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Autore: Zobeyde    21/02/2024    2 recensioni
Prequel de “Gli ultimi maghi”
Sono anni turbolenti per l’Europa: la Belle Époque sta per tramontare, sotto l'incombere di una guerra come non se n’erano mai viste, e nella millenaria città di Arcanta, dove la magia esiste e i suoi abitanti hanno da sempre vissuto al riparo dalla corruzione del mondo, c’è chi non può restare indifferente ai cambiamenti fuori dalle sue mura incantate:
Abigail Blackthorn, in fuga da una gabbia dorata per aiutare chi soffre nelle trincee, dove inaspettatamente troverà amore e dannazione.
Solomon Blake, cinico, ladro, machiavellico, determinato a rendere la magia grande come un tempo, fino al giorno in cui scoprirà che ogni cosa ha un prezzo.
Zora Sejdić, maga decaduta che ha fatto dello spiritismo la propria arma per la scalata al potere. Un’arma però che si rivelerà presto a doppio taglio…
Dal testo:
[…] Vede, ambasciatore, io non credo né negli dei, né negli uomini. Credo che ognuno di noi, presto o tardi, venga chiamato a giocare un ruolo in una partita ben più grande. Deve solo capire qual è il suo. […]
Genere: Angst, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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L’INFERNO

 

 
 
«Un solitario impulso di gioia
mi spinse a questo tumulto tra le nuvole:
ho soppesato, valutato tutto,
gli anni futuri solo fiato disperso,
fiato disperso gli anni alle spalle
in equilibrio con questa vita, questa morte.»
 
Un aviatore irlandese prevede la sua morte,
William Butler Yeats, 1919.
 
 
 
