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Autore: Florence    14/03/2024    3 recensioni
Raccolta di one-shots ciascuna partecipante alla challenge Prime Volte indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia
Una serie di "prime volte" di Victor e Yuuri, un viaggio nel tempo, un po' di missing moments in alcuni dei momenti importanti delle loro vite passate.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Onde - 2012

Yuuri
_____

Victor

 

OS partecipante alla challenge "Prime Volte" indetta da Dylanation sul gruppo FB Komorebi Community - Fanfiction Italia 

 

Prompt: onde

 

----------------


Ci ha messo meno di un mese, Yuuri, dopo che si è trasferito a Detroit, per capire quale fosse l'elemento che più gli mancava del suo essere a casa: il rumore delle onde che si infrangono sulla spiaggia, d'estate e d'inverno. Non c’era stato giorno, nella sua vita ad Hasetsu, in cui non avesse raggiunto la riva e non si fosse fermato ad ascoltare lo sciabordio ipnotico delle onde. Ci si perdeva, nell’ascolto del respiro del mare e sincronizzava il suo umore con esso. Si calmava, nei giorni di bonaccia e ne traeva energia, scintille, nuova prospettiva, quando i cavalloni ruggivano sulla battigia. Aveva lasciato che il ritmo delle onde lo pervadesse e scrivesse dentro di lui una sinfonia indelebile fatta di emozioni, attimi, battiti.

Ma a Detroit, Yuuri non ha trovato il mare. 

Ci sono soltanto due laghi, dalle acque scure e quasi immobili, due personalità differenti, come sono differenti i due aspetti del suo essere. Il St. Clair, in città, più docile, poco profondo, che accetta le lente acque dal delta del fiume immissario e le tiene con sé per una settimana, prima di lasciarle lentamente scivolare via, e il lago Erie, forte e immenso, che si forma grazie alle acque del suo fratello minore e poi si svuota con fragore attraverso le cascate del Niagara. Se il cielo si incazza e frusta il Michigan con i suoi venti di tempesta, può capitare che su quest’ultimo si formino persino le onde, ma Yuuri capisce subito che è tutta un’altra cosa: anche se è enorme - se non ci pensa può sembrare quasi il mare - l’Erie non è un mare e non respira

Quindi Yuuri, deve accontentarsi di fissare uno o l’altro lago e farsi bastare lo sciabordio leggero delle nere acque estive sulle sponde sassose. Ma d'inverno il lago St. Clair muore. L'inverno si mangia anche l’Erie e lo congela. Le sottili increspature dell'acqua sono immobili, pietrificate, mute.

 

Tutto è fermo, tutto è incastrato molecola con molecola, pensiero con pensiero, battito con battito. 

 

Yuuri vuole le onde, le sente agitarsi dentro di sé e non può farle uscire. Il ghiaccio, che dovrebbe essere suo amico e alleato, lo imprigiona e lo inchioda in un’immobile attesa di un futuro che forse non sarà mai in grado di conquistare. 

Quando è arrivato a Detroit, la cosa che più lo ha sconvolto è stato il freddo. L’inverno del duemilaotto-duemilanove è stato uno dei più gelidi degli ultimi anni e gli è entrato nelle ossa, come un imprinting che gli ha irrigidito l’anima. A Detroit, Yuuri capisce subito che finirà per spegnersi, ma resiste, cerca il calore con insistenza, spera che il sole scongeli il suo umore, presto o tardi, ma, quando accade, non arriva niente di più del timido muoversi di acque melmose ed estranee.

 

Dopo un anno di ghiaccio e stasi e respiri stroncati in gola e silenzio e acque dolci e congestione dei suoi demoni, Yuuri desidera come non mai il mare. Le onde che ha dentro premono, tumultuano, ruggiscono sempre più di rado. Il suo mare è troppo lontano, non ce la fa a raggiungerlo, inizia ad accontentarsi della calma del lago.

