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Autore: Shadow writer    13/04/2024    1 recensioni
«Dai, ti do un passaggio, va bene?»
«Non sei costretto».
Lui sorrise. «Non mi sentirei a posto con la mia coscienza lasciandoti qui».
In un diario dell’anno successivo, annotai che, se avessi saputo come sarebbe andata a finire, non avrei accettato quel passaggio. Se avessi potuto avere un’anteprima dei mesi successivi, avrei scosso il capo a Sam, nel momento in cui mi avrebbe allungato una mano per alzarmi dal panettone. Non sarei salita sulla moto, aggrappata al suo busto con l’aria che mi soffiava sul viso e il petto premuto contro la sua schiena. Gli avrei scosso il capo e avrei aspettato il primo pullman del mattino per tornare a casa.
Ma quella sera ero ubriaca e triste e quando Sam era comparso davanti a me, su quella moto mi era sembrato un principe azzurro con il suo cavallo bianco. In quel momento mi ricordava solo il ragazzino di due anni più grande che al campo estivo mi aveva portata in braccio quando mi ero sbucciata il ginocchio e aveva corso sul terreno scosceso tenendomi sotto le cosce, mentre io guardavo il rivolo di sangue che scendeva verso la caviglia. Quella sera era ancora il mio salvatore.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 24. San Valentino
 
Il ristorante – prenotato da Sam – aveva l’aria di una vecchia osteria con i tavoli quadrati in legno scuro e le tovaglie di cotone ricamato. Le pareti nude lasciavano a vista la pietra grigia e i pochi mobili che arredavano la sala – uno scaffale di bottiglie di vino, una credenza sormontata da un imponente specchio – parevano appartenere a un’altra epoca. 
Ci fecero accomodare a un tavolo già apparecchiato per due, con una lunga candela bianca accesa tra i bicchieri. Guardai Sam mentre appendeva i nostri cappotti e tornava indietro per sedersi di fronte a me. Portava un dolcevita di color crema e degli eleganti pantaloni marrone scuro che gli calzavano a pennello, facendo sembrare le sue gambe ancora più lunghe e muscolose. Da quando viveva in città, aveva sostituito la vela e il canottaggio con la piscina e la corsa serale dopo il lavoro, così che non aveva perso il fisico da atleta. Quando mi fermavo a dormire da lui, a volte lo seguivo in piscina e nuotavo placida nella sua corsia mentre lui mi superava diverse volte. Nuotare in città era una sensazione completamente diversa. Adoravo stare immersa nell’acqua, ma le voci riecheggiavano sul soffitto rivestito di metallo e rimbalzavano verso di me, i bambini schiamazzavano nella piscina accanto, da lontano si sentiva la musica dell’acquagym e fuori dalle vetrate il cielo era scuro e tetro. In quei momenti, quando mi immergevo sottacqua, immaginavo di essere nel lago, in una di quelle spiagge semisconosciute in un giorno di giugno, quando sui sassi potevi trovare solo pensionati o mamme con i figli che avevano appena iniziato le vacanze estive. Emergevo, sognando di trovare un monte verdeggiante che scendeva ripido verso il lago e più su il cielo azzurro turchino. Invece, trovavo solo gli spalti vuoti e le sedie in plastica sbiadita.
«Quella ragazza mi sembra familiare» disse Sam guardando dietro alla mia testa. Mi voltai e seguii il suo sguardo, trovando una ragazza dai lunghi capelli biondi, con la frangetta aperta su un viso ovale color porcellana.
«È Annalisa» replicai e impiegai un secondo a riconoscere Erika nella persona seduta di fronte a lei. «Vado a salutarle».
Mi alzai e raggiunsi il loro tavolo con un sorriso. Non vedevo Erika da prima di Natale, quando ci eravamo incontrate insieme a Ginny per bere una cioccolata calda e aggiornarci sulle nostre novità. Sapevo che aveva da poco cambiato lavoro e mi aveva detto che si trovava bene, soprattutto per lo stipendio più alto, così per festeggiare aveva deciso di trascorrere Capodanno in montagna con la sua ragazza.
