“Non discuti con gli
intellettuali,
gli spari.”
CAPITOLO 4
LO STUDIOSO
Mablith era la prima
grande città del Granducato che si incontrava una volta lasciate le montagne
procedendo verso est.
Un luogo pacifico
e non abituato alla guerra, tanto da non avere nemmeno delle mura o altri
sistemi difensivi.
D’altro canto fin
dal momento della separazione dei suoi territori Eirinn aveva sempre scelto la
via dell’assoluta neutralità, e anche nel corso della trentennale Guerra di
Confine con l’Unione mai una volta era stata minacciata di invasione –anche se
questo non aveva impedito a reparti dell’esercito di combattere al fianco
dell’Impero come unità ausiliarie–.
Il suo stato di
vassallo era puramente formale, e a parte il non poter iniziare campagne
militari senza il permesso dell’Imperatore o il divieto di cambiare alcune
leggi poteva decidere autonomamente della propria politica.
Certo, il suo
suolo era uno dei più fertili che si fossero mai visti e ci cresceva qualunque
cosa, ma né Saedonia, con le sue vaste praterie
centrali, né l’Unione, stato agricolo per eccellenza, avevano problemi in tal
senso, quindi nessuno riteneva che i suoi campi o i suoi boschi valessero una
guerra.
Per questi e altri
motivi l’esercito ducale aveva deciso che Mablith
doveva essere sacrificata all’avanzata nemica, ma a dispetto degli ordini
ricevuti buona parte dei cittadini aveva deciso di non abbandonare la città,
anche per via delle voci rassicuranti in merito alla nobiltà d’animo del
comandante nemico.
L’arrivo delle
truppe dello Stato Libero fu indubbiamente qualcosa di maestoso, che lasciò a
bocca aperta gli abitanti radunatisi per l’occasione lungo la via principale.
Non sembrava
nemmeno di vedere un esercito ribelle: i soldati erano ordinati e disciplinati,
indossavano tutti o quasi le stesse uniformi, brandivano armi uguali per tutti,
e marciavano al passo dei tamburi sventolando orgogliosamente le proprie
bandiere.
Dopo aver
stabilito il campo alla periferia della città, Daemon volle andare ad
incontrare il sindaco insieme ad alcuni dei suoi compagni.
«Vi garantisco che
non abbiamo intenzioni ostili verso la vostra comunità. I miei uomini hanno
l’ordine di non razziare e di tenersi lontani dal centro abitato. Manterremo
solo una piccola forza di sicurezza e alcune pattuglie, inoltre useremo i vecchi
magazzini del sale come depositi per i nostri rifornimenti.»
«Noi non vogliamo
problemi, Messer Haselworth. Ma abbiamo ricevuto notizie molto inquietanti in
merito all’assedio di Grote Muren.»
L’autocontrollo
con cui Daemon aveva iniziato a comportarsi fin dal giorno dopo la fine della
battaglia contrastava con il modo in cui aveva ridotto la sua tenda quella
notte. Era quasi come se sfogandosi avesse gettato fuori tutta la frustrazione
e tutta la rabbia accumulate in quei cinque famigerati giorni, tornando ad
essere la stessa guida fredda ma cortese che tutti ricordavano.
E la cosa
inquietava un po’ alcuni dei suoi amici, a cominciare da Scalia.
«Purtroppo le
circostanze ci hanno costretti a ricorrere a misure estreme. E anche se potrà
sembrarvi ipocrita, voglio dirvi che mi dispiace che sia andata a finire in
quel modo. Se vi può consolare abbiamo appurato che quasi tutti gli occupanti
del forte appartenevano all’armata orientale del Conte di Hatlen,
quindi non dovrebbero esservi dei vostri concittadini tra di loro.»
Il sindaco guardò
in basso come se avesse paura.
«Voglio essere
onesto con voi, Messer Haselworth. Io e la mia comunità vi dobbiamo molto. Le relazioni
economiche che lo Stato Libero aveva intessuto hanno fatto la fortuna anche di Mablith. Ma non posso non pensare che anche se nessuno dei
nostri figli è perito a Grote Muren
molti di essi fanno comunque parte dell’esercito. E immagino che voi e i vostri
uomini non siate qui per fare amicizia.»
«Mi spiace, ma
tutto quello che posso promettervi è che cercheremo di ridurre al minimo le
vittime. Noi non abbiamo alcuna intenzione di portare avanti questa guerra più
del necessario. Se il Granduca accetterà di negoziare la cessazione delle
ostilità e il raggiungimento di una pace duratura, siamo pronti a fermarci in
qualsiasi momento.»
«In questo caso
temo sarà molto difficile. Se solo il vecchio Granduca fosse ancora padrone di
questo Paese non ci saremmo ridotti in questa situazione. Victor è giovane e
ambizioso, ma soprattutto è malconsigliato da quel sobillatore di suo zio. Fino
a che uno dei due sarà al potere non ci sarà spazio per la diplomazia.»