 

Dopo due anni di torpore e giornate che si ripetono una uguale all'altra, allenamenti che si susseguono uno gemello dell'altro, dopo troppi salti falliti, Yuuri sente che il ghiaccio - il ‘suo elemento’, no? - sta congelando anche la sua anima e si addormenta immobile, ignaro se con la primavera riuscirà di nuovo a svegliarsi e riprendere a volare. E le onde, dentro di lui, tacciono sempre di più, resta solo l'eco di un ringhio lontano. Una parte di sé è tentata dal silenzio. Quella parte di sé vuole arrendersi e tornare al suo mare, a casa, in sordina. Ma Yuuri resiste ancora, con la disperazione arresa di chi sta dimenticando i propri sogni chiusi in un cassetto. 

 

Dopo quasi tre anni e calma piatta, col cuore gonfio e incastrato nel reticolo perfetto di molecole intirizzite, Yuuri nota che qualcosa è cambiato nel suo rapporto con Phichit. È la prima crepa sul ghiaccio.

 

Il buffo ragazzo thailandese è tornato dalle vacanze in terra natia con l'euforia e l'entusiasmo di un bambino. Lo ha travolto con un milione di fotografie dall'aroma familiare (dove ho già visto questa spiaggia?) e con un buco di narrazione lungo dieci giorni (“sono stato da mia nonna al mare, niente da raccontare, dieci giorni a contare i granelli di sabbia, fare bagni nell’acqua immobile e dondolarmi sull’amaca”). 

Phichit ha fatto subito notare a Yuuri quanto lo abbia trovato ingrassato e lento, dopo neanche un mese di assenza, e lo ha messo in guardia sul fatto che avrebbe potuto batterlo persino lui, senza sforzi. Yuuri non ha negato e ha addossato la colpa alla fame nervosa. -Mica sono andato a rilassarmi in vacanza, io!- Ci ha scherzato su, ma poi ha iniziato subito a mettersi a dieta. Phichit lo ha costretto ad andare a correre insieme, farcendo quelle ore di consigli, pettegolezzi, dissertazioni sui criceti e racconti della sua terra, comportandosi con più disinvoltura possibile. 

Dato che il suo amico ha sempre detestato correre, tutto questo era già molto strano, ma è stato qualche settimana dopo, quando ha definitivamente calato la maschera e si è mostrato molto più adulto di quello che avrebbe mai pensato, che Yuuri ha avuto la conferma: qualcosa ha cambiato Phichit in quei giorni sull'isola, qualcosa che si è riflesso in sguardi più attenti, premure più invadenti, consigli più insistenti. 

 

Ci ha messo un mese, Phichit, prima di lanciare la bomba.

 

-Devi lottare, Yuu-chan, lottare e partecipare al Grand Prix, quest'anno. Fallo per me. Fallo per te. Io lo so che hai le capacità e la tecnica per raggiungere il tuo obiettivo e mi fa male vedere come ti stia dimenticando del tuo sogno. Devi scuoterti, Yuuri, devi infilarti in testa che tu ce la puoi fare.- Gli dice una sera di autunno, al termine di una sessione di corsa. Fa già un freddo cane, estremo persino per un luogo gelido come Detroit e i loro respiri si condensano in piccole nubi dense. 

Mentre le acque dei due laghi lentamente iniziano a congelarsi, Yuuri sente l’onda risalire dentro di sé e sceglie finalmente di non imprigionarla più. La lascia gonfiare, pronto a cavalcarla e riprendersi il suo sogno. Ci volevano un ragazzino determinato e la sua supplica così accorata per spezzare il ghiaccio che la teneva in trappola sotto la superficie. 

 

