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Autore: Florence    08/03/2024    4 recensioni
Raccolta di one-shots ciascuna partecipante alla challenge Prime Volte indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia
Una serie di "prime volte" di Victor e Yuuri, un viaggio nel tempo, un po' di missing moments in alcuni dei momenti importanti delle loro vite passate.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Perché - 2010

Victor

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: 500000 $ (modificato in 500000 )

 

----------------



 

-Scommetto cinquecentomila rubli che ce la faccio!- Victor sfreccia sui pattini vicino ai suoi compagni di squadra, sorride strafottente, si volta e inizia ad andare all'indietro, sul ghiaccio della pista di allenamento a San Pietroburgo.

Ha vinto il campionato del mondo e tre Grand Prix di pattinaggio sul ghiaccio, non si contano gli ori nelle competizioni minori e con le tutte le altre medaglie che ha vinto ci può addobbare l’albero di natale di Rockefeller Center. Eppure non si sente soddisfatto. 

La prima sensazione che ha provato appena ha smesso il sorriso d’ordinanza, al termine dell’ultima premiazione, è stata di vuoto. Il mondo attorno a sé, i flash dei fotografi, i colori dei costumi, le scritte delle pubblicità, ogni immagine è apparsa in bianco e nero, i suoni si sono distorti, la percezione dell’ambiente è cambiata, tutto gli è apparso vago, indefinito, sbiadito, ovattato, noioso. Ormai è così dopo ogni gara, dopo ogni podio.

-Stammi a guardare-, proclama rivolto a Yacov Feltsman, mentre aumenta la velocità della sua pattinata. Si muove flessuoso, ricamando a ogni giro passi nuovi, per impreziosire quella cavalcata sempre più vorticosa, sempre più veloce. Non vuole soltanto tentare un nuovo salto, vuole rendere grandiosa tutta la sequenza.

-Smettila di dire idiozie, Victor, per piacere! Basta con queste stronzate da rockstar annoiata che vuole a tutti i costi cercare il brivido del pericolo, fermati!- Risponde a braccia conserte e voce tonante il vecchio allenatore, sul bordo del rink. Ne ha già visti parecchi di giovinastri annebbiati dalla fame di gloria e potere, ma Victor non ha quello scopo, è per questo che gli fa più paura di tutti.

-Non sto scherzando, Yacov. Sta a guardare il Quadruplo Nikiforov…-

La conferma la trova nel tono che usa quando gli scivola vicino. No, Victor non sta scherzando.

 

Sono le dieci di sera, quello sconsiderato del suo pattinatore di punta è in pista da cinque ore consecutive e ancora non ha sbollito la sua… rabbia? Frustrazione? Fame? Che cazzo ha che non va, dannato Nikiforov!? E, come se non bastasse, Qui, Qui e Qua gli danno anche corda!

Sono rimasti al palazzetto solo Georgi e i due del pattinaggio a coppie, che per fortuna non allena lui. La loro coach si è dileguata già da qualche minuto, così come Mila Babicheva e il giovanissimo Yuri Plisetski. Per lo meno Victor ha aspettato di avere meno pubblico possibile, prima di dare di matto, ma il suo pubblico lo incita, invece che ignorarlo.

 

-Non puoi scommettere tutti quei soldi per un salto in allenamento!- Lo provoca Dimitrij urlando verso di lui e Georgi gli batte su un braccio.

-Guarda che ne potrebbe scommettere dieci volte di più… Di certo non gli mancano!- Amicca, per niente preoccupato. Lo sa che Victor vuole fare lo sbruffone, ormai c'è abituato, ma ritiene di conoscerlo abbastanza per affermare che quello è tutto un bluff. Tutt’al più vorrà tentare una combinazione con due quadrupli, glielo aveva accennato tempo addietro. Quando Victor scommette a soldi non è mai serio. In generale lui non è mai serio davvero, anche se… Gli torna in mente quella volta che se n’era uscito con la storia che voleva tagliarsi i capelli: l'aveva messa su un piano futile, di praticità tra le lenzuola, ma poi… Un brivido gli attraversa la schiena, Georgi si volta verso l'amico in pista, non si sente più tanto tranquillo.

