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Autore: Celeste98    06/03/2024    1 recensioni
“Dunque parlo con la signorina Blumarine Brief, è esatto?”
“Sì, ma la prego mi chiami Bulma"
“Ci serve qualcuno per il quale la tecnologia non ha segreti, credi di poter essere tu questa persona?” Allison prese parola accomodandosi sulla scrivania della sua collega con un tono confidenziale. Bulma rimase rifletté in silenzio per alcuni secondi, dopodiché alzò lo sguardo per osservare le due donne
“Sì, penso di poter essere io”
*
“Hai finito di rompere i coglioni?!”
“Lei è Radish Son?”
“Dipende da chi cazzo lo sta cercando”
“Beh, se lei è chi dice di essere allora posso presentarmi. Mi chiamo Hazel Brief e, con molte buone probabilità, credo di essere sua figlia”
Solo piccoli assaggi per conoscere alcuni dei protagonisti di questa nuova storia - o impresa dal mio punto di vista, vorrei vedere quale altro pazzo scrive tutto ciò che gli passa per la testa per poi comporre i capitoli come fossero puzzle.
Si ritorna alle origini con i miei amati Vegebul, nuovi personaggi inediti, rivalutare il personaggio di Radish, ma anche tutti gli altri su cui ora non mi dilungo adesso perché c’è il limite di caratteri.
Se vi ho incuriositi vi aspetto nei capitoli.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bulma, Nuovo personaggio, Radish
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14: Ogni momento è un’occasione per dare una svolta

Quando i coniugi Brief avevano invitato Radish ed Hazel a pranzo per quel fine settimana non gli era sembrato che ci fosse nulla di strano. Era abbastanza normale in una famiglia pranzare insieme la domenica senza un altro motivo dietro, persino lui stesso aveva organizzato un mega pranzo di famiglia per inaugurare la nuova casa in cui si era trasferito con Hazel, la quale continuava comunque ad avere una propria camera a casa di Bulma e dai nonni.
Anche quella prima parte della domenica era andata bene, finché la crostata non rischiò di andargli di traverso quando Bonnie Brief sganciò la bomba.
 
“Hazel cara, c’è qualcosa che dovresti sapere”
“Che c’è nonna? Mi sto preoccupando”
“Oh non devi piccola” intervenne il nonno “Non è una cosa brutta, solo mh... anticipata, potremmo dire, sì”
“Vedi fiorellino, tua madre aveva immaginato che sarebbe arrivato il momento in cui avresti cominciato a fare domande su tuo padre e decise di prepararti lei stessa tutte le risposte. Certo, Kida non immaginava cosa saresti stata in grado di fare da sola senza coinvolgere noi e per questo che fece conservare il tutto in una cassetta di sicurezza cui avresti avuto accesso all’età di diciotto anni. O anticipatamente se fossimo stati noi a ritirarla per te” spiegò Bonnie cercando di mantenere il controllo della propria voce. Hazel, ad occhi sgranati, non sapeva su chi dei presenti posare lo sguardo per primo.
“Dove posso trovarle? Perché non me lo avete detto prima? E per questo che non avete battuto ciglio quando avete conosciuto Radish? Perché zia non me ne ha parlato quando ha scoperto di papà?!” pronunciò ogni domanda di seguito all’altra, incapace di dare loro un grado di importanza.
“La banca qui vicino, piccola. Il nonno dovette firmare l’ultimo modulo. Tua zia non sa nulla, non avrebbe potuto dirtelo”
“Credo” intervenne di nuovo il signor Brief “che Kida pensasse che ti saresti confidata con qualcuno di noi, ma sei sempre stata molto più intelligente degli altri”
 
L’inquadratura si muoveva a scatti finché l’improvvisata regista non riuscì a stabilizzarla su un ripiano che fosse abbastanza alla sua altezza, a quel punto la donna apparve sullo schermo sedendosi sul di letto della propria camera a Pasadena.
“Ciao Hazel”
“Mamma” nonostante la  voce di Hazel fosse solo un sussurro, Radish la sentì forte e chiaro e agì d’istinto stringendole la mano.