La stagione deve ancora iniziare e lui si impegna per tuffarsi a capofitto in quei flutti pieni di energia. Torna al suo peso forma impegnandosi negli allenamenti, si priva di qualsiasi peccato di gola, si ficca in testa quelle quattro parole che Phichit gli ha detto: “ce la puoi fare”. Non sa perché si fidi di lui, ma lo fa e basta. Ci crede e ci crede anche il loro coach. Celestino gli prepara una coreografia imponente, si lascia convincere che Yuuri abbia tutte le carte in regola per diventare il suo allievo più forte, lo allena dall’alba al tramonto, dà tutto perché lui dia tutto. Yuuri si impegna per qualificarsi agli eventi del Grand Prix e ce la fa, contro ogni suo pronostico. Si sente forte, si sente benedetto dalla sorte, finalmente! Si erge a testa alta, per qualche giorno si sente sulla cresta dell’onda e le sta sopra a testa alta, finché non si infrange sulle sponde aguzze e crudeli della realtà: fallisce al Trophée Bompard in Francia e si trascina, consapevole che non avrà più senso nemmeno provarci, alla gara successiva in Canada. Era scontato che finisse così: d’altronde Parigi è troppo lontana dal mare e Toronto è incastrata nei grandi laghi ghiacciati del nord America. Yuuri non è più sull'onda, non ha più il respiro del mare dentro di sé, non sente più il sangue spingere furioso e placarsi, spingere e placarsi. Spingere e placarsi.

Non può fare niente contro la prepotenza insidiosa e discreta del ghiaccio che si riappropria di lui, se non accettare che il tumulto dentro di sé si plachi e torni a dormire.

 

Il suo sogno è sempre più sbiadito, il successo che gli serve per arrivare là dove volano le stelle non arriva neanche con l’inizio del nuovo anno. Celestino però ha ancora fiducia in lui e lo iscrive alle qualificazioni per il Four Continents. Yuuri è scettico e le affronta prendendo la situazione sottogamba, senza energia, con la pigra lentezza delle acque scure che lambiscono la sponda del lago in cui ha costretto il suo mare. Non ci pensa, non si impegna seriamente, non sente nemmeno la tensione della competizione e così rilassato supera le selezioni. È come il boato di un blocco di ghiaccio che senza avviso si stacca e precipita in mare, alzando le onde. La sua squadra è in festa, dal Giappone gli arrivano il sostegno e le esortazioni di Minako e Yuuko, e quell’onda si alimenta di nuovo, gli gonfia il petto di prospettiva nuova, lo trascina speranzoso fino in Colorado per la gara, armato fino ai denti di una determinazione che non pensava di avere ancora.

Ma il mare è troppo, troppo lontano da Colorado Springs e Yuuri non se lo ricorda più come lasciarsi andare al suo palpito. Prima della gara  finale, sente di nuovo il petto pieno di diavoli arrabbiati che vanno in controfase alla sua onda e, invece di gonfiarla, la smorzano, la mettono a tacere, lo boicottano. Lo fanno cadere e fallire e rimanere immobile sulla pista ghiacciata della sua esistenza mediocre. Può tornare a Detroit con la coda tra le gambe, gli riesce bene, è la cosa che ha imparato meglio in quegli ultimi anni. Vola da un deserto fino a un lago ghiacciato e si arrende nuovamente nella stasi. Stavolta si arrende davvero.



 

Phichit smanetta sul suo telefono, è primavera. Ha promesso che quest'estate non partirà, deve programmare i suoi studi universitari, deve scegliere bene, deve perfezionarsi, deve ripassare chimica, deve dipingere la sua metà stanza, deve allevare criceti, deve trovare una qualunque scusa per non muoversi da Detroit - perché neanche Yuuri lo farà e lui ha scelto di stargli vicino. È da un po’ che ci pensa: deve scoprire le sue carte, almeno in parte, per aiutare il suo amico e dopo quasi un anno che si tiene dentro quel segreto, è il momento di farlo.

 

-Guarda. Cosa vedi?-

Gli piazza sotto al naso il telefono su cui scorre il video di un vecchio allenamento che aveva registrato.

-Vedo che sbagli l'entrata del triplo Flip-, risponde cauto Yuuri, -ma adesso hai imparato a farlo, no?-

-Non me, guarda te, sullo sfondo!-

Yuuri è perplesso.

-Vedo… che sto provando quel vecchio programma libero che volevo tentare, sulla musica che aveva composto quella ragazza del conservatorio. E faccio abbastanza schifo. Guarda: nemmeno un triplo toe-loop.-

Phichit lo rimprovera con un'occhiataccia. -Mancavano tre giorni alla partenza per Vancouver, cioè a una gara. G A R A: per te è normale dare di matto. Oltretutto non era neanche il programma che avevi deciso di eseguire in competizione. Non è questo che devi notare, baka!- Phichit non usa mai vocaboli giapponesi: quando lo fa, è perché vuole mordere esattamente dove si nasconde l’orgoglio menomato di Yuuri.

