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Autore: Milly_Sunshine    12/04/2024    1 recensioni
"Era passata una vita da quando le era entrato nel cuore con quei suoi occhi da bambino e quei capelli lunghi scompigliati dal vento, che tentava invano di tenere contenuti con una fascia multicolore. Due matrimoni falliti e cinque figli più tardi, quel ragazzo con gli occhi dolci era ormai un uomo vissuto, ma Paola non dimenticava. Aveva significato tanto per lei. Erano in tanti a rimarcare come avesse collezionato più bambini da mantenere che trofei, erano tanti a far notare come uno come lui avrebbe meritato di cadere nel dimenticatoio, piuttosto che mantenere una posizione di prestigio per così tanto tempo. Erano passati tredici anni da quando era diventato la teen crush di Paola, ma non l’aveva mai dimenticato. Non era mai riuscita ad allontanarsi da lui e anzi, proprio il vederlo ancora al centro della scena, dopo i tanti fallimenti, le aveva dato innumerevoli volte la forza di non preoccuparsi dei propri insuccessi personali." // Un bicchiere di vino tira l'altro, una sera, sotto al capannone adibito a bar di una sagra di paese, guardando alla TV la fine della carriera agonistica di un idolo adolescenziale.
Genere: Angst, Malinconico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rileggendo le mie vecchie poesie in inglese ne ho trovata una, risalente al 2017, che mi ha ispirato questo racconto. Seppure la mia poesia - che trovate al secondo capitolo - possa adattarsi alla situazione, non aveva nulla a che vedere con il calcio. Però quando la scrissi venivo da una cena in cui avevo bevuto abbastanza vino da non sentirmi lucida (non bevo altri alcolici, se non vino durante i pasti) e il mio stato d'animo era molto simile a quello della protagonista.