-Se sei così ricco, aumenta la posta in gioco!- Gli urla Dimitrij, poi si rivolge agli altri due. -Ha per caso l’albero dei soldi in giardino?-

-Lo sai quanto ha vinto tra campionato del mondo, i due Grand Prix e le altre gare in cui ha preso l'oro negli ultimi anni? Per non parlare di tutti gli eventi a cui partecipa e per cui lo pagano un’enormità! Mica come noi!- Gli risponde piccata Ekaterina, ma, un attimo dopo, si artiglia al braccio del compagno, deglutisce con gli occhi puntati sulla pista, non trattiene la voce. -Oddio lo fa davvero!-

 

-Victor!-

 

Dimitrij sta ancora facendo calcoli a mente, chiedendosi perché, se Victor è davvero un Paperon de Paperoni, continui a vivere negli alloggi della squadra. Solleva il capo quando la sua partner gli strizza il braccio, e assiste al salto più spettacolare e astruso che abbia mai visto e che, nemmeno nei suoi incubi alcolici, avrebbe mai pensato che uno sano di mente avrebbe potuto tentare. Il Nikiforov, lo chiamerà.

 

Non è un flip, non è un Axel, parte da una trottola alta, si dà uno slancio circolare, fa due, tre, quattro rotazioni, cazzo!, apre le gambe mentre è per aria, le richiude… no, non ce la fa a richiuderle…

 

-Victor!!!-

 

La caduta è altrettanto spettacolare.

Yacov si precipita in pista, scivola per terra, raggiunge il biondo. È bianco come un cencio, vede scorrere davanti agli occhi tutta la sua vita e quella di Victor.

 

Una risata precede il movimento fluido con cui Nikiforov si rimette in piedi.

-Non mi sono fatto nulla!- esclama e continua a ridere mentre il coach lo tasta qua e là, come se lo stesse perquisendo al check-in in aeroporto.

Con il colorito, a Yacov tornano in bocca le parole o meglio gli insulti. Riesce a metterne in fila di particolarmente creativi, alcuni dei quali dall'accento bielorusso o giù di lì, che aumentano di intensità con il volume delle risate di Victor.

 

Georgi intuisce che la misura del vecchio è colma e fa cenno ai due colleghi del pattinaggio a coppie di levare le tende.

-Ma dobbiamo riscuotere la scommessa!- Protesta Dimitrij e guadagna uno scappellotto da Ekaterina. Nemmeno lei ha mai visto qualcosa di più folle, perché il ghiaccio è infido, la gravità infranta illude, ma poi punisce, perché quella volta gli è andata bene, a Victor Nikiforov, ma non scommetterebbe nemmeno un rublo che il miracolo possa ripetersi. I tre lasciano la pista in silenzio.


-Victor!!! Smettila!!!- Yacov afferra il più giovane dal colletto della felpa con entrambe le mani, sente scricchiolare i denti da quanto li sta stringendo, per evitare di lasciarsi andare alla violenza, ma Victor è sprezzante del pericolo e gli ride in faccia ancora più sguaiatamente. È un fantoccio di pezza tra le sue mani, con indosso soltanto una maschera deformata dalle risate. Rimane immobile anche quando vede arrivare il manrovescio sulla sua faccia, continua a ridere anche se un filo di sangue gli cola dalla bocca. 

 

Te l'ho fatta, vecchio stronzo!

 

Yacov lascia la presa sulla maglia dell'allievo, in un istintivo moto di vergogna, poi serra i pugni lungo i fianchi e diventa sempre più rosso.

Deve sbollire la rabbia o la prossima volta non si limiterà a uno schiaffo a cinque dita, rischia di compromettersi. L'ha siglata lui la polizza infortuni di Victor, ha presente il suo valore.

Si allontana dal centro della pista e si ferma al limite a testa china, una mano posata sul bordo, l'altra ancora abbandonata lungo il fianco.

-Victor, non puoi continuare così…- La sua voce è grave, ha perso il tono furibondo di poco prima, c'è solo una inumana preoccupazione che la agita. Questa volta gli è andata bene, ma se ritenta, lui…

 

-Così come, Yacov? Cercando di crescere? Di evolvermi? Di portare qualcosa di diverso e che non si sia mai visto prima alle Olimpiadi? Di provare ancora stupore e interesse per il mondo?- Victor rigurgita amarezza, nemmeno urla. Si passa una mano sul mento e toglie la macchia di sangue, quindi esce dalla pista sorpassando l'allenatore.

