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Autore: EmmaJTurner    25/04/2024    5 recensioni
Un cancello aperto illegalmente; un'accusa di terrorismo interno; una botanica, un ragazzino e un gatto in fuga in pieno inverno. Cosa potrà mai andare storto.
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cercasi Ammazzamostri'
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Pigne e Pignoleti

“Non abbiamo alcun indizio utile, è questa la verità” disse Logan.

Gale, seduto a letto con le schiena contro il muro, incrociò le braccia al petto. Fuori, la bufera ululava e scuoteva gli alberi che scricchiolavano sopra le loro teste.

“Se non prevedi di contribuire positivamente a questa conversazione, ammazzamostri, quella è la porta” disse Gale con tono pacato. Dopo quasi tre ore di discussione notturna del Gran Piano d’Azione, perfino lui era arrivato al limite della pazienza.

Logan, in piedi accanto al camino della camera da letto, fece una smorfia. “Non intendo solo per trovarla. Tu non c’eri giù a Darren, non hai visto di cosa è capace. E non lavora da sola; ci vorrebbe come minimo una squadra di maghi per tirare giù lei e i suoi seguaci, per non parlare dei maledetti cancelli”.

“Sappiamo che sta cercando il sangue di drago” si intromise Meli. “Se lo trovassimo noi prima di lei, probabilmente sarebbe già una vittoria”.

“È introvabile” rincarò Logan. “E lo so perché ci ho già provato”.

“Ora abbiamo alleati inaspettati, però”.

Logan la squadrò. “Balsìk, vampiri, ranger e fate? Bella squadra” commentò scettico.

Lynette lo fulminò con lo sguardo e si lisciò i capelli con fare altezzoso.

“La signora ha detto che possiamo fare un’altra lettura. Possiamo chiedere cose diverse” suggerì Theo. “Ad esempio dove si trova il sangue di drago”.

“Non servirebbe a nulla” replicò Meli. “Nessuna di quelle risposte ha alcun senso”.

Theo abbassò il visetto abbacchiato e Meli si pentì del tono aggressivo. 

Gale inspirò. “Siamo stanchi. E siamo comunque bloccati qui fino alla fine della tormenta. Prendiamoci qualche giorno per riposare e pensarci su”.

Nei giorni seguenti fecero altre due letture, ma i responsi non differirono granché. Sempre miseria, sempre luce, primavera e l’onnipresente perseveranza. Chiesero anche perché la mutaforma avesse tanto interesse a riempire il mondo di mostri disgustosi, ma la risposta era stata di una vaghezza esasperante: vendetta, violenza, ineluttabilità e una serie di altri sinonimi altisonanti. Come preannunciato da Gale, il cattivo tempo, con tanto di bufera di neve e vento ululante, non accennò a smettere. Bloccati sottoterra, i sei fuggitivi continuarono a barattare l’ospitalità con le loro storie, piccoli lavori di manutenzione e magre battute di caccia. Lynette raccontò di quando era stata cacciata dalla sua comunità di fate per distribuzione illegale di iperico, un decente antidepressivo; Gale del suo primo incarico come ranger a dodici anni. La terza sera fu il turno di Logan. La sua storia, tagliente e concisa, aveva ronzato nelle orecchie di Meli per tutta la notte successiva.

“Da bambino vivevo a Porto Venia. Mia madre era una meticcia, mezza elfa, che lavorava come serva di un mercante del luogo. Il padrone la picchiava e la violentava. Picchiava anche me, quasi tutti i giorni. Avevo sette anni quando è riuscita a farmi mandare via tramite alcuni suoi parenti. Mi hanno iscritto all’Istituto; dopo gli studi sono tornato in città per ritrovarla. Ma era già morta. Non l’ho più rivista”.

Meli aveva ascoltato con gli occhi fissi sul pavimento e una rabbia pulsante contro le tempie. Immaginare Logan come un bambino indifeso di sette anni o come un adolescente privato della madre le faceva venire voglia di piangere e urlare insieme. Un passato del genere la diceva lunga sull’uomo che era diventato. 

