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Autore: Biblioteca    05/03/2024    0 recensioni
E se Harry non fosse mai cresciuto con i Dursley?
Se la McGrannitt, Hagrid e Piton, di comune accordo (e con molti complici) avessero deciso di portare Harry a Hogwarts prima del tempo e di crescerlo al sicuro?
Harry Potter sarebbe sicuramente stato diverso, al primo anno come ai successivi. Ma come e quanto sarebbe cambiato? E perchè?
In questa prima storia (che inizia la notte prima dei suoi undici anni e finisce con il suo smistamento) voglio presentarvi un Harry Potter diverso e vedere, insieme a voi, se può diventare un personaggio interessante su cui lavorare o restare solo una fantasia di una storia diversa dalle solite...
Genere: Fantasy, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Rubeus Hagrid, Severus Piton | Coppie: James/Lily
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Le regole erano semplici: Harry non avrebbe potuto utilizzare la sua bacchetta magica, né la scopa, né altri strumenti magici, ma avrebbe potuto leggere i libri.
Edvige, la civetta, poteva uscire di notte, ma doveva restare nascosta nella capanna di Hagrid di giorno.
Anche per Harry c’erano dei nascondigli: sebbene era altamente improbabile che Silente si recasse alla capanna di Hagrid, Harry doveva comunque fare sempre attenzione a non essere individuato.
Il ragazzo imparò presto che crescere un unicorno era comunque molto più semplice che crescere un cavallo normale: oltre alla purezza, l’animale presentava una certa intelligenza e imparava presto a comportarsi correttamente.
Era vivace, ma se Harry gli chiedeva di fare silenzio quando vedeva con la coda dell’occhio qualcuno passeggiare dalle parti di Hogwarts, lui smetteva di nitrire. Quando, con l’aiuto di Hagrid, tracciarono dei confini immaginari tra la capanna e il castello, come tra la capanna e la foresta, Quercia si dimostrò subito in grado di riconoscerli e rispettarli.
Nella settimana che seguì, calda e soleggiata, Harry si prese cura dell’animale guidato dal mezzo-gigante: lo nutriva tre volte al giorno, faceva spesso corse insieme a lui, gli spazzolava il pelo dorato e la criniera ancora corta con molta attenzione. Correva insieme a lui, un allenamento importante per il cucciolo, che per quanto fosse stato già in grado di camminare a poche ore dal parto, doveva comunque migliorare i suoi movimenti.
Furono giornate incredibilmente belle per Harry, che quasi si era dimenticato cosa significasse stare all’aria aperta. Tra i prati di Hogwarts insetti comuni e magici incantavano la sua curiosità.
“Quercia! Guarda! Una mantide religiosa! Non ne avevo mai vista una da vicino!”
Quercia rispondeva sempre, ovviamente a modo suo: ora nitriva, ora sbuffava dilatando rumorosamente le narici, ora gli strofinava il muso sul braccio.
Una volta arrivò a poggiargli, con delicatezza, uno zoccolo sul dorso della mano. Successe una sera mentre Harry era seduto ad osservare il disco rosso del sole che al tramonto spariva all’orizzonte.
“Quercia… qualcosa non va?”
Il puledro aveva scosso la testa. Aveva imparato a fare anche quello.
“Quindi è un modo per dirmi che sei felice?”
Il puledro aveva annuito. Rimosso lo zoccolo aveva lanciato un forte nitrito e si era messo a saltellare. Harry lo aveva osservato sorridendo.
“Mi domando… se Quercia mi veda come un fratello… o come un padre… io non ho avuto né l’uno né l’altro quindi non posso capirlo.” Aveva poi pensato il bambino. E quel pensiero l’aveva all’improvviso incupito profondamente.
 
