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Autore: Star_Rover    04/03/2024    4 recensioni
Jari e Verner sono uniti fin dall’infanzia da un legame che nel tempo è diventato sempre più intenso e profondo. Nell’inverno del 1915 però i cambiamenti sociali e politici che sconvolgono la Finlandia finiscono per coinvolgerli, così i ragazzi sono costretti a separarsi per seguire strade diverse.
Nel 1918 i destini dei due giovani tornano a incrociarsi sullo sfondo di una sanguinosa guerra civile.
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Il Novecento, Guerre mondiali
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XXXVIII. La scelta  
 

Le assi del tetto scricchiolavano sotto al peso della neve, il ghiaccio iniziava a sciogliersi lentamente.
Il fuoco continuava a scoppiettare nel camino, il vento aveva smesso di ululare nella foresta.
Smirnov rimase inerme ad osservare il suo compagno mentre si preparava all’imminente partenza. La tempesta si era placata, ma sarebbe stato impossibile prevedere quanto tempo restasse a disposizione. In ogni caso, era necessario correre il rischio.
«Sono cambiate molte cose, adesso in Russia c’è la guerra»
Aleks sbuffò: «lo so, per questo voglio raggiungere la mia famiglia prima che sia troppo tardi»
L’ufficiale lo squadrò con aria severa.  
«E poi che cosa farai? Quelli come te non restano fermi a lungo. Presto tornerai a frequentare i tuoi amici anarchici, che ora stanno combattendo a fianco dei Rossi. Dannazione, ti vedo già con l’uniforme bolscevica cucita addosso!»
Aleks non riuscì a trattenere la sua frustrazione.
«Che diamine stai dicendo? Tu non mi conosci! E non mi importa che cosa pensi di me!»
Il tenente sospirò con rassegnazione.
«Ho imparato a conoscerti molto bene in questi mesi. Ho letto decine di rapporti sulle tue imprese passate, un sovversivo recidivo non si arrende così facilmente»
«Se davvero la pensi così avresti dovuto premere il grilletto»
L’ufficiale scosse il capo: «non ho mai avuto intenzione di ucciderti»
«Bene, e adesso quale sarebbe il tuo intento?»
«Sto cercando di aiutarti, ma se non vuoi ascoltarmi non importa. Quando uscirai da qui sarà come se non ci fossimo mai incontrati»
Egli rimase sospettoso.
«In che modo potresti aiutarmi?»  
«Ricordandoti quanto mi sia costato offrirti una seconda possibilità»
Aleks percepì una stretta al petto nell’udire quelle parole.
«Se la tua famiglia è davvero così importante per te, allora dovrai rinunciare per sempre ai tuoi ideali»
«Stai insinuando che non sia in grado di occuparmi di mia moglie e mio figlio?»
Smirnov scosse le spalle.
«Non lo so. Ma i miei ideali sono il motivo per cui non mi sono mai sposato. Credimi, noi due non siamo poi così diversi. Se mi sto permettendo di criticarti, è perché so di cosa sto parlando»
«Se fossi un cieco idealista non avrei mai abbandonato questa battaglia, non avrei rischiato la vita per tornare a casa»
«Questo è vero. Adesso ti senti in colpa per il tempo perduto, tuo figlio sta crescendo senza di te. Forse potrai abituarti al ruolo di padre di famiglia, ma quando ti sarà offerta una nuova possibilità di tornare a combattere avvertirai ancora la chiamata alle armi»
«Non sono un militare, a differenza tua non sono assuefatto alla battaglia»
«Però non hai mai rinunciato a combattere»
Aleks non poté contraddirlo, ma quella volta sentiva qualcosa di diverso.
«Sono stato costretto ad abbandonare la donna che amavo, so che lei ha sofferto molto a causa mia. Non potrei mai causarle altro dolore»
«Quando sei partito le altre volte non potevi avere la certezza che saresti tornato»
«Ero giovane e incosciente. Credevo di poter cambiare il mondo con le mie battaglie, non fraintendermi, non ho smesso di credere alla causa, ma non sono più un fervente rivoluzionario»
Smirnov sembrò soddisfatto da quella risposta.
«Hai altro di cui rimproverarmi?»
Il tenente scosse il capo restando in silenzio.
 