“Va tutto bene?” la ragazza annuì soltanto senza spostare lo sguardo dal televisore e riempirsi gli occhi dell’immagine di sua madre.
“Resta qui con me” sussurrò e l’uomo le rispose con il medesimo tono
“Non vado da nessuna parte” 
“Come stai piccola? Cioè, so che non sei più tanto piccola, dovresti avere ormai diciotto anni, ma per me sarai sempre la mia piccola”  i capelli biondi erano tenuti indietro da una fascia viola, era pallida ma, agli occhi di sua figlia, era bellissima.
 
Kida sorrise imbarazzata alla videocamera grattandosi dietro la nuca, nel fare ciò l’occhio le cadde sulla fotografia che teneva sul comodino. La prese e la indicò all’obiettivo.
“Per me sarai sempre questa bellissima bambina che mi tirava i capelli con forza quando non le dedicavo tutta la mia attenzione” rise, poi alle sue orecchie giunse la risata argentina di sua figlia che giocava con la nonna
“Adesso hai quattro anni, ma quando riceverai questo messaggio ne avrai diciotto, un’età che mi è sembrava la più adatta per affrontare questo discorso. E soprattutto volevo lo sapessi da me e non da qualcun altro che non avrebbe capito quelle che erano le mie reali intenzioni” posò la cornice sul comodino e si recò alla scrivania per prendere una scatola che vi aveva riposto
“Molte volte mi hai domandato del tuo papà, odio dirti le bugie, ma non saprei come spiegarti ciò che è successo” la sua espressione s’incupì “I medici mi avevano dato per spacciata già cinque anni fa, anche l’ultimo ciclo di chemio è stato un buco nell’acqua e decisi di dire basta, non ne potevo più. Ero stanca di imbottirmi di quello schifo, di stare male, di vedere la mia famiglia soffrire... Volli essere egoista, ho fatto i bagagli e sono partita per un viaggio che volevo fare da praticamente tutta la vita. Agli affetti da cancro viene consigliato di tenere un diario della malattia, i film invece mi hanno insegnato che i malati terminali devono fare una lista delle cose da fare prima di morire. La mia prevedeva cose assurde e le ho fatte quasi tutte” rise ancora “ti prego non prendermi ad esempio, io ho la scusa del cancro e tu invece no” iniziò a cercare nella scatola e ne estrasse un diario
“Questo era il mio diario della malattia, che divenne un diario di bordo quando sono partita per l’Australia. Una terra selvaggia e pericolosa al pari del selvaggio west, ma più divertente, credo di aver fatto le esperienze più belle e folli della mia vita, tutto declassato nel momento in cui ti strinsi per la prima volta tra le braccia, ma sto divagando... Naturalmente troverai tutto scritto nel mio diario se deciderai di leggerlo, ma ci sono cose che volevo raccontarti personalmente” estrasse dalla scatola un piccolo plico di fotografie tenute insieme da un nastro.
“Conobbi tuo padre appena arrivata nell’hotel, il jetlag mi stava uccidendo ma ero così eccitata che non sarei riuscita a chiudere occhio. Eravamo un gruppo di almeno venti persone e per distinguerci da altri gruppi di turisti ci avevano dato un foulard rosso che io indossavo come bandana per via dei capelli troppo corti” disse indicando la suddetta stoffa rossa “e poi decisero che saremmo dovuti essere divisi in coppie. Eravamo in pochi a viaggiare da soli ma tra questi uno in particolare mi incuriosì: sebbene fosse arrivato fin lì sembrava totalmente disinteressato a tutto ciò che riguardava quella vacanza, niente attirava la sua attenzione. Aveva un’espressione perennemente arrabbiata, ma qualcosa mi diceva che dietro quegli occhi scuri si nascondesse una grande sofferenza” un’altra volta il suo sguardo si perse nei ricordi carezzando dolcemente quella foto di gruppo
“Non ha mai fatto domande sulla mia situazione, del perché fossi sempre molto debole o per i capelli corti, però aveva l’accortezza di reggermi quando perdevo l’equilibrio o mi sentivo svenire, sempre scherzandoci su. Tu gli somigli molto, per quel poco che ho potuto conoscerlo”  prese quindi una delle foto che aveva nascosto nel diario.
