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Autore: PiscesNoAphrodite    27/02/2024    0 recensioni
"La Dodicesima Casa non mi era mai sembrata così tetra – col suo perimetro regolare e incastonata come un diamante tra le pareti verticali del monte – benché non la ricordassi come un luogo ridente, se non per la presenza dei fiori i quali però aulivano, anch'essi, di un sentore di morte."
***
In un ipotetico post-Ade Misty è riuscito a conquistare le Sacre Vestigia di Libra, a dispetto di trascorsi poco brillanti; ma è possibile che nel raggiungimento di uno status ambito ed elevato non risieda la felicità? Dove cercarla, dunque? In bilico tra la vita e la morte? In gesta eroiche o in qualcosa di più ordinario?
(Narrazione a punti di vista alternati)
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Apollo, Lizard Misty, Perseus Algol, Pisces Aphrodite
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I prati di asfodelo, capitolo XX

 

XLI

 

Mi ero reso conto che avrei fatto meglio a pazientare e attendere, senza accelerare i tempi per avere delle risposte. Era solo una stupida pretesa la mia. Ero stanco, terribilmente stanco, e temevo che non avrei recuperato le forze in breve tempo. Attraversai le dodici case e quando sbucai a valle realizzai di aver smarrito del tutto l’entusiasmo iniziale, eppure non avrei fatto marcia indietro come un codardo, non ero un vigliacco senza spina dorsale. Mi ero ripromesso di parlare con quell’individuo.

 

Trovai sollievo all’ombra di un cipresso, il sole picchiava forte all’ora di punta e nelle condizioni in cui versavo ero restio dal sopportarlo. Mi appostai per qualche istante, assorto, a osservare il viavai di Santi e di reclute che si avvicendavano nei pressi della grande arena, ma non intendevo mettere piede nell’anfiteatro. Sapevo che, presto o tardi, mi sarei imbattuto nella persona che cercavo.

Quando finalmente lo adocchiai fu lui a prendere l'iniziativa.

 

“Non immaginavo di incontrarti da queste parti così presto.”

 

“Ho appena iniziato il mio periodo di convalescenza, ma il fatto che tu mi veda con indosso l’armatura d’oro non significa che io sia in perfetta forma. Ero solo impaziente di ritornare alla quotidianità.”

 

“Ciò potrebbe aiutarti a superare il trauma. Lo capisco” aveva esordito Perseo, guardando in direzione dei suoi pari, come se l'avessi messo in imbarazzo.

 

Tuttavia egli sembrò palesare il suo desiderio di aprirsi a confidenze. Certo, non era il tipo, dava l’impressione di essere molto riservato. Eppure quella riservatezza non aveva celato ai miei occhi — e presumevo anche agli occhi degli altri— l’esistenza di una sorta di relazione con Misty. I più avrebbero insinuato che fossero una coppia, e io lo sospettavo da molto tempo benché non ne avessi alcuna prova. E se lo erano,  oramai, non avrebbe avuto più importanza… 

Trassi un sospiro, immerso nei miei foschi pensieri, e mi soffermai a osservare il mio interlocutore: così fiero, le sacre vestigia benedette dal sangue di Athena sembravano conferirgli un’aura solenne e divina. 

Ma Perseo mi destò, lesto, dalle mie riflessioni.

 

“Suppongo tu non giunga a caso, Aphrodite di Pisces. Bene, anche io vorrei scambiare due chiacchiere con te” disse con due occhi penetranti inarcando un sopracciglio.

 

Annuii, distogliendo lo sguardo con un gesto sfuggente. Di comune accordo provammo ad allontanarci dal luogo più o meno affollato, ma la mia presenza indusse alcune persone a farsi avanti, forse desideravano scambiare qualche parola. Sapevo che non sarei passato inosservato. 

Asterion strizzò un occhio a Perseo per poi assestargli una lieve gomitata nel fianco.

 

“Buongiorno, Pisces. Vedo che ti stai riprendendo, meglio così altrimenti avremmo dovuto sorbirci qualcun altro al tuo posto…” detto questo, il segugio scoccò un'occhiata ferina in direzione di Marin, la quale,  poco distante, si stava approssimando a noi.

Le insinuazioni poco gentili di Asterion, nei confronti della donna, mi indussero a pensare che i Santi d'argento non fossero in buoni rapporti con lei. Tutto sommato non erano affari miei e trassi un sospiro, annoiato. 

