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Autore: aubrunhair    20/04/2024    8 recensioni
Era venuto al mondo un maschio poi finalmente e il suo essere maschio lavava via gran parte dell’onta e sarebbe stato il futuro della famiglia. Il cognome bastava e avanzava a renderlo il degno erede dell’erede di Reinier De Jarjayes.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 13
- Come faccio a sapere di potermi fidare di voi?

- Solo il tempo ve lo dirà. In ogni caso, sarei una sciocca a voler imbrogliare proprio voi. Non trovate?

- Questo lasciate che sia io a deciderlo. Avete già provveduto…?

- Certamente, madame. Se tutto va come deve andare – e accadrà – non c’è bisogno di preoccuparsi.

La donna annuì. Il piano non le era ancora del tutto chiaro, ma non aveva altra possibilità. A volte è necessario correre qualche rischio per avere ciò che si vuole. A maggior ragione se l’oggetto del desiderio è così ben al sicuro. Ma una come lei non poteva permettersi di contemplare la sconfitta.

Alzò una mano e la cameriera, muta, versò il vino rosso all’interno di due calici di cristallo. Non aveva visto né sentito niente.

L’altra, ossequiosamente in piedi, accettò il bicchiere. Lo portò alle labbra, le inumidì appena ma non bevve. Era lei, adesso, a non fidarsi. Che cosa sarebbe successo se ci fosse stato del veleno? Aveva un obiettivo ben preciso, non doveva perderlo di vista.

- Ricordatemi dove mi avete incontrata la prima volta…

- Al ballo di madame Élisabeth, alcuni anni fa.

- Capisco… - Si alzò dalla sedia e sprimacciò la stoffa blu della gonna. - E di quest’uomo… come si chiama…

- Il cardinale De Rohan.

- Siamo certe di poterci fidare?

- Madame, quell’uomo farebbe di tutto e crederebbe a qualunque cosa pur di entrare nelle grazie di sua Maestà. Lo sto studiando da diverso tempo e, credetemi, non sarà di certo lui il problema.

La donna la squadrò da capo a piedi, poi si voltò verso la finestra. Era lì, fuori nei giardini, il centro della sua attenzione. E dei suoi fastidi. - Molto bene. Avete già provveduto a inviare ciò che avevamo concordato?

- Certo. Proprio poco fa, come d’accordo. Con l’avviso di farglielo recapitare non prima di stasera.

Sorrisero entrambe e si guardarono. Dopotutto, la posta in palio era molto grande.

- Se rimarremo unite, non ci saranno motivi per cui questo piano fallirà. Voi avrete ciò che tanto bramate, mentre io… Io mi sarò finalmente liberata di quel detestabile ingombro che mi rovina le giornate da ormai troppi anni.

Un valletto entrò nella stanza, scusandosi per l’interruzione. Sua maestà chiedeva di lei. Lo congedò e si affrettò alla porta, ma prima volle ricapitolare quanto deciso.

- Domani sera, allora. Nel bosco di Venere.

L’altra annuì e la guardò andarsene. Sorrise tra sé e sé. Possibile che fosse così semplice? Che la contessa Di Polignac si lasciasse usare senza remore, solo per togliersi di mezzo qualcuno?

Jeanne uscì dal salottino nel suo abito di seta verde scuro, le mani stringevano il ventaglio. Proseguì fino alla scalinata ovest senza salutare nessuno. I suoi occhi brillanti fissavano un punto imprecisato davanti a loro. Peccava di superbia, peccava sempre. Ma era grazie alla superbia che era riuscita ad arrivare fino a lì e non avrebbe smesso di certo sul più bello.

Cominciava a fare freddo a Versailles quel tardo settembre. Appena giunta fuori, nell’androne della reggia, si strinse nello scialle e camminò per un centinaio di metri. Un’ombra sinuosa stagliata sul chiarore dello sterrato, solitaria. Accanto a lei la gente istintivamente passava al largo, inquietata dalla sua presenza tetra. Il pallore della pelle sbatteva contro i colori scuri dei capelli corvini e degli abiti.

Si incontrarono a pochi passi dalla sua carrozza, vicino al portone dell’ingresso principale. L’aveva riconosciuta da lontano. D’altronde, era impossibile non farlo. Nessun’altra donna a corte andava vestita con un’uniforme. Men che meno con i capelli sciolti sulle spalle e una spada in vita. Non fece niente per evitare di incontrarla, anzi. Rallentò un pochino. Per essere sicura di non arrivare all’uscita prima che l’altra si avviasse sulla scalinata.

- Buongiorno, madamigella Oscar.

Lei alzò gli occhi sui suoi e la guardò seria con sospetto. - Buongiorno a voi.

Non aveva troppa voglia di perdere tempo. La superò, lasciandola a un passo dal portone spalancato. Poi l’altra la chiamò.

- Volevo ringraziarvi, colonnello.