“Ecco” iniziò voltando il pezzo di carta “questo è tuo padre, Hazel e il suo nome è Radish Son” la fotografia era stata scattata girando la fotocamera usa e getta e inquadrava Kida sorridente e bellissima nonostante i corti capelli biondi a spazzola accanto a un uomo alto e tutto muscoli che in confronto la faceva sembrare uno scricciolo, lunghi, anzi lunghissimi, capelli neri e gli occhi del medesimo colore accesi di divertimento, le labbra sottili stirate in un mezzo sorriso.
“Vedo molto di lui in te, piccola mia. Sorridi come lui e hai i suoi stessi colori, per non parlare poi del fatto che non riesci a stare ferma per più di qualche minuto e, tranne le volte in cui si addormentava, era impossibile tenerlo buono quando viaggiavamo verso le mete distanti”  rigirò la foto verso di sé e sorrise con dolcezza.
“Non troverai altre foto con lui in giro, mi sono assicurata di farle sparire perché nessuno faccia domande” mostrò un altro paio di foto all’obiettivo, in una c’era Kida che rideva per via di un cucciolo di koala appeso al grosso bicipite di Radish, nella seconda l’uomo portava al guinzaglio un alligatore come se fosse un cane.
“Ecco, bimba mia, sei l’unica a vedere per la prima volta queste foto, neanche Bulma o i nonni ne sanno nulla. Vedi, i miei genitori divennero iperprotettivi quando scoprirono del cancro, volevano che vivessi sotto una campana di vetro, io invece sono scappata di casa alla ricerca di avventura e ne sono tornata con una gravidanza decisamente inaspettata... Oh piccola mia, ti ho amata dal primo momento in cui seppi della tua esistenza e credo che ringrazierò tuo padre per tutto il tempo che mi resta per il meraviglioso dono che mi ha fatto, anche se inconsapevolmente” al che abbassò il capo, improvvisamente triste
“Avrei voluto cercarlo quando seppi della gravidanza, e molte volte sono stata sul punto di farlo, ma cosa avrei mai potuto dirgli? Ciao, non so se ti ricordi di me, sono incinta ma non è detto che nostro figlio venga al mondo perché ho il cancro e potrei morire da un momento all’altro? Dio, è una frase così maledettamente da me,  ma con che coraggio!  Sapere di te, Hazel mi ha sconvolto la vita, ma credo che lui ne sarebbe stato devastato... Sono egoista, ma non volevo che sapesse di noi. Non ho voluto obbligarlo per pietà a stare accanto a una donna che neanche conosce e, magari, a prendersi cura di una bambina che probabilmente non si sentiva pronto ad avere. Vero è che un figlio è una responsabilità, altrettanto vero che queste cose si fanno in due, ma, per questa volta, ho scelto di prendermi da sola la responsabilità delle nostre azioni” calde e copiose lacrime le solcarono le guance e tentò di scacciarle rapidamente con le dita.
“Ti chiedo scusa per non averti dato la famiglia che meritavi, amore mio, però è giusto anche che io ti ringrazi. Perché tu e tuo padre siete stati gli unici a trattarmi come una donna e madre normale e non come qualcuno di fragile e debole che andasse solo protetto” di nuovo sentì le risate di sua figlia e si trovò nuovamente a sorridere, anche se tra le lacrime.
“Vorrei poterti dire con certezza che andrà tutto bene, vita mia. Vorrei non doverti lasciare da sola, ma quando ti viene diagnosticata una malattia terminale impari una lezione molto importante: nulla dura per sempre. Per questo ho voluto vivere ogni giorno senza rimpianti e vorrei che lo facessi anche tu” ridacchiò “beh, magari con qualche limite, tu avrai una lunga vita tesoro mio e dovrai riflettere un po’ più di me prima di prendere la valigia e dartela a gambe” questa volta rise sonoramente “ Sii coscienziosa, ma fa in modo da non avere il rimpianto di non aver fatto qualcosa. Vorrei che tu andassi al college, sei così intelligente... Oppure non andarci e impara come gira il mondo vivendolo ogni giorno”
 
Hazel aveva le lacrime agli occhi ma non si preoccupava di scacciarle, non stringeva più la mano di Radish che ora, invece, la teneva stretta tra le sue forti braccia.