I coprilame non sono al loro posto e Victor vuole andarsene subito. Ringhia e con la lama del pattino destro si accanisce sulle stringhe del sinistro e viceversa, finché non sono a brandelli, li calcia lontani e se ne va scalzo verso gli spogliatoi.

 

Yacov sospira, sarà una lunga notte, sarà come le altre volte. Dovrà seguirlo di nascosto in giro per i quartieri peggiori di San Pietroburgo e raccattarlo quando avrà raggiunto il limite di alcol che quel suo corpo perfetto può reggere. Ogni tanto succede, di solito quando torna a casa con una medaglia al collo. Negli ultimi anni è già accaduto almeno tre volte che Victor avesse un crollo di quel tipo. Ogni volta quella atassia rancorosa è durata settimane e Yacov sa di non essere pagato a sufficienza per contenere anche le uscite di testa della sua primadonna. Ma Victor è insostituibile, inutile negarlo, è davvero la primadonna del suo show e il primo animo fragile di cui lui si sia veramente interessato. Quel ragazzo ha sempre smosso dentro di lui sentimenti contrastanti contro i quali non ha difese. All'inizio era l'orgoglio di contribuire alla crescita di un tale talento, poi l'affetto quasi paterno, ma anche l'invidia per assistere a qualcosa che per lui era sempre stata irraggiungibile. Poi il cameratismo, la responsabilità, la pazienza, l'ira. Ora prova solo pietà per Victor, perché nemmeno lui ha il coraggio di scavare a fondo nel groviglio buio che quel ragazzo si porta nel petto e scoprire contro quali demoni stia ancora lottando da solo. Non ce la fa ad andare oltre e fermarlo prima che si ubriachi fino a perdere i ricordi: è più facile raccogliere i cocci e rimetterli insieme, che stargli vicino con pazienza, evitando che si rompa.

 

Lo lascia andar via dal palazzetto rivestito di tutto punto, elegante come se non fosse successo niente: anche l'invidia per il suo aspetto, ogni tanto, lo punge, ma non è quello il momento adatto per pensarci.

Lo segue sulla sua auto mentre Victor sale sul taxi che lo sta aspettando e solca tutta la città. Prega che almeno si fermi a mangiare qualcosa, prima di abbandonarsi all'oblio, ma a un tratto il taxi fa una svolta inattesa, devia verso un quartiere elegante, procede spedito e si ferma nell'ultimo posto dove Yacov avrebbe pensato volesse tornare Victor.

 

Lì, al ventunesimo piano del grattacielo di nuova costruzione, c'è l'appartamento extralusso che Victor ha comprato e arredato da qualche tempo e nel quale non è mai voluto tornare a passarci nemmeno una notte. “Mi sentirei solo”, ha sempre addotto come scusa per continuare a vivere negli alloggi della Federazione e per la prima volta Yacov comprende sul serio quelle parole.

Nessuno sa di questo appartamento, nemmeno Georgi Popovich: per tutti Victor è un bohémien che accumula soldi e non li usa.

 

Quella sera, Victor vuole rimanere da solo con i suoi fantasmi, finché il fuoco che gli consuma l'anima non si acquieti.

Lo vede scendere dalla vettura e chinarsi verso il finestrino per pagare l'autista; insieme a lui esce dall'auto anche il suo cane. Quando diavolo l'ha recuperato il cane!? Che fosse tutto programmato? Tutte quelle ore di allenamento, la sfida di un salto azzardato, la rabbia, la fuga… che faccia tutto parte di uno show in cui Victor ha recitato il ruolo del bello e dannato!?

 

Yacov aspetta di vedere accendersi le luci dietro le grandi finestre dell'appartamento, quindi reclina un po’ il sedile della sua auto e si sistema meglio il cappotto sulle ginocchia. Resterà lì per un po’, poi lo chiamerà al telefono e proverà a farci due chiacchiere: è speranzoso che la situazione non sia poi così tragica come teme. Se ha con sé Makkachin, Victor non può fare idiozie, come distruggere casa o far salire qualcuno di poco raccomandabile.

 

---

 

Un colpo sul tetto dell'auto sveglia Yacov di soprassalto, cos'è stato? Scolla le palpebre e guarda fuori: non c'è nessuno. Forse il vento ha staccato un ramoscello dall'albero sotto cui ha parcheggiato, gli pare di intravederlo incastrato vicino ai tergicristalli. Solleva lo sguardo: le luci in casa di Victor sono sempre accese, allora controlla che ore siano. Le due passate, non ha idea se nel frattempo sia arrivato qualcun altro o se il ragazzo sia collassato per l'alcool. È il caso che provi a contattare il suo atleta e sperare almeno che lo faccia entrare in casa per parlargli.