«Ciao Meg!» esclamò Annalisa quando vide che mi avvicinavo. «Cosa ci fai qui?»
Anche Erika mi salutò e notai che era vestita in modo particolarmente elegante, con una camicia verde scuro e un blazer nero appoggiato allo schienale della sedia. Aveva anche acconciato i suoi capelli e due treccine tratteneva il resto dei ricci scuri dandole un’aria più ordinata del solito. 
«Immagino per il vostro stesso motivo» replicai. «È San Valentino».
Erika lanciò uno sguardo alle proprie spalle e notò Sam dall’altro lato della sala, che alzò una mano in risposta. «Oh, giusto» commentò. 
Annalisa mi tolse dall’imbarazzo, continuando con lo stesso entusiasmo: «Che coincidenza che siamo capitati nello stesso ristorante. Noi lo abbiamo scelto a caso perché non veniamo mai in città, ma se tu sei esperta immagino sia buono».
Le dissi che anche per me era la prima volta e che lo aveva scelto Sam.
«Sono comunque fiduciosa, sembra uno che se ne intende» rispose con un sorriso. Era davvero bella, con quei grandi occhi verdi e i capelli chiari lisci e fini. 
Augurai a entrambe buona cena e tornai al mio tavolo. 
 
Sam insistette per pagare e non ammise repliche, così, mentre andava alla cassa, ne approfittai per raggiungere il bagno. Prima di uscire, controllai il mio riflesso allo specchio, sistemai il rossetto e tornai nella sala. Era ormai tardi e i camerieri stavano sparecchiando i tavoli e pulendo il pavimento. Il proprietario mi disse che “il ragazzo alto come una pertica” era uscito e mi aspettava fuori. Lo ringraziai, infilai il cappotto e mi diressi verso la piccola anticamera da cui si usciva in strada. Non avevo ancora aperto la porta, ma udii distintamente delle voci familiari che conversavano all’esterno. Accanto alla porta, una vetrata era schermata da veneziane che permettevano di guardare all’esterno senza che fosse possibile il contrario. Vidi Annalisa, che fumava seduta su una panchina dall’altro lato della strada pedonale, mentre Erika e Sam se ne stavano proprio fuori dal ristorante, uno di fronte all’altra.
«Quindi? Hai intenzione di fare sul serio?» stava dicendo lei.
Sam non si scompose. «Certo, pensavo fosse chiaro ormai».
«Non è che ne abbiate proprio parlato». Erika aveva un tono pungente, quasi provocatorio. «Come pensi di dirlo agli altri?»
«Qualcosa ci inventeremo»
Lei fece una risata di scherno. «Vi inventerete? O ti inventerai? Precisamente quanto è libera lei in questa storia?»
Anche tramite le veneziane, vidi la mascella di Sam contrarsi, ma la sua espressione rimase impassibile. Lo tradì solo la freddezza della sua voce: «Esattamente quanto è libera Annalisa rispetto a te e viceversa. Mi vuoi dire qual è il tuo problema con me?»
Lei lo trafisse con lo sguardo. Non l’avevo mai vista così scortese con qualcuno. Era sempre stata quel tipo di persona che cerca di metterti a tuo agio in qualsiasi situazione. «Lo sai benissimo» gli rispose. «Credi che ogni cosa o persona siano al tuo servizio. Non ci hai mai pensato a come stanno le cose per lei? A cosa potrebbe succedere?» scosse il capo e ancora le sfuggì quel suono che pareva scherno. «No, pensi solo a come portartela a letto, non ragioni su come questa relazione rovina la sua vita, o sbaglio?»
Sam rimase imperturbabile, ma dalla rigidità della sua posa era chiaro quanto fosse scocciato. «Sbagli. È libera di andarsene da questa relazione quando vuole. Evidentemente non vuole».
«È troppo accecata da quello che prova, è sempre stata cotta di te».
Sam fece una risata gelida. «È questa la considerazione che hai di una delle tue migliori amiche? Una ragazzina accecata e sciocca?»
«Penso che l’infatuazione la renda sciocca»
«Non è un’infatuazione».