L’incontro culminò in una sbrigativa conversazione con cui rassicurai i presenti sul mio stato di salute.

Mi sforzai di scacciare  pensieri inopportuni dalla mente in presenza di Asterion di Canes Venatici e, sebbene ne conoscessi la discrezione, mi metteva a disagio con la sua presenza. Per rispetto a Misty non avrebbe infierito sondando nella mia mente, ma non potevo darlo per scontato. 

Marin mi strinse la mano come per darmi il benvenuto. Ricordavo i pettegolezzi a proposito dei suoi presunti sensi di colpa; il Santuario in tempo di pace era terreno fertile per i discorsi futili e le chiacchiere correvano di bocca in bocca, ma avevo finto di ignorarle. La donna si sentiva responsabile per quello che era accaduto a Misty, e se erano solo dicerie e pettegolezzi senza fondamento non mi era concesso saperlo; ma Cancer mi aveva confidato, inoltre, che mio fratello aveva preso la decisione di scendere negli Inferi –per riscattare la mia anima– molto tempo prima del disguido con l'amazzone. Chissà, forse un giorno avrei rassicurato Marin, meritava anche lei di ritrovare un poco di serenità, ma al momento mi congedai con un saluto asettico. La maschera mi impediva di discernere i sentimenti della donna, ciononostante mi rilassai, avevo dovuto ammettere che i suoi patemi mentali non mi turbavano più di tanto.

Infine io e Algol riuscimmo ad aggirare il piccolo drappello di Santi e altri curiosi. Perseo mi condusse nelle vicinanze della piazza principale attorniata dalle casupole bianche della polis e, laggiù, dovetti effettuare una sosta durante la quale mi attardai a bere un sorso d’acqua dal rubinetto della fontana. Sfilato elmo e manopole mi bagnai il viso e i polsi.

 

Il Santo di Perseus si appostò in un angolo, sbuffò, e attese, all'ombra della chioma di un pino marittimo, che fossi pronto a rimettermi in marcia. Ravviai le ciocche di capelli dietro le orecchie e indossai l'elmo, dopodiché feci un cenno ad Algol; il Santo fece spallucce e si avviò, lemme, imboccando il vicolo che costeggiava la vecchia casa dove un tempo risiedeva Misty, e che attualmente era la dimora di Shaina. Gli diedi uno sguardo fugace e abbassai gli occhi a terra. Avevo come un nodo in gola ma scacciai senza remore la malinconia. 

 

Il Santo di Perseus si voltò a guardarmi come se avesse percepito il mio disagio. “Questa strada conduce al lungomare ma non ti sto portando in spiaggia” sorrise, forse un po’ per sdrammatizzare. 

 

Accennai un mezzo sorriso di rimando e per cortesia. Durante la passeggiata mi soffermai un'istante a contemplare il dondolio delle imbarcazioni attraccate al molo, intento ad ascoltare il rumore dei flutti che si infrangevano contro la superficie dei natanti. 

 

Il mare… 

Chissà perché mi ha condotto proprio qui, nei pressi della banchina. 

 

“Non sono in grado di sondare nei meandri della mente come Asterion, ma posso intuire quello che stai pensando. Ti si legge in faccia, Pisces.” 

Il suono della voce del mio interlocutore si era frapposto tra i miei pensieri e il garrire dei gabbiani che si udiva in lontananza. 

 

“Ebbene?” Avevo replicato alla sua insinuazione spocchiosa, quasi infastidito.

 

“Si recava qui nei momenti bui e, anche se non era solito confidarsi con noi, lo sapevamo per certo” esordì Perseo, persistendo con la solita spavalderia, e incrociando le braccia sul petto.

 

“Che a Misty piacesse il mare è cosa nota” replicai sfilando l’elmo dalla testa per contrastare la calura.

 

“Ma non scontata” soggiunse il mio interlocutore.

 

Stetti in silenzio lasciando che il vento mi scompigliasse piacevolmente i capelli.

 

“Adesso siamo soli, lontano da orecchie indiscrete. Cos’è che vuoi dirmi?”

 

La domanda mi indusse a prolungare il silenzio. D’un tratto mi accorgevo di non avere più argomenti, come se il tempo protrattosi dal momento del nostro incontro avesse rimosso ogni interrogativo dalla mia mente.

