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Autore: Jamie_Sand    27/04/2024    2 recensioni
Nel pieno della seconda guerra magica, lontano dalla famiglia, senza più una fidanzata e con ben pochi amici rimasti al suo fianco, il giovane Percy Weasley cerca di fare del suo meglio per limitare i danni.
Poi, una notte di fine ottobre, l'incontro con una babbana di nome Audrey Manning.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Audrey, Famiglia Weasley, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo 20


Nonostante Hogsmeade fosse stata presa letteralmente d’assalto da chi come loro erano in attesa di andare a Hogwarts per assistere alla celebrazione, quella mattina il pub Testa di Porco si presentava mezzo vuoto come sempre. Tuttavia, oltre alla solita clientela, un gruppetto di giovani, due maschi e due femmine, avevano deciso di occupare uno dei pochi tavoli traballanti e sudici disseminati per il locale. 

Percy, che sedeva sulla sedia che dava le spalle all’entrata, guardava Oliver Baston, seduto proprio davanti a lui, con aria assente, a destra Penny e a sinistra Katie, anche loro sedute attorno a quel tavolo con una tazza di pessimo tè sotto il naso. A parte loro, che avevano instaurato la tradizione di vedersi in quel pub la mattina del due maggio, poco prima della celebrazione, c’erano due uomini incappucciati seduti al bancone, un gruppetto di vecchi maghi già ubriachi e una strega interamente coperta da un fitto velo nero in un angolo vicino al camino spento. Aberforth Silente, più vecchio e più burbero di tre anni prima, serviva da bere alla clientela e fingeva di pulire bicchieri e bancone con un panno che necessitava un bel lavaggio. 

Il Testa di Porco non era cambiato affatto: era ancora polveroso, sporco e con una clientela un po’ strana. 

– Dovete spiegarmi perché continuiamo a venire qui ogni anno. – Disse Penelope, facendo riaffiorare Percy dai suoi pensieri. 

Oliver e Katie si scambiarono un rapido sguardo tra loro, poi il ragazzo guardò Percy come per dire “forza, rispondile tu”. 

Ecco, se Penelope era adorata dalla famiglia di Percy, non si poteva di certo dire che ricevesse lo stesso trattamento dagli amici dello stesso. Katie era dell’idea che Penny non fosse poi così adatta al giovane Weasley, mentre Oliver trovava quella sua aria da principessina accomodante un po’ irritante. 

– Te l’ho detto, abbiamo fatto amicizia con il signor Silente durante la guerra. – Disse Percy, guardando la ragazza. 

Penny si guardò attorno con aria vagamente disgustata. – Lo capisco… tuttavia non è un posto così accogliente. Il tè potevamo prenderlo da Madama Piediburro. – 

Seguì un attimo di silenzio, poi Oliver aprì la bocca pronto a cambiare discorso, ma venne interrotto da Percy: 

– Tu non hai fatto la guerra, non hai combattuto quella notte, quindi non puoi capire i legami che si creano in quei momenti. – Disse di getto. –Tu non hai visto ciò che abbiamo visto noi, tu non hai perso niente… –  

Gli occhi di Penelope lo fissarono intensamente, come se volessero passargli attraverso. Era questo il problema. Secondo Percy lei non aveva sofferto abbastanza, non aveva perso abbastanza. Tuttavia Penelope sentiva che in quella guerra aveva perso l’unico che avesse mai amato, anche se lui era ancora lì fisicamente. 

Non rispose, facendo cadere la questione nel vuoto. 

– Non è poi così male il tè, in fin dei conti. – Buttò lì Katie. 

– Sì, è decisamente speziato. – Annuì Oliver. – Be’, che si dice all’Ufficio Trasporti, Perce? – Domandò poi. 

– Nelle ultime settimane siamo stati oberati di lavoro. – Raccontò il giovane. – Al Dipartimento degli Auror temono attacchi da parte dei nostalgici di voi-sapete-chi ogni volta che si avvicina il due maggio, pensano che possano mettere in atto qualcosa usando una o più passaporte; questo vuol dire passare dodici ore al giorno in ufficio. – 

– Non che a te dispiaccia, vero, Weasley? – Lo prese in giro Oliver.

– Non succede nulla di simile da un bel po’, ormai: gli auror sono un po’ paranoici. – Disse invece Katie, con tranquillità. – Insomma, quasi tutti gli ex Mangiamorte sono stati arrestati. –

– Già, quasi tutti. – Sottolineò Percy, tetro. – Altri invece sono stati prosciolti, come i Malfoy. – 

– Conosci Harry, è incline al perdono più di noi. – Affermò Oliver. 

– Non stava a lui decidere chi fosse perseguibile e chi no, ma a quanto pare la parola del prescelto è legge. – Ribatté Percy. – Fosse stato per me li avrei arrestati tutti, dal primo all’ultimo. – 

– So che la famiglia Malfoy ha donato un bel po’ di galeoni per costruire al San Mungo un reparto che si occupi dei traumi di guerra. – Disse Penny. – Ci sono dei magipsicologi, dei curatori e tutto il resto, usano delle terapie babbane unite alla magia. È un bel gesto, no? – 

È il minimo. – Tagliò corto Percy. – E poi queste cose… questi psicologi… tutte stupidaggini. Come se possa bastare una chiacchierata con uno sconosciuto per superare tutto. –

– Io ci sono stata ed è stato utile. – Obiettò Katie. 