Aleks terminò di ispezionare il suo misero bagaglio. Con un po’ di fortuna ciò sarebbe stato sufficiente a garantirgli la sopravvivenza fino al confine.  
«E tu? Che cosa farai adesso? Tornerai a difendere il tuo ultimo avamposto per morire con onore?»
Il suo compagno negò.
«Il tenente Smirnov ha combattuto la sua ultima battaglia per difendere l’Impero ed è stato sconfitto»
«Molti militari come te hanno scelto di combattere per la repubblica»
Smirnov mosse qualche passo intorno alla stanza.
«Non tornerò in Russia, se è quel che vuoi sapere»
Aleks fu sorpreso da quella notizia.
«Per quale motivo? Hai dedicato la tua vita a difendere la Patria, ed ora vuoi abbandonarla in mano al nemico?»
«Ciò in cui credevo è ormai distrutto, non si tratta soltanto dell’Impero. Certo, il giuramento e la fedeltà mantengono il loro valore, ma in fondo sento di aver adempito al mio dovere»
«Per quanto la mia opinione possa valere, ritengo che tu non abbia nulla di cui rimproverarti come ufficiale dell’Esercito imperiale»
«Avevamo l’ordine di resistere fino alla fine, ed è quello che abbiamo fatto»
«Non sei un uomo avido di gloria o potere, e sei troppo onesto per venderti a una causa che non senti altrettanto onorevole»
Smirnov annuì.
«Te l’avevo detto, in fondo non siamo così differenti»
«Riesco a comprendere il tuo dolore per ciò che hai perduto. Ma non capisco perché non voglia reagire a tutto questo. Hai avuto una seconda possibilità, non dovresti sprecare questa occasione»
«Sono un uomo morto, quale potrebbe mai essere il mio destino?»
Il giovane iniziò a stancarsi della medesima retorica.
«I morti devono restare sepolti, tu non sei un fantasma»
«Sono lo spettro di me stesso. Che cosa resta per un soldato quando non rimane più nulla per cui combattere o morire?»
Aleks rispose con voce tremante: «la pace»
Il tenente mostrò un mesto sorriso.
«Non ho mai sognato la pace, nemmeno quando ero al fronte. A dire il vero, credo di non aver mai immaginato la mia vita lontano dalla guerra»
«Eppure adesso non senti più il richiamo del campo di battaglia»
Smirnov ripensò con malinconia alle sue imprese passate, a quando era un giovane ufficiale in carriera, determinato e ambizioso a conquistarsi il suo futuro. Sogni e speranze erano stati spazzati via dal vento della rivoluzione.
«Mio fratello è morto per un Impero che non esiste più, a cosa servirebbe versare altro sangue? Onore? Rancore? Vendetta? Rivalsa? Per quanto possa apparire miserabile, non sento nulla di tutto questo»  
«La disperazione porta alla follia, non è la strada da seguire»
«Suppongo che almeno su questo tu abbia ragione»
Aleks si accontentò di quell’impacciato segno di approvazione.
«Immagino che non fosse così che avresti immaginato il tuo addio alle armi»
Smirnov non poté far altro che rassegnarsi alla triste realtà. 
«Ho visto con i miei occhi gli orrori della guerra civile, non voglio combattere un conflitto di potere. Senza i miei ideali non ho più ragioni per indossare questa divisa»
Il giovane comprese le sue motivazioni.
«Non c’è più niente per me in Russia» affermò tristemente.
Aleks si limitò ad annuire, in fondo ritenne che fosse una decisione ragionevole.
«Sono lieto di aver conosciuto il tenente Smirnov, ma devo ammettere di essere ancora più onorato nel potergli dire addio»
Lui comprese il significato di quelle parole.
Aleks recuperò la sua attrezzattura, si diresse verso la porta, ma prima di varcare la soglia si voltò un’ultima volta verso Smirnov.
«Addio, buona fortuna. Mi auguro che tu riesca a trovare un po’ di pace, ovunque decida di andare»
L’uomo ricambiò con altrettanta sincerità.
«Buon viaggio. Spero davvero che tu possa ritornare dalla tua famiglia»
 