 

“Beh, posso comprendere la tua esitazione. Immagino che tu voglia sapere se Misty fosse sincero, se il suo gesto di altruismo nei tuoi confronti fosse stato scevro da interessi personali…” Perseo emise un sospiro di circostanza sfilando la tiara che gli cingeva la fronte a sua volta, la soppesò come se volesse tenere occupate le mani con qualcosa. “Non lo so. Non mi confidava mai cosa gli passasse per la mente, però dal modo risoluto in cui ha deciso di immolarsi si evincevano buone intenzioni.”

 

“Non lo avrebbe fatto per la gloria…” ribattei senza scetticismo ma quasi affermativamente.

 

“No, e nemmeno affinché i posteri ne parlassero, sebbene durante il viaggio avesse manifestato velleità di una fama postuma. Ma non credo mirasse a questo, in tutta onestà” confermò lui, fissandomi di nuovo con intensità come per imprimere a fuoco quella convinzione nei miei occhi.

 

“Dici?” Esordii.

 

“L’eroe trapassato non può bearsi della fama postuma, e conoscendo Misty escludo si sia sacrificato per questo.”

 

La considerazione ultima di Algol non faceva una piega, era il risvolto più logico. Mio fratello non aveva ottenuto alcun vantaggio dal fatto di essere stato promosso a Santo d’oro… "L'investitura è stata solo una via, un mezzo, per giungere a redimere se stesso.”

 

“Può darsi, ed è certo che abbia pagato. In realtà abbiamo pagato tutti: lui, tu, io…” riprese Perseo.

 

“In che senso?” Replicai con perplessità a un’affermazione poco chiara.

 

“Nel senso che sono sempre i mortali a farne le spese per i capricci degli dèi. Le divinità non le scalfisci” disse stringendosi nelle spalle. “Il tuo fratellastro ha pagato il prezzo della sua vanità perdendo se stesso. Tu stai pagando le conseguenze per averlo sottovalutato, avendo influito —in modo del tutto inconsapevole— sul suo destino, e lo hai perso definitivamente.”

 

“Anche tu lo hai perso” osai aggiungere, tuttavia Algol non vacillava nonostante avessi proferito  un’insinuazione che suonava intollerabile quanto una bestemmia. Possedeva un autocontrollo invidiabile e io lo avevo punzecchiato senza pietà, provocandolo. Continuava a sorprendermi malgrado tutto.

“Se sinceramente si è adoperato per riscattare il mio spirito dall’oltretomba, allora è probabile che non ti abbia usato per sfogare i suoi bassi istinti da adolescente insoddisfatto.”

 

Gli avevo afferrato il polso con decisione giacché mi ero ritrovato con la sua mano stretta intorno alla gola. Finalmente ero riuscito a farlo infuriare, e aveva reagito alla provocazione abbattendo il muro d’omertà che aveva innalzato tra noi.

“Intendo dire che ti amava” soggiunsi con un tono soave ma con fermezza, ed evocai con il cosmo una rosa tra le dita.

 

Perseo indietreggiò, non fu la minaccia velata ad ammansirlo ma le ultime parole che mi ero arrogato il diritto di pronunciare…

 

Ti amava.

 

Quelle parole lo avevano colpito come un fendente tra capo e collo. Si voltò a guardare la distesa marina, dandomi le spalle, e lo vidi fremere dalla collera. Chiaro. Misty non era stato l’unico a pagare… e poi per cosa? Per aver assecondato il delirio di un pazzo, nella vita precedente; per aver negato Athena, da redivivo? E noi tutti, quelli che gravitavano intorno a lui, condannati a essere travolti dalle conseguenze delle sue scelte? Era da considerarsi una sorta di redenzione anche questa? Dunque, non era bastata la morte a redimerci e necessitavamo di un ulteriore percorso?

 

No, Aphrodite, non pensare… tu sei un Santo di Athena ed è l’unica cosa che conta in questo momento.

 

Che dire? Stavo solo cercando di illudermi ed era un tentativo abbastanza infantile —se non risibile— il mio, sebbene fosse utile a mettere a tacere la coscienza.

D’un tratto Algol si voltò e i miei occhi catturarono il suo sguardo nel quale colsi un impeto fugace di odio e di rivalsa. 