Cassandra aveva annuito e allargato le braccia con grande melodrammaticità. Lynette, con la sua luce soffusa, era andata a posarsi sulla spalla dell’ammazzamostri in un gesto di muto affetto.

La giornata seguente fu mesta. La mattina Gale scrisse a tutte le sue conoscenze; una dozzina di persone, aveva dedotto Meli contando le buste che sarebbero state lasciate cadere casualmente da Lynette al servizio postale più vicino. Ne approfittò per aggiungere al mucchio una lettera indirizzata a Aiden con un riassunto dei recenti avvenimenti. Non la firmò, certa che il paladino avrebbe riconosciuto la sua orrenda calligrafia alla prima sbilenca A.

Lynette annodò le lettere con un fiocco e assicurò che se ci fossero state novità dal piccolo popolo in un modo o nell’altro ne sarebbero venuti a conoscenza. Poi, caricate le missive sotto la minuscola ascella, svanì in una cascata di polvere luccicante.

Meli ripensò ai balsìk. Magari l’avrebbero fatta fuori loro, quella ragazzina svitata, e tutto sarebbe potuto tornare alla tanto agognata normalità. Lei sarebbe potuta tornare al suo negozio — maledetti coloro che lo avevano sfasciato — Logan e Lynette ai rispettivi lavori, Gale e Astrid alle loro peregrinazioni, Theo…

Theo.

Theo non sarebbe potuto tornare da nessuna parte. 

“Mi annoio a morte” protestò Astrid contro il mugghiare del vento sopra il tetto di terra. Era rimasta sdraiata a letto tutto il pomeriggio e aveva un’espressione affranta. Meli, buttata a sua volta su un materasso dalla parte opposta della stanza, comprendeva il suo sentimento. Senza nemmeno poter dormire, le giornate per lei dovevano essere interminabili.

Lynette, ubriaca di grappa al sambuco dopo il faticoso trasferimento delle missive, ronfava alla grossa su un gomitolo di lana grezza; Theo era tutto intento a grattare via un ciottolo particolarmente ostinato dalla parete; Logan e Gale erano rimasti in cucina a sopportare i lamenti di sua madre.

Scorrendo per l’ennesima volta con lo sguardo i disegni delle radici attorcigliate sui massi di pietra del soffitto, Meli si impegnò a formulare una replica valida. Anche lei si annoiava.

“Quanti anni avevi quando è successo?” le uscì. Probabilmente era una domanda troppo personale. Pazienza.

Astrid torse il collo e la squadrò sospettosa. “Perché ti interessa?”.

“Non mi interessa. È per passare il tempo”.

Per qualche secondo ci fu solo il furioso soffiare del vento che faceva scricchiolare gli alberi sopra le loro teste.

“Diciassette” rispose infine la vampira. “Avevo diciassette anni quando sono stata trasmutata”.

“E quando…?”.

“Cinque anni fa”.

“Com’è successo?”.

Astrid rimase in silenzio a lungo, indecisa se condividere quelle informazioni private. Evidentemente ritenne che anche una pessima conversazione sarebbe stata meglio della noia assoluta, perché continuò: “Non c’è molto da dire. Io e mio fratello eravamo da soli; loro erano in cinque, giovani e stupidi neovampiri che volevano divertirsi. Ci avrebbero ammazzato se non fosse intervenuta una paladina che passava di lì. Ne ha uccisi quattro; ci ha salvato e se n’è andata come se niente fosse. Non ci sono pene per chi uccide i vampiri”.

Meli lo sapeva. Un vampiro, al pari di un licantropo, era un subumano agli occhi della legge. Nessuno veniva perseguito per la loro uccisione. Le venne voglia di chiederle come la faceva sentire, questa cosa. Come la faceva sentire sapere che se domani qualcuno l’avesse uccisa, nessuno avrebbe urlato all’omicidio? Si accigliò percependo un’estranea scintilla di compassione. Theo smise di grattare il muro e allungò il collo per ascoltare.

