesso, non è che ora come ora abbia tutta questa possibilità di muoversi. Una cella resta comunque una cella.
Un refolo salmastro gli solletica le narici e i sensi, sospingendo le sue membra intorpidite dalla forzata immobilità a raggiungere la piccola apertura inferriata da cui può almeno fruire dell’apprezzabile vista sulla rada, punteggiata dagli alberi di un discreto numero di velieri di varia foggia.
È lì che dovrebbe trovarsi un gagliardo avventuriero come lui, su uno di quei legni galleggianti, possibilmente dotato di un buon pescaggio e di un’adeguata attrezzatura velica, l’incomparabile ebbrezza del mare aperto e delle sue tante incognite ad attizzare il suo spirito mai domo.
Non si è mai guardato indietro, ha sempre e solo contato su stesso. E invece, adesso, dopo tante tribolazioni per forgiarsi un nome che sarebbe stato ricordato, tutto quello che gli resta da fare è attendere passivamente che succeda qualcosa, restandosene coricato su un pagliericcio umido e puzzolente.
È inutile prendersi in giro. Non marcirà lì dentro, le sue ore sono contate. Lo sente.
Eppure, stranamente, non prova sconforto né commiserazione.
Direbbe qualsiasi cosa per salvarsi la pellaccia. Farebbe qualsiasi cosa. Tranne pregare.
Ha ancora una dignità da difendere, nonostante tutto.
«Credevo che stessi aspettando il momento più opportuno per … improvvisare qualcosa».
Il figlio di Sputafuoco Bill, confinato nel cubicolo accanto al suo, sporge la faccia tra le grate che li dividono, apostrofandolo puntiglioso, un’espressione delusa che sa di rimpianto, di speranza tradita, ma è anche sottilmente provocatoria.
Gli rimarca il suo fallimento, lo taccia di codardia.
Ma lui non ha più lo spirito di arridere all’ineluttabilità della sua sorte avversa: «Non sempre quel momento arriva. La vita è una ruota che gira, comprendi?», lo redarguisce disincantato e indolente.
Will sta per ribattere qualcosa, quando l’incedere di alcuni passi pesanti riecheggia dalla rampa di scale in fondo al corridoio, precedendo l’ingresso di un paio di guardie.
«Chi di voi è William Turner?», domanda uno dei due soldati, interrogando con sguardo inquisitorio le facce nervose e demoralizzate dei prigionieri.
Il diretto interessato si fa avanti con circospezione, scavalcando gli inseparabili Pintel e Ragetti, fiaccamente adagiati sul pavimento di pietra, intenti a confortarsi a vicenda.
L’uomo in divisa lo studia per qualche secondo, per accertarsi che corrisponda alla descrizione fornitagli e che non sia qualche altro mascalzone che prova a spacciarsi per lui, poi, rassicurato dalla sua identità, prosegue a leggere il documento vergato che reca con sé, con l’aiuto del collega che gli regge un lumicino: «Sua eccellenza il Governatore di Port Royal Lord Weatherby Swann, con l’autorità conferitagli da sua Maestà Re Giorgio II di Gran Bretagna, ha emesso un atto di clemenza a vostro favore. Pertanto vi è stato perdonato il reato di pirateria e verrete dispensato dalla condanna prevista per tale infame crimine».
«Hai capito il bastardello!»
«Raccomandato!»
«Avrà qualche santo in Paradiso!»
A quell’annuncio si levano ingiurie, proteste e mormorii rosi d’invidia, mentre il giovane Turner, interdetto, avverte il groppo annidatosi nelle budella sciogliersi, le ginocchia divenire molli, le pulsazioni più forti e la testa ronzare, tanto che quando la porta gli viene aperta tarda a muoversi, fino a che non sono le stesse guardie ad afferrarlo e trarlo fuori, dovendo ricacciare indietro un paio di delinquenti che tentano di approfittare della circostanza per uscire al posto suo.
Ricevendo in mano il salvacondotto, Will aggancia lo sguardo sghembo di Jack Sparrow che gli ammicca con fare saputo: «Fa’ buon uso della tua libertà, figliolo … Voglio dire, non disturbarti di venire a tirarmi i piedi!», si rettifica in un lampo per quel paterno monito soffiato quasi incidentalmente.
Il ragazzo stavolta non ricaverebbe alcun vantaggio nel salvarlo, perciò perché mai dovrebbe compromettersi per lui?
Anche se, riflettendoci, non ha avuto la compulsione di mentire. Può darsi che quando si è vicini alla dipartita si diventa più autentici, non si ha più nulla da perdere.
Senza scomporsi troppo, il pirata si lascia attraversare da quella futile considerazione e, voltandosi, torna a piazzarsi davanti alla finestra, restando in assorta contemplazione del distante paesaggio marino che tanto adora.