 

Mise una mano sulla fronte e di riflesso chinò la testa in segno di resa e rassegnazione. “E tu come definiresti una realtà differente da quella che ti hanno raccontato?” Domandò, piegandosi per raccogliere la tiara dal muretto di pietra che delimitava la passeggiata dal tratto di spiaggia. “Disillusione, inganno, menzogna?”

 

Quelle parole mi esortarono a riflettere ma ancora non riuscivo a inquadrare il significato della sua affermazione. “Cosa stai dicendo? Vorrei che fossi più chiaro” lo incalzai.

 

“Il letargo ha inibito il tuo acume” replicò il Santo d’argento con insolenza. 

 

Strinsi i denti, trattenendo il fiato per un istante, e in quel mentre Algol si limitò a fissarmi increspando le labbra con un sorriso beffardo.

 

“Il regno degli Inferi è intatto e prevale una quiete assoluta, ogni singolo elemento che compone le vestigia del Tribunale è integro. I prevosti occupano i rispettivi scranni, compreso il vice-procuratore. Nessun sostituto. Niente caos” insinuò.

 

“Avete incontrato il Sommo Ade?” Chiesi dissimulando ogni perplessità.

 

“No, ma Orfeo ci ha fatto —per così dire— da guida, da anfitrione” rispose Perseo soppesando la tiara per poi collocarla sul capo.

 

Scese di nuovo il silenzio, mi ero soffermato di nuovo a pensare. Perseo aveva taciuto allo stesso modo e forse stava rimuginando qualcosa. Strano, era tutto così strano per non dire assurdo. Eppure ero convinto che Algol fosse sincero, non avrebbe avuto motivo di mentire anche perché ciò non gli avrebbe arrecato alcun vantaggio. Fui sopraffatto da una profonda delusione, infine rilassai le membra rigide, come intorpidite,  distendendo le braccia lungo i fianchi, rassegnato. 

 

Orfeo? Ma Orfeo non è stato ucciso da Radamante della Viverna?

 

I miei dubbi si rafforzarono: “Hai menzionato Orfeo che dovrebbe essere morto. Forse ti riferisci al suo spirito.”

 

“Oh, no, Pisces! Si trattava del musico in carne e ossa, e posso assicurare che non era un fantasma.”

 

Mi grattai il mento. “Dal tuo racconto dovrei desumere che il Sommo Sacerdote, Athena e i suoi pupilli, abbiano raccontato delle frottole. È così?”

 

“Sei libero di non crederci: di non credere che gli dèi abbiano stipulato un accordo dopo che i rispettivi campioni si sono sfidati a singolar tenzone. Di non credere che ci abbiano rifilato una storia abbellita e infarcita di menzogne edificanti sulle imprese dei presunti eroi. Credi pure a quello che ti fa più comodo” disse Perseo sul punto di girare sui tacchi per abbandonare il terreno della discussione. E tuttavia non credevo volesse piantarmi in asso per davvero. “Ciò non toglie né annulla la nostra fedeltà ad Athena. Siamo come cani obbedienti con la coda tra le gambe.”

 

“Hai ragione, è sbagliato porsi domande e non dovremmo nemmeno osare di mettere in discussione una narrazione condivisa all’unanimità” fui costretto ad ammettere.

 

“È più semplice” convenne Algol con un tono più rilassato, quasi liberatorio.

 

È più semplice per quelli come me…

 

“È più semplice per coloro i quali, per indole, sono sempre stati come cani obbedienti, come li definisci tu” affermai a malincuore. “Ma è arduo, per gli spiriti indomiti come te, accettare una simile realtà.”

 

“Anche io eseguivo gli ordini” ammise.

 

Io sono sempre stato connivente e forse non esiterei a esserlo ancora per conservare la mia posizione di prestigio… dopotutto Misty non c'è più e non esiste una seconda possibilità di rinascita per lui, nemmeno implorando Zeus ci sarebbe.

 

“Ad ogni modo ci tenevo che almeno tu lo sapessi. Non ci resta che ingoiare la sbobba che ci hanno propinato dal giorno della rinascita, e senza proferire verbo. È per questo che ho taciuto in presenza di tutti. Non avrebbe avuto senso che sbattessi loro in faccia la verità rivendicando, al medesimo tempo, il mio ruolo dopo aver deposto l’armatura in frantumi ai piedi della dèa. Sarei caduto in contraddizione se lo avessi fatto” confidò Perseo. “Sebbene in fondo al cuore avevo pensato di rinunciare a tutto.”