“Ci siamo quindi trasferiti nel ghetto della città, dove siamo stati tatuati e accolti dal clan locale. Ma i vampiri non possono essere legalmente assunti, quindi a parte mendicare, drogarsi e attendere il ridicolo reddito statale, non c’è molto da fare. Per fortuna poi è arrivato Gale, che ha garantito per noi all’Ufficio Impieghi e ci ha dato un lavoro. Insieme cerchiamo persone scomparse”.

Disse l’ultima frase con un tono fintamente disinteressato, ma si sentiva che la sua voce si era fatta più gentile. 

Ranger e vampiri. Non era la prima volta che Meli incontrava simili comitive sulla sua strada. I primi con la loro sensibilità dell’ambiente circostante e i secondi con il loro odorato formavano un’eccellente accoppiata di segugi. Se avessero avuto qualche indizio in più sulla mutaforma, forse avrebbero potuto trovare persino lei. Meli accantonò questa riflessione per future considerazioni.

“Tuo fratello è il vampiro con cui eravate a Darren, vero?”.

Astrid asserì.

“Dov’è adesso?”.

“A Porto Venia. È stato assunto da uno di quei contrabbandieri di spezie. Un’ottima opportunità, per quelli come noi“.

Per quelli come noi. Meli era combattuta. Voleva rispondere con qualcosa di intelligente e sensibile, ma le venivano in mente solo stupide frasi di circostanza che, ritenne, Astrid non avrebbe apprezzato. 

“Sono felice che stia bene” mugugnò a disagio fissando le volute di radici sul soffitto. Pensò alle sue sorelle. Chissà dov’erano, se anche loro stavano bene. Forse sua madre lo sapeva. Avrebbe potuto fare lo sforzo immane di chiederglielo…?

“E tu?”.

Sorpresa, Meli si riscosse. “Io cosa?”.

“Quando è successo?”.

“Quando è successo cosa?”.

“Che sei diventata così schifosamente curiosa. Sembri Theo”.

Il bambino le fece la linguaccia e tornò a lavorare sulla sua opera muraria.

Meli, offesa, si irrigidì. Le lanciò un’occhiata fugace. “Non volevo essere invadente”.

“Sto scherzando” le rispose la vampira con il sorriso nella voce. “Ma non trattarmi da menomata: non lo sono. È stata… sfortuna. Poteva capitare a chiunque”.

Meli annuì meditabonda.

Astrid inspirò e espirò a fondo. “Di certo non è una vita che augurerei a qualcuno; ma è pur sempre una vita. E col tempo si impara a farci pace”.

Quella sera fu Astrid a condividere la sua storia con il gruppo. Forse per noia, forse per la piega presa dalla conversazione del pomeriggio; si prese qualche secondo per prendere coraggio, si schiarì la voce e iniziò a raccontare del primo incontro con Gale. Un racconto dolceamaro, di gratitudine, rispetto e fiducia inattesa. Astrid cercò di suonare il più piatta possibile nel rivangare quei ricordi, ma ogni tanto la voce le si spezzava. Quando smise di parlare e nell’aria vuota rimase solo il crepitare delle fiamme, Meli si accorse di avere un nodo in gola e una crepa nell’anima.

***

Mezzinverno passò. Passò Natale, e dicembre finì. Cassandra accese dodici candele nere per celebrare la morte del vecchio anno; Meli regalò a Theo una collana di dodici pigne come buon augurio per quello in arrivo. Il bambino accettò il dono con tanto d’occhi e pianse in silenzio tutta la notte. 

Il mattino del primo gennaio il cattivo tempo si quietò un poco. La neve ormai arrivava al ginocchio e copriva ogni cosa, ma il vento si era placato e ci si poteva godere un po’ il sole sotto l’azzurro accecante del cielo.

Sul sentiero davanti alla casa-collina Theo giocava a lanciarsi bacche di rosa canina con un pignoleto selvatico. La creaturina, in piedi su un ceppo ripulito dalla neve e con la lingua tra i denti dalla concentrazione, caricava all’indietro il braccio a stecchino con l’intero peso del corpo e colpiva con una mira micidiale. Theo ridacchiava mentre tentava di evitare la sassaiola di colpi. 

“Smettila di infastidire la fauna locale, Theo” lo ammonì Meli.