Lei sbuffò, continuando a scuotere il capo. «Sì, come vuoi».
Dall’altro lato della strada, si avvicinò Annalisa. «Tesoro, perché non ti calmi?»
Erika prese un respiro profondo, poi tornò a guardare Sam. «Ho solo paura che Meg si faccia male. È sempre stata troppo buona. Lo sai anche tu come si è sempre comportata con Ginny». Fece una pausa e pensai che fosse sul punto di andarsene, perché si era voltata verso Annalisa, ma qualche pensiero le fece cambiare idea, perché si rivolse nuovamente a Sam: «Non sono poi così sicura di chi sceglierebbe tra voi due».
Lui non rispose. Si limitò ad affondare le mani nelle tasche del cappotto e alzò il capo verso il cielo nero, sbuffando una nuvola di vapore nell’aria. Approfittai di quel momento per uscire. Aprii in modo maldestro la porta, in modo da fare più rumore possibile e li raggiunsi come se non avessi sentito nulla. Ci salutammo tutti con un abbraccio, Sam fu estremamente cortese – benché freddo – con Erika e viceversa e, quando ci allontanammo per tornare al suo appartamento, nessuno dei due tirò fuori l’argomento.
Camminammo fianco a fianco attraverso le vie strette del centro storico. Quando arrivammo all’appartamento e Sam chiuse la porta alle sue spalle, mi sporsi verso di lui e lo baciai. Lui ricambiò il bacio, poi lo sentii ridere. «Aspetta, togliamoci almeno i cappotti prima».
Sfilai in fretta il mio cappotto e lo abbandonai su una delle sedie. Non volevo pensare. La discussione a cui avevo assistito di nascosto mi aveva creato un fastidioso batticuore che avevo bisogno di ignorare. E c’era un solo modo per farlo. Sam aveva appena appeso il suo cappotto all’appendino vicino alla porta quando tornai da lui e infilai le mani sotto al suo dolcevita. Lo sentii rabbrividire per via dei miei polpastrelli ghiacciati contro la pelle bollente, ma non mi respinse. Anzi si tolse il maglione e lo abbandonò da qualche parte, incurante, poi cominciò a sbottonare il mio abito mentre mi costringeva ad arretrare, verso la camera da letto. Camminai all’indietro, continuando a baciarlo e quando percepii con i miei polpacci il materasso del letto sentii l’ultimo bottone della scollatura che cedeva. L’abito scivolò a terra e io mi stesi sul letto. Si tolse da solo i pantaloni e mi raggiunse sul materasso.
«Sei bellissima» mormorò mentre mi baciava il collo. Sorrisi, godendomi quelle parole e i suoi baci.
 
***
 
Il primo sabato mattina del nuovo semestre mi svegliai da sola nel letto matrimoniale di Sam. Le ante della finestra erano rimaste aperte durante la notte e la luce si riversava accecante all’interno della stanza, riflettendosi sui mobili chiari. Lanciai un’occhiata alla sveglia sul comodino e notai che erano già passate le dieci, così scostai il piumone e lo sbalzo termico mi fece venire la pelle d’oca. L’appartamento era talmente piccolo che all’interno rimaneva sempre un piacevole tepore, così mi ero abituata a dormire in intimo. In più, adoravo stare con la pelle nuda a contatto di quella di Sam, perché, rimuovendo ogni strato, mi sembrava di poter stare più vicina a lui. 
Mi infilai la vestaglia e andai in bagno. Sentivo la voce di Sam provenire dalla cucina e immaginai che fosse al telefono. Mi sciacquai la faccia e constatai che la notte di sonno mi aveva fatto bene, perché le occhiaie mi stavano sparendo, poi mi spostai in cucina. Quando notai che c’era un’altra persona nell’appartamento, mi paralizzai sulla soglia. Al tavolo, insieme a Sam, sedeva Luca. Sotto il suo sguardo sconvolto, mi affrettai a chiudere la vestaglia con il volto incandescente. Cercai con gli occhi Sam, per ricevere aiuto, ma trovai solo un sorrisetto divertito. 