Mentre torna a respirare all’aria aperta, Will non riesce ad essere altrettanto strafottente.
Si sente quasi in torto per essere stato l’unico scagionato.
Percorrendo i viottoli sabbiosi dei cantieri navali di Pembroke Street, scendendo a sud della baia verso il quartiere disastrato di Ridge Street per poi svoltare a est dove sorgono gli empori, le mescite e le botteghe artigiane di Howell Alley, si accorge di tanta gente sfollata che si arrabatta per rimettere in sesto le proprie attività commerciali e le proprie abitazioni. C’è molto da ricostruire.
Alcuni conoscenti, vedendolo ricomparire in quei paraggi, scambiano con lui qualche chiacchiera o un saluto affrettato, chiedendogli di ripassare appena può per aggiustare qualcosa e lui cerca di non scontentare nessuno, promettendo di aiutarli come potrà.
Appena rientra in officina viene accolto da un signor Brown meno alticcio del solito che, affaccendato ad armeggiare con incudine e martello, più che preoccuparsi di sapere dove sia sparito negli ultimi giorni, gli inveisce contro con una mordace ramanzina, rimproverandogli di averlo abbandonato proprio nel momento di maggiore bisogno.
Will sospira guardandosi intorno: la fucina in effetti trabocca di commissioni incompiute e sulla bacheca adocchia una sfilza di fogli con i promemoria di altri ordinativi.
Il lavoro nelle prossime settimane di sicuro non gli mancherà e magari lo aiuterà a distrarsi e a dimenticare quanto è successo. A dimenticare perfino Elizabeth.
A tempo debito potrebbe trovare una brava ragazza, umile, onesta e abbastanza gradevole, con cui accasarsi e relegare il ricordo di ciò che c’è stato tra loro a nient’altro che una parentesi irripetibile, un sogno effimero.
Ci sono almeno un paio di fanciulle dabbene che spasimano per lui, semplici e poco pretenziose figlie di mercanti che potrà frequentare liberamente, poiché appartengono al suo stesso ceto. È scontato che nessuna di loro potrà mai competere con la grazia, l’intelligenza e il coraggio di Miss Swann, ma dovrà perlomeno provarci.
Provarci o impazzire. Prima o poi quell’insana smania di volerle stare accanto passerà.
Oppure dovrà trovare il fegato di confessarglielo.
Risalendo nella sua stanzetta al piano ammezzato per darsi una veloce ripulita, ode le campane della chiesa di Sant'Anna rintoccare a distesa, cosa che capita solo in situazioni di allarme o per richiamare i cittadini a raccolta.
Con un sapore amaro nel palato, Will pensa di intuire da cosa dipenda quel crescente fermento. Nella piazza di High Street hanno già allestito la forca per le esecuzioni.
Poco fa, quando passando da lì ci si è imbattuto, è rimasto a distanza, provando dispiacere e fastidio nel cogliere i commenti pieni di disprezzo e di esaltazione delle persone che stavano cominciando a radunarsi per il cruento spettacolo che si terrà prima del tramonto.
A salire sull’infame palco sarà proprio quel pirata squinternato, vanesio e opportunista, astruso e imprevedibilmente geniale nella sua bizzarria, senza il cui appoggio un modesto fabbro asciutto di inganni e ignaro di navigazione non sarebbe mai riuscito ad imbarcarsi per salvare l’amore della sua vita.
A quanto pare alla fine hanno scelto di immolare proprio lui, come indennizzo per le tante vite perse o distrutte.  Non sembra un atto di giustizia, quanto piuttosto una ripicca per saldare un conto in sospeso di natura personale.
Nessuno si esprimerà a suo favore né gli mostrerà compassione, benché non sia certo il peggiore tra gli uomini conosciuti che si sono associati alla filibusta per non essere imbrigliati in un’esistenza spenta e piatta, in cui limitarsi a servire e obbedire a testa bassa per sopravvivere.
Will si rende conto che in fondo, nel suo essere fedele solo a se stesso, nel suo perseguire accanitamente i propri desideri e non farsi comandare dagli altri, un po’ lo ammira. C’è del buono in quel briccone scalognato; forse comincia a capire perché suo padre si è schierato dalla sua parte.
Il suo spirito eversivo lo comprende.
Si è dovuto piegare anche lui a consuetudini imposte da altri e ora non sa più se lo ha fatto per quieto vivere o per vigliaccheria. Sa solo che non vuole più subire le decisioni altrui, non gli importa della loro approvazione.
Se ha imparato qualcosa dalla sua recente esperienza tra quei tagliagole, è che non si può vivere di rimorsi né di rimpianti.
Rovistando nella piccola cassapanca ai piedi del letto rinviene dei vestiti quasi nuovi, un cappello piumato e un mantello carminio. Ha potuto comprarseli con le mance racimolate in un intero anno e conservate con parsimonia. Non li ha mai indossati per non sciuparli, convinto che li avrebbe sfoggiati per un’occasione speciale che non è mai arrivata.
La sortita suicida che si sta apprestando a compiere potrebbe finalmente rivelarsi il momento giusto.
L’eco dei rintocchi si sta spegnendo, ma non tutto è perduto, può ancora evitarlo.
Sì, Jack Sparrow è meritevole di una seconda occasione.
Non lo lascerà indietro.


Ehilà! Marinai e donzelle, ben ritrovati ^_^

Rieccomi finalmente approdare con il capitolo conclusivo di questa breve long interamente scritta per coprire la lacuna presente tra due scene dell'atto finale del primo magnifico film di questa saga, che mi hanno dato modo di riflettere e soprattutto di fare un bel poì di introspezione sui personaggi coinvolti.
Lo so, è trascorso un tempo ignobilmente lungo dall'ultimo aggiornamento, ma a mia discolpa posso dire che questi mesi dal punto di vista personale sono stati abbastanza turbolenti per me, tra l'inizio di un nuovo lavoro, il trasferimento in un'altra città e l'inizio di una convivenza unicamente con me stessa XD
Adesso che mi sono finalmente sistemata, confido di riuscire a riprendere le fila di alcune altre ff in sospeso, su Pc e su appunti cartacei.

Ciance a parte, ringrazio chi ha letto o leggerà questa composizione e spero che la trovi di suo gradimento.
Come sempre pareri, critiche e osservazioni sono sempre ben accette.

Ps: Per le indicazioni urbanistiche su Port Royal ho fatto riferimento ad un bel libro letto nel frattempo, ovvero "L'isola dei pirati" di Michael Crichton.


Al prossimo approdo!)
   
 
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