“Hazel... Mi dispiace non poterti accompagnare nella tua vita, di non poterti aiutare ad affrontare gli ostacoli che ti troverai davanti, ma io sarò sempre con te, piccola mia, anche se tu non potrai vedermi. Sarò sempre la tua fan numero uno”  videro Kida riporre le fotografie nella scatola insieme a tanti altri oggetti che riconobbe essere tutti contenuti nella cassetta di sicurezza.
“Ti amo più di tutto al mondo bimba mia. E se mai un giorno dovessi incontrare tuo padre, digli grazie da parte mia” 
Ci volle un po’ perché Hazel riprendesse il controllo di sé e riuscisse a fermare le lacrime, non prima però di aver rivisto il video altre tre volte, per paura di essersi persa qualche passaggio del discorso o anche solo per risentire la voce dolce e rassicurante di sua madre. Smise di riavvolgere il nastro solo per paura che essendo una videocassetta avrebbe potuto danneggiarsi e perdere per sempre quel ricordo. Fu allora Radish a rassicurarla promettendole che lo avrebbe fatto convertire in DVD e ne avrebbe fatto tutte le copie che desiderava. Così, più calma, iniziò ad osservare il resto del materiale contenuto nella scatola. C’erano tante fotografie, Hazel infatti aveva ereditato da sua madre questa passione, Kida amava collezionare le foto perché quando la memoria cominciava a fare cilecca a causa della malattia e dei farmaci che prendeva guardare quelle immagini stampate riusciva a strapparle un sorriso anche se no sempre ricordava le circostanze in cui erano stante scattate. Dietro ogni foto infatti c’erano scritti degli appunti: la data del giorno, il luogo in cui si trovavano e i nomi delle persone ritratte in ordine di posizione per riuscire a identificarli, ciò che stavano facendo e qualche aneddoto relativo alla giornata.
Arrivò poi il turno di un quaderno, anzi no, era un’agenda di diciassette anni prima, l’anno in cui Kida rimase incinta. A dirla tutta non era neanche un’agenda ma una vera e propria smemoranda d’altri tempi, di quelle in ecopelle con la chiusura a calamita e piena zeppa di fogli che spuntavano da tutte le parti. Hazel iniziò a leggerla.
15 gennaio, il mese scorso ho iniziato un nuovo ciclo di chemio, gli ultimi esami non sono andati tanto bene e il dottor Mats non è molto sicuro d questo ennesimo tentativo. Quanto vorrei lasciar perdere, ma mamma non me lo permetterebbe mai. Se continuo a lottare lo faccio solo per la mia famiglia, ma sono molto stanca...
- 2 febbraio, Bulma si sta preparando per il suo primo appuntamento ed è così in ansia che ha provato due volte tutto il suo guardaroba. Fa così tanta tenerezza che potrei ridere davanti al suo panico, ma non mi sognerei mai di farlo. Ricordo che al mio primo appuntamento rivoltai la camera diversi giorni prima alla ricerca del vestito perfetto, quella sera era tutto esattamente come avrei voluto che fosse, indossavo una minigonna di jeans nuova. Ho chiesto a mamma se poteva accompagnarmi al parco e poi taaaaac mi mise una mano in fronte e scoprì che avevo la febbre. Primo appuntamento saltato!
- 20 febbraio ultimo giorno di chemio. Sono in ospedale in questo momento, indosso un cappello di lana blu che mi ha regalato Bulma per il compleanno. Più il tempo passa e più mi da fastidio dover tenere questo diario, odio non ricordare le cose
- 8 maggio. Gli esami sono andati male, non ho sconfitto il cancro. Non ho detto nulla alla mia famiglia, sono stanca di combattere. Voglio godermi ciò che resta della mia vita senza l’ombra della chemioterapia che mi distrugge su ogni aspetto.