La Panne, 1915
 
«Adesso, miss Thorn» disse il dottor Depage, posizionando un lungo imbuto di legno sul petto di Abigail e porgendo l’orecchio all’altra estremità. «Faccia un bel respiro.»
La ragazza obbedì con pazienza, sentendo su di sé lo sguardo ansioso di Fanny.
Depage completò la visita, pose ad Abigail le consuete domande (assumeva abbastanza acqua, frutta, legumi? Quante ore dormiva? Era a conoscenza di casi di schizofrenia in famiglia?), e infine, tornò alla sua scrivania. «In tutta franchezza, lei mi sembra sana come un pesce, miss Thorn.»
«È quello che sto cercando di dire a tutti!» replicò la ragazza, guardando Fanny di traverso. «Sto bene, sono solo un po’ stressata.»
«Aspettiamo l’esito delle analisi per stabilirlo» ribatté Fanny, cocciuta come sempre. «Dottore, lei non l’ha vista, aveva le convulsioni! Forse è il caso di farle una radiografia…»
«Ho solo avuto un incubo» tagliò corto Abigail. «Stiamo perdendo tempo prezioso, che potrei usare per prendermi cura di chi ne ha davvero bisogno!»
Fanny e Depage si scambiarono un’occhiata, e il primario dell’Océan scrollò le spalle. «Se se la sente di tornare al suo lavoro, non posso certo impedirglielo. Le raccomando però di non trascurare la sua salute, miss Thorn, e di non affaticarsi più del necessario.»
Finalmente libera di andare, Abigail lasciò lo studio in tutta fretta.
Fanny la seguì a ruota. «Abigail, aspetta!»
«Che c’è?» scattò lei, bruscamente. «Si può sapere di quanti altri pareri hai bisogno?»
Rughe di disappunto incresparono la fronte di Fanny. «Ti ricordo che questo è un ospedale. Se qualcuno dimostra sintomi allarmanti è nostro dovere intervenire…»
«Io non ho niente che non vada!» sbottò Abigail, la rabbia che montava rapidamente. «E ti sarei grata se la smettessi di impicciarti della mia vita!»
La sua reazione stupì l’infermiera, che rimase a guardarla, interdetta. «Sono preoccupata per te. Ieri sembravi sconvolta…»
«Ho detto che sto bene!» esplose Abigail. «Quindi, piantala di starmi addosso e lasciami lavorare!»
Per la prima volta, Fanny non trovò nessuna risposta caustica da rivolgerle. Rimase lì ferma a fissarla, in un modo compassionevole che Abigail detestò, quasi quanto detestava essersi rivolta a lei così. Ma in quel momento, non le importava di aver ferito una persona che cercava di esserle vicina. In quel momento, più che mai, sentiva il bisogno di stare sola col suo dolore.
Perché, malgrado i traguardi raggiunti dall’Océan, i Mancanti non sarebbero mai stati in grado di comprendere la natura del male che l’affliggeva, tanto meno di alleviarlo.
Nessuno laggiù poteva sapere che lei era spezzata. Che assieme alla magia, suo padre le aveva strappato via quanto aveva di più prezioso. La sua identità. La sua stessa anima. E niente sarebbe mai riuscito a colmare quel vuoto che Abigail sentiva nel profondo, che appesantiva ogni suo passo, che le rendeva difficile persino respirare, come se al mondo non ci fosse più abbastanza aria, come se di colpo fosse invecchiata di almeno cent’anni.
Il lavoro era la sola cosa in grado di tenerla a galla, e non avrebbe permesso a nessuno di portarle via anche questo, nemmeno alle sue amiche, nemmeno se credevano di farlo per il suo bene. Perciò, nei giorni a venire, Abigail si sforzò di nascondere a chiunque la sua debolezza, l’affanno costante, il tremore delle mani ogni volta che le sue dita si stringevano intorno a un bisturi, le lacrime di frustrazione che sovente le salivano agli occhi. L’inappetenza e l’insonnia, la consapevolezza di non poter più fare la differenza laddove la scienza doveva riconoscere i propri limiti.
Ma la tortura peggiore di tutte, più del senso di mancanza e della spossatezza che le piombava nelle ossa al più banale sforzo, era il silenzio da parte di Tom.