Allora lui presta più attenzione, aggrotta le sopracciglia, prende dalle mani dell'amico il telefono, per osservare meglio il video, ma non vede niente di significativo.

-Qua è dove doveva esserci la transizione tra rimpianto e riscatto, la musica saliva e poi c'era il salto… che pessimo Salchow ho fatto… Vedi?-

 

Phichit si riprende il cellulare e incrocia le braccia al petto, inclinando la testa da un lato. -Ti concentri sull'errore e non noti il resto: hai visto che sei riuscito a capire cosa stavi facendo e a immaginare la musica dietro i tuoi movimenti?-

-Ma me la ricordo, la musica, Phichit-kun!-

-Beh, allora: notiziona! Ti svelo un segreto. In passato ho avuto modo di mostrare questo video a… qualcuno che s'intende di pattinaggio e sai che mi ha detto? Mica ha guardato i miei tentativi in primo piano, figuriamoci! Ha detto che tu, sullo sfondo, stavi parlando proprio di rimpianto e riscatto. Il tutto senza conoscere né sentire la musica. Questo perché tu sei speciale, Yuuri, anche se non vuoi accettarlo. Perché la tua danza in pista trasmette e amplifica le tue intenzioni, molto più di quello che credi. Cosa significa questo? Che devi essere te stesso anche in gara, che non devi permettere al… che ne so!?, al panico? all'ansia da prestazione? al cagotto? di metterti in un angolo. L'interpretazione è fondamentale in un'esibizione: non c'è solo la componente tecnica e tu devi puntare sull'interpretazione. Lasciatelo dire da un Pinocchio che crede di saltellare tra le margherite anche quando deve interpretare un Romeo avvelenato!-

 

Yuuri guarda Phichit, ha una dichiarazione e una domanda in testa, è fondamentale scegliere l'ordine giusto per esporle.

-Da quando sei diventato così saggio, Phich?- Opta per una via di mezzo.

-Io sono nato saggio, Yuuribello, sei tu che non te ne sei mai accorto!-

Il giapponese sorride. Non sa come sfruttare quella piccola lezione di vita, ma sorride.

-E chi sarebbe l'esperto di pattinaggio che ti ha detto quelle cose di me?- Ecco la seconda domanda, quella che lo incuriosisce di più.

Phichit sfarfalla una mano in aria.

-Oh, nessuno… uno che ho conosciuto l’estate scorsa in Thailandia…-

-Dato che nel tuo paese il pattinaggio è un gradino più in basso della cenerentola degli sport, immagino che un esperto thailandese sia un luminare, nel nostro settore!-

Phichit fa una smorfia. -Gne, gne, gne! Ma sai un corno te chi bazzico in vacanza!-

-Tutti veterani del rink, suppongo!-

-No! Principalmente ragazze, molte ragazze. Ho i miei giri, ma può capitare di confrontarmi anche con… diciamo qualcuno di un po' più che ‘esperto’…- Ma Phichit Chulanont ha fatto una promessa a quel qualcuno e non deve esporsi troppo, quindi si declassa. -Oh, le ragazze sono… le mie cugine, le zie e mia nonna, eh!- Glissa sulla seconda parte, ma tant’è.

Yuuri ride, è sempre più raro che lo faccia, le guance non sono più abituate a quell'esercizio e dopo un po’ fanno male. -Esco. Vado ad allenarmi un po’.- Dichiara infilando il giubbotto.

 

-Yuuri.-

Si sente afferrare per un braccio e, quando si volta, l’espressione dell'amico è seria.

-Cosa ti manca più di tutto, Yuuri?-

 

Così, senza un perché. Ma Phichit è Freud, no? Capisce sempre un secondo prima quello che frulla tra i pensieri del suo amico, individua la minuscola crepa nella corazza che tiene in trappola la sua anima combattiva.