“Ci stiamo divertendo!”.

“Lui pensa che tu sia una lumaca troppo cresciuta. Sta cercando di abbatterti”.

“Non sono una lumaca!”.

“Non ho detto che sei una lumaca. Ho detto che lui pensa che tu sia una lumaca”.

Theo guardò il pignoleto, poi guardò se stesso. “Non ci vede tanto bene, mi sa”.

Meli sorrise mentre Theo si beccava una bacca dritta in fronte.

“Non farti mangiare. Io vado nell’orto”.

Meli si avviò verso il retro della casetta interrata, dove sorgeva un orto in stato di semiabbandono per la stagione invernale. Una piccola costruzione di legno lì accanto ospitava le galline, ben felici di starsene al chiuso a chiocciare. 

Vagò per l’orto abbandonato. Nei giorni precedenti aveva già spalato nel tentativo di recuperare i cavoli e i radicchi sommersi sotto i cumuli di neve; afferrò la pala appoggiata al pollaio e si rimise al lavoro. Dopo mezz’ora, sudata e accaldata, aveva recuperato solo tre radicchi mosci e un borzocco infastidito da tutto quel movimento.

Udì dei passi. Ancora accovacciata nella neve, Meli alzò la testa. Un ammazzamostri a braccia conserte la studiava dall’alto.

“Ah, eccoti qui. Renditi utile”.

Gli lanciò i radicchi. Il borzocco, con il suo musetto peloso e le poderose zampe e molla, fece uno schiocco indignato e con un balzo arrivò al tetto del piccolo pollaio.

Logan scoccò un’occhiata alla bestiolina e poi tornò a rivolgersi a Meli, che nel frattempo era tornata alle sue operazioni di scavo.

“Vi somigliate”.

“Chi, io e il borzocco?”.

Logan sbuffò. “Tu e la Lettrice”.

Meli finse un’indifferenza che non provava. “Intendi che abbiamo lo stesso carattere di merda?”.

“Avete lo stesso taglio degli occhi”.

“Mmh”.

Logan non parlò per un po’. “Le strigi dei tuoi incubi” disse piano. “È stata lei, nella speranza che sviluppassi il dono”.

Sempre troppo perspicace. Troppo, troppo perspicace.

Avere una Lettrice in famiglia significava poter fare affidamento su un guadagno stabile; ciò portava i genitori più disperati alla discutibile pratica di far subire di proposito eventi traumatici alle figlie femmine nella speranza che queste acquisissero il dono. Pratica che Cassandra aveva imposto a tutte le sue figlie, legate nella radura in attesa delle strigi. Per nessuna di loro, però, quello stratagemma aveva funzionato: nessuna aveva sviluppato il dono della Lettura del Fuoco. Avevano sviluppato però una notevole idiosincrasia nei confronti della madre, che si erano affrettate ad abbandonare al suo eremo solitario non appena raggiunta un’età consona alla fuga.

“Indovinato. Vuoi un premio?” rispose Meli con un astio non voluto.

“Ora capisco perché ti è difficile stare qui”. Il tono di Logan era freddo, ma la sua espressione era gentile.

Meli sbuffò. “Siamo qui perché con l’inverno non si scherza. L’ho già provato sulla mia pelle e non voglio ripetere l’esperienza”.

“Mmh. Di certo quella profezia era una merda”.

Meli, controvoglia, sorrise. “Te l’avevo detto che mia madre era una ciarlatana”.

“L’hai detto anche di me, una volta”.

“Oh, lo penso ancora. Sei un pessimo ammazzamostri”.

“Tu una pessima bugiarda”.

“So mentire molto bene quando voglio”.

“Come quando hai lasciato intendere a quella Guardia di essere una lucciola? La vecchia muta sarebbe stata più credibile di te”.

Meli raccolse una manciata di neve e gliela tirò. “Smettila di farmi ridere”.

Logan la guardò con un’ombra di un sorriso. C’era una nota di lieto affetto nei suoi occhi. 

Meli sapeva che c’era lo stesso sentimento anche nei propri; non tentò nemmeno di nasconderlo. Si alzò e si spazzolò via la neve dai calzoni. “Quella storia che hai raccontato…”.