«Vi prometto che
resteremo qui solo il tempo strettamente necessario. Giusto qualche giorno, in
attesa che arrivino i rifornimenti e i nostri esploratori facciano rapporto
sullo stato del nemico. Nel frattempo, se qualcuno dei vostri concittadini
vorrà unirsi a noi o contribuire in qualche modo alla spedizione, sarà il
benvenuto.»
Dopo aver discusso
qualche altra cosa Daemon tornò nel suo alloggio, chiedendo di non essere
disturbato se non in caso di necessità.
Chi lo conosceva
poteva vedere benissimo che per quanto cercasse di far finta del contrario, ciò
che era accaduto a Grote Muren
lo aveva profondamente segnato.
«Sono così
preoccupata per il mio fratellone.» disse Sapi con
un’espressione insolitamente abbacchiata. «Non l’ho mai visto così triste.»
«Forse dovremmo
provare a parlargli.»
«Per dirgli cosa?»
rispose Jack. «Lo conosci meglio di tutti noi Scalia, lo sai bene che sarebbe
inutile.»
«È solo colpa
mia.» disse Septimus sfiorandosi rabbiosamente il braccio legato al collo «Se
non fossi stato così stupido e avventato…»
«No, ragazzo.»
sospirò Oldrick. «La colpa temo sia di tutti.»
«Che vuoi dire?»
chiese Sapi
«Il problema è che
senza rendercene conto, per tutto questo tempo non abbiamo fatto altro
idealizzare Daemon. E così ci siamo dimenticati che anche lui in fin dei conti
è solo un ragazzo, per quanto speciale possa essere. E in quanto tale anche lui
ogni tanto può essere dominato dal dolore, dall’ira e dalla sete di vendetta.»
«Temo che sia
stato un trauma anche per lui, sapere di non poter sempre essere padrone delle
proprie azioni.» disse Adrian. «Dovrà farci i conti. E purtroppo è una cosa che
può fare unicamente da solo.»
«Chiedo scusa, lor
signori.» disse in quel momento una strana voce senile alle spalle del gruppo.
«Per caso è qui che posso incontrare Messer Haselworth?»
Se ancora ci pensavo, mi sentivo bruciare
di rabbia.
Ma cosa mi era
successo?
Come avevo potuto
comportarmi in modo così infantile e sconsiderato?
Per un attimo mi
ero sentito come quel giorno di tanti mesi prima, quando avevo gonfiato di
botte quell’idiota di Doug fermandomi giusto in tempo per evitare di
ammazzarlo.
Solo che stavolta
le conseguenze delle mie azioni rischiavano di essere molto più drammatiche.
Mi ero ripromesso
di non commettere mai più gesti impulsivi e farmi sempre guidare dalla logica,
perché avevo capito sulla mia pelle quanto gravi potessero essere le
conseguenze dell’abbandonarsi alle passioni.
E invece mi era
bastato vedere Septimus disteso su quel pagliericcio con un buco nel petto per
perdere letteralmente la testa, e la cosa peggiore è che non ne capivo il
motivo.
Come se quella
fosse la prima volta che vedevo un amico morire davanti ai miei occhi.
Un amico!? Non scherziamo! Io non ho amici! Quelle persone
non sono che strumenti utili al mio scopo!
Ma allora perché
ancora adesso ripensare a quella scena mi faceva salire la rabbia?
Era come se ogni
tanto il vecchio Daemon cercasse di emergere e influenzare il mio modo di
pensare, e la cosa mi faceva innervosire a tal punto da volermi prendere a
schiaffi.
È proprio il colmo. Essere arrabbiati con una parte di
sé!
Ogni volta che mi
trovavo in situazioni come quella non potevo non immaginarmi Faucheur intento a godersi lo spettacolo con quel suo fare
sornione.
Immergermi nel
lavoro era l’unico modo per cercare di riordinare le idee e pensare al futuro;
anche se la gente di Erthea era abituata tanto quanto quella del mio vecchio
mondo alla barbarie della guerra la mia reputazione era destinata a risentire
parecchio per quanto accaduto a Grote Muren.
Se volevo conservare
la lealtà e la fiducia della gente non potevo più permettermi azioni simili,
perlomeno non nell’immediato.
In quel momento
ero così confuso e stressato che mi sarebbe bastato un niente per esplodere. E
qualcuno pensò che potesse essere una buona idea farmi piombare tra capo e
collo una vecchia conoscenza di cui non sentivo la mancanza.
«Daemon, scusa il disturbo.» disse Jack
entrando nella tenda
«Spero sia
importante. Avevo detto di lasciarmi tranquillo.»
«Scusa, ma c’è uno
strano tizio che chiede di vederti. Dice di conoscerti.»
«Di chi si
tratta?»
Prima che il
cavallo potesse rispondere alle sue spalle giunsero inequivocabili schiamazzi e
grida rabbiose, seguite da un’imprecazione irripetibile e da gemiti di dolore.
Sentendo
quell’ultima voce, Daemon sembrò non voler credere alle proprie orecchie.
«Ditemi che è uno
scherzo.»
Il ragazzo seguì
quindi il suo subalterno in cortile, giusto in tempo per assistere alla scena
tragicomica di Scalia che, rossa d’imbarazzo, veniva trattenuta a stento da Richard
dall’infierire ulteriormente su di un attempato gentiluomo di mezza età
dall’aria svampita.