 

-Le onde-, gli risponde Yuuri e se ne va.

 

Ad agosto ti porto a respirare le onde. Promette Phichit e in testa elabora un piano.

Non ha più contattato Victor Nikiforov dopo la surreale vacanza trascorsa con lui, a volte si domanda se la sua mente non abbia inventato tutto. Non è abituato a ricordare il passato senza foto alla mano, ma in quei dieci giorni era stato di parola e non ne aveva mai scattata una al russo. Fatto sta che in quel momento deve frenare l'impulso di aprire la messaggistica di Instagram e contattare “il vate”. Ci penserà da solo a trascinare Yuuri al Grand Prix, a costo di prenderlo per i capelli e lanciarlo in pista.


---


L'autunno del duemiladodici è un periodo fruttuoso. La breve vacanza sull’Atlantico, che Phichit gli ha imposto ad agosto, ha dato i suoi frutti. Finalmente Yuuri ha potuto respirare il mare e sincronizzarsi di nuovo sulle sue frequenze. Ha dimenticato il senso di costrizione al petto, l'impossibilità di riuscire a trovare la forza di ribellarsi alla coltre pesante che lo opprimeva e si è lasciato andare. Ha giocato sulla spiaggia, ha rincorso i gabbiani, si è tuffato, ha bevuto il sole e il vento, si è fatto colpire dai cavalloni, è riemerso e non gli è mai sembrato più bello il poter respirare. Ha ripreso dal cassetto il suo sogno arreso e ci ha chiuso dentro la malinconia, ha fatto progetti, ha mangiato con gusto, ha corso fino a perdere il fiato e ha riso, soprattutto ha riso finché non gli hanno fatto male gli addominali ed è crollato esausto e soddisfatto sulla sabbia lambita dal mare. 

Adesso Yuuri si sente di nuovo in gioco, come un surfista che ha ritrovato finalmente l’onda perfetta, come l’onda che travolge tutto. Riesce a passare lo scoglio delle selezioni ai campionati regionali, gareggiando di nascosto ai suoi in Giappone. Non avvisa nessuno del suo ennesimo tentativo, si concede in incognito la visione dell’oceano Pacifico dall’isola di Shikoku, passa e stravince, garantendosi l’accesso alle due competizioni del Grand Prix

Torna a Detroit e si sente bene. Ha fatto pace con il ghiaccio, ha riconquistato il suo mare, sente di nuovo la forza delle onde ruggire nel petto. Ora gli basta solo continuare ad allenarsi senza perdere la ritrovata grinta.

 

Un pomeriggio, durante le prove, Celestino ha un’epifania e crede di comprendere un altro dei motivi che potrebbero aver portato il suo atleta a sentirsi spaesato, alle volte,  sui rink di gara. Vuole che Yuuri sia perfetto, che nulla sia lasciato al caso. Stavolta vuole un paracadute, una ruota di scorta e razzi segnalatori per far correre il suo uomo dritto sul podio senza intoppi.

-Yuuri, adesso vorrei che provassi il pezzo del corto con il triplo Lutz. Va bene anche se viene doppio.- È una richiesta strana, da parte del coach e Phichit si sofferma a osservare cos’abbia in mente. Yuuri ubbidisce e solca il ghiaccio con la sua solita grazia, poi affronta la diagonale, si volta, stacca con il filo esterno sinistro, ruota tre volte e atterra un salto perfetto.

Celestino gli si avvicina con un sorriso, gli spettina la frangia e si ferma sul ponte del naso con l’indice puntato: -Adesso rifallo-, gli dice, sfilandogli gli occhiali e il mondo sbiadisce di colpo. Yuuri avverte nitidamente il familiare grumo di panico, che lo accompagna in ogni gara, iniziare a formarsi al centro del suo stomaco, abbozza una protesta, inghiotte a vuoto.

-Vai, Yuuri!!!- Lo esorta Phichit da bordo pista e lui sospira. In fondo non c’è niente di diverso dalle altre volte che lo ha fatto durante le gare, no? L’ultima volta c’è riuscito, quindi… Stai calmo.