***

Hjalmar aveva seguito le tracce delle rotaie fino a raggiungere la vecchia stazione ormai abbandonata. L’intera area era deserta, i Bianchi non si erano ancora spinti oltre la foresta. Il ragazzo si intrufolò all’interno di un capanno, l’interno era freddo e spoglio.  
Hjalmar arrancò nella penombra, si trascinò a fatica sul fondo della stanza, rannicchiandosi in un angolo nel tentativo di scaldarsi.
Il giovane si interrogò sul suo futuro. Non avrebbe potuto raggiungere da solo la Carelia, i Bianchi lo avrebbero catturato sulla strada del ritorno. Inoltre in quelle condizioni non sarebbe riuscito ad andare molto lontano.
Hjalmar ripensò a quel che era accaduto, nella sua mente rivide gli ultimi istanti del tenente Eskola.
Il suo superiore aveva scelto di proteggerlo, gli aveva permesso di fuggire decidendo di andare contro al proprio dovere di comandante. Ancora non riusciva a credere che egli fosse morto. Si sentiva in colpa per la sua sorte, forse se avesse saputo comportarsi come un vero soldato avrebbe potuto salvare la vita dei suoi compagni.
Hjalmar si strinse le gambe al petto. In quel momento non era più un soldato, desiderava dimostrare il proprio valore, invece si era comportato come un ragazzino spaventato. La guerra gli aveva mostrato la dura realtà, lui non era pronto per combattere, forse non lo sarebbe mai stato.
Voleva solo aiutare Verner e i suoi compagni, riteneva di essere abbastanza coraggioso per affrontare il suo destino, ma alla fine si era ritrovato solo vittima degli eventi.
La guerra non era un gioco, l’aveva imparato sulla propria pelle. Gli orrori e le violenze a cui aveva assistito erano impressi nei suoi occhi, non poteva più tornare indietro. La sua innocenza era persa per sempre.
Hjalmar poggiò la testa alla parete, il freddo era insopportabile. La stanchezza però iniziava a farsi sentire, lentamente le forze lo stavano abbandonando.
 
Aveva appena chiuso gli occhi quando ad un tratto avvertì dei rumori sospetti. Un ramo spezzato, la neve che scricchiolava sotto agli stivali. Dei passi si stavano avvicinando, c’era qualcuno là fuori.
Hjalmar fu paralizzato dalla paura, non aveva modo di difendersi ed era troppo debole per tentare la fuga. Intravide un’ombra dalla finestra, riconobbe subito la sagoma di un soldato. In quel momento ebbe la certezza che fosse giunta la fine, la sua fuga era terminata. La lepre era stata catturata.
 
La porta fu aperta con un colpo secco, la Guardia Bianca irruppe con il fucile puntato.
Hjalmar alzò prontamente le braccia in segno di resa.
Inaspettatamente il soldato abbassò l’arma. Dopo essersi accertato che non ci fosse nessun altro, si avvicinò lentamente, muovendosi con cautela in direzione del ragazzo. 
«Tranquillo, non ho intenzione di farti del male»
Il giovane non si fidò di quelle parole, il suo sguardo era colmo di terrore.
L’uomo sembrò riconoscere qualcosa in lui.
«Tu devi essere Hjalmar, vero? Sono qui per aiutarti»
Egli sussultò, come faceva quel Bianco a conoscere il suo nome?
Lo sconosciuto si presentò con tono calmo e pacato.
«Sono lo jäger Frans Seber e ho promesso di riportarti al sicuro, puoi fidarti di me?»
Hjalmar guardò quel giovane negli occhi, apparentemente non aveva nulla di minaccioso. Non aveva motivo di credere che egli avesse interesse nell’ingannarlo.
Quel soldato sapeva troppo su di lui. Se avesse voluto semplicemente arrestarlo, di certo non avrebbe agito in quel modo.
«So che è difficile, ma devi credermi. Sono la tua unica possibilità di salvezza»
Hjalmar esitò ancora qualche istante prima di lasciar cadere le sue ultime difese.
Frans ripose il fucile, raggiunse il giovane e si chinò al suo fianco. Il ragazzo era stremato dalla fatica e dalla fame. Tremava a causa del freddo e della febbre.
«Sei ferito?» chiese Seber con sincera apprensione. 
Lui scosse la testa.
«Coraggio, vieni con me. C’è qualcuno che sarà davvero felice di vederti»
Hjalmar si lasciò sollevare dalle forti braccia del soldato, affidandosi alla sua custodia senza più remore.
 