“Non devi dirmi che ti dispiace. È stato tanto tempo fa” la troncò subito.

Meli non si lasciò intimorire. “Non è colpa tua se non sei riuscito a salvare tua madre. Eri un bambino”.

In evidente difficoltà, Logan aprì la bocca e la richiuse; incapace di dire alcunché, volse il viso verso il bosco innevato.

“Avevi bisogno di un adulto che venisse in tuo aiuto, e quell’adulto adesso sei tu” continuò lei imperterrita. Sentiva che doveva dirglielo, che era importante. “Sei diventato l’uomo di cui da bambino avevi bisogno, e ora c’è chi ha bisogno di te. Puoi fare ancora molto per gli altri, Logan”.

L’ammazzamostri, ostinato, mantenne il viso in direzione degli alberi. I suoi occhi erano vuoti e opachi, persi in pensieri inaccessibili. Dopo un infinito silenzio, le chiese: “Il ranger vuole trovare la mutaforma. Se decidesse di partire… lo seguirai?”.

Confusa dal cambio di argomento, Meli si morsicò l’interno della guancia. “Non lo so. Lo ammiro per il suo coraggio, però… davvero, non lo so. Qui siamo al sicuro. Theo è al sicuro”.

Fece i due passi che li separavano e si riprese i radicchi ibernati. “Tu cosa pensi di fare?”.

“Sai già qual è la mia risposta”.

Sinceramente confusa, Meli sbatté gli occhi. Poi, quando capì, una nota di impertinenza le increspò le labbra in un sorriso. “Non so a cosa ti riferisci”.

“Lo sai. Non farmelo dire”.

“Non lo so. Dimmelo”.

Logan rimase serissimo; non aveva nessuna intenzione di giocare a quel sporco tira e molla.

“Lo sai. Se tu andrai, io verrò”.

Per coprirti le spalle. Per proteggerti.

Colpita dritto al cuore, Meli si impegnò per mantenere un’espressione incurante. “Questa sì che è una dichiarazione d’amore”.

Logan fece una smorfia disgustata e distolse lo sguardo. “Smettila di usare quella parola”.

“Quale? Amore?”.

“Mi viene l’ulcera solo a sentirla pronunciare”.

Osservandone il profilo rigido contro il cielo azzurro, Meli provò compassione. Allungò timidamente una mano e intrecciò le dita con le sue. Logan fu scosso da un fremito, ma non si ritrasse. 

“Andrà tutto bene”.

Logan sospirò. “Questa è davvero una delle peggiori stronzate che tu abbia mai detto”.

Meli sorrise. “Oh, insomma. Sto cercando di trovare il lato positivo della faccenda”.

“Non c’è alcun lato positivo”.

“No?”.

Fece un passo in avanti. Le loro giubbe si sfiorarono.

Logan vacillò. “Odio tutto questo”.

“Questo cosa?”.

“Questo…” prese fiato, “potere che hai su di me”.

“Non sto facendo niente”.

“È proprio questo che mi spaventa”.

Non riuscì a resistere. “Oh oh oh, l’ammazzamostri spaventato da un’innocente botanica che…”

Logan liberò la mano dalla stretta di lei, la agguantò con entrambe le braccia e la strinse contro di sé. Improvvisamente Meli dimenticò come finire la frase.

“Adesso hai perso la lingua?” la prese in giro.

Incatenata ai suoi occhi, Meli si sentì un’idiota come mai in vita sua, a perdere la voce — e il buonsenso — in quel modo patetico. Deglutì e, ignorando il profumo e il calore di quel corpo addosso al suo, rispose con un intelligentissimo: “Ehm…”.

Adesso erano vicini come lo erano stati in quel vicolo affollato di Andaréz; così vicini che i loro respiri si mescolavano in nuvolette di vapore caldo. Ma stavolta non c’erano cappelli piumati e la scusa di una finta identità a tenerli lontani. Stavolta, pensò Meli nebbiosamente mentre le labbra di Logan si avvicinavano alle sue, non c’era nessun motivo di restare lontani…

Un doloroso proiettile molle le colpì la tempia.

