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Autore: aubrunhair    24/02/2024    10 recensioni
Era venuto al mondo un maschio poi finalmente e il suo essere maschio lavava via gran parte dell’onta e sarebbe stato il futuro della famiglia. Il cognome bastava e avanzava a renderlo il degno erede dell’erede di Reinier De Jarjayes.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4
Lunghi minuti di silenzio prima che uno dei due interrompesse la sospensione di tutto, perfino del respiro.

Infiniti secondi in cui non si guardarono negli occhi ma era come se si stessero osservando nell’anima.

Da un momento all’altro il mondo era cambiato. Non erano più soltanto Oscar e André e la cucina e il servizio da tè e il biscotto ancora sul piattino. Adesso erano Oscar e André e un segreto inconfessabile e gigantesco e deflagrante.

- Andrà tutto bene. - lo mormorò soltanto, un soffio sottile, ma lei lo sentì. E pur magra consolazione, ma la apprezzò.

Le dita scivolarono sulla maniglia e tornarono al corpo.

Si girò lenta e scoprì le guance rosse e gli occhi di nuovo lucidi.

Era lui a doverlo sapere per primo. Glielo doveva. Ma non si aspettava che succedesse così, anche se in realtà non aveva immaginato mai la situazione. Perché la situazione non ci sarebbe neanche dovuta essere. Invece c’era e come sempre André aveva capito senza che glielo dicesse esplicitamente e l’aveva tolta dall’impiccio di doversi ascoltare mentre dava una notizia lontana dal suo mondo.

- E se non dovesse andare tutto bene?

Lui sospirò e la riportò a sedersi al tavolo. Se non dovesse andare tutto bene, ti porterò via da qui e farò qualsiasi cosa perché invece accada.

Provò a rassicurarla in ogni modo, perché sapeva che dentro di lei ancora albergava lo spirito orgoglioso di sé e proprio su quello aveva deciso di far leva. Sulle sue incredibili capacità di uscire sempre vincitrice dai problemi, trovare soluzioni. Ma più di tutto, sul suo essere in grado di voler bene alle persone – unico, talvolta incomprensibile, ma sincero.

Oscar teneva lo sguardo basso. Al senso di colpa verso la propria famiglia, il padre e se stessa, si aggiunse anche quello – immotivato forse, ma reale – nei confronti di André. Il generale glielo aveva messo accanto perché le evitasse pericoli e pazzie, lei invece aveva agito da sola e ciò gli avrebbe creato problemi. Tanti problemi.

André resisteva alla lotta tra cuore e mente. C’era qualcuno che aveva avuto l’onore di poterla tenere tra le sue braccia e non era lui. C’era qualcuno che l’aveva baciata e che lei aveva baciato e non era lui. L’aveva spogliata, guardata ed era stato spogliato e guardato. L’aveva amata ed era stato amato. E chissà quante volte, chissà da quanto tempo. Chiunque fosse, doveva ritenersi fortunato.

- Perché non vai a dormire adesso? - le disse, prendendola per mano. - Rimanere qui non risolverà la situazione.

- E cosa la risolverà?

Era seccata, ma era anche seria. Cosa avrebbe risolto la situazione in cui si era cacciata da sola?

- Poco per volta lo scopriremo.

Si permise di includersi e di renderglielo palese. L’unica cosa che sapeva per certo era che da soli, lei e il suo bambino, non sarebbero mai stati finché lui era in vita.

- Devo dirlo alla nonna… Salterà su tutte le furie.

- Ha già cominciato ieri.

Sorrisero. Da che erano bambini, quando lui si prendeva uno schiaffo immotivato da qualcuno lei rideva. E allora poi litigavano fra loro, si picchiavano e la ramanzina da parte degli adulti riprendeva.

Non avrebbero replicato adesso. Non perché fossero grandi, ché le discussioni certo non mancavano, ma perché non aveva senso. Non in quel momento.

- Crede che sia io il responsabile.

Oscar lo guardò stranita. - Ma non è possibile! Io… Tu… Non… Non è possibile!

Ti prego di non infierire.