Leena attendeva con ansia il ritorno di Frans, almeno quella volta non si era opposta alla sua volontà. Non sarebbe stata d’aiuto in quelle condizioni, ne era consapevole. Aveva fatto tutto il possibile per rispettare la sua promessa, ma temeva che non fosse stato sufficiente. 
Fidarsi di una Guardia Bianca per salvare la vita di un compagno era stato un passo difficile, ma non aveva avuto scelta. Inizialmente era stata la paura a prevalere, si era ostinata a vedere un nemico anche quando si era ritrovata di fronte a un alleato. Aveva tentato in ogni modo di esercitare potere su di lui, era pronta a tutto, dalla seduzione al sangue. Ma lui era diverso, questo finalmente l’aveva capito.
Aveva accettato di restare sola e indifesa in sua presenza, eppure nemmeno per un istante si era sentita in pericolo.
Ed ora che aveva affidato la missione più importante nelle sue mani, sentiva di aver fatto la cosa giusta.
 
Quando la porta del capanno si aprì, il primo a comparire sulla soglia fu Hjalmar.
La ragazza gli corse incontro, le somiglianze con Verner erano ben evidenti, non aveva alcun dubbio sulla sua identità.
«Oh, Hjalmar! Sei davvero tu! Sei vivo!»
Il giovane era confuso dalla situazione, ma trovò conforto nel caloroso abbraccio della donna e nelle sue premurose attenzioni.
Osservandola più da vicino, Hjalmar riuscì a rievocare quel volto nella sua memoria.
«Aspetta…io ti conosco! Ti ho visto con mio fratello a Tampere»
Ella confermò.
«Mi chiamo Leena. È stato Verner a mandarmi qui»
Il ragazzo faticò a credere a quelle parole.
«Davvero è stato mio fratello a chiederti di trovarmi?» domandò.
Lei annuì: «ti spiegherò tutto, adesso però devi fidarti di me»
Jänis rivolse lo sguardo al soldato, il quale era rimasto fermo sulla porta.
«Non preoccuparti, anche lui è dalla nostra parte»
Hjalmar restò diffidente, ma non trovò la forza di porre ulteriori domande. Aveva trovato qualcuno in grado di aiutarlo, al momento, non aveva bisogno di sapere altro.
 
Hjalmar riposava vicino al fuoco, nel sonno il suo corpo era scosso dai brividi della febbre.
Accanto al suo giaciglio, Leena vegliava su di lui con fare dolce e protettivo.
Frans si posizionò al suo fianco, l’espressione sul suo viso era seria e pensierosa.
«Quando saremo a Ruovesi parlerò con il mio comandante e cercherò di procurarvi un posto sul prossimo treno per Helsinki. Dirò che siete civili in fuga da Tampere, così non dovreste avere problemi» affermò.
Leena fu sorpresa dalla sua iniziativa, ma non riuscì a nascondere il suo turbamento.
«Sarebbe una scelta pericolosa, saresti costretto ad esporti personalmente e a prenderti delle responsabilità»
«Non preoccuparti, i miei superiori si fideranno della parola di uno jäger»
«Saresti disposto a fare tutto questo per noi?»
Frans sospirò: «ho commesso azioni orribili in questi anni, ritengo di dover fare qualcosa di buono almeno per una volta»
Leena sembrò compatirlo.
«Hjalmar è solo un ragazzino, deve essere salvato da questa guerra»
Il giovane riportò l’attenzione su di lei. 
«E tu invece? Non desideri poter ricominciare lontano da tutto questo?»
Leena abbassò tristemente lo sguardo.
«Non ho mai creduto di avere un futuro dopo la guerra»
«Anche io pensavo lo stesso quando sono tornato dalla Germania, poi ho capito di non poter vivere per sempre nel passato»
Lei non rispose, chiudendosi nuovamente nel suo dolore.
Frans non si arrese, decise di affrontare un’ultima volta il confronto.
«Dovresti essere soddisfatta. Hai ottenuto quel che volevi da me, il mio supporto e la mia protezione»
«Non ho mai preteso nulla da te»
«Hai ragione, è stato un mio errore. Non avrei dovuto illudermi»
Leena notò sincero rammarico nelle sue parole. Improvvisamente si sentì in colpa, ora che non vedeva più alcun pericolo in quel giovane non aveva più ragioni per mantenere alta la guardia nei suoi confronti.
«Mi dispiace…mi ero sbagliata su di te. Sei davvero un uomo onesto e leale, non avrei dovuto giudicarti così severamente»
Frans rimase fedele a se stesso: «sono solo un soldato che rispetta le sue promesse»
Leena poggiò la testa sulla sua spalla, nascose il volto sul suo petto, lasciandosi andare a un pianto silenzioso e liberatorio.
Frans la strinse dolcemente a sé.
«Andrà tutto bene, te lo prometto»  
 