- 15 maggio, ho prenotato un viaggio per l’Australia, la partenza è a luglio. Non so quanto mi resti effettivamente da vivere ma voglio godermi ogni singolo giorno. Non lascerò che la mia vita vada sprecata
- 3 luglio. Finalmente sono in Australia! Non ho detto nulla a mamma e papà neanche di questo viaggio, sono semplicemente andata via lasciando loro una lettera e i referti medici. Per prima cosa qui ci hanno invitato a dividerci in coppie così da avere sempre un compagno di viaggio su cui poter fare affidamento. Il mio compagno di team non è affatto male, esteticamente parlando è uno schianto, ma credo si porti dentro un grande dolore.
- 5 luglio, HO NUOTATO CON GLI SQUALI BALENA!!! Accidenti, credo di aver rischiato un accatto di panico, ma l’adrenalina ha subito soppiantato tutto il resto. È stato meraviglioso!
 
I messaggi si fecero man mano sempre più brevi, sostituiti però dai timbri e adesivi dei luoghi visitati (musei, parchi, discoteche).
 
- 11 luglio, mi sento viva. Neanche ricordo più l’ultima volta che mi sono sentita così. Mi sembra di essere una qualsiasi donna in vacanza e me ne voglio godere ogni aspetto. 
- 20 luglio, fine della vacanza. Sono distrutta e credo che dormirò non appena messo piede sull’aereo. Per il momento sono in aeroporto con una voglia matta di milkshake al caramello e biscotti al cioccolato, ma nessuna intenzione di alzarmi dalla mia scomoda poltrona, qui c’è così tanta gente che non credo riuscirei a trovar il mio posto ancora libero al mio ritorno. Sarà per questo che la gente viaggia in coppia o gruppo? Per evitare di perdere in posto a sedere in sala d’attesa?
 
Infine un ultimo messaggio di solo due parole:
- 1 agosto, sono incinta.
 
“Dottore è davvero possibile? Secondo lei sono davvero incinta?”
“I test di gravidanza commerciali sono abbastanza efficaci Kida, inoltre tu hai detto di averne fatti tre in giorni differenti. Può starci che ci sia un falso positivo, ma tre? Comunque ti farò svolgere delle analisi e poi contatterò un mio collega ginecologo, o magari possiamo trovare insieme una dottoressa se ti senti più a tuo agio” rispose il dottor Mats scrivendo la ricetta per Kida, lei se ne stava seduta sulla sedia dall’altro lato della scrivania e si mangiava le unghie.
“Va bene il suo collega, se lei si fida mi fido anch’io... È solo così strano che stento a crederci” esordì cambiando tono e posizione poggiando le mani sulla scrivania “Lei mi conosce da anni, dottore. Nella mia cartella è scritto che a causa dei cicli di terapie sono anni che mi è scomparso il ciclo. È vero che non ho mai fatto uso di mezzi contraccettivi, anche solo per regolare le mestruazioni, ma in vacanza abbiamo usato il preservativo”
“È il mezzo contraccettivo più efficace, Kida, ma neanche quello è infallibile al cento per cento” Kida si ributtò sullo schienale della poltrona con una mano che andò in automatico a poggiarsi sulla sua pancia.
“Quante possibilità ci sono di portar avanti la gravidanza? Le terapie possono influire sulla sua salute? Rimanderò qualsiasi cura fin dopo il parto, lui è più importante”  il dottor Mats la osservò con quei suoi occhi chiari contornati da alcune sottili rughe d’espressione e un lieve sorriso a increspargli le labbra. Doveva avere circa una decina d’anni più di Kida, i due si erano conosciuti quando lui era solo uno specializzando e lei una delle pazienti che più frequentavano il reparto di oncologia allora gestito dalla dottoressa McKenzie, ormai in pensione da diversi anni. In un primo momento provò pena per lei, così giovane e aveva trascorso tutta la vita in ospedale, ma era stata lei stessa a metterlo in riga dicendogli: “Non mi interessa la sua compassione, doc. Pensi a rimettermi in sesto perché io non ho alcuna intenzione di arrendermi, ho tante cose ancora da fare”. Da allora erano diventati amici e Kennett Mats superò il confine invalicabile tra medico e paziente, si innamorò di Kida.