 

“Misty non lo vorrebbe, non dopo il suo sacrificio. Ne sono convinto” avevo arguito. “Il suo sacrificio implica la riconciliazione con Athena e l’accettazione incondizionata del proprio status. Vale anche per te.”

 

Perseo annuì ma non aggiunse altro a quanto avevo detto. Aveva fatto uno sforzo enorme a intavolare la conversazione al fine di vuotare il sacco –lo avevo intuito dai suoi modi e dal tentativo forzato di apparire accondiscendente– e dovevo solo ringraziarlo per la sua disponibilità a confidare un segreto che non avrebbe svelato nemmeno ai parigrado.

 

La rivelazione di Perseo avrebbe dovuto farmi sentire umiliato per il modo becero e infame in cui eravamo stati ingannati, ma l’umiliazione lasciò posto al blando  risentimento per la sorte riservata al mio fratellastro e della quale —in un certo senso— mi ero reso responsabile. Entrambi, io e Algol, avevamo convenuto di non divulgare quanto lui e Misty avevano appreso nell’Ade. Avremmo seppellito il segreto nel profondo dei nostri cuori, e non avremmo rinfacciato alle autorità di avere tenuto nascosto alla collettività il vero epilogo della guerra sacra. Era più semplice reprimere rancore e sconcerto continuando a vivere nella nostra beata ignoranza come avevamo sempre fatto. Dopotutto non era in nostro potere —nel potere di semplici subordinati quali eravamo— avere il controllo sugli eventi. 

 

Ci sono cose che non si possono controllare, mi dissi con le lacrime agli occhi.

 

Se ci hanno nascosto la verità lo avranno fatto senz’altro per il bene comune. 

 

Questa possibilità non poteva che concorrere a mettermi con l’animo in pace. Ero tornato al tempio dove avevo trascorso il resto della giornata tranquillo. Per una volta nella vita non mi era dispiaciuto languire nell’ozio, complice lo stato di prostrazione e debolezza fisica che mi stava affliggendo e, mio malgrado, stavo affrontando. 

Il giorno volgeva al termine e osservai il sole scomparire gradualmente all’orizzonte. Dalla solita terrazza, con le braccia incrociate sulla balaustra di marmo, indugiavo contemplando la vastità del mare mentre un alito di vento spargeva la fragranza dolciastra delle rose. Se non mi fossi imposto di ritirarmi nell’alloggio privato mi sarei addormentato nel roseto.

 

Quella sera avevo rinunciato a bere la solita tisana rilassante, ero così prostrato e affondai il capo nel cuscino con la sensazione di avere la testa leggera. Nella penombra, rischiarata dalla luce della lampada a olio ancora accesa, indugiai a sondare nella profondità della volta affrescata… il particolare mi indusse a riflettere, e mi sovvenne l’aspetto austero e sobrio della stanza per come la conoscevo. No, non c’erano mai stati affreschi o decorazioni. Le immagini nitide che vedevo in quel preciso istante sembravano animarsi. Doveva essere un sogno,  un delirio, o un’allucinazione, ogni tentativo di destarmi da quello stato di inerzia e di impotenza fu vano perché ero impossibilitato a gridare e a muovermi.

 

“Dovresti essere avvezzo a distinguere tra sogno e realtà, dopo la tua esperienza.”

 

Avevo udito una voce dolce, come un sussurro, unitamente al soffio leggero della brezza notturna che profumava di lavanda e gelsomino. Era una voce il cui suono avevo imparato a riconoscere nel tempo, tuttavia le visite di mio padre erano state sempre meno frequenti da quando il mio fratellastro si era imbattuto in lui.

Sedetti sul letto aggiustando la tunica sulle spalle e gettai i capelli all’indietro. Fui avvolto da una luce soave che illuminò l’ambiente circostante e lo vidi: il dio Apollo era bello e luminoso come sempre, la capigliatura fulva, la fronte cinta di alloro… Ma la meravigliosa immagine svanì e al posto del dio comparve il volto caprino di quell'essere, quel tale: Sileno. Mi ricordai di quella creatura e del ruolo che aveva svolto in tutta la vicenda. 