«Che cosa pensavi
di fare, razza di vecchio maniaco?»
«Annotazione. La
teoria secondo cui la coda dei draghi sarebbe una zona particolarmente
sensibile è decisamente fondata.»
«Professore! Che
cosa ci fate voi qui?»
«Daemon, tu
conosci questo pervertito?»
«Più o meno.»
L’anziano signore
allora si rimise faticosamente in piedi, togliendosi polvere e terriccio dal
vestito doppiopetto.
«Ragazzo mio. È un
piacere rivederti. E mi scuso per l’inconveniente con voi, signorina. Purtroppo
tendo spesso a dimenticarmi di pensare prima di agire.»
«Questo è un vizio
che prima o poi potrebbe costarvi caro, amico mio.» disse Daemon
«Per un attimo
pensavo che quel momento fosse arrivato. La tua amica ha confermato la mia
teoria sulla forza bruta dei draghi.»
«Ringrazia che mi
hanno fermato, o ti avrei usato per pulire per terra!»
Anche Daemon una
volta aveva imparato a proprie spese cosa voleva dire toccare la coda a Scalia,
quindi non se la sentiva di essere troppo severo nel giudicare il professore.
«Jack, per favore
fai portare del tè per il professore.»
Scalia e gli altri
non riuscirono a credere ai propri occhi quando videro il loro amico fare
accomodare il nuovo arrivato nella sua tenda, chiedendo ancora una volta di non
essere disturbato.
«Questo riporta
alla memoria eventi agrodolci.» commentò il professore mentre Daemon gli
serviva un semplice ma profumato tè di erbe selvatiche. «Non sai quante volte
ho provato a replicare la ricetta senza mai riuscirci.»
«Allora, volete
dirmi cosa ci fate a Eirinn? Pensavo foste ritornato nell’Unione.»
«Mi conosci. Lo
sai che non riesco a stare troppo a lungo in un solo posto. Questo mondo è così
vasto, e ci sono così tante cose da vedere, che restare chiuso tutto il tempo
in una pomposa aula universitaria sarebbe un vero spreco.»
Daemon sorrise:
«Sono passati quasi tre anni, ma non siete per niente cambiato.»
«Al contrario di
te. Avevo capito che fossi un tipo particolare, ma non mi sarei mai aspettato
una cosa del genere.»
Come se quel
delicato aroma di campo avesse avuto il potere di addolcire i pensieri e
distendere l’anima, entrambi finirono così per percorrere quasi con nostalgia
il viale dei ricordi.
Una volta ogni sei mesi si svolgeva a
Dundee il grande mercato delle merci esotiche che richiamava in città una folla
incredibile tra mercanti e compratori, di ogni appartenenza e ceto sociale.
Dal canto suo,
ogni anno Daemon metteva da parte le merci migliori proprio in vista del grande
mercato, visto che anche nel suo settore si potevano fare ottimi affari.
Era anche
un’ottima occasione per fare nuove conoscenze e stringere amicizie.
«Gli affari vanno
a gonfie vele, a quanto vedo.» disse un bonario signore di mezza età dall’aria
rispettabile
«Sindaco Luparl, buongiorno.»
Il vecchio Luparl, intagliatore da sempre, era uno degli uomini più
rispettati della città, che la sua famiglia aveva praticamente fondato ed
abitava fin dai tempi del vecchio Granducato.
«Di questo passo
diventerai ricco come un re.»
«Non mi posso
lamentare. Dopotutto questi mercanti dell’est hanno tanti soldi e l’occhio non
abbastanza allenato.»
«Ben detto. Ad
ogni modo, speravo proprio di incontrarti. Avrei un favore da chiederti.»
«Se posso,
volentieri.»
«Mi è arrivata una
richiesta dal sindaco di Zolle, oltre il ponte. Si tratterebbe di accompagnare
uno studioso per una spedizione nei boschi, o qualcosa del genere.»
«Uno studioso?»
«Un certo Hinkel. Professor Jacob Hinkel.»
«Lo conosco di
fama. È un naturalista. Insegna all’Università di Mickarn.»
«Dicono anche sia
stato uno dei mentori del presidente. Ad ogni modo arriverà qui la settimana
prossima, e volevo chiederti di accompagnarlo nella sua spedizione.»
«Ci sono molte
guide esperte nel villaggio e nei dintorni. Non sarebbe meglio parlare con
qualcuna di loro?»
«In nome della
dea, assolutamente no. Sono solo un branco di bifolchi illetterati. Tu non hai
niente da invidiare a quei caproni, e a differenza loro sai come rapportarti
con le persone rispettabili.»
«Io non saprei. Mi
onora che abbiate una così alta opinione di me, ma ho molto da fare
ultimamente.»
«Ti prego.» lo
supplicò letteralmente il signor Luparl. «Prometto
che la paga sarà più che adeguata al tempo che perderai. La situazione per i
commerci sta iniziando a migliorare seriamente solo adesso, se capitasse
qualcosa di brutto al professore, chi può dire cosa potrebbe succedere?»