Meli scattò irosa. “Ma che…!”.

Il pignoleto fuggì rapido nella neve. Poco distante, un Theo dall’espressione colpevole incassò la testa tra le spalle.

“Mi spiace! Ho cercato di fermarlo, ma è stato troppo veloce” pigolò tormentandosi le mani.

In quel momento apparve svolazzando anche Lynette, che con un’occhiata inquadrò il bambino abbacchiato e i due adulti stretti attorno ai radicchi.

“Disturbo?”. 

Tempismo perfetto. Meli, esasperata, chiuse gli occhi. “Per niente. Che cosa c’è?” le chiese fallendo nel moderare il tono astioso.

“La Lettrice dice che la rosa canina la vuole entro sera. E bisogna portare dentro la legna. Ci pensate voi?”.

Dissero che se ne sarebbero occupati loro. Meli propose di andare insieme a raccogliere le bacche, ma Logan declinò con fermezza. Preferiva stare da solo, le disse. Aveva bisogno di pensare. La sua espressione era tornata insondabile.

***

Mentre riempiva il cestino dei piccoli frutti rossi di rosa canina, Meli spense il cervello. I suoi piedi si mossero da soli, lasciando impronte leggere sulla neve, portandola a attraversare i luoghi della sua infanzia.

Un piccolo stagno, d’estate pieno di girini e gracidare di rane, le si presentò davanti ghiacciato e immoto. Vi sorgeva nel mezzo un isolotto di terra e erba con un paio di cespugli e un ceppo d’albero. Da bambina Meli sedeva sul ceppo e fingeva che l’isolotto fosse una nave pirata. All’epoca non aveva ancora mai visto né il mare, né una nave, né tantomeno un pirata; basava tutte le sue avventure immaginifiche sui racconti epici di nonna Nene. Non per questo quel gioco di fantasia era meno meraviglioso.

Posò un piede sull’asse traballante che collegava la riva all’isolotto — e che, miracolosamente, dopo tutti quegli anni stava ancora lì — e raggiunse il lembo di terra. Lo attraversò tutto in sei passi, posò a terra il cestino e si sedette sul ceppo ormai troppo basso per lei.

Si concesse qualche minuto di spensieratezza, rievocando ricordi felici dei suoi anni di bambina: i giochi con le sorelle, le cacce al tesoro, gli intrugli di fiori e fango. Un’infanzia non sempre facile, ma tutto sommato costellata di piccole gioie.

Gioie che altri bambini non avrebbero più potuto vivere.

Melissa.

Il cuore le balzò in gola, facendola tornare prepotentemente al presente. Quella voce nella testa non era la sua — ma sapeva a chi apparteneva. C’era solo una razza in grado di infilarsi in quel modo nei pensieri di qualcuno. Ne vide il riflesso distorto nello stagno.

Lentamente alzò gli occhi.

Al di là della striscia d’acqua e ghiaccio, si ergeva una driade. Con viso e corpo di legno intrecciato, capelli di rami e piedi radicati nel terreno, non sarebbe stato difficile scambiarla per un albero. Un albero mobile che ti parlava nella testa, però.

Ho un messaggio per te, Melissa, continuò la driade. La sua voce era il fruscio delle foglie di primavera, era lo zampettare di scoiattoli lungo i rami. Sono giorni che ti aspetto.

Meli annuì e placò i propri pensieri per invitarla a continuare.

Non sappiamo dove si trova, ma sappiamo dove è diretta.

Nella mente di Meli apparve il viso della ragazzina con i capelli bianchi. Aveva un taglio sulla guancia e una luce spiritata negli occhi.

Non è sazia del sangue finora versato. Si muove in fretta. E l’oggetto del suo desiderio si muove verso di lei.

Due fiale rosse posate dentro un cofanetto di velluto blu. Meli provò uno spiacevole senso di inquietudine.

Un sangue troppo potente per essere usato con scopi malvagi. Troppe vite sono in pericolo.