Si lasciò accompagnare in camera, senza aggiungere una parola. Nessuno dei due lo fece, pure nell’immensa quantità di cose che avrebbero dovuto salire in superficie.

Dalla fessura della porta appena accostata, dalla sua camera Marie li osservava allontanarsi. La mano di lui sulla spalla di lei. Le pareti erano troppo spesse perché avesse potuto udire qualcosa, ma si era accorta della loro presenza. Non erano famosi, il nipote e la bambina, per spostarsi in modo discreto fra le stanze quando erano in casa. Anche a tarda sera. Aveva sentito prima i passi svelti di Oscar percorrere un paio di volte il corridoio, poi quelli più pesanti di André andare nella stessa direzione.

Si domandò che cosa fosse capitato nel tempo speso in cucina. Ma non si precipitò a dividerli: riconosceva che esisteva un limite oltre il quale loro due erano adulti ormai e neanche lei poteva intromettersi. Pregò soltanto che non facessero altre sciocchezze.



Giorno dopo giorno le settimane e i primi mesi passarono e quella certezza che nascondeva un’infinitesimale, remota, lontanissima possibilità che si trattasse di altro divenne granitica. Solidissima.

E nel frattempo anche la nonna venne resa partecipe del segreto, che segreto non era più e non era mai stato. Oscar glielo rivelò una sera, di ritorno da Versailles, e pretese che ci fosse anche André nella stanza. Per dare un po’ di pace al proprio cuore doveva sollevarlo da qualsiasi colpa potesse avere agli occhi dell’anziana signora.

L’abbracciò forte nonostante la stesse ancora rimproverando. Le lacrime bagnavano gli occhialetti tondi, la voce tradiva preoccupazioni uguali a quelle della sua bambina, ormai grande abbastanza da averne uno suo.

Si asciugò in fretta il volto e si scagliò sul nipote. I capi d’imputazione cambiarono nel momento in cui l’altra intercedette per lui, frapponendosi con il rischio di essere colpita lei dagli schiaffi.

- Non c’entra niente!

- Siete sempre stati bravi a mentire per proteggervi, voi due!

- Ma ti dico che non ha colpe.

- E allora perché alla fine dello scorso dicembre una sera vi ho visti uscire e rientrare da soli a pochi minuti l’uno dall’altra?

Si voltò a guardarlo Oscar e André ricambiò. Seri, che poi forse avrebbero parlato anche di quello ma non era il momento. Proseguì nella difesa, c’erano delle priorità: la sua incolumità fisica.

- Capita che le nostre vite si separino di tanto in tanto…

- Non avrebbero dovuto farlo. Per quale motivo non vi siete parlati per un giorno intero?

- Converrai che non mi trovo in una situazione tanto semplice.

- È comunque colpa sua perché ha lasciato che tu uscissi di casa da sola.

- Il suo compito non è dirmi cosa fare o non fare.

Lo disse più per se stessa che non per la nonna. Perché quel pensiero lo aveva avuto anche lei, come senso di colpa, e doveva ricordarselo. Anche nel futuro, quando la questione sarebbe di certo stata sollevata da suo padre.

L’identità del padre del bambino non venne rivelata. Il discorso a volte tese in quella direzione, ma Oscar lo evitò. Ed era questo che continuava a lasciare un’ombra di dubbio in Marie. Il problema si poteva risolvere con un matrimonio, ché di casi come il suo era pieno il mondo dalla notte dei tempi. Ma se rifiutava così categoricamente anche solo di nominarlo, allora significava che l’unione non si doveva (o poteva) proprio celebrare. E una nobile non deve né può sposare un uomo del popolo.

André, da parte sua, non si azzardava. Non che non avesse compreso, ma i cassetti che lei non apriva erano un tabù. Anni al suo fianco glielo avevano insegnato fin troppo bene. Che poi magari un giorno si sarebbe confidata, oppure non lo avrebbe mai fatto e la verità sarebbe rimasta nell’ombra. E a lui andava bene, perché erano decisioni sue e si sarebbe adattato.