Daemon si guardò
un momento attorno, quasi che stesse cercando una scusa buona per rifiutare la
richiesta.
«D’accordo. Lo
farò.»
«Ti ringrazio,
ragazzo. Dal profondo del cuore.»
«Ma sia chiara una
cosa, solo per qualche giorno. La stagione della caccia sta per entrare nel
vivo.»
«Certamente, senza
alcun dubbio. Hai la mia parola. Manderò subito una lettera al sindaco di
Zolle.»
Daemon aveva sentito dire che il professor
Jacob Hinkel fosse un tipo un po’ bizzarro, come
tutti i luminari del resto, ma ciò che si trovò di fronte al momento fatidico
lo lasciò quasi basito.
Non era né grasso
ne magro, semmai giusto un po’ paffuto, come tutti i naturalisti e gli studiosi
da salotto, con una vistosa pelata malamente nascosta da un elegante cappello.
«Tutta questa
accoglienza per un umile professore?» disse, quasi divertito, mentre scendeva
dalla carrozza.
«Professor Hinkel, benvenuto a Dundee. Io sono Luparl,
il sindaco di questa comunità. E questi è…»
«Daemon. Daemon
Haselworth.»
«Daemon sarà la
Vostra guida, professore. È un cacciatore di grande talento, e conosce le
foreste della regione meglio di chiunque altro.»
Al che il
professore si avvicinò al ragazzo, fissandolo con evidente curiosità.
«Così giovane, e
già così stimato. Mi sento quasi onorato di avere una persona come voi a
guidarmi per questi boschi.»
«Farò del mio
meglio, professore.»
Nel mentre il
cocchiere e il valletto stavano cercando di scaricare il due pesanti bauli
legati sul tetto della carrozza; avevano appena finito col primo, quando messo
un piede in fallo il cocchiere si fece sfuggire dalle mani il secondo, che
apertosi rumorosamente sparse in ogni dove il suo contenuto di barattoli,
ampolle e libri di ogni forma e dimensione.
«Che fate,
sciocchi? Quelli sono campioni e volumi preziosissimi! Ve lo detraggo dal
pagamento!»
Daemon alzò gli
occhi al cielo, sospirando. Non aveva ancora iniziato, e già non vedeva l’ora
che finisse.
Servì quasi un’ora per caricare quel
povero mulo di tutto l’armamentario, e vani furono i tentativi di Daemon di
avvisare che forse non era il caso di portarsi dietro un simile bagaglio, visto
il tipo di sentieri che avrebbero attraversato.
«Impossibile.» aveva
risposto il professore «È tutto equipaggiamento indispensabile.»
Lasciata la città,
Daemon e il professore si addentrarono nelle foreste a ovest, lungo un sentiero
battuto che però finirono ben presto per abbandonare su richiesta del vecchio
erudito, il quale finì ben presto per farsi rapire interamente dalla
meraviglia, prendendo a scribacchiare senza sosta un quadernetto.
Tutto sembrava
attirare il suo interesse, e più di una volta durante il tragitto Daemon
dovette ammonirlo di tenere d’occhio il suo cavallo per non rischiare di andare
a sbattere da qualche parte, o peggio ancora di perdersi.
«Cerchi di
mantenere sempre il contatto visivo. Questa foresta è tutt’altro che sicura.»
«Potete stare
tranquillo, signor Haselworth. A vedermi non si direbbe, ma ho visitato luoghi
assai più pericolosi di questo.»
«Con tutto il
rispetto, ma mi viene difficile crederlo.»
Dopo solo qualche
ora dovettero fermarsi, visto che ormai il terreno si era fatto così
accidentato che sarebbe stato imprudente avventurarvisi con il mulo carico.
«Da qui in poi
meglio procedere a piedi.»
Se non altro, a
dispetto dell’età, del fisico non troppo atletico e della palandrana tutt’altro
che pratica che indossava, il professore sembrava davvero a suo agio a
camminare per terreni impervi, e riuscì senza troppi affanni a stare dietro
alla sua guida per tutto il tragitto.
Procedendo a piedi
raggiunsero un terrazzamento poco più in alto, abbastanza vicini da poter
tornare agilmente sui propri passi ma abbastanza lontani perché gli animali non
si sentissero minacciati dalla loro presenza e dal rumore dei cavalli.
Mentre Daemon
sorvegliava i dintorni il professore si mise subito al lavoro, e armato di
retino prese a catturare quanti più ragni, insetti e piccoli rettili o anfibi
che poteva, catalogandoli con cura e riponendoli nei pochi barattoli che era
riuscito a caricare sullo zaino che si era portato dietro.
Ad ogni nuova
cattura, metteva mano alla lente che portava come un fiore all’occhiello della
giubba, concedendosi lunghe e dettagliate osservazioni che non mancava di
scandire ad alta voce, quasi che si stesse rivolgendo a degli astanti invisibili
che pendevano dalle sue labbra.
Daemon osservava
stando in disparte, solo apparentemente distratto, ma in realtà con tutti i
sensi protesi al massimo, pronti a cogliere ogni più piccola minaccia.