 

Riprende a pattinare, compie un paio di giri per prendere le misure, accelera sulla diagonale stringendo appena gli occhi, si volta, stacca e si accorge subito che c’è qualcosa che non va, maledizione! Due rotazioni soltanto e l’appoggio è instabile. Yuuri rotola come un sacco di patate fino alla barriera del rink, Celestino gli è subito a fianco.

-Tutto bene?- Domanda, porgendogli una mano per rialzarsi.

Yuuri è rosso in viso, lo fissa strizzando gli occhi e afferra la mano; -Sì, sì, tutto ok…-

-Hai capito, no? Non prendi bene le misure.-

-Sì, Celestino, ho capito… Adesso posso riavere gli occhiali, per favore?-

L’uomo sorride e di nuovo gli scompiglia i capelli. -Sì, prendili, ma dopo gli allenamenti andiamo subito a comprare le lenti a contatto, ok?-


Viaggiano in tre, sull’auto di Celestino, Yuuri ha scelto di mettersi dietro a braccia conserte e il broncio sul viso: non gli riesce di portarle, le lenti, è inutile che insistano!  Hanno idea di quante volte ci abbia provato in passato, prima delle gare, prima del diploma, prima di… prima incontrarsi il sabato sera con i suoi amici, con Yuuko!?

-Vedrai che troveranno il modello giusto per te. Deve essere una questione di insufficienza di idratazione: anche mio nipote in Italia aveva lo stesso problema, ma poi ha risolto con un po’ di lacrime artificiali e…-

-A Yuu-chan non servono le lacrime artificiali, ci pensa da solo a piangere di continuo!- Sghignazza Phichit, seduto davanti.

-Ah. Ah. Ah. Simpatico…- Borbotta il diretto interessato, per nulla convinto che stavolta potrà essere diversa dalle precedenti.

 

---

 

-Dite cheeeeese!- Click! Celestino immortala l’attimo con un selfie di squadra poco prima di iniziare a divorare come tre trichechi affamati gli hamburger di Wendy’s. Ha fatto tirare a lucido i suoi ragazzi prima di quell’uscita improvvisata: li porterà in un localino dove fanno musica jazz dal vivo, per farli svagare un po’. Festeggiano i nuovi costumi appena arrivati dalla sartoria sportiva e la prima uscita di Yuuri-sexyman-Katsuki con le lenti a contatto e un nuovo taglio dal barbiere, imposto anche quello.

Lui è nero, Celestino se la ride e Phichit cerca di alleggerire l’atmosfera.

-Sei così figo che anche se sbagli i salti nessuno se ne accorgerà! Devi tenere i capelli all’indietro anche in gara, eh! Mi raccomando! Una leccata di gel e via!-

-Non ci penso nemmeno! Sembro un… un…-

-”UN”! Appunto! Dai retta al tuo amico che è molto più sveglio di te, Yuuricaro! Mamma t’ha fatto bello e tu vuoi nasconderti al mondo: lascia che qualche giudice donna si faccia confondere dal giapponesino sexy e ti aumenti di qualche punto la valutazione! Eddai su!!! Guarda che il fascino orientale non è da sottovalutare…-

Yuuri è sempre più nero, ma diventa anche un po’ rosso, perché scopre che i complimenti - quel tipo di complimenti -  gli fanno sotto sotto piacere, e un po’ se ne compiace, un po’ se ne vergogna. Ma l’hamburger è squisito e non ne mangiava uno senza vincoli di dieta da una vita, la serata prosegue con musica soft ben eseguita e quattro chiacchiere in compagnia, il cielo è terso e si intravedono le stelle e quando esce dal locale non si appannano nemmeno gli oc…

-Oh!-

-Che c’è Yuribello?-

-Le lenti! Non mi ricordavo più di averle addosso! Io… io ci vedo, Celestino! Vedo le stelle, vedo distintamente le sagome dei grattacieli in lontananza, io… Grazie…- Sente due lacrimucce premere ai lati degli occhi: Phichit aveva ragione a prenderlo in giro sulla storia delle lacrime artificiali, disgraziatoed è tutto così… così…  

 

Ce la puoi fare.