 

“Dopo quello che ho passato i miei sensi si sono un po’ attenuati insieme alla prontezza di spirito.” Gli avevo risposto dopo essermi preso un momento per realizzare cosa stesse accadendo.

 

La creatura mi tese la mano: “Vieni” disse. “So che hai già trovato risposte alle numerose domande che ti sei posto al momento del risveglio.”

 

Assecondai il gesto del satiro, alzandomi in piedi per apprestarmi a seguirlo. Rimasi silenzioso ma nella mia mente si dibattevano altri interrogativi e, infine, esternai: “Perché? Perché mai dovrei seguirti?”

 

Quello mi scoccò un'occhiata sibillina e  —completamente soggiogato—  appurai il fatto che fosse cambiato lo scenario. Le immagini che si erano susseguite, vivide e reali davanti ai miei occhi, come proiettate su uno schermo, si erano tramutate in un universo concreto. Io e Sileno avevamo già varcato la soglia dell’oltretomba percorrendo i sentieri del bosco tetro e maledetto dove echeggiavano gli strepiti delle arpie. In principio non avevo idea di dove fossimo capitati —paradossalmente non ricordavo l'aspetto del mondo sotterraneo nonostante il mio spirito vi avesse dimorato per un certo periodo— e lui aveva dovuto spiegarmelo. 

Come per istinto coprii le orecchie ma il satiro mi guardò con aria divertita. Poco dopo l’espressione sul muso dell'essere si addolcì.

 

“Per un suo capriccio —potrei affermarlo e senza ombra di dubbio— siamo giunti a questo epilogo, perché lui desiderava godere della presenza di tuo fratello. Ma…”

 

“Ma questa scelta è costata molto a entrambi, entrambi lo abbiamo perso, e non credo che ad Apollo sia concesso riscattare l'anima di Misty dal purgatorio” risposi.

 

“Non gli è concesso, infatti” confessò mesto, Sileno. 

 

Non mi aspettavo una reazione così conciliante perché in realtà —in atto di rabbia— lo avevo sfidato con le mie parole taglienti e tra noi non correva buon sangue. Tuttavia tolleravo la sua presenza.

 

“È stata opera del destino. Come tu sai sono le Moire che manovrano i fili del fato al di sopra della volontà divina. Doveva succedere quel che è successo” aveva sentenziato il satiro.

 

“Aveva un debole per lui? Apollo era innamorato di lui? Parla!” Lo interrogai distogliendo lo sguardo dal sentiero che serpeggiava tra gli alberi avvizziti. Non avevo avuto ritegno, ormai ero senza vergogna, spudorato come non lo ero mai stato, ma non me ne importava nulla.

 

Sileno non reagì, ignorò la mia insolenza mantenendo un contegno di superiorità, il suo atteggiamento era esaustivo più di mille parole. “È difficile rimanere insensibili dinanzi a quel volto d'angelo…” riconobbe poi, in tono sommesso, infrangendo il silenzio.

 

Giungemmo sulla soglia di un varco, come una breccia aperta tra due speroni di roccia, e allora Sileno alzò il mento e si grattò la zazzera lanuginosa che gli spuntava tra le corna. Il muso caprino incorniciato dal vello biancastro si contrasse in una smorfia.

“Adesso non devi fare altro che guardare” disse..

 

Il mio cuore perse un battito quando la vidi: nel campo di fiori si ergeva una scultura che ritraeva le fattezze di un giovane efebo, il quale indossava un chitone lungo ed era coronato di alloro come il dio Apollo.

Sbattei le palpebre, incurante delle lacrime che rotolavano lungo le guance, e mi concentrai sulle innumerevoli sagome  fluttuanti a mezz'aria, le cui ombre si allungavano sul prato. Le stetti a guardare, inebetito, fino al momento in cui non notai una silhouette —avvolta da un'aura dorata che aveva facoltà di disperdere le ombre che aleggiavano nel luogo tetro— aveva le stesse fattezze del ragazzo immortalato nella pietra. Inginocchiato a terra,  bellissimo, e vestito con il medesimo chitone bianco che lasciava scoperta una spalla; la fronte cinta di lauro; lui non sorrideva ma aveva lo sguardo vacuo e triste, fisso sulla ghirlanda che stava intrecciando…

 



 
   
 
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