La sera, Piton e la McGrannitt facevano sempre una visita a lui e ad Hagrid. A volte insieme, a volte solo uno dei due. Harry raccontava dei progressi di Quercia e di quello che stava imparando stando con l’animale. Se qualche volta trovava il tempo di leggere i libri di testo, faceva domande e chiedeva spiegazioni. Piton però sembrava non rispondere con piacere alle sue interrogazioni.
“Forse dovresti lasciare alla scuola il compito di insegnare, Potter.”
“Ma io non voglio andare a scuola così impreparato! Gli altri sapranno molto più di me.”
“Ricordi cosa ti ho detto nella foresta il giorno in cui abbiamo trovato questo cucciolo? La magia non si impara in un giorno.”
“Inoltre,” aggiunse la McGrannitt con più dolcezza “molti tuoi compagni verranno da famiglie babbane, saranno anche loro ‘impreparati’, non devi sentirti imbarazzato.”
Harry aveva annuito e poi carezzato la testa di Quercia, vicino a lui, con il muso poggiato sulle gambe.
“Voi… eravate di famiglie magiche o babbane?”
Seguì un lungo silenzio. Piton e la McGrannitt si scambiarono un’occhiata tesa. L’uomo poggiò il suo piatto di minestra e si alzò: “Se posso permettermi, Potter: questo non riguarda te. E ora devo andare.”
“Professore, l’arrosto!” protestò Hagrid.
“La tua cucina Hagrid è sicuramente adatta per un giovane come Potter. Ma a me rischia di trasformarmi in qualcosa di più grande di un troll. Grazie mille per la zuppa. Ma per oggi basta. Arrivederci Potter. Professoressa.” E uscì dalla capanna.
Harry ci rimase molto male, ma la McGrannitt gli mise una mano sulla spalla e disse: “Piton è un uomo molto riservato. Non porta rancore per le domande fatte, ma non risponderà mai, se non lo ritiene opportuno. Io posso dirti che la mia famiglia era babbana per metà. Mio padre era babbano.” Un velo di tristezza calò sugli occhi della donna. E Harry decise di cambiare argomento: “Però anche i figli di soli maghi non possono usare la magia fuori dalla scuola.”
“Assolutamente! È una regola fondamentale! Questo succede anche perché fino a una certa età, la magia è molto difficile da controllare! Anche il migliore tra gli studenti rischia di fare un disastro! Non possiamo permetterci incidenti! Né tra i babbani, né fuori! Troppo pericoloso!”
Parlò con solennità e severità. Harry annuì.
“Quando avrò finito quest’anno, tornerò nel sotterraneo?”
“Ci stiamo lavorando. Stiamo vedendo che qui nella capanna di Hagrid non stai male e che rispetti le regole. Perciò…”
“Oh professoressa! Sarebbe bellissimo! In estate poi la foresta è meravigliosa! Le creature entrano nella stagione degli amori e i fiori…”
“Hagrid, non è ancora detto.”
Harry ridacchiò osservando quella buffa interazione: la gioia di Hagrid spenta dalla solenne risposta della professoressa gli ricordava una scena dei vecchi film comici che aveva avuto l’occasione di vedere ogni tanto alla TV.
 
Una sera si presentò solo Piton. Nervoso.
“Il ragazzo.” Chiese a Hagrid.
Harry, che era nascosto alla vista dallo schienale della grossa poltrona, fece capolino.
Piton gli venne incontro, si tolse una collana dalla tasca e gliela mise al collo.
“Ascoltami bene, Potter. Non-devi-toglierti-questa-collana. Qualunque cosa accada, scoppiasse l’intero castello o il mondo, tu tieni questa collana al collo. È chiaro!?”
Harry l’aveva visto in quello stato solo in un’altra occasione. Quando lo aveva recuperato dal cadavere della madre di Quercia e portato in braccio, correndo, alla capanna di Hagrid.
Anche il mezzogigante, in quel momento intendo a trafficare con uova e farina per preparare una torta, si innervosì.
“Quindi… passerà stasera?”
“Tra poco. Nascondi il ragazzo e cerca di non farti sfuggire nulla quando parli.” E di corsa, come era arrivato, Piton se ne andò.
Hagrid prese Harry quasi di forza e lo portò davanti al suo armadio: “Nasconditi Harry, resta dentro finchè non ti dico di uscire.”
Harry annuì. Quercia si avvicinò.
“No Quercia! Devo stare nascosto! Nessuno deve sapere che sono qui! Resta fuori!”
Quercia annuì e quando la porta dell’armadio fu socchiusa, il puledro si accomodò ai piedi dello stesso.
L’armadio aveva un punto di areazione in alto, preparato da Hagrid stesso per essere sicuro che Harry non restasse soffocato nel caso si fosse dovuto nascondere.
Ma anche tra alcune travi c’era spazio sufficiente per l’aria e Harry aveva addirittura la possibilità di vedere l’esterno, anche se solo parzialmente.
Erano passati dieci minuti e Hagrid di tanto in tanto si spostava vicino all’armadio, come incerto sulla possibilità di farlo uscire. Poi però c’erano stati dei colpi alla porta. Pochi, leggeri.
Hagrid aveva messo via cucchiai e ciotole ed era andato ad aprire.
“Professor Silente! Buonasera!”

 
  
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