“Doc, posso chiederti una cosa?”
“Certo” Kida prese un respiro profondo
“Non dire nulla ai miei genitori della gravidanza. Mi chiederebbero di abortire pur di non interrompere le cure, lo so perché sono ancora più assurdamente protettivi da quando sono tornata”
“Ti stai arrendendo Kida? Hai deciso di farla finita?”
“Assolutamente no, ora più che mai” rispose accarezzandosi il ventre ancora piatto. Il medico sorrise di nuovo.
“Sarai una brava madre Kida”
“Grazie doc” 
Il dottor Mats era ancora di bell’aspetto nonostante il tempo trascorso dal loro ultimo incontro: i capelli castani erano striati di grigio, le rughe intorno agli occhi erano aumentate, ma aveva ancora lo stesso sorriso.
“Hazel! Bambina, sei cresciuta così tanto, sei una signorina ormai”
“Buona sera doc” esordì Hazel allungano la mano per salutarlo con una stretta di mano
“Oh andiamo, non vorrai davvero trattarmi come un estraneo” replicò tirandola verso di sé per un abbraccio “mi sei mancata, piccolina” mormorò al suo orecchio e Hazel ridacchiò. Poi qualcuno si schiarì la voce e i due sciolsero l’abbraccio, Hazel si voltò verso la porta dove era rimasto Radish con un sopracciglio inarcato.
“Figura di merda” borbottò la giovane grattandosi il lobo di un orecchio “Ehm sì. Comunque Radish lui è il dottor Kennet Mats, il medico di mamma. Doc, lui è mio padre Radish Son” a quelle parole il medico si irrigidì un poco, ma dandogli le spalle Hazel non lo notò al contrario di Radish che inarcò un sopracciglio.
“Capisco. È un piacer conoscerla signor Son” esordì porgendogli la mano per un saluto più formale “non avevo idea che Kida avesse riallacciato i rapporti con il padre biologico di Hazel”
“Infatti non l’ha fatto” replicò Hazel “l’ho trovato da sola” il dottor Mats annuì.
“Ho finito gli appuntamenti di oggi, prendo le mie cose e se per voi va bene andiamo a parlare da qualche altra parte” padre e figlia si scambiarono un’occhiata che conteneva un’intera conversazione dopodiché annuirono quasi in sincrono.
“Va benissimo. L’aspettiamo qui fuori”
Il dottor Mats li raggiunse poco dopo con il trench sull’avambraccio e la ventiquattrore in mano e si diressero al pub/tavola calda di cui il dottore era cliente abituale data la vicinanza al proprio studio.
“Grazie per averci incontrato con così poco preavviso dottor Mats” esordì Hazel, seduta tra i due uomini, ravvivandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Dottor Mats? Andiamo Hazel ti conosco da quando sei nata, mi hai sempre chiamato per nome o Doc” la giovane ridacchiò di nuovo.
“Lo so, sarà l’ansia” la conversazione fu interrotta da una cameriera che prese le loro ordinazioni e attesero il suo ritorno prima di riprendere il discorso.
“Quindi, come vi siete conosciuti. Hai detto che non è stata tua madre a riallacciare i rapporti”
“Ho trovato una vecchia foto che mamma non ha nascosto insieme a tutti gli altri reperti della famosa vacanza in Australia e con un po’ di ricerche sono riuscita a risalire a lui” rispose prima di prendere un sorso di cola “Non farmi la paternale per aver trascorso del tempo con degli sconosciuti. Inoltre lui ha richiesto un test del DNA ed è confermato che sia mio padre”
“Capisco” a parte i saluti iniziali delle presentazioni, Radish non aveva ancora detto una parola, limitandosi ad osservare i due interagire. Tralasciando l’imbarazzo iniziale, Hazel era tornata ad essere la ragazzina che Radish conosceva bene, si vedeva quindi dalle sue movenze che ci fosse un certo affetto tra i due.