***

La luna era coperta dalle nubi, il vento gelido infuriava nella foresta.
Jari proseguì imperterrito lungo il sentiero, affondava gli stivali nella neve, avanzando a passo deciso. Nella mano destra stringeva la pistola carica.
L’ufficiale raggiunse il rifugio sbucando nella piccola radura.
Le due guardie erano reclute inesperte, avevano ricevuto il battesimo del fuoco a Tampere e portavano ancora i segni del trauma sui loro volti pallidi e smunti.
Entrambi scattarono sull’attenti appena riconobbero il loro superiore.
Jari si rivolse ai suoi sottoposti con tono autoritario.
«Tornate all’accampamento. La tempesta peggiorerà questa notte»
I due ragazzi si scambiarono uno sguardo perplesso.
«Che succede? Volete restare qui fuori a morire congelati?» insistette il comandante.
Finalmente una sentinella prese coraggio.
«Signore, non possiamo abbandonare la nostra postazione»
«Il prigioniero non è più sotto la vostra custodia!»
«Ma…signor tenente…» tentò di protestare.
«Ti stai rifiutando di eseguire i comandi?»
«No, signore!»
Jari guardò i giovani negli occhi.  
«D’accordo. Volete la verità?»  
La risposta fu un timido cenno.
Il tenente emise un profondo respiro prima di iniziare il suo discorso.
«Il generale Mannerheim ha ordinato di uccidere tutti i prigionieri. È un crimine di guerra, un’azione non necessaria e ingiustificata. Eppure è un ordine ed è mio dovere eseguirlo. Non voglio però che il mio plotone sia coinvolto in una questione così disonorevole. Sono il vostro comandante e ho intenzione di prendermi le mie responsabilità»
Le reclute restarono impietrite davanti a quella confessione.
«Adesso che sapete il motivo per cui non voglio fare di voi degli assassini, potete semplicemente obbedire ai miei ordini?»
I soldati ebbero un istante di esitazione, poi lentamente mossero qualche passo in avanti. Mesti e a capo chino, i due iniziarono ad allontanarsi, scendendo lungo il pendio.
Jari avvertì il volto arrossato, il respiro affannato per lo sforzo. Non aveva mai dovuto imporsi così, non era solito a trattare i suoi uomini in quel modo.
Senza perdere tempo l’ufficiale entrò all’interno del rifugio, dove trovò Verner esattamente come lo aveva lasciato.
«Bentornato, tenente Koskinen»
Egli non riuscì a trovare il coraggio di guardare il suo vecchio compagno in volto, meccanicamente lo slegò dalla sedia, lasciando le corde strette alle mani.
«Dunque alla fine ti sei deciso a fare il tuo dovere»
Jari premette la canna della pistola contro la sua schiena e con forza lo spinse fuori dal capanno.
Verner non oppose resistenza, era pronto ad accettare il suo destino.
I due si inoltrarono nella foresta nell’inquietante atmosfera della notte. Nessuno osò dire nulla, il silenzio rese ancora più surreale quel momento.
Jari ordinò al prigioniero di fermarsi quando giunsero di fronte a un bivio.
«In ginocchio, a terra»
Verner obbedì.
 
 
Le due sentinelle non erano molto distanti dal rifugio. Sconvolte dalla rivelazione del loro superiore, non erano riuscite a far finta di nulla.
Il tenente Koskinen era un ufficiale onesto a leale, di questo non avevano dubbi. Il fatto che non avesse voluto coinvolgere il suo plotone in un’esecuzione illegale ne era la prova.
Entrambe le parti avevano commesso azioni riprovevoli in quella guerra, la condanna di un prigioniero non era un evento così rilevante. Il tenente Koskinen però sembrava davvero scosso dalla situazione.
«Io credo che si tratti di una questione personale» ipotizzò uno dei due.
«Che cosa intendi?» domandò l’altro.
«Be’, molti di noi hanno conti in sospeso in questa guerra. Se il tenente ha voluto occuparsi personalmente di quel criminale rosso a me non interessa»
«Si tratta di ordini del Quartier Generale»
«Certo, questa è la versione ufficiale…»
I due ragazzi stavano ancora discutendo quando alle loro spalle udirono l’eco di due spari.  
«Provenivano dal bosco»
Il suo compagno estrasse una sigaretta dal taschino e l’accese con calma.
«Possiamo considerare chiusa la questione del prigioniero» concluse voltando le spalle alla collina.
   
 
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