La routine rimase la stessa di sempre. Finché la nonna non cominciò a cucire e rammendare come una forsennata e ogni giorno i momenti liberi li occupava confezionando indumenti un po’ più morbidi. Anche se il vero centro delle sue attenzioni era il corredo, come già successo per le cinque nascite precedenti. Non era poi così inusuale trovarla indaffarata con fiocchi e merletti e ordini pronti per il resto della servitù – resa partecipe con discrezione e poche informazioni alla volta.

Ma giorno dopo giorno anche il corpo cominciò a cambiare.

Dapprima dettagli che solo Oscar notava (e tutt’al più gli occhi esperti della nonna), particolari minimi che le procuravano disagio; presto ci fece l’abitudine, però, anche se ogni volta che si accorgeva di qualcosa si indisponeva. Avvenne con la schiena che doleva, i crampi alle gambe che la svegliavano di notte e i palmi delle mani arrossati che prudevano e le rendevano insopportabili i guanti. Il dottor Lassonne, come Marie prima di lui, la tranquillizzò.

- Te ne aspettano di fastidi, mia cara… - sentenziò l’anziana.

Poi successe che una domenica mattina Oscar si era svegliata, voleva fare una passeggiata. Nel prepararsi, però, fu necessario indossare un nuovo paio di pantaloni, un poco più larghi, perché nessuno della sua misura riusciva chiudersi.

Tutto il palazzo la sentì. Corse come un fulmine André, spaventato che fosse successo qualcosa. E invece spalancando la porta della camera la trovò seduta sulla poltrona, arrabbiata. A terra, tutto ciò che aveva provato a mettersi ed era rimasto aperto.

Glieli raccolse e piegò mentre Oscar sbuffava.

- Finirò per mettere i tuoi.

Lui rise rassicurandola che non sarebbe accaduto.

Doveva essere uno di quei giorni in cui i momenti difficili li voleva passare con qualcuno. Altrimenti lo avrebbe cacciato all’istante.  

- Cosa vorresti fare oggi? - le domandò per distrarla. Ormai il suo compito era diventato anche quello e per lui andava più che bene.

- Non lo so. Non mi interessa più.

Non era infrequente che si precludesse in un batter d’occhio ogni alternativa al fare nulla. Un ozio che si concedeva come unica reazione alle quotidiane rimostranze di un fisico in costante cambiamento. Crogiolava nella noia per punire se stessa di quanto fosse stata stupida. Finché poi non sopportava più neanche quello e cercava qualcosa con cui impegnare la mente.

- Va bene, vorrà dire che rimarremo qui dentro. - Finse accondiscendenza, per prepararsi al contrattacco. - Oppure, come immagino avessi in mente tu, andiamo a fare due passi fino al fiume.

Oscar lo guardò ombrosa e si alzò, segno che si era convinta. La vecchia sé era tornata prima del solito e non aveva intenzione di lasciarsi prendere troppo dallo sconforto. Dal silenzio ostinato sì, però.

André si compiacque di quanto poco ci fosse voluto questa volta. Forse non sarebbe più accaduto, lo riteneva un successo personale. Gli dispiaceva vederla lottare con se stessa per accettare la realtà, tra le cose. Provava ad alleviarle i problemi quando poteva, ma non tutto dipendeva dagli sforzi altrui. C’erano situazioni in cui solo la sua forza di volontà poteva fare la differenza, altre in cui nemmeno lei aveva voce in capitolo.

Passeggiare per la proprietà senza una destinazione precisa per allontanare le preoccupazioni era rimasta una costante nella sua vita. Ed era diventato l’appuntamento fisso della domenica, costi quel che costi, quando non c’erano responsabilità più urgenti.

Lontano da casa, lontano dalle apprensioni. Soltanto loro due, a piedi perché doveva limitare le cavalcate allo stretto indispensabile. In silenzio assoluto oppure parlando di tutto. Un angolo di normalità, un pezzo di come sempre incastrato tra nuove necessità e obblighi.



Il pomeriggio del martedì successivo, l’ennesimo cambiamento le si presentò davanti.

A Oscar delegare non piaceva. Non le era mai piaciuto. Ma al colloquio settimanale con la regina proprio non sarebbe più riuscita ad andare. Non aveva la concentrazione necessaria, men che meno le forze per farlo.