La situazione
tuttavia era tranquilla, così tanto che il giovane cominciava quasi ad
annoiarsi; gli era già capitato di condurre qualcuno nei boschi, ma mai nessuno
che apparisse allo stesso tempo così fuori posto e così a proprio agio come il
professor Hinkel.
«Vado a fare un
giro di controllo. Voi per favore restate qui. Questa zona della foresta è
relativamente sicura, ma è sempre meglio essere prudenti.»
Il professore era
talmente preso dal suo lavoro che si limitò ad un cenno della mano, e per
qualche minuto seguitò a prendere appunti sulla sua ultima scoperta comodamente
seduto su una roccia.
Poi però, una
variopinta farfalla gli volò proprio davanti agli occhi, attirandolo come un
topo col formaggio.
«Aspetta piccola.
Fatti dare un’occhiata più da vicino.»
Retino alla mano,
e senza pensarci due volte, il professore le corse dietro per un tempo
impossibile da quantificare, addentrandosi sempre più nel fitto degli alberi;
l’inseguimento si concluse solo quando l’anziano docente, messo un piede in
fallo, rotolò come una ruota giù da un breve pendio.
«Annotazione.»
borbottò rimettendosi in piedi. «Solo lo stolto guarda il cielo senza prestare
attenzione a ciò che ha sotto gli stivali.»
Il tempo di
levarsi la terra dai vestiti, e si rese ben presto conto di essersi perso.
Tutto attorno a
lui non c’erano altro che alberi e silenzio, e della sua guida o di qualunque
altra cosa che potesse aiutarlo a capire dove fosse finito neanche l’ombra.
«Perfetto, dalla
padella nella brace. Ma quando imparerò a non farmi distrarre dalla prima farfalla
che mi passa davanti?»
Provò a seguire i
propri passi per tornare da dove era venuto, ma quella foresta era così fitta e
uniforme che non fosse stato per la pendenza avrebbe pensato di trovarsi sempre
nello stesso posto.
Il suo peregrinare
senza sosta lo condusse in una nuova radura, e mentre cercava vanamente di
riconoscere qualche elemento un frusciare di fronde gli fece rizzare ogni
singolo pelo del corpo.
«Chi va là? Vi avviso,
non ho un buon sapore.»
Dal fogliame sbucò
una piccola scimmia dal superbo manto nero, che ignorando completamente il
paffuto professore rivolse invece tutte le sue attenzioni ad un vicino cespuglio
di fragoline selvatiche.
«Ma tu sei una
scimmia nera di montagna. Quale fortuito incontro. Credevo che in questo
periodo dell’anno viveste molto più in alto.»
Subito prese fuori
il taccuino e iniziò a buttare giù uno schizzo, dimenticandosi completamente del
contesto in cui si trovava.
«Aspetta!» esclamò
quando la piccola scimmia, forse intimorita dalle attenzioni di quel buffo
umano, se la diede a gambe. «Mi mancano giusto alcuni dettagli!»
Stavolta però
l’istinto naturale di correre dietro all’oggetto della sua curiosità costò al
professore ben più di un ruzzolone, perché fatti giusto pochi passi si ritrovò
a tu per tu con un’altra scimmia nera; con l’unica differenza che questa, oltre
ad essere sei o sette volte più grossa, non sembrava per nulla contenta di
vedere il suo piccolo molestato a quel modo.
«Per la chioma di
Gaia! No, no. Aspetta! Non gli stavo facendo niente di male!»
La scimmia stava
quasi per caricarlo, quando un sasso lanciato con incredibile potenza colpì un
albero poco distante. Un attimo dopo Daemon era in piedi tra il professore e la
scimmia, rivolto verso quest’ultima con aria di aperta sfida.
L’animale ringhiò,
a prima vista ancora intenzionato a scagliarsi all’attacco.
«Che aspettate?
Uccidetela!»
E invece, Daemon
lasciò cadere a terra l’arco, proprio quando la scimmia iniziava la sua carica
contro di lui.
Poi, un istante
prima di essere travolto, gridò; fu un grido bestiale, animalesco, che lasciò
il professore dapprima sbigottito, e subito dopo senza parole, nel momento in
cui vide la scimmia arrestare l’attacco e fermarsi, sovrastando il giovane con
tutta la sua imponenza. Con gli anni Daemon si era fatto un giovane di ottima
costituzione, ma quella bestia lo faceva comunque sembrare un moscerino.
All’improvviso il
ragazzo prese a urlare, sbracciare, battersi i pugni sul petto e sul terreno
come un indemoniato, il tutto senza mai fuggire il contatto visivo con la
scimmia.
«Che state
facendo?» biascicò terrorizzato il professore constatando che l’animale, dopo
un momento di esitazione, aveva ben presto iniziato ad imitarlo. «Così la
farete solo infuriare ancora di più.»
Ma Daemon non gli
diede ascolto, anzi divenne sempre più scalmanato e plateale, arrivando ad un
certo punto a strappare erba e a lanciarla addosso alla sua avversaria.