 

-Portami in pista, Celestino. Adesso.-

 

Il libero che Yuuri esegue nella penombra delle luci del palazzetto accese solo per metà, senza musica di sottofondo, con ai piedi i pattini e addosso gli stessi abiti con cui sono usciti a cena, è la migliore interpretazione che Phichit e Celestino gli abbiano mai visto fare. Phichit riprende tutto di nascosto e immediatamente, prima di avere il tempo di ripensarci, fa una cosa scorretta, di cui si pente subito dopo, perché è al limite dello spionaggio, del tradimento del… Invia il video all’account Instagram di Victor Nikiforov via posta privata. Non si sono più sentiti dall’estate dell’anno precedente, né incontrati per sbaglio in un fazzoletto di mondo, e non ha mai scambiato il numero di telefono con lui, ma sente, sente, che è la cosa più giusta da fare in quel momento.

Se Yuuri lo scoprisse, lo ucciderebbe. Se Celestino se ne accorgesse, lo caccerebbe dalla sua squadra. Ma se Victor vedesse quel video, se non cancellasse la posta in ingresso come spam dei fans, se si prendesse quei quattro minuti… oh, Phichit è certo che qualcosa cambierebbe nel grande ordine del destino.

 

-Come vi è parso?- Domanda Yuuri, dopo aver ripreso fiato e averli raggiunti fuori dalla pista. Celestino ha gli occhi che brillano, Phichit ha un’espressione distratta, ma un attimo dopo esplode in un tripudio di esclamazioni e complimenti a cui si aggrega il coach.

-Hai tutte le carte per vincere, Yuuri. Intendo vincere tutto, non solo le coppe intermedie. Credo che sia stata l’esibizione migliore di un mio atleta da quando ho iniziato ad allenare. Forse la più commovente che abbia mai visto in assoluto. Bravo! Bravo ragazzo mio!-

 

Yuuri non si è mai sentito così, prima d’ora, è la prima volta che si fida, che sente che potrebbe davvero avere la forza di mostrare al mondo qualcosa di nuovo, che sta nascendo dentro di lui e preme per svelarsi. Ha sempre pensato di avere un lato di sé del tutto nascosto, capace di sorprenderlo e sorprendere gli altri, ma non ha mai osato abbastanza per scoprirlo davvero. Ma stavolta ci crede. Quanto è dolce lasciarsi cullare da quelle parole… Bravo… ragazzo mio… vincere… Hanno il suono della risacca che prende forza, della marea che sale, dell’energia che si accumula e si rafforza di se stessa, del petto che si solleva, dell’onda che gonfia, gonfia e torna a ruggire la sua volontà, la determinazione, la voglia di prendersi tutto, di spaccare, di arrivare. Finalmente arrivare…



 

 


 



 

Victor è a passeggio con Makkachin, il cappotto sbottonato svolazza sulle sue gambe a ogni passo. Gli piace il freddo, è nato nel freddo e vive di ghiaccio, ma se c'è una cosa che il freddo gli infligge, sono i dolori alle mani. È da quando soffriva di geloni nella sua più tenera fanciullezza, un tempo ormai indistinto i cui ricordi sbiadiscono anno dopo anno, che l'unica difesa che si impone contro il freddo è un paio di guanti di pelle, imbottiti di pelliccia. Ed è per questo che sbuffa spazientito quando il suo telefono squilla, con la suoneria allegra che ha associato a Chris.

Ma è troppo tempo che non si vedono e non si sono sentiti neanche dopo le gare intermedie del Grand Prix e Victor deve per forza sfilare il guanto e rispondere alla chiamata.

-Pronto, Chris?-

-Ciao Vitya, che fai di bello?- 

-Sto convincendo Makkachin a fare la cacca, perché voglio tornare a casa e vedere le registrazioni del tuo programma libero.-

-Quindi non mi stavi guardando in diretta?-

Victor sospira. No, non lo stava facendo, in realtà si era addormentato sul divano e poi il cane ha iniziato a raspare sulla porta per uscire.