Tanto più che anche lì tra i soldati bisognava accomodare le cose prima o poi. Era l’occasione migliore per cominciare ad affidare a un altro ufficiale i compiti del suo ruolo. Non avrebbe destato troppi sospetti, non essendo permesso a nessuno di assistere alla conversazione. E di Girodelle poi si fidava.

Che poi lui era venuto a scoprirlo per caso. Una mattina, quando stava uscendo dalle scuderie della reggia e proprio in quel momento aveva incontrato il capitano e il suo attendente che ne stavano parlando. Un po’ incauti, in verità, ma credevano non ci fosse nessuno. Prima o poi lo avrebbe dovuto sapere. Non poteva rifilargli una scusa qualunque quando si sarebbe assentata in futuro. E quindi un giuramento solenne era stato siglato per evitare che si spargesse la voce. A Versailles anche i muri hanno le orecchie.

Per essere un po’ più in pace con se stessa, però, con sua maestà voleva affrontarlo lei l’argomento e in maniera diretta. C’era un mutuo rispetto tra di loro che le faceva pesare quanto ormai aveva posticipato il momento. Troppo a lungo. In virtù degli anni trascorsi insieme, le doveva sincerità.

Oscar giunse agli appartamenti di Maria Antonietta all’ora canonica. Alle cinque e mezza bussava alla sua porta. Nessun discorso preparato prima, non era sua abitudine.

Cercò di dissimulare che l’uniforme le era scomoda. Era stata una seconda pelle per dieci anni. Una sera, una, e adesso si sentiva compressa sotto la stoffa rossa, anche quei pantaloni erano e la fusciacca chiusa di lato in vita da un fiocco copriva, sì, ma le dava fastidio.

Comprese allora perché la regina cercava in ogni modo di fuggire dalle regole rigide del protocollo di corte. E ringraziò che quantomeno non doveva indossare corsetti. Però le fasce sì, da molti anni. Prima erano solo antipatiche e lunghe da indossare e poi togliere. Adesso facevano male.

Il sole tramontava fuori dalle finestre e irradiava calore nel salotto dove sua maestà l’attendeva paziente.

Il capitano delle Guardie Reali si inchinò davanti alla sua sovrana, che la studiò. Durante le giornate, circondata dalle persone che più le gradiva avere intorno, non aveva mai prestato troppa attenzione alla sua singola persona. Adesso erano da sole, però, e lo notò. Lo notò bene. Era diversa. Il suo sguardo (pur sempre altero) emanava una luce nuova. La sua postura (al solito perfetta) appariva un po’ meno rigida, i movimenti leggermente più morbidi.

Non poteva essere.

Non lei.

La conosceva bene, non le era mai sembrata una donna con quell’intenzione.

E non aveva neanche mai appreso di qualcuno al suo fianco.

Beh, un uomo sì, ma erano voci. A corte si sparla di chiunque, figuriamoci.

Impossibile, davvero impossibile. Non era persona da…

Però.

Sempre insieme da che ricordasse.

E a lei con Fersen era bastato molto meno.

- Capitano, è un piacere vedervi. Ditemi, è accaduto qualcosa? Avete anticipato l’incontro della settimana…

- Vogliate perdonarmi, Maestà. Ci sarebbe una cosa urgente di cui avrei bisogno di parlarvi.

Maria Antonietta si accomodò su un divanetto. La scrutava con una gentile aria indagatrice. Ogni secondo di più le parve di non sbagliarsi. - Una cosa urgente? - ripeté un po’ allarmata. - State bene?

- Certo, Maestà. Grazie per l’interesse.

- Vi vedo diversa, madamigella.

- Diversa, dite? Sono sempre io, ve lo assicuro.


La regina si rialzò pregandola di essere seguita. Voleva avere un’ultima prova. Si lanciò in un lungo discorso, uno di quelli che faceva quando aveva voglia di perdere tempo ché all’infuori della propria cerchia il mondo era noioso.

Oscar la ascoltava muta, la concentrazione divisa tra le sue parole e la fascia in vita che si spostava e lei doveva aggiustarla a ogni passo.