Gli telefona, Victor ha una suoneria così rumorosa che se anche stesse dormendo non può non svegliarsi! Lo manderà a quel paese, ci sta, ma capirà che lui c'è. C'è sempre per Victor, solo non riescono a dirselo a parole.

Il telefono squilla a vuoto finché non cade la linea. Yacov sbuffa. Potrebbe andarsene via e fregarsene o affrontare una bella litigata notturna, prima che la pistola diventi fredda. Sbuffa ancora e sistema il cappello sul capo: come se avesse mai contemplato seriamente la prima opzione…

Esce dall'auto in una sinfonia di mugolii: le sue giunture non hanno gradito la posizione scomoda e il freddo della notte,  Si solleva il bavero e percorre il lungo piazzale lastricato che separa la strada dall'ingresso del condominio. Il portiere lo riconosce e lo lascia entrare: è stato Yacov a occuparsi dei lavori nell'appartamento e sempre lui è l'unico che ogni tanto ci va, almeno così credeva fino a poche ore prima.

 

Prende l'ascensore e, quando le porte si aprono sul corridoio immacolato del ventunesimo piano, la prima cosa che Yacov registra è l'abbaiare concitato di un cane.

 

Makkachin!

 

È colpito da un brutto presentimento. Per la prima volta, Yacov ha davvero paura per Victor.

Fruga nelle tasche estraendone più mazzi di chiavi, finché non trova quelle dell’appartamento. Il cane continua ad abbaiare e uggiolare, da fuori si sente che sta grattando con le unghie sulla porta…

Dio no! Fa che sia la stanchezza, la vecchiaia! Yacov prega con tutta l’anima che quel pensiero che lo fulmina sia sbagliato!

 

-Victor!- Chiama e bussa all'uscio, prima di infilare la chiave nella toppa, -Victor!- insiste mentre apre la porta, -Victor!- con tutto il fiato in gola, ma gli risponde soltanto la voce del cane che si avventa sulle sue gambe.

-Buono… buono Makkachin, o sveglierai tutto il palazzo!- Yacov richiude alle sue spalle e continua a chiamare il suo ragazzo. Forse Victor è uscito e ha lasciato le luci accese per non lasciare il cane al buio… Stronzate: avrebbe un senso soltanto uscire con il cane, alle due di notte… -Victor, sei in casa?- Forse si è addormentato con le cuffie alle orecchie e lo sa bene, Yacov, quanto quel ragazzo abbia il sonno pesante! -Victor, dove sei?- Forse semplicemente non vuole rispondergli, vuole restare davvero solo… 

Makkachin prende tra i denti il lembo del suo cappotto e inizia a tirare, mentre Yacov apre la porta della camera da letto e -Victor! Sei qui?- Victor non c'è.

Si fa trascinare dal cane verso il fondo del lungo corridoio in marmo, sente un macigno sempre più pesante alla bocca dello stomaco, si muove come al rallentatore, apre la porta del bagno.

 

-Victor! No…-

 

Lo trova disteso a terra davanti al water, sporco di vomito e lacrime rapprese, immobile, sparso sul pavimento in un intreccio scomposto di braccia e gambe.

 

-Victor! Vitya!- È su di lui, cerca di sollevarlo per tenere la testa sulle sue gambe, prende un asciugamano dal suo sostegno e gli pulisce grossolanamente il viso. -Vitya! Vitya!- Lo chiama, lo schiaffeggia, si china sul suo petto con l'orecchio, Grazie! Grazie Dio! È vivo.

A stento lo trascina lontano dallo sporco, dà fondo alle sue forze per sollevarlo, lo piega sul lavabo, apre l'acqua fredda sul suo viso. -Vitya! Vitya! Apri gli occhi!-

Lo asciuga e il cane abbaia e abbaia e lo colpisce con la coda, si alza sulle zampe fino al bordo del lavandino, guaisce, tocca il suo padrone col muso, incrocia lo sguardo di Yacov.

 

Restano immobili per un momento, o forse è per un tempo indistinto e dilatato, occhi negli occhi, il cane e il vecchio.