DELIRI ALCOLICI DELLA DOMENICA SERA

Paola svuotò il bicchiere. Il vino bianco frizzante era la sua debolezza o, per meglio dire, una delle sue tante debolezze. Si sentiva la testa pesante e si stava anche facendo tardi, ma non aveva una grossa importanza. Non faceva parte delle tante persone a cui la sveglia suonava presto il lunedì mattina, non perché non avesse un’occupazione, ma perché lavorava sei ore al giorno, dalle tredici alle diciannove. Forse l’indomani si sarebbe svegliata ugualmente con la testa pesante, ma non aveva importanza, perché avrebbe avuto davanti alcune ore per riprendersi.
In altre occasioni avrebbe evitato gli alcolici, ma dopotutto quella sera era a una sagra di paese e sarebbe tornata a casa a piedi. La guida in stato di ebbrezza era illegale, ma nelle sue condizioni non era certo vietato camminare.
Era il compleanno di Laura e si erano radunati, in una decina di persone. Paola si riempì il bicchiere, tra il vociare delle persone sedute sotto il capannone etichettato come bar e il suono della musica che proveniva dall’altro lato del piazzale. Chissà, magari di lì a trenta o quarant’anni sarebbe stata proprio da quella parte, a ballare il liscio alla romagnola invece che a sbevazzare lanciando languidi sguardi alla televisione davanti a cui si erano radunate una ventina di persone, nessuna delle quali faceva parte del gruppo degli amici di Laura.
Paola era lontana dal piccolo teleschermo, ma non poteva fare a meno di portare gli occhi sul teleschermo sul quale svettava il verde brillante di un campo da calcio. C’era una partita importante, quella sera, ma l’importanza era un concetto relativo. Alla maggior parte degli amici di Laura, per esempio, non importava niente. Due o tre persone si stavano alzando in piedi, Paola si immaginò qualcuno che affermava che l’indomani doveva andare a lavorare presto, quindi la passione per lo sport veniva messa da parte, mentre qualcun altro osservava come abitasse vicino, quindi si trattasse solo di prendere la bicicletta, andare a casa e mettersi a guardare da là i tempi supplementari.
Era un po’ come essere sospesa tra i due mondi e Paola si chiedeva se mai, un giorno, sarebbe riuscita ad appartenere ad almeno uno dei due. Sarebbe sembrato troppo sguaiato alzarsi in piedi e avvicinarsi al televisore, inoltre avrebbe significato allontanarsi dalla caraffa del vino, che ormai si andava esaurendo. Tutto ciò che doveva fare, per il suo bene, era dimenticarsi della partita e concentrarsi sui discorsi degli amici di Laura, gruppo di cui, almeno tecnicamente, faceva parte a propria volta. Ci provò, ma tutto ciò che riuscì a fare fu scolarsi l’ennesimo bicchiere di vino e versarsene un altro, prima che ci pensassero altri. Erano impegnati a fare conversazione, quindi non erano tanto focalizzati sull’obiettivo. Parlavano di vacanze, di uscite nel fine settimana, di ubriacature e di droghe leggere, sembrava un po’ di essere tornati alle scuole superiori, nonostante fosse passata una decina d’anni da quando Paola le aveva terminate e, proprio come lei, anche la maggior parte degli amici di Laura, che non avevano tutti la stessa età, ma che comunque, a meno d non essere pluriripetenti, avevano sicuramente finito di frequentare le scuole già da molto tempo. Era davvero difficile essere parte del tutto.
Il vociare andava e veniva, a tratti aumentava, mentre dall’altro lato della sagra la cantante dell’orchestra annunciava che di lì a pochi minuti sarebbero stati estratti i numeri della lotteria. Il vociare continuò ad andare e venire, coprendo le probabili urla di trionfo non solo del secondo e del terzo classificato, che avevano vinto rispettivamente un salame e un trancio di mortadella, ma anche quelle del vincitore assoluto, che si sarebbe portato a casa un prosciutto.
Paola continuava a lanciare le sue solite occhiate al televisore, per poi portare gli occhi sul bicchiere pieno a metà. Il primo tempo supplementare era finito e presto sarebbe iniziato il secondo. Bevve tutto d’un fiato il vino che ancora le restava mentre le inquadrature televisive andavano a focalizzarsi su un uomo fradicio di sudore, con l’aria stanca e i capelli quasi rasati, nel vano tentativo di coprire un’abbondante stempiatura.
Quell’uomo era stato il suo idolo quando era una ragazzina ed era rimasto il suo idolo quando per anni e anni aveva continuato a indossare una maglia dello stesso colore. Aveva superato i quarant’anni, ormai, e quella era la sua ultima partita. Era passata una vita da quando le era entrato nel cuore con quei suoi occhi da bambino e quei capelli lunghi scompigliati dal vento, che tentava invano di tenere contenuti con una fascia multicolore. Due matrimoni falliti e cinque figli più tardi, quel ragazzo con gli occhi dolci era ormai un uomo vissuto, ma Paola non dimenticava. Aveva significato tanto per lei. Erano in tanti a rimarcare come avesse collezionato più bambini da mantenere che trofei, erano tanti a far notare come uno come lui avrebbe meritato di cadere nel dimenticatoio, piuttosto che mantenere una posizione di prestigio per così tanto tempo.
Erano passati tredici anni da quando era diventato la teen crush di Paola, ma non l’aveva mai dimenticato. Non era mai riuscita ad allontanarsi da lui e anzi, proprio il vederlo ancora al centro della scena, dopo i tanti fallimenti, le aveva dato innumerevoli volte la forza di non preoccuparsi dei propri insuccessi personali: se il suo idolo occupava ancora una posizione di rilievo, allora anche lei stessa poteva ottenere qualcosa. Era un concetto molto semplice, ma che sarebbe stato molto difficile da capire per gli amici di Laura, così come per la stessa Laura, la quale, per la prima volta nel corso della serata, le rivolse la parola.
«Ehi, Paola, che cazzi guardi? Ti interessa il calcio come agli sfigati?»
Paola scosse la testa.
«N-no. No, certo che no.»
Prese la caraffa e versò tutto il contenuto restante nel bicchiere. Non arrivò nemmeno a metà, ma era meglio così. Aveva già bevuto troppo quella sera. Avrebbe voluto alzarlo e portarlo alla bocca, ma Laura iniziò a raccontarle uno dei suoi deliri, mentre il secondo tempo supplementare non solo iniziava, ma faceva anche in tempo a terminare, con il risultato ancora fermo sullo zero a zero, un po’ come se l’ultima partita dell’idolo di Paola dovesse essere una lenta agonia.
«Mi ascolti?» le chiese Laura, notando come il suo sguardo fosse catturato dal televisore. Si rivolse ad altri. «Ehi, l’avete vista? A Paola piacciono gli uomini che corrono dietro a un pallone in mutande.»
Svariati presenti risero, perfino gente che su Facebook passava il proprio tempo a insultare i tifosi delle squadre avversarie. Paola si sentì spaesata, rifiutata e lontana dal mondo nel quale doveva muovere i propri passi. Non era come gli altri, ma non avrebbe saputo dire se ci fosse qualcosa di sbagliato in lei, oppure in tutta la gente che le stava intorno. Qualcuno, nel frattempo, si alzò in piedi, annunciando che era ora di andare a casa. Rimasero in pochi: pochi ma buoni, a quanto pareva, dato che Laura finalmente si allontanò per andare a vaneggiare insieme a qualcuno degli altri invitati.
Paola rimase sola, con un bicchiere di vino pieno a metà, con davanti una caraffa vuota e a qualche metro di distanza dal televisore. Era il momento dei calci di rigore. Toccava agli altri. Misero il pallone dentro, subito imitati dalla squadra del cuore di Paola. Poi successe di nuovo, dopodiché una terza e una quarta volta.
Quattro a quattro. Poi cinque a quattro. Era un’agonia senza fine, ma lo fu ancora di più quando il quarantenne con gli occhi da bambino si ritrovò di fronte alla porta. Paola pregò con tutte le proprie forze che prolungasse l’agonia, che non fosse lui a condannare la squadra alla sconfitta. Meritava un finale in bellezza, dopo tutta la passione che ci aveva messo nel corso degli anni. Eppure il destino aveva in serbo per lui un’ultima ombra, un ennesimo insuccesso ad arricchire il suo palmares.
Quando il portiere deviò il pallone e la squadra avversaria esplose nei festeggiamenti, Paola sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, mentre un’ultima inquadratura veniva riservata al suo idolo che, con aria smarrita, viveva il più amaro degli addii.
«Ehi, noi andiamo!» annunciò Laura, mentre i presenti rimasti al tavolo si alzavano in piedi. «Vai a casa anche tu?»
Paola si girò a guardarla con la coda dell’occhio.
«Avviatevi, vi raggiungo.»
Mentre Laura e i suoi amici si allontanavano dal capannone adibito a bar, Paola portò il bicchiere alla bocca e tracannò l’ultimo vino rimasto. Era quello il suo destino: essere un eterno pesce fuori dall’acqua che si commuoveva per una partita, e non per il risultato, ma per l’ennesimo fallimento umano del ragazzo con gli occhi da bambino che aveva conquistato il suo cuore quando era una sedicenne sognatrice. Nulla era cambiato, a onore del vero, semplicemente quando aveva sedici anni era ancora astemia.
   
 
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