-Non mi dire nulla! Voglio la sorpresa!-

-Nessuna sorpresa… in tutti i sensi! Indovina come sono arrivato?-

Victor ghigna, lo immagina. Ormai lui e Chris ci scherzano su.

-Ma come!? Anche senza di me in gara? Come hai fatto ad arrivare ancora secondo?-

Chris Sghignazza, in sottofondo si sente l'eco di un vociare indistinto, il suono familiare di uno spogliatoio.

-Perché non ci sei solo tu di esageratamente bravo, nel mondo! Sorpresa! Quest'anno è spuntato uno che darà del filo da torcere anche a te, vecchio mio!-

Victor è curioso. -JJ il canadese?-

-Macché JJ! Lui è un pivello, a confronto! Tutto adrenalina travestita da testosterone… Questo è più anziano, un uomo fatto e finito! Anche parecchio belloccio, direi…-

Chi sarà mai?

-Il cinese, quello che ha vinto l'ultimo Four Continents?-

-Fuochino… questo è giapponese e ha ventun’anni…-

-Chiamalo anziano!-

-Insomma, fatto sta che sembrava di vedere te in pista, Victor! Hai un gemello dal culo d'acciaio e gli occhi a mandorla e non mi hai mai detto niente?-

Oh… Victor non risponde, è turbato.

-Yuuri Katsuki: l'avevi mai sentito questo nome?-

 

 

Yuuri Katsuki… l'amico del thailandese di due estati fa… Quello che non aveva bisogno di musica, per farti sentire ogni nota nel petto…

 

-Mai sentito. Embè?-

-Embè… vatti a vedere le registrazioni, bello mio, vai…-

-Ti voglio bene, Chris…-

-Certo, come no… se lo dici con questo tono sei proprio credibile. Guarda che se non mi prendo io l'oro quest'anno, dobbiamo fare come sempre: tu primo, io secondo e poi ce la spassiamo in hotel, rigorosamente in fila… Ah ah ah!!!-

-Chris!!!-

-Ti voglio bene anch'io, mon cherÀ bientôt!-

 

Yuuri Katsuki. 

 

Era un anno e mezzo che non sentiva quel nome e nemmeno ci pensava più a tutta quella storia, a dir la verità. Gli aveva lasciato un magone nel petto; per qualche giorno la brillantezza della sua vacanza in solitaria ne era stata un po’ appannata. L'aveva cancellata con la stessa facilità con cui uno scontrino su carta termica lasciato sul cruscotto al sole, dopo un po’, svanisce.

 

Phichit Chulanont e Yuuri Katsuki…

Il thailandesino era stato di parola e nessuno aveva mai saputo dove si fosse rintanato il mitico Nikiforov nell'estate del duemilaundici. Ma lui, lui, non aveva fatto niente per mantenere la sua promessa. Avrebbe dovuto essere autentico se mai avesse incontrato Yuuri Katsuki. Non che avesse avuto modo di farlo, intendiamoci, però… evidentemente quel momento stava per arrivare.

 

-Coraggio, Makka, hai finito?- Victor guarda sconsolato il cane, adesso ha voglia di correre a casa e togliersi la curiosità di vedere la registrazione della gara.

Sta per mettere via il telefono, quando gli vibra in mano. L’ennesima notifica di Instagram, che noia… Però stavolta è un messaggio, un messaggio di Yuri Plisetsky, per l’esattezza, il ragazzino di Mosca che vuole seguire le sue orme e ha la stoffa per farlo, nonché una bella dose di insistenza.

Apre la chat, vede un bel dito medio alzato apposta per lui e il messaggino tanto dolce di quel fanciullo : “Sono primo, fottiti vecchio: due anni e ti mangio la pappa in capo!”

Victor scuote la testa e torna indietro e solo allora si accorge di un altro messaggio non letto, di quasi un mese prima, dall'account @phichit+chi.

 

Il ragazzo thailandese!

 

Non ci sono parole scritte, solo un video. Victor ci clicca sopra.


E l’onda della musica sale. 


 
   
 
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