Oscar la studiò un attimo, non rispose.

- Mio marito è uno dei vostri uomini, è il capitano delle Guardie Reali. Mi parla molto bene di voi e volevo che sapeste che vi sono molto grata per non averlo mai trattato come l’ultimo arrivato. Anche quando lo era. Non me ne dimenticherò mai.

- Non faccio favoritismi, madame. È semplicemente mia consuetudine considerare tutti allo stesso modo. - Tagliò corto l’altra. Pensò che dovesse avere delle tempistiche tutte sue quella donna. - Temo di dovermi congedare da voi, adesso. Buona giornata.

Jeanne di nuovo la osservò andare via. La ammirava. E la invidiava molto. Perché per essere dove era non aveva mai avuto bisogno chiedere scusa al mondo di essere nata.

Almeno, così dava per scontato che fosse.



Arrivò la sera stessa a palazzo Jarjayes un baule piuttosto pesante. Insieme ad esso, una lettera imbustata senza stemma. L’uomo incaricato di consegnarli aveva ricevuto l’ordine di attendere una volta lasciati nelle mani di chi doveva riceverli. Non conosceva chi abitasse lì. Doveva solo svolgere quel compito.

Venne fatto entrare dalla governante nell’anticamera del salotto. Appoggiò il carico sul tavolo e aspettò in un angolo. Le cameriere che passavano avanti e indietro di tanto in tanto lo osservavano, ma non gli rivolgevano la parola. Un tipo strano, nessuno lo aveva mai visto.

Si guardò intorno silenzioso, finché dei passi sulla scalinata di marmo richiamarono la sua attenzione. Una giovane donna in abiti maschili lo raggiunse, accompagnata da un bambino che saltellava sui gradini.

- Buonasera, monsieur. - Non sembrava molto convinta della sua presenza, ma si adattò a riceverlo al meglio.

- Colonnello Oscar François De Jarjayes?

- Sono io.

L’uomo indicò il tavolo alle sue spalle. - Mi è stato dato ordine di consegnarvi quanto trovate là sopra. Non posso dirvi da parte di chi.

Oscar si avvicinò al baule, ne studiò l’esterno. Ebbe di nuovo quella sensazione di disagio.

Preferì dare la priorità alla busta, che magari ne avrebbe scoperto qualcosa in più. Tirò fuori la lettera, precisa e senza macchie. Diede un’occhiata a quello sconosciuto: era una grafia femminile. Non c’era la firma.

“Sono una donna di parola, io. Vi ho detto che non mi sarei mai dimenticata della vostra gentilezza e così ho voluto omaggiarvi.”

Aprì con cautela la cinghia che teneva chiuso il contenitore. Ne alzò piano il coperchio. Il giusto che bastò per vedere qualcosa che rifletteva la luce del lampadario a goccia.

Accanto a lei, Frans si aggrappava al piano del tavolo. In punta di piedi, per vedere cosa ci fosse nella strana scatola. Allungò un braccio, ma ritrasse subito la mano. Il tonfo con cui il baule si serrò lo spaventò. Rimase immobile. Guardò gli altri due concludere la loro breve conversazione.

- Potete riportarlo indietro. Arrivederci.

Lapidaria.

L’altro mosse il capo. Richiuse la cinghia e ritornò sui propri passi. Le monete d’oro sotto il braccio e la busta in tasca. Una cameriera richiuse la porta una volta fuori di casa, ma l’atmosfera pareva compromessa.

Oscar attese che se ne fosse andato prima di rispondere alle insistenze del bambino. Non sapeva neanche lei chi fosse. Tutto sommato, forse non le interessava. Conosceva però l’identità del mittente e le bastava. Che una volta terminato un discorso non ci ritornava su.

Le premeva altro in quel preciso momento.

- Non devi toccare le cose che non sono tue se non hai il permesso.

Frans se ne risentì. Gli sembrava di non riceverlo mai quel permesso. Anche se, in realtà, gli veniva data la possibilità di fare molto un tempo proibito. Se non c’era il generale, ben inteso.

Pestò i piedi sul posto e strinse i pugni. Non si interessò minimamente del fatto che la nonna li stesse chiamando per la cena. Né che Oscar non gli desse retta. Lo guardava lamentarsi in attesa che finisse.

Era una lezione che aveva appreso in fretta. Da che il piccolo aveva iniziato a fare i capricci. I primi tempi le dispiaceva rimproverarlo perché piangeva, pur per un nonnulla. Come con la regina, era indulgente davanti alle tristezze delle persone a lei care. Ma sua maestà era una donna adulta ormai; Frans ancora un bambino e doveva imparare. Non poteva averle vinte tutte e sempre. Specialmente quando qualcosa non lo riguardava.

Allungò una mano perché lui non sbattesse contro uno spigolo. Attese un poco e la sua pazienza fu premiata. Venne notato il suo silenzio. La disperazione scemò.