Meli si vide passare davanti agli occhi la visione dell’intera Zolden in fiamme devastata da bestie inimmaginabili; fumo, sangue e stridii orrendi sotto il cielo nero. Poi l’immagine cambiò. Vide una cascata.

Questo è il luogo in cui avverrà lo scambio. 

Meli annuì. Lo conosceva. 

La mutaforma e il portatore del sangue si incontreranno qui entro la luna nuova. Resta poco tempo. Questo dicono i balsìk. 

Cosa dobbiamo fare? le chiese Meli. Si sentì avvolgere da uno sconforto non suo; dedusse che la driade non sapeva cosa risponderle.

Fa’ ciò che è giusto. Fa’ ciò che è buono, disse la driade.

Devo ucciderla? 

Devi liberarla.

Da cosa?

Da sé stessa.

E come?

Chiedi all’uomo saggio.

Prima che potesse chiedere Chi cazzo è l’uomo saggio?, Meli percepì un soffio di vento fresco sulle tempie. La driade stava sciogliendo la connessione mentale. Frustrata, la donna pronunciò la domanda ad alta voce.

La driade, con gli occhi neri intagliati come due fessure nelle venature della corteccia del viso, non rispose. Non poteva: non aveva la bocca. Fece invece aderire le braccia lungo il corpo e cominciò ad allungarsi e irrigidirsi in una posa assai scomoda.

Meli, impotente, la ammirò tramutarsi definitivamente in un albero. Un inutile, immobile albero.

Si prese un momento per assimilare lo shock. Poi chiuse gli occhi, li riaprì, prese fiato e si mise a correre. Scapicollò tra gli alberi e la neve alta, evitando le rocce e i cespugli di rovi. Perse metà del suo raccolto di piccoli frutti, ma decise che non era importante. Non ora.

Aveva il fiatone quando giunse davanti alla casa. Theo era ancora fuori a giocare. Anche Logan era lì, con le braccia cariche di legna da ardere. Si allarmò vedendo la sua faccia sconvolta. 

“Che è successo?”.

“Una driade. Mi ha parlato. Sanno dove si trova. Cioè, dove sta andando”.

Lynette, seduta in cima alla testa di Theo, annuì solenne. “Sempre avanti, le driadi”.

Entrarono e tutto il gruppo fu richiamato in cucina. Meli raccontò quanto era appena accaduto al meglio delle sue capacità. Non era facile spiegare una conversazione mentale, perché non si svolgeva solo a parole. Cercò di rievocare ogni sfumatura, ogni immagine e ogni sensazione che la driade le aveva trasmesso.

“La cascata della Montagna Spaccata? Sei sicura che fosse proprio quella?” si assicurò Gale.

Meli esitò. “Abbastanza, sì”.

“E prima della luna nuova, ha detto? È tra meno di una settimana”.

“Esatto”.

Ancora in stato di agitazione, Meli incrociò lo sguardo dei suoi compagni di viaggio radunati attorno al tavolo della cucina. L’aria crepitava di anticipazione. Era uno di quei momenti in cui il tempo sembrava diventare più lento e denso, come a voler ricordare agli astanti di imprimerselo per bene nella mente.

Per ultimo, guardò Theo.

Il bambino le sorrise. “Insomma, andiamo a salvare il mondo?”.

Meli si accorse che nel suo cuore la risposta c’era già da un pezzo. 


FINE PARTE IV


 

Spazio dell’Autrice

Infine, eccoci. La Parte IV è ufficialmente conclusa. È la prima volta che mi destreggio in scene con così tanti personaggi; spero di aver dato il giusto spazio a tutti. Cosa ne pensate di questa Parte IV? Siete delusi o soddisfatti? Cosa vi aspettate dalla prossima? Che personaggi vorreste rivedere? Fatemi sapere, io gioisco delle vostre opinioni e teorie per il futuro.

Come al solito, mi prenderò una pausa dalla pubblicazione per pianificare e scrivere la Parte V, che sarà l’ultima. Conto di completare e condividere con voi tutto il romanzo entro la fine dell’estate.

Grazie, intanto, di avermi fatto compagnia fino a qui <3

P.S.: Chi ha beccato la citazione di Twilight?

   
 
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