Il professor Hinkel si aspettava da un istante all’altro di vedere quel
bestione aprire in due la sua guida con una singola smanacciata; invece ben
presto la scimmia sembrò perdere convinzione, diventando quasi timorosa. Le sue
ostentazioni di forza scemarono, fino a che, ricevuto un ultimo urlo di Daemon
letteralmente ad un palmo dal naso, girò i tacchi e si ritirò in tutta fretta,
recuperando al volo il suo piccolo prima di scomparire tra gli alberi.
«Beh… dovrò
ricordarmi di annotarlo nei miei appunti.»
«Quale parte di
“restate qui” non vi era chiara, esattamente?»
Nonostante tutto
gli porse la mano, aiutandolo a rialzarsi.
«Ammetto di non
aver mai visto niente del genere. Ero sicuro che ci avrebbe fatti fuori
entrambi.»
«Le femmine di
scimmia di montagna sono molto aggressive quando proteggono i piccoli, ma se
percepiscono che la minaccia non vale il rischio di uno scontro preferiscono
scappare piuttosto che combattere.»
«Devo confessare
che sulle prime ero un po’ scettico riguardo al vostro conto, ma più vi sto
vicino e più mi rendo conto di essermi sbagliato.»
«Felice di
sentirvelo dire. Ora però meglio spostarsi. Per ora ci ha rinunciato, ma meglio
non sfidare la sua pazienza.»
Al che i due si
misero in cammino, con l’idea di raggiungere i cavalli e cercare un’altra zona
in cui fare sosta, anche in previsione del trascorrere la notte.
«Ad ogni modo, se
sono gli animali che volete qui ne troverete in gran quantità. Il problema è
che molti sono anche più pericolosi della scimmia che avete appena incontrato.
Lupi rossi, cinghiali di montagna. Da qualche tempo, in questa regione si è
stabilito persino un tarkana.»
Il professore
trasalì.
«Un tarkana avete detto!? Grosso?»
«Il più grosso che
si sia mai visto. O almeno questo è ciò che hanno detto i pochi che l’hanno
incontrato e che l’hanno potuto raccontare. E no, non chiedetemi di cercarlo.
Ci tengo troppo alla vita.»
«State tranquillo,
non è il genere di creatura nella quale muoia dalla voglia di imbattermi.»
Nel mentre però la
camminata sembrava andare un po’ per le lunghe, e anche se Hinkel
non si poteva certo considerare un drago in orientamento aveva la netta
sensazione che non stessero andando nella direzione verso cui avevano lasciato
i cavalli.
«Scusate, se
posso. Siete sicuro che sia la strada giusta? Credevo che dovessimo andare
verso il basso per raggiungere ai cavalli.»
«Non stiamo
andando a prendere i cavalli.» rispose allora Daemon quasi sussurrando, con un
tono di voce completamente diverso dal precedente che inquietò non poco il
vecchio docente.
C’era qualcosa che
non andava.
«Non fermatevi.»
disse ancora il ragazzo prima che il professore potesse pensare di rallentare
il passo. «Continuate a camminare.»
«Che… che sta
succedendo?»
«Ci stanno
seguendo.»
«Che cosa!? Chi!?»
«Sul costone di
roccia, alla sinistra del sentiero, nel punto più in alto.»
Cercando di essere
discreto, il professore girò lentamente lo sguardo in quella direzione, facendo
appena in tempo a scorgere un’ombra che un istante prima di essere inquadrata
scompariva dietro il bordo.
«Chi sono?»
«Macaire. Ce n’è
un altro sopra le nostre teste, tra gli alberi. E ce ne saranno sicuramente
altri nei paraggi.»
«Sono… banditi?»
«Peggio, sono
anche mostri. Attaccano spesso ricchi viaggiatori e chiunque sorprendano nella
foresta per raccogliere denaro e materiali. Ma è strano che siano qui, visto
che solitamente bazzicano intorno al Castello.»
«Madre Gaia, forse
sarebbe meglio tornare ai cavalli.»
«Sarebbe inutile,
oltre che pericoloso. O li hanno già dispersi, o più probabilmente i loro
compagni li stanno tenendo d’occhio. Continuiamo a camminare in questa
direzione, per separarli dai loro compagni. Attaccarli adesso sarebbe inutile,
e se ci mettiamo a correre ci salterebbero addosso. Non devono sospettare che
ci siamo accorti di loro.»
Su consiglio della
sua guida, Jacob finse di immergersi nuovamente nel suo lavoro, ma era così
agitato che a stento riusciva a contenere l’impulso di guardarsi continuamente
le spalle.
Nel mentre Daemon
aveva tutti i muscoli in tensione, e come avesse avuto gli occhi di una mosca
seguitava a sorvegliare tutto intorno senza quasi muovere la testa.
«Guardi,
professore.» disse fermandosi all’improvviso «Quel coleottero su quella roccia
è un esemplare unico, tipico di questa regione.»
«Eh… Cosa… Dove…?»
Il giovane felino
maschio armato di coltellaccio piombò sul professore nell’istante in cui questi
si piegò, venendo però intercettato a mezz’aria da Daemon con un calcio
tremendo e scaraventato via colpendo l’albero da cui era sceso con forza tale
da rimanere esanime a terra.