“Non ti sei più fatto vivo dopo la morte di mamma” esordì Hazel di punto in bianco “Mi sembrava ci tenessi a lei. Ho dei ricordi di voi insieme, ricordo che una volta siamo anche andati al lunapark, prima che lei venisse ricoverata. Mi domandavo solo perché non ti fossi più fatto vivo”
“Avrei voluto, ma non so quanto sarebbe stato consono” Hazel storse la bocca.
“Eri innamorato di lei, ma lei ti ha detto di no. Diciamo le cose come stanno” all’uomo si curvarono le spalle.
“Ho semplicemente immaginato che sarebbe stato più facile per te andare avanti senza un fantasma del passato nella tua vita” a quelle parole l’espressione di Hazel si fece più cinica, ma solo Radish vi fece caso.
“Sì, scappare è sempre più facile che restare” i due uomini si irrigidirono e la cosa non sfuggì alla più giovane “scusate la schiettezza, ma è così e io non sono proprio il tipo che addolcisce la pillola” come era accaduto spesso dal giorno in cui conobbe la storia di Hazel, Radish si sentì stringere il cuore un’altra volta.
“Se vuoi andartene, puoi farlo e dimenticarti che sono qui. Io mi ricorderò di te. Io ricordo tutti quelli che se ne vanno”
Quelle parole pronunciate in ospedale insieme alla sfilza di foto che conservava gelosamente erano un pugno nello stomaco anche per l’uomo più freddo e distaccato. Forse non era neanche tanto un caso che Lilo e Stitch fosse il suo cartone animato preferito. Nel mucchio di foto ce n’erano alcune anche insieme al medico che era seduto davanti a loro, era ritratto insieme ad Hazel e Kida e tutti e tre insieme sembravano proprio una famiglia. Da una parte Radish in quel momento si trovò a ringraziare la codardia del dottor Mats, perché se fosse rimasto nella vita di Hazel forse lui non l’avrebbe mai conosciuta. Non riusciva a pentirsi di questo pensiero e si odiava per questo, perché significava inevitabilmente aver voluto che sua figlia soffrisse. Istintivamente allungò un braccio verso Hazel e lo avvolse intorno alle sue spalle per avvicinarla a sé, non per fare pesare a Kennet che lui poteva in quanto suo padre – anche se di certo non guastava –, quanto più per tranquillizzarla sulla sua presenza, non l’avrebbe mai più lasciata da sola. Era però una lezione che Hazel avrebbe imparato solo con il tempo e, fortunatamente, Radish non aveva fretta.
A svegliarla quella mattina fin troppo presto fu il rumore di clacson che, dal fragore, dovevano essere proprio sotto casa. Quando provò a chiudere gli occhi per rimettersi a dormire, lo scocciatore suonò di nuovo il clacson, questa volta accompagnato dagli schiamazzi dei vicini che dovevano aver avuto la sua stessa traumatica sveglia. Quasi rimpiangeva la sveglia assordante che aveva usato per tutto il tempo in cui aveva lavorato per Rosy ed Allison.
Certa che di dormire non se ne sarebbe parlato tanto presto, e anche un po’ curiosa di capire che stesse succedendo in strada, Bulma indossò una vestaglia leggera e si affacciò dalla finestra, assolutamente impreparata a ciò che le si presentò davanti. Un auto sportiva nera era parcheggiata in mezzo alla strada, il suo proprietario appoggiato allo sportello al lato del guidatore, teneva un braccio dentro l’auto dal finestrino per suonare il clacson, indifferente alle imprecazioni dei condomini e degli altri automobilisti imbottigliati a causa della sua egocentrica manovra.  Solo Vegeta Prince era così strafottente da creare un ingorgo stradale solo perché poteva farlo.
Il buonsenso di cui, evidentemente, non era più dotata le avrebbe imposto di ritirarsi in casa, chiudere la finestra e magari sprangare anche la porta, invece rimase lì sul piccolo terrazzo con le braccia intrecciate al petto.