- Oscar… - Le disse Frans asciugandosi gli occhi. Non aveva versato neanche una lacrima.

- Dimmi.

Un copione che si ripeteva sempre uguale. E che la inteneriva, a tempesta conclusa: aveva pur sempre tre anni. Quando il capriccio si risolveva in fretta, non c’era da imporsi più di tanto.

- Andiamo?

- Prima voglio che tu capisca che comportarsi così non serve a niente. - Prese la sua mano e si diressero verso la sala da pranzo. - E devi chiedere scusa alla nonna: urlavi mentre lei ci parlava e non si fa.

Il bambino annuì e le camminò accanto. Ci andò da solo da Marie nella stanza adiacente. Gridò il suo nome, come se non fosse lì davanti a sé. Le promise di non farlo più. La donna lo perdonò con un abbraccio, stretto alla gonna violetta.

Oscar lo ascoltava da lontano, accanto al tavolo. Sorrise e scosse la testa a quella bugia. Lui non si rendeva ancora conto, probabilmente, che lo era. Ma lo sapevano tutti che sarebbe successo ancora. Bisognava solo sperare che non esagerasse.

L’arrivo di André la distolse dai pensieri. Lui, a differenza del bambino, era meglio che venisse messo al corrente. Anche se, come sempre, la anticipò. Perché aveva visto tutto dal fondo del corridoio, ma non aveva sentito cosa si fossero detti.

- Chi era quell’uomo?

Tradì una certa preoccupazione la sua domanda. Sconosciuti a palazzo potevano essere pericolosi. Se non nell’immediato, in futuro.

- Jeanne Valois voleva corrompermi.  - Non sembrava particolarmente colpita dal fatto.

- Corromperti? - Le spostò la sedia e l’accompagnò al tavolo.

Udirono Marie e Frans avvicinarsi alla porta aperta tra le due stanze. Abbassarono la voce, per non attirare troppo la loro attenzione.

- O comprarmi, mettila come vuoi tu. Una cosa però mi sembra strana. L’uomo che ha mandato si aspettava che io rifiutassi. È rimasto nell’ingresso.

Gettarono un’occhiata verso la porta. Poi si guardarono, in silenzio. Si misero a bisbigliare.

- Cosa intendi fare?

- Ancora non lo so, ma tieni gli occhi aperti anche tu.



L’uomo aveva lasciato palazzo Jarjayes ed era salito accanto al cocchiere. Subito prima di partire, aveva lasciato il baule all’interno della carrozza. Come era stato convenuto.

- Come sapevi che avrebbe rifiutato? - domandò Nicolas.

Sua moglie sedeva nell’angolo buio davanti a lui. Entrambi coperti da un pesante mantello nero. I cappucci tirati su a celare il viso.

- Madamigella Oscar è una persona dalla morale integra. Ed è nobile. Una nobile vera. Non ha bisogno di un baule di monete d’oro. - Poi abbassò leggermente il tono, incupito: - Non ne ha mai avuto bisogno…

- Presumo che la contessa e il cardinale non verranno mai a sapere di questo diniego.

Jeanne sorrise compiaciuta. - Ovviamente, mio caro.

- Passi il cardinale De Rohan, ma… la Polignac è una donna furba. Mi sembra già troppo strano che si sia fidata…

Lei lo interruppe con una mano levata nel vuoto.

- Jolande De Polignac detesta madamigella Oscar più di qualsiasi persona al mondo. Farebbe di tutto pur di infangarla. Anche dare cento per avere in cambio la metà. Noi, invece, abbiamo bisogno di un appoggio per rendere credibile il perdono della regina verso quel religioso e procedere con il piano. C’est tout.

Nicolas si spostò accanto a lei sul sedile. Le abbassò il cappuccio per guardarla meglio negli occhi. Erano di un verde smeraldo brillante. Lo avevano sempre spaventato. Per questo l’amava tanto. In modo sordido, oscuro.

Jeanne era per lui una sorta di demone. Le aveva donato l’anima. E lei l’aveva accettata. Accettava tutto pur di non essere più sola, di non morire di fame. Perfino macchiarsi di un crimine. O più di uno.

- Ora ascoltami bene. - Proseguì la donna, seria. - Queste monete le terremo noi, ma a quei due faremo sapere che il colonnello le ha accettate. La contessa oramai ha avuto ciò che voleva: un motivo in più di cui parlare male di lei alla corte e qualcuno che garantisca. Dopo l’incontro di domani sera al bosco di Venere, il suo contributo sarà esaurito.

L’uomo annuì. Prese le sue mani e le strinse, avvicinandola ancora di più a sé.

- Non possiamo permetterci di coinvolgerla di più, o avanzerà ancora più pretese. Io non ho intenzione di dividere niente con nessuno, Nicolas. A eccezione tua.
 
   
 
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