 

-Mettiamolo sul letto-, ora Yacov parla al cane, parla a Victor, parla a sé stesso, si dà ordini, li esegue. L’adrenalina gli bombarda il cervello, le braccia pulsano, le gambe resistono.

Sei un uomo forte, Yacov Feltsman, ce la puoi fare a salvare il tuo Vitya! Si comanda nella mente, i pensieri si accavallano ai pensieri, il cuore esplode nel petto. Veloce! Veloce!

 

-Vitya…-

Ora Victor è disteso, Yacov lo copre e continua a chiamarlo, a schiaffeggiare le guance pallide, non ha ancora preso fiato.

Makkachin è un cane buono, si annuncia con un latrato sommesso, si avvicina al vecchio e apre la bocca sul suo grembo, lasciandovi cadere qualcosa.

 

-Ivadal… Benedetto ragazzo…- Yacov stringe il blister vuoto dei sonniferi tra le mani, serra i denti e guarda verso il soffitto. Victor l'ha fatto tingere di blu scuro e ha fatto incastonare nel controsoffitto tanti minuscoli led. “Sarà come dormire sotto un cielo stellato!” Diceva. “Sarà bellissimo, Yacov! Quando troverò l'amore, sarà bellissimo addormentarsi insieme sotto le stelle ogni sera!” Sorrideva, sognava. Sperava.

 

-Cosa hai fatto, Vitya…?- una lacrima scivola dall'occhio di Yacov, i ricordi sfuggono e si inseguono e in ciascuno di essi c'è Victor che sorride. Si domanda per la prima volta quanti di quei sorrisi siano stati genuini.

 

Makkachin abbaia solo una volta e lo riporta sulla terra.

-Dobbiamo chiamare un'ambulanza.- Yacov fruga nella tasca per prendere il telefono, ma si accorge di non indossare più il cappotto. Forse l'ha tolto senza rendersene conto, in un qualche istante della lotta contro le sue forze per mettere a letto Victor.

L’uomo crolla e inizia a urlare, imprecare, sputacchiare veleno e colpe e rimorsi tutto intorno. Scatta bruscamente e si alza dal capezzale del giovane maledicendo tutto il mondo. Il telefono, dov'è il telefono?

È allora che Victor apre gli occhi e Makkachin abbaia di nuovo.

 

-Sta zitto, stupido cane!- Abbaia anche Yacov, tornando con il telefono tra le mani callose, per sbloccarlo e fare partire la chiamata.

La mano di Victor si solleva dal materasso, si tende verso di lui e il telefono cade a terra.

 

-Vitya!- Yacov stringe la mano del ragazzo tra le sue, scivola in ginocchio accanto al letto, è travolto dall'emozione e dalla rabbia perché non capisce, non capisce, perché!?

 

Perché Victor mi hai fatto questo?

 

-Ci… sono… Yac…- Ha la voce roca, Victor, gli fa tanto male la gola, ma è sveglio, è vivo, è passata. Adesso può piangere anche lui.

 

-Mi hai fatto prendere un infarto…- Invece di sbraitare, Yakov sussurra con la mano tra le sue, davanti alle labbra.

-Scusami…-

Dura un attimo quella bolla di loro due da soli. Vecchio e giovane uomo, allenatore e atleta di punta, mentore e discepolo, padre e figlio che non ha mai avuto. Poi Makkachin balza sul letto e abbaia in un modo diverso, lecca il viso del suo padrone, Victor lo accarezza e lo stringe a sé.

Yacov lascia la mano di Victor e -Via! Via cane! Lascialo respirare!- torna fuori la sua parte scattosa e ringhiante, di nuovo il vocione grave e rumoroso copre quello dell’animale, che si spegne in un mugolio soddisfatto.

 

-Che diavolo ti è saltato in mente, Victor?- Domanda bruscamente l'allenatore, sedendosi sul letto. In mano ha il blister vuoto del sonnifero, nei suoi occhi non c'è più la struggente dolcezza di un attimo prima, sono occhi taglienti, che chiedono il conto di quella bravata.

 

Victor chiude i suoi e resta con la mano affondata tra i riccioli bruni dell'animale. Tiene gli occhi aperti a fatica, deve fare violenza su se stesso per non crollare di nuovo nel sonno.