“In mezzo alla strada non è esattamente il posto migliore per parcheggiare una macchina costosa, qualcuno potrebbe perdere le staffe” 
“Possiamo parlare?” Bulma non rispose immediatamente, incapace di pensare lucidamente a causa di tutte quelle grida e strombazzate di clacson.
“LEVATI DALLE PALLE!”
“DAGLIELA E NON FARE TROPPO LA PREZIOSA ALTRIMENTI QUESTO NON SI MUOVE PIÙ”
Bulma sbuffò di frustrazione, scompigliandosi i capelli a suo dire già troppo lunghi
“Sposta la macchina al mio posto di parcheggio, io scendo subito” rientrò in casa prima che lui potesse risponderle, incerta se per paura di ripensarci o perché certa che non l’avrebbe fatto. Impiegò qualche minuto a rendersi più presentabile, prima di rendersi conto che non avrebbe dovuto interessarsi di ciò che lui avrebbe pensato, optando infine per una salopette corta su una maglietta verde con la faccia di un alieno stampata – e da come le calzava lunga doveva essere di Hazel.
“Sii rapido Vegeta, ho tremila cose da fare e la giornata non è iniziata nel migliore dei modi” l’uomo l’aveva aspettata nel posto auto che gli aveva indicato, appoggiato con la schiena allo sportello
“Bene, allora sta zitta cinque minuti e lascia parlare me” si trattenne dallo sbuffare e attese prendendosi qualche secondo per osservarlo notando dei dettagli che da due piani sopra le era sfuggiti. Tanto per cominciare era spettinato, insolito per uno che trascorre almeno venti minuti a sistemare i capelli con il gel; cerchi scuri gli contornavano gli occhi e stava giocando nervosamente con le chiavi.
“Ieri ero al Mark’s diner a lavorare su un verbale quando un auto è entrata nel locale, adesso c’è un buco enorme nella vetrina e ci vorranno un paio di giorni per sistemare” Bulma si irrigidì, Rosicheena le aveva accennato all’incidente anche per chiederle se fosse in grado di recuperare del materiale da un computer ormai da rottamare.
 “È un disastro e nella foga di sgomberare l’area ho perso molti documenti di un’indagine su cui lavoravo eppure non mi importa. Cioè sì, mi importa ma...” un sospiro sfuggì dalle sue labbra distese in un sorriso inespressivo “Anzi no, lo sai che ti dico? Non me ne importa. Anche quello stesso dannatissimo caso da telenovela cui stavamo lavorando ha perso d’interesse se non ci sono i tuoi continui commenti... È come se la mia stessa vita non fosse reale, capisci? Se non sei con me, se non ci sei, se non la condivido con te” le si avvicinò lentamente finché non arrivò a prenderle una mano, seguita subito dopo dall’altra quando Bulma non ritrasse la propria.
“Non so cosa aspettavo, di cosa avessi paura. Ma ora non temo più nulla e non voglio più aspettare. Sono qui, Bulma. Sono qui per te e dovrai farci l’abitudine perché ci resterò per molto molto tempo” 
Un sospiro tremante sfuggì tra le labbra della turchina alla quale ci vollero alcuni secondi per trovare il coraggio di rispondere
“E se fossi io a non esserci questa volta?”
“Allora aspetterò. E questa volta sarà io mio turno di restare per tutti e due” Bulma annuì spostando lo sguardo per asciugarsi una lacrima solitaria.
“Potrebbe volerci del tempo, la fiducia non si recupera in uno schiocco di dita. E tu non sei mai stato un uomo paziente”
“Però sono sempre stato un uomo tenace. Mettimi alla prova” 

 

NOTE AUTRICE – CAPITOLO 14

 Questa è una delle scene che ho scritto per prima. Prima ancora di sapere come fare interagire padre e figlia, sapevo che ci sarebbe stata questa scena. E dopo averla riscritta almeno quattro volte, correggendola più e più volte, finalmente ecco la versione finale. Il dottor Kennett Mats è stata solo un’aggiunta, ma è una comparsa di cui non sentiremo più parlare.
Però però però... Vegeta e Bulma hanno fatto pace!!! Dite che ha fatto abbastanza per farsi perdonare?
  
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