Se ne accorse la sovrana, con la coda dell’occhio. Riconosceva ormai i gesti più consueti e particolari. Nascose un sorriso mentre le impediva di riportare la conversazione su qualcosa che con ogni evidenza le premeva.

- Sapete, da quando il conte è partito mi sento molto più sola. Non ero felice, lo sapete anche voi, ma almeno c’era lui.

Oscar si irrigidì. Non rispose, per non tradirsi. Mi auguro non lo veniate mai a sapere, Maestà…

- Perché vi voglio bene sinceramente, a voi auguro di esserlo dal profondo del mio cuore. Vi meritate di essere felice. - Il tono, da che si era fatto grave, tornò più leggero. - Di quanto tempo avete bisogno?

Si capirono entrambe al volo.

L’altra abbassò lo sguardo. Si schiarì la voce. Non era mai stata tanto in imbarazzo in sua compagnia e ciò la metteva in difficoltà più dell’argomento stesso.

- Io… Io vi ringrazio, ma non ce n’è necessità. Come…

- Suvvia, siamo donne entrambe. - La regina si lasciò andare a una breve risata divertita. - E poi vi conosco da tanti anni. Proprio perché vi conosco so anche che non chiedete mai niente e svolgete il vostro dovere a ogni costo. Ma non posso pensare che vi mettiate in pericolo proprio adesso. Vi farò avere domani stesso un periodo di licenza per potervi riposare. È il minimo che io possa fare per ringraziarvi di tutto ciò che fate da dieci anni.

- Sono commossa dalla vostra magnanimità, ma per il momento vi devo avvisare che ai colloqui settimanali mi sostituirà il tenente Girodelle.
Maria Antonietta annuì. Non era quello che le interessava veramente. A lei premeva che la sua amica più sincera stesse bene. - Immagino non abbiate messo da parte la spada. E nemmeno diminuito il resto degli impegni con le Guardie Reali.

Oscar sorrise mestamente. Era così.

- Ebbene, in qualità di regina di Francia prima ancora che di vostra amica, vi propongo un accordo.

Sgranò gli occhi.

- Presterete massima attenzione, ma potrete continuare a svolgere il vostro compito ancora fino a metà maggio. Poi vi offrirò un congedo finché ne avrete bisogno, anche dopo…

- Siete molto generosa, Maestà. Vi ringrazio davvero dal profondo del cuore.

- Ritengo che sia giusto così. Non posso ignorare cosa significhi per voi il vostro ruolo, ma nemmeno i rischi che correte.  - Riprese a camminare e il suo sguardo si perse oltre le vetrate, lontano oltre i giardini. - Vi prometto che non farò parola con nessuno di quanto ci siamo dette oggi.

Oscar si accorse solo tornando verso le scuderie che metà maggio era il periodo in cui sarebbe tornato suo padre. Non avrebbe avuto altra scelta che dirglielo subito, dunque. Perché mai, sennò, sarebbe dovuta rimanere a casa tanto tempo? E comunque si sarebbe notato in ogni caso.

Assillata com’era da se stessa e dalla possibile reazione del generale e da tutto il resto, però, aveva dimenticato un altro particolare importante. Le venne in mente in quel momento, quando vide in lontananza alcune dame salire sulle loro carrozze.

Sua madre! Era partita anche lei, con il seguito del regimento che essenzialmente comprendeva le mogli degli ufficiali. Non sapeva niente, non si era preoccupata di riferirle alcunché per rispetto di suo padre e così intendeva procedere. Ma lei era la sola dei due su cui avrebbe potuto contare (si augurava) per avere un po’ di vicinanza, l’unica della coppia che le avesse mai dimostrato un po’ di affetto.

Un altro pensiero, un ennesimo cruccio.
 
Note: la cronologia della storia originale diverge un po’ da quella reale e io vorrei provare a farle incontrare almeno in parte. Anche nei prossimi capitoli ci saranno degli aggiustamenti: se qualche dettaglio sembra strano sapete perché. Grazie per essere arrivat* fino a qui.
   
 
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