Nessuna lettera giunse a La Panne dall’ultimo viaggio in astrale che Abigail avrebbe compiuto nella sua vita, nessuna notizia dal fronte occidentale. I fucili tacevano, e solo i corvi spezzavano di tanto in tanto il silenzio gravido di tensione che era calato in quei giorni sulla cittadina belga.
Molti avevano interpretato quella tregua come un segno positivo, ma i soldati più anziani non erano dello stesso avviso, e la definivano “la calma prima della tempesta”.
E quando la tempesta si abbatté su di loro, violenta e inattesa come un monsone estivo, sembrò annunciare la Fine del Mondo.
Cominciò durante la notte, quando all’Océan arrivarono più di centosettanta soldati, feriti o moribondi, una situazione che non si vedeva dall’ultima battaglia di Ypres: i letti a disposizione si esaurirono in fretta, tant’è che lungo i corridoi furono allestiti giacigli d’emergenza, che ostacolavano la corsa frenetica di dottori e paramedici.
Nessuno si era preso la briga di avvisarli, né di riferire quale fosse la provenienza di quegli uomini, o cosa li avesse ridotti in quello stato.  Gli ufficiali erano irascibili e si rifiutavano di lasciar trapelare informazioni, ma circolava la voce che l’esercito tedesco avesse improvvisamente deciso di abbandonare un settore del fronte che da mesi il colonnello Mackenzie sperava di conquistare. Col proposito di gettare scompiglio tra i nemici in ritirata e aprire un varco nelle linee, Mackenzie aveva dato ordine di attaccare. Fu un errore madornale.
«Era una trappola» rantolò un soldato a cui Abigail e Gwen stavano prestando soccorso, sputando sangue; lo stomaco gli era fuoriuscito da uno squarcio sull’addome, ed era rimasto in quelle condizioni per due giorni. Quasi sicuramente non avrebbe superato la notte. «Eravamo accampati ai piedi di una collina…e ci sono arrivati addosso all’improvviso. Erano dappertutto!»
«Di che Battaglione facevi parte?» domandò immediatamente Abigail, assalita dal panico.
«Del Secondo Devonshire, signora.»
Il cervello di lei andò in panne.
“Raggiungeremo il Secondo Devonshire per preparare l’attacco. Il colonnello Mackenzie conta di prendere la collina di Bellewaerde entro l’inverno…”
Le parole di Tom risuonarono nella sua mente stordita e il terrore le esplose nel petto. «Hai notizie di uno squadrone irlandese? È capeggiato dal capitano Doherty! Tom Doherty! Ha partecipato all’attacco? Sai se lo hanno portato qui?»
«Infermiera» intervenne con voce ferma il chirurgo, spingendola da parte. «Non adesso, dobbiamo operare.»
«La prego!» gemette Abigail, sgomitando per non perdere di vista il soldato, prima che venisse portato via. «Tom Doherty! Qualcuno lo conosce?»
«Abigail» disse piano Gwen, posandole una mano sulla spalla. «Calmati, se è qui lo troveremo, sono sicura che sta…»
Abigail se la scrollò di dosso, senza darle il tempo di dire altro. Dimenticò tutto il resto e si mise a correre all’impazzata, facendosi strada con fatica in quel mare di corpi dilaniati, barelle e letti di fortuna, in un mondo di dolore e morte, gridando il nome di Tom, di James, di chiunque potesse accendere in lei un barlume di speranza.
Fa che non sia troppo tardi, ti prego, fa che non sia troppo tardi…
Non sapeva neanche chi o cosa stesse pregando, ma lo fece con tutte le sue forze.
«Signorina» le venne finalmente in aiuto un portantino, vedendola così disperata. «Ho sentito che sta cercando gli irlandesi. Laggiù ne ho visti un paio, forse conoscono il suo amico.»
Abigail accolse la notizia come un miracolo, ringraziò l’uomo e si precipitò nella direzione indicata.
Quando irruppe nella camerata gremita di feriti, individuò all’istante Pàdraic, con una benda insanguinata attorno alla testa, a coprirgli l’occhio destro. Con lui c’erano anche O’Connor, Regan e alcuni dei loro compagni, coperti di terra e sangue, riuniti intorno a un letto con le teste chine.