 

-Non ce la faccio più, Yacov… Non avevo più neanche voglia di farmela passare, stavolta… Volevo solo che finisse… Volevo solo dormire e spegnere per un po’ i pensieri… Ho preso tre sonniferi, ma non funzionava… perciò ne ho presi altri due… tre… non ricordo… Volevo soltanto dimenticarmi per un po’ di questa corsa vuota e inutile. Mi sento come un topo di laboratorio che corre, corre sulla sua ruota dorata e non riesce a scappare via. Ne ho prese altre… alla fine mi sono reso conto di averle prese tutte, le pasticche e ho… ho avuto paura, Yacov! Ho… ho cercato di vomitare… Ho vomitato, ma il sonnifero era già entrato in circolo e allora… Sono caduto e ho sbattuto la testa… Allora mi sono arreso. Io non voglio morire! Vorrei solo essere felice…-

 

-Fa vedere…- Yakov sente il suo battito accelerare, non si era reso conto del fatto che il ragazzo avesse battuto la testa. Controlla tra i capelli chiari, nota solo allora il segno di un taglio, che era rimasto nascosto sotto al ciuffo, a sinistra. Non è grave, la ferita è già rimarginata. Una mezzaluna di fuoco sulla pelle di latte.

-Perché?- Lui non capisce, proprio non… non ci arriva.

 

-Me l'hai fatto fare di nuovo, Yacov… dopo la gara tu… mi hai detto “Esci con quella ragazza, è carina. Fatti vedere con lei”, ma io non volevo… Perché? Perché hanno dovuto pubblicare quelle foto? Non ho fatto niente di male e non volevo nemmeno… Te lo chiedo io perché, Yacov! Perché vuoi che appaia come tutti vogliono che sia? Perché non posso osare di più sul ghiaccio, perché non mi fai provare questo nuovo salto, perché devo sempre restare negli schemi, uniformarmi, mentire? Perché non posso essere me stesso, perché non posso vedermi con chi voglio, non posso innamorarmi di chi voglio, perché mi avete fatto le ali, se mi tenete in gabbia?-

 

A ogni perché Yacov sente una pugnalata nel petto.

 

-... perché non hai più fiducia in me, Yacov?- Una lacrima scivola lungo il viso pallido e viene assorbita dalla federa del cuscino.

Un'altra cade a terra, tra i piedi dell'allenatore. Non si è mai sentito tanto vecchio come in quel momento.

 

-Cosa vuoi davvero, Victor?- Gli domanda. Non ha una risposta a quei perché che non sbricioli ancora di più il giovane di quanto già non sia in pezzi.

 

Victor sospira, muove la mano sul dorso del suo cane.

-Voglio emozionarmi ancora, come la prima volta. Non posso pensare che il mondo sia già finito, che non ci siano nuove sfide per cui entusiasmarmi e sognare. Intorno a me c'è la luce: quando pattino libero, quando sto aspettando che inizi la gara, quando sto per mettermi in gioco, tutto è luce. Ma poi si spegne insieme ai riflettori della pista, poi sono giornate grigie, solitarie, senza affetto, divorate dal nero… Io voglio stupirmi e stupire ancora, voglio regalare al pattinaggio un nuovo salto, voglio incontrare le gente, voglio ridere senza motivo, voglio viaggiare senza un perché, voglio vivere senza un calendario prestabilito che scandisca i miei giorni e le mie notti. Voglio vedermi con chi mi pare, voglio un abbraccio che non sia programmato per far vendere i tabloid. Voglio scappare via, lontano da tutto e da tutti per cercare la luce anche nelle piccole cose di ogni giorno. Mi basta una scintilla, non chiedo di più… Yacov, lasciami libero di trovarla… lasciami libero… di… inseguire un nuovo… scopo…-

 

Yacov sospira, non replica. Stringe le labbra e resta zitto, guardando Victor scivolare nel sonno.

 

-Io sono di là. Se hai bisogno, chiamami-, bisbiglia dopo un po’. Si alza e lascia socchiusa la porta.


Percorre a passi pesanti il corridoio fino in salotto, si lascia crollare sul divano e solo allora allenta il nodo alla cravatta che gli ha tolto il fiato fino a quel momento. Adesso può provare a respirare anche lui. Victor dormirà ancora, si sveglierà sotto un cielo di stelle di led e rialzerà la testa, come ogni volta. Perché lui è il migliore ed essere i migliori vuol dire andare avanti a ogni costo, ingoiando frustrazione, accettando i compromessi, senza chiedersi perché.

   
 
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