La sua complice
appostata poco distante corse subito in suo aiuto, puntando però direttamente
Daemon e tentando di affettarlo con le sue unghie affilate da lince; il
cacciatore schivò il primo assalto, la sgambettò facendola cadere, e prima che
potesse rialzarsi le saltò addosso, usando la corda dell’arco come una garrota
e togliendole l’aria quel tanto che bastava da farla svenire.
Quando il
professore, che non si era quasi accorto di niente, si girò, i due assalitori
erano già entrambi fuori combattimento.
«Non smettete mai
di sorprendermi.»
«Questi erano i
primi. I loro compagni arriveranno presto. Dobbiamo andarcene subito.»
«Andarcene? E
dove?»
Proprio in quel
momento, rumori in lontananza preannunciarono l’arrivo del prossimo gruppo.
«Ovunque ma non
qui! Venite!»
Preso il professore
per un braccio, e gettata al vento ogni discrezione, Daemon si mise a correre.
Sfortunatamente il
povero Jacob tra l’età e il fisico non era certo un maratoneta, e dopo poche
decine di metri già non ce la faceva più.
«Io… non credo di
riuscire ad andare oltre…»
Non restava altro
da fare che provare a combattere, ma occorreva trovare un luogo adatto dove
nascondere il professore.
«Presto, entrate
qui!» disse spingendolo a forza dentro un piccolo pertugio tra due grosse
rocce, grande a malapena per poterci stare rannicchiati.
Messo al sicuro il
suo protetto, Daemon si posizionò davanti all’apertura come un cane da guardia
a difesa del suo padrone, l’arco in una mano e il laccetto di sicurezza del
lungo coltello già allentato.
L’assalto iniziò
nel giro di pochi secondi, preannunciato da furiose grida di battaglia e un
crescente rumore di passi di corsa; visto che ormai erano stati scoperti, non
aveva più senso mantenere una approccio furtivo.
Il primo a sbucare
dalla macchia fu un nerboruto orco dalla pelle rossa, che come un toro
scatenato caricò a testa bassa verso Daemon brandendo una coppia di asce
bipenne; ma non fece neanche a tempo ad arrivare a dieci passi dal suo
bersaglio, perché il giovane gli trafisse il ginocchio con una singola freccia facendolo
letteralmente franare a terra con un tonfo fragoroso.
Comprendendo la
pericolosità del nemico, gli altri quattro decisero di scagliarsi all’attacco
tutti insieme, piombando su Daemon da varie direzioni e ingaggiando con lui un
feroce corpo a corpo. Tra di loro, l’unico volto familiare era quello del loro
leader e vicecomandante della banda, Mytra.
Il professor Hinkel osservava il combattimento dal sicuro del suo
rifugio, senza che nessuno si fosse apparentemente accorto della sua presenza.
E proprio perché nessuno sembrava più fare caso a lui, riuscì per primo ad
accorgersi di un’altra figura, appostata su di un albero poco distante, che si
apprestava a colpire Daemon con una piccola balestra.
«Attento!»
Senza pensarci
troppo uscì dal suo nascondiglio, spostando il giovane quel tanto che bastava
per toglierlo dalla traiettoria del dardo, venendo fortunatamente solo ferito
di striscio al collo a sua volta dallo stesso.
«Professore!»
«Niente di grave,
è solo un graffio.»
Constatato di aver
mancato il bersaglio il tiratore fece per ricaricare, e a quel punto Daemon non
ebbe altra scelta che trafiggerlo in mezzo agl’occhi.
«Urzi!» esclamò in lacrime la leonessa vedendo il suo
compagno cadere giù dal ramo, morto stecchito.
Completamente
fuori di sé dalla rabbia, si scagliò contro Daemon con ancora più furia cieca,
mettendo ben presto il ragazzo all’angolo.
Dal canto suo il
giovane era consapevole di aver fatto qualcosa di irreparabile, e ormai parlare
era inutile. Non restava che provare a scappare.
Messa una mano
alla cintura recuperò tre piccole sfere di pelle con attaccata una miccia, che
accese sfregandole tutte insieme sulla fibbia metallica.
«Copritevi la
faccia!» intimò al dottore, alzandosi il bavero per fare altrettanto.
Le tre sfere
scoppiarono con un potentissimo botto pochi istanti dopo essere state
scagliate, liberando una fitta polvere color rosso sangue che travolse la
leonessa e i suoi compagni, facendoli crollare a terra tra urla di dolore, occhi
arrossati e nasi in fiamme.
Avere l’occhio e
il fiuto di un animale era sicuramente un vantaggio, ma in certe condizioni
poteva diventare una condanna: e una miscela di peperoncino sminuzzato e
polvere da sparo era più di quanto un mostro con dei sensi anche solo
leggermente più sviluppati potesse sopportare.
Anche dopo che la
nube si fu diradata, Mytra e i suoi uomini
impiegarono parecchio tempo a riacquistare la vista, mentre dovettero versarsi
addosso tutta l’acqua che avevano per calmare i dolori laceranti al naso.
«Troviamoli!»