La stanza oscillò davanti agli occhi di Abigail. No…
La piccola folla si aprì silenziosamente per cederle il passo. Fanny era piegata sul letto, intenta a praticare un energico massaggio cardiaco.
«Forza!» la sentì gridare, la voce corrosa dalla fatica, dalla rabbia e dall’angoscia. «Non puoi arrenderti, soldato! Combatti! Combatti! Te lo ordino!»
Abigail si avvicinò lentamente, respirando appena. Ti prego, ti prego, no…
A un tratto, Fanny emise un grido lancinante e crollò sulle ginocchia. L’algida e sprezzante Fanny Bouchard, inscalfibile come il diamante…
Abigail trovò il coraggio di guardare il corpo che giaceva sul letto, e il cuore le balzò nel petto.
Era James Finnegan.
Chiunque avrebbe stentato a riconoscerlo: la sua pelle era nera e dilaniata, e il fuoco gli aveva divorato tutti i capelli, lasciando il cranio esposto e ricoperto di croste rosse. I vestiti si erano fusi nella carne. Ma gli occhi erano spalancati, privi di ciglia, fissi verso l’alto come due piccole perle screziate di azzurro.
«Non è giusto» continuava a singhiozzare Fanny, il volto sepolto tra le braccia. «Potevo salvarlo…dovevo salvarlo…!»
No, pensò Abigail, il cuore che le si torceva tra le costole. Io avrei potuto salvarlo, se avessi avuto ancora la magia…
Guardò gli altri soldati, le lacrime che solcavano lo strato di sporcizia sui loro volti mentre si toglievano gli elmetti. Eoghan O’Neill si avvicinò a James, gli chiuse gli occhi con la mano e mormorò una preghiera.
La mente di Abigail era in caduta libera. Barcollò verso Fanny, si lasciò cadere al suo fianco e, senza pensarci un istante di più, l’abbracciò.
Per un lungo, doloroso momento, nessuno parlò. Poi, Pàdraic passò la manica sudicia sull’occhio e tirò su col naso: «Tommy non lo sa ancora. Qualcuno dovrà dirglielo.»
Ancora stretta a Fanny, Abigail alzò la testa. Il volto del soldato danzava oltre un velo di lacrime. «Tom è qui? Sta bene?»
«Lo stanno operando» rispose un soldato di nome Kennedy. «Dicono abbia un pezzo di ferro infilato nella gamba. Ma si riprenderà.»
Abigail lasciò andare pesantemente il respiro, come se il pugno attorno al proprio cuore si fosse finalmente dischiuso.
Pàdraic deglutì, di nuovo sull’orlo delle lacrime. «È vivo grazie a James. I tedeschi ci avevano circondati, hanno piazzato mine in tutto il bosco, e non avevamo vie di fuga…»
«Ci siamo trovati in mezzo al fottuto inferno» aggiunse O’Connor, dato che Pàdraic non ce la faceva a continuare. «Mackenzie era morto, il Secondo Devonshire disperso…non avevamo ordini, nessuna idea di cosa fare. Poi, Tom e James hanno aperto il fuoco contro un gruppo di tedeschi, per coprirci le spalle. Quei due pazzi.»
«Ma James ha visto la mina prima di Tom» proseguì Regan con voce rauca, le braccia serrate e lo sguardo cupo. «Non ci ha pensato un attimo: si è lanciato su di lui e lo ha spinto via prima che esplodesse. Era un eroe, cazzo.»
Sì, James lo era davvero. Il più coraggioso e leale amico che si potesse desiderare. Abigail pensò all’ultima volta in cui lo aveva visto, alla promessa che le aveva fatto poco prima della partenza…
“Glielo riporterò sano e salvo, miss. Parola mia.”
Tutto ha un prezzo. Era una lezione che ogni mago prima o poi doveva imparare. Nel Creato esistevano equilibri inviolabili, nella natura così come nella magia: prendere da un lato significava togliere dall’altro…e se fosse stato proprio questo il motivo per cui James era morto? Per il suo egoismo? Perché Abigail aveva desiderato con tutta la sua Volontà di maga che l’uomo che amava vivesse...?
Lottò per tenere lontani quei pensieri terribili, e si rivolse invece ai sopravvissuti: «Anche voi avete bisogno di cure. Forza, venite con noi.»
 