«Non preoccuparti» disse. «Gliel’ho detto».
Rimasi immobile, mentre Luca sbatteva le palpebre cercando di riprendersi. «Sì, ma è comunque strano vederti qui» commentò.
«Magari è meglio se mi vesto» riuscii solo a dire e mi rintanai in camera. Infilai una tuta al volo, dibattei qualche secondo con me stessa se fosse il caso di tornare di là oppure no, poi stabilii che in ogni caso il danno era fatto e tanto valeva non fare la maleducata.
Luca aveva portato delle brioches e me ne offrì una quando mi sedetti a tavola con loro. Gli bastò un’occhiata per capire che ero tesa, così mi sorrise e si passò una mano tra i corti capelli scuri. «Lo so che è un segreto, tranquilla».
«Ci siamo scambiati reciprocamente delle informazioni sensibili» aggiunse Sam, che nel frattempo si era alzato per prendere una spremuta dal frigorifero. Pescò un bicchiere dalla lavastoviglie, lo riempì e poi lo allungò verso di me. 
«Che tipo di informazioni sensibili?» domandai.
«Ha tradito Chiara».
Luca emise un verso che suonava come un gemito e si accasciò scompostamente sulla sedia. «Ma che cazzo, Sam, non dovevi dirlo a nessuno».
Lui sorrise, per nulla turbato. «Meg non lo dirà a nessuno».
Rassicurai Luca come lui aveva fatto con me. «Cos’è successo? Se posso chiedere».
Lui sospirò, si passò una mano sul volto, poi appoggiò i gomiti sul tavolo e si piegò in avanti, come se reggersi con la schiena dritta gli costasse troppa fatica. «Quando ero piccolo, ero molto legato alla figlia di amici di famiglia, poi loro si sono trasferiti a Firenze quando ero in terza media e non ci siamo più visti. Ora sono tornati sul lago ed Elisa – si chiama così – mi ha invitato da lei» esitò e il suo sguardo si perse nel vuoto. Era così assorto che pareva in trance, quasi fosse tornato a quel momento. «Non sapeva che fossi fidanzato e io non sapevo che fosse a casa da sola. È… è semplicemente successo». Ci guardò con aria colpevole, con il petto che si alzava e abbassava affannosamente. «Non saprei come spiegarlo meglio di così».
«Già» commentai. «Spesso le cose succedono e basta».
«Mi sento una merda verso Chiara. Il problema è che a me Elisa piace davvero, mi è bastato rivederla per ritrovare il legame che c’era tra di noi. Ma se lasciassi Chiara potrebbe avere un infarto». 
Sam sospirò. «La mia opinione la sai. Non sono un fan delle relazioni che sopravvivono per inerzia. Meg?»
Guardai Luca. Non lo avevo mai visto così fuori di sé. Si era appena fatto un’ora di strada solo per venire a chiedere consiglio a uno dei suoi amici. 
Gli rivolsi un sorriso incoraggiante. «Ci vuole del coraggio a chiudere, ma a volte è la cosa migliore. Senza guardarsi indietro».
Lui prese un respiro profondo e appoggiò la fronte al tavolo. Guardai Sam, che pareva a metà tra il sorpreso e il divertito da quella scena. Allungò una mano e sfiorò la mia accanto al bicchiere di spremuta. «Magari ti va bene ed Elisa sarà l’amore della tua vita».
Gli rispose un grugnito poco convinto. Sam prese ad accarezzarmi il dorso della mano, con un sorriso che mi faceva sciogliere il cuore. Erika e Annalisa sapevano tutto. Luca sapeva tutto. E il mondo non era crollato. Cominciavo a vedere un futuro per noi. Finalmente potevamo avere la vita che meritavamo, senza tutte le ansie e le paure che ci avevano accompagnato in quegli anni. Ma avrei dovuto immaginare che nulla si risolve con un colpo di spugna. Avrei dovuto capire che le soluzioni ai problemi vanno cercate, costruite e accompagnate.
Infatti, arrivò la festa di laurea e tutto precipitò.
 
 
   
 
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