In tutta la catena del Khoral,
tra miniere abbandonate e grotte naturali, non era difficile trovare un buon
nascondiglio, e anche se non era comune per lui visitare quella parte di
foresta Daemon ne conosceva due o tre ben riparati che potevano fare al caso
loro.
Non potendo
spostarsi velocemente o agilmente a causa del suo attempato compagno di
viaggio, la sua scelta era infine ricaduta su di una piccola caverna scavata
nella roccia sulla sommità di un ripido pendio, da dove si poteva tenere
d’occhio i dintorni restando nel contempo ben nascosti dalle fronde.
«Qui dovremmo
essere al sicuro. Il terreno sassoso confonde le tracce, e se qualcuno si
avvicinasse ce ne accorgeremmo in un attimo.»
Il professore però
non lo seguiva, perché distratto da uno sciabordio incessante che sembrava
venire dal fondo buio della caverna.
«Che cos’è questo
rumore?»
«Un fiume
sotterraneo. Scorre sotto i nostri piedi, e sbuca nella foresta ad un paio di
miglia da qui.»
Jacob si stava
quasi convincendo che il peggio potesse essere passato, quando si vide
afferrare vigorosamente per il bavero e sollevare di peso.
«Ma voi chi
accidenti siete?»
«Che cosa
intendete dire?» replicò lui sudando freddo.
«Qui non si tratta
di assaltare un riccone per rapinarlo. Quei Macaire volevano farvi la pelle. E
ora vorranno farla anche a me, visto che per proteggervi ho dovuto uccidere uno
dei loro. Si può sapere perché vi vogliono morto?»
«Io… io non ne ho
idea, lo giuro. Non sono neanche mai stato da queste parti in vita mia.»
Forse c’era un’altra
possibile spiegazione.
«I Macaire sono
soprattutto predoni, ma Mytra e i suoi seguaci non
fanno complimenti quando si tratta di schiavisti o trafficanti. Siete implicato
in qualcosa del genere?»
«Assolutamente no.
Al contrario semmai. Sono l’unico docente dell’università ad avere dei semiumani
al mio servizio come assistenti.»
La situazione
negli ultimi minuti era stata così tesa che Daemon non aveva fatto caso al
pallore che si era materializzato sul volto del suo protetto, e fu solo quando
il professore, una volta lasciato libero, crollò malamente sul pavimento umido
che il giovane si accorse che qualcosa non andava.
«Vi sentite male?»
«Non… non lo so…
di colpo, mi sento stanchissimo…»
A Daemon cadde
immediatamente l’occhio sul graffio sul collo.
«Aspettate un
attimo.»
Avvicinatosi,
annusò attentamente, percependo un forte odore di cacao.
«Radice di darenia.»
Se prima era solo
pallido, nel sentire il nome di quel fiore il professore divenne letteralmente
bianco.
«Quindi si tratta
di…»
«Sarpide.»
«Ma… com’è
possibile!? Dovrei essere già morto.»
Ed era vero. Il sarpide era micidiale perché agiva nell’arco di pochi
secondi, ma c’era un’eccezione a questa sentenza altrimenti inevitabile.
«Voi soffrite
della malattia dello zucchero?»
«Cosa!? … Beh, sì…
Sfortunatamente sono giorni che non prendo le mie medicine. Le ho dimenticate
in una locanda e non le ho più ricomprate.»
«Meglio per voi
che non l’abbiate fatto. Avere molto zucchero nel sangue attenua tantissimo
l’effetto velenoso del sarpide.»
«Davvero!? Non
l’avevo mai sentita questa cosa. Quindi, vuol dire che sono salvo?»
«Non del tutto. Il
sarpide uccide molto in fretta, ma con la stessa
velocità viene anche espulso se la vittima non muore. L’importante è tenere
alto il livello dello zucchero per il tempo che sarà necessario.»
«E come si può
fare?»
«I modi ci sono.
Non dovrebbe essere troppo difficile. Andrò a cercare tutto il necessario. Voi
aspettatemi qui senza fare rumore, respirate lentamente e cercate di non fare
sforzi. Tornerò in pochissimo tempo.»
Nota dell’Autore
Salve a tutti!
Eccoci con un nuovo
capitolo, in perfetto orario!
All’inizio della
release di questo Volume 4 vi avevo pronosticato qualcosa di un po’ fuori dall’ordinario,
ebbene eccolo qui.
Questo capitolo e
il prossimo infatti costituiranno una specie di esperimento.
L’idea infatti è
quella di aprire, un domani, una ulteriore storia, una sorta di raccolta di spinoff incentrati sui personaggi secondari della storia,
che amplifichi le loro storie e aiuti a dare vita ad un universo più completo e
dettagliato senza pesare sulla trama principale.
La vicenda che
vede protagonisti Daemon e il Professor Hinckel
doveva essere il primo di questi racconti spinoff, ma
ho deciso di modificarla un po’ ed inserirla nel tessuto della storia
principale proprio per portarla alla vostra attenzione.
A seconda del
vostro gradimento, in futuro potrei cercare di dare vita ad altre storie
simili.
A presto!^_^
Cj Spencer