Seguirono giornate e notti caotiche, in uno stato di emergenza costante. Abigail si domandò se Mackenzie fosse morto con la consapevolezza della tragedia che aveva causato, pur di ottenere a tutti i costi la vittoria. I Mancanti e le loro misere ossessioni, terre, potere, denaro. I Decani su una cosa non sbagliavano: dopo secoli di guerre insulse, il sangue umano continuava a scorrere a fiumi, eppure i Mancanti sembravano incapaci di imparare dai propri errori.
Tom rimase sotto i ferri per due giorni, e per i successivi fu tenuto sotto stretta osservazione. Abigail andava da lui ogni volta che poteva, trovandolo incosciente a causa dei sedativi. Gli era stato diagnosticato un trauma cranico. Metà del suo volto era nascosto da fitte bende. Ma soprattutto, aveva riportato gravi lesioni alle gambe, forse permanenti…
«Gli abbiamo rimosso sedici schegge di bomba dalla gamba sinistra» l’aveva messa al corrente il chirurgo. «Nella migliore delle previsioni, rimarrà storpio.»
Abigail ottenne il permesso di accudirlo personalmente, giorno e notte, durante la sua lenta ripresa. Non era neppure sicura che lui la riconoscesse: non le parlava, inghiottiva con fatica acqua e cucchiaiate di brodo che Abigail lo induceva ad assimilare, la osservava con occhi spenti mentre gli spalmava un unguento sulle piaghe, o cambiava le fasciature, rispondendo con cenni e brevi parole alle domande dei medici. Non ebbe reazioni particolari neppure quando i suoi compagni vennero a trovarlo, o quando O’Connor riuscì a dirgli cosa fosse accaduto a James. Persino di fronte a quella notizia, Tom si limitò ad ascoltare le parole di cordoglio che loro pronunciavano come se la sua mente fosse altrove, chiuso in un silenzio impenetrabile.
Migliorò a poco a poco. Dapprima, riprese a sbocconcellare cibi solidi, poi acconsentì a partecipare alle sedute di fisioterapia. Qualche volta, si lasciò convincere da Pàdraic a farsi spingere in sedia a rotelle in giardino, o fino alla spiaggia.
Abigail non gli fece pressioni, non gli mise fretta. Il fatto che fosse vivo era già un dono immenso, e sapeva che le ferite che aveva riportato erano molto più profonde di quelle visibili in superficie.
«Ti ricordi chi sono?» osò domandargli una mattina, dopo averlo aiutato a radersi.
Tom incrociò il suo sguardo. I limpidi occhi color della pioggia erano belli come Abigail li ricordava, ma le parvero al tempo stesso così lontani e freddi. Diede comunque segno di voler ascoltare quel che aveva da dire e porse l’orecchio destro, l’unico funzionante.
«Mi chiamo Abigail» disse lei, reprimendo un magone. «Abigail Thorn. Ci siamo conosciuti in questo ospedale, ho partecipato con te e James al recupero del maggiore Draper. Mi hai scritto tutti i giorni, mentre eri là…»
«Mi ricordo di te.»
Il cuore di Abigail piroettò.
«Mi hai salvato la vita» disse Tom, sempre con quell’espressione distante. «Quando eravamo nella foresta.»
«Sì!» esclamò Abigail, sentendosi sciogliere dalla gioia. «Sì, eravamo lì insieme, e…!»
«Avresti potuto salvare anche James.»
Lei si interruppe, l’entusiasmo che si spegneva. «Io…»
«Tu sai fare cose straordinarie» mormorò lui. «Miracoli che vanno oltre la mia comprensione.»
Le si seccò la gola. «I-io…»
«Allora, perché non hai fatto niente?» pretese di sapere Tom. I suoi occhi adesso scavavano in quelli di Abigail, in cerca di risposte che lei non poteva dargli . «Perché non lo hai riportato da me? Ti sarebbe bastato poco, come quando hai fatto cadere quell’albero…»
«Mi dispiace» farfugliò Abigail, senza sapere cosa dire. «Non potevo...»
Vide la collera infiammare il suo sguardo. «Perché no? Cos’è, esiste una specie di…lezione divina che noi mortali dobbiamo imparare? Tutto questo… l’orrore che stiamo vivendo, non ti sembra abbastanza?»
«Non è così.» Abigail si sentiva vicina alle lacrime. «Ti giuro che avrei tanto voluto…»
La bocca del giovane si torse in una smorfia.
«Tom» sussurrò Abigail, implorante. «Ti prego, credimi, avrei fatto di tutto per salvare James…»
«Sono stanco» la fermò lui, gelido. «Voglio riposare. Per favore, va’ via.»
E si coricò sul fianco, dandole le spalle.
Abigail non riusciva più a parlare. Non era nemmeno sicura di stare ancora respirando. Si alzò, le gambe pesanti come macigni, e lasciò in silenzio la stanza.
 
Passarono alcune settimane, durante le quali Abigail non ebbe il coraggio di farsi vedere da Tom. Chiese a Gwen di prendersi cura di lui al suo posto, malgrado la distruggesse il pensiero di non potergli stare accanto, che lui adesso la odiasse…
“Quanto credi ci vorrà perché queste persone scoprano la verità e inizino a temerti...?”
Da quando aveva lasciato Arcanta, Abigail si era convinta che il mondo dei Mancanti fosse il posto giusto per lei, con le sue luci e le sue ombre: tra loro aveva conosciuto la bellezza e l’orrore di una vita senza illusioni, al punto da convincersi di non aver bisogno della magia per sentirsi completa…
E allora, perché adesso che sono esattamente come loro, mi sento così sola?
«Ti va di uscire po’ stasera?» le propose una sera Gwen, dopo essere passata dalla sua stanza.
Abigail era sdraiata sotto le coperte con la luce spenta, senza tuttavia riuscire a chiudere occhio; da quando aveva perduto i poteri, e dalla morte di James, era già tanto se dormiva per due o tre ore di fila. «Non ne ho molta voglia.»
«Dai» insistette Gwen, sedendole accanto. «Ci farà bene distrarci: solo qualche ora al pub sulla spiaggia. Lo ha proposto Fanny!»
Abigail la sbirciò da sotto la coperta. «Davvero?»
«Altroché! E ha anche aggiunto che, se non fossi riuscita a convincerti, ti avrebbe trascinato con un fucile puntato alla testa. Io faccio ancora fatica a capire quando è seria o scherza, non so tu!»
A quel punto, Abigail si mise a ridere, o almeno così credette: non le capitava più molto spesso, e temeva di aver dimenticato che suono avesse la sua risata.
«Meglio non metterla alla prova, allora.»
Convinse il suo corpo a lasciare il letto e a vestirsi con immensa fatica, e per tutto il tragitto attraverso il paese, Gwen fece davvero del suo meglio per tenere su il morale alla compagnia.
Ma quando alla fine raggiunsero il pub, Abigail capì che le era stata tesa una trappola; seduti attorno a un tavolo trovò Pàdraic, O’Connor, e tutti gli altri. Compreso Tom.
Le ragazze presero posto di fronte ai soldati, e Abigail, stretta tra Fanny e Gwen, fece di tutto per evitare di incrociare lo sguardo del capitano, curvo e taciturno, affiancato da una stampella; sembrava che la fisioterapia stesse iniziando a dare buoni risultati, dato che l’ultima volta che lo aveva visto era ancora in carrozzina. Forse, se avesse continuato così, un giorno sarebbe tornato a camminare…
Per buona parte della serata, l’atmosfera fu tutto fuorché allegra, nonostante i tentativi di Gwen e Pàdraic di rompere il ghiaccio con qualche aneddoto buffo capitato di recente, tipo quando i dottori avevano convinto Pàdraic a indossare una benda nera per coprire il foro che aveva al posto dell’occhio («“Pensaci, figliolo”, mi hanno detto. “Puoi sempre spacciarti per un pirata: le ragazze si getteranno ai tuoi piedi!”»).
L’oste offrì a tutti un giro di birre, in onore del loro coraggio, e a quel punto, O’Neill si tirò maldestramente in piedi, schiarì la voce e alzò il boccale: «A Jamie» disse, guardando i compagni con occhi lucidi. «Che il suo ricordo non svanisca. E la sua audacia sia da esempio per tutti noi.»
Una muta approvazione accompagnò le sue parole, mentre i bicchieri si sollevavano in memoria del giovane soldato. Seguì un altro lungo e tetro silenzio, dopodiché, lo sguardo fisso sulla sua birra, Kennedy iniziò a borbottare: «“Oh well, who wouldn’t be a sailor lad a 'Sailin' on the main. To gain the goodwill of his captain’s good name…”[1]»
«Kenny» grugnì O’Connor, massaggiandosi stancamente la tempia. «Piantala, non è un buon momento per mettersi a cantare!»
«Io invece credo che a James avrebbe fatto piacere» intervenne Pàdraic. «Adorava quella canzone.»
«Sono d’accordo» aggiunse Fanny, con voce roca. «E poi, non gli sarebbe andato giù di vederci con questi musi lunghi davanti a una birra!»
O’Connor fece per ribattere, ma inaspettatamente, anche il vecchio Regan iniziò a canticchiare, con la sua voce burbera e profonda, battendo il pugno sul tavolo: «He came ashore one evening for to be! And that was the beginning of my own true love and me! And it’s home, boys home!»
«Home I’d like to be!» canto Pàdraic, guardando gli altri con un sorriso incoraggiante. «Home for a while, in my own country! »
«Where the oak and the ash and the bonny rowan tree!» si unì anche Gwen. «Are all a-growing green in the old country!»
A poco a poco, anche gli altri soldati iniziarono a cantare, e sul loro esempio, dai tavoli vicini si levarono fischi e applausi, finché tutti si misero a battere mani e piedi a tempo:
 
«And it’s home, boys home!
Home I’d like to be! Home for a while, in my own country!
Where the oak and the ash and the bonny rowan tree!
Are all a-growing green in the old country!»

 
Abigail però non riusciva a trovare dentro di sé la forza per unirsi al coro, e continuava a fissare Tom, la sua mascella contratta e il dolore dipinto sul suo volto. Non si meravigliò quando, a un certo punto, lui afferrò la stampella e si issò faticosamente in piedi, zoppicando verso l’uscita.
Lo seguì senza esitazione.
Lo raggiunse sul retro della locanda, su quella stessa spiaggia dove, mesi prima, si erano scambiati il loro bacio di addio. Le sembrava trascorsa un’eternità.
«Non ho ancora scritto a sua madre» disse lui all’improvviso, rivolto al mare. «So che devo essere io a darle la notizia…ma non so da che parte cominciare.»
Abigail si fermò a qualche passo da lui, sentendo il cuore saltarle in gola.
«Non fanno che parlarmi tutti di coraggio» disse Tom, trattenendo un brivido. «Dicono che James era un eroe. Che io sono un eroe. Ma la verità è che da quando se ne è andato ho paura persino ad addormentarmi. Siamo sempre stati noi due, e adesso che non c’è più, mi sento così perso, così … così…»
Lacrime salate scivolarono lungo le guance di Abigail. «Incompleto.»
Tom si volse a guardarla.
«Come se ti fosse stato portato via un pezzo di te» disse lei. «Come se ti fossi rotto e non riuscissi più a tornare come prima. Lo so. Lo capisco…»
Allargò le braccia, i palmi rivolti verso di lui come in cerca di aiuto.
«L’ho perso» confessò, la voce che usciva a fatica. «Ho perso il mio potere. Me lo hanno portato via e ora…non so più chi sono.»
Tom tacque, continuando a fissarla.
«Hai ragione, avrei potuto salvarlo» sussurrò lei, senza più fiato. «Avrei potuto salvare tante altre vite. Chiedo scusa.»
Dentro di lei, qualcosa cedette. Per il dolore, per la disperazione e il rimpianto...

«Scusa.»
Sentì i passi di Tom che si trascinavano lenti nella sabbia.
«Scusa» balbettò Abigail, incapace di dire altro. «Scu…»
Un istante dopo le braccia di lui la circondarono, stringendola al suo petto. Odorava di cenere e di sale. Le baciò le palpebre, le guance bagnate e poi imprigionò le sue labbra con le proprie.
Abigail affondò il viso nella sua spalla, continuando a scusarsi e a scusarsi ancora; con James, con la sua magia perduta, con il mondo intero, in un pianto disordinato.



 

[1] La canzone ha origine da una marcia patriottica della Prima Guerra Mondiale; la versione cantata qui, invece, è quella rivisitata dai The Dubliners nel 1979.
  
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