Percy fece un verso un po’ sprezzante, ma non parlò. 

– E anche tu ne avresti bisogno. – Proseguì quindi Katie. 

– E perché mai? Io sto benissimo. – 

Katie e Oliver si scambiarono uno sguardo di sfuggita, poi lui alzò le sopracciglia e lei scosse la testa piano. – Sei un concentrato di rabbia repressa, probabilmente sei pure depresso. – 

– Percy sta bene. – Li tranquillizzò Penny, poggiando la mano su quella del proprio fidanzato. – Se ci fosse qualcosa che non va lo saprei, me lo direbbe. – 

– Sicura di essere stata smistata in Corvonero? – La interrogò Katie, tagliente. 

L’altra strinse gli occhi della sua direzione, guardandola male. – Cosa intendi dire, mia cara? – 

– Che non guardi al di là del tuo adorabile nasino perfetto. – 

– Katie, basta. – Si mise in mezzo Percy, perentorio. – Penelope ha ragione, non c’è niente che non va. Io sto bene, lei sta bene, stiamo tutti bene. – 

– Ah, se lo dici tu. – Sospirò Oliver. Poi qualcosa lo attirò, qualcuno che doveva essere appena entrato visto la folata di vento che aveva accompagnato l’espressione confusa del giovane. – Oh Merlino… c’è Audrey. – Mormorò, seguendo con gli occhi la nuova arrivata. 

Percy che aveva la tazza in mano, sobbalzò talmente forte da rovesciare metà del liquido contenente in essa sul suo completo da mago, ma non si voltò.

Katie e Penny invece sì, la prima con aria allegra e l’altra con aria perplessa. 

– Chi è Audrey? – Domandò infatti Penelope. 

A quella domanda seguì un gioco di sguardi tra Oliver, Katie e Percy. Quest’ultimo tossicchiò in difficoltà, senza fornire una risposta. 

– Audrey è una mia amica. – Disse Katie, cogliendo al volo il fatto che Penny non sapesse assolutamente niente di quella specie di tresca che Percy aveva avuto in sua assenza. Posò gli occhi sulla babbana e la osservò parlare in modo confuso con uno degli stregoni al bancone. – A me sembra un po’ strana. – Mormorò, finendo a guardare Percy dritto negli occhi. 

Fu solo in quel momento che lui trovò il coraggio di voltarsi a guardarla. Lei era lì, vestita da un giacchetto primaverile verde scuro, un abito di maglia bordeaux sotto di esso, un paio di calze nere velate e una piccola borsa che penseva dalla sua spalla sinistra. I capelli che adesso erano una cascata di treccine lunghe, piccole e scure, le incorniciavano quel suo bel viso che in quel momento stava ospitando un’espressione molto confusa. Non si era impegnata molto per non apparire babbana.

Ma che diamine ci faceva a Hogsmeade da sola, senza un mago o una strega al suo fianco? Come era arrivata fin lì nonostante gli incantesimi anti-babbani? 

– Scusi… – La sentì dire, rivolgendosi a uno dei due stregoni incappucciati seduti al bancone. — Sa per caso dirmi come posso recarmi a Londra? – 

– Londra, dici? – Fece l’uomo, dopo averla scrutata da capo a piedi. Poi scoccò un’occhiata all’amico al suo fianco e aggiunse: – Ti ci portiamo noi. – 

Audrey sembrò sul punto di dire di sì, ma poi fece un passo indietro, scosse la testa e si guardò attorno, mantenendo quell’aria confusa. 

La sua mente si discostò all’improvviso dal pensiero fisso di dover tornare a casa al più presto possibile, come se fosse stata rapita da qualcosa di più impellente, quando si rese conto di essere osservata, dall'altra parte del locale, da due occhi conosciuti che però non vedeva da molto tempo. 

Percy Weasley, il ragazzo per cui quella mattina aveva deciso di vestirsi un po’ meglio del solito e addirittura di truccarsi, era lì a pochi metri da lei, e lei non si sentiva per niente in sé. 

Notò subito dopo la presenza di Oliver, Katie e di quella ragazza bionda che ricollegò in un attimo a Penelope, e poi decise di muovere piano una mano in cenno di saluto verso di loro. Si avvicinò timidamente ai quattro, incerta sul da farsi. 

– Audrey! Oh Merlino… da quanto tempo! – Esclamò allegramente Katie, alzandosi in piedi per salutarla con un abbraccio. – Come stai? Che fai da queste parti? – 

Audrey si prese almeno cinque secondi buoni prima di rispondere. – Sono qui per la celebrazione. – Disse, come se le fosse tornato in mente solo in quel momento. – Ciao… ciao, Percy. – Aggiunse, anche se se ne pentì all’istante. 

Doveva riprendersi, in fretta anche. 

– Io sono Penelope, la fidanzata di Percy. – Si mise in mezzo la bionda, facendo un sorriso tirato, prima che il ragazzo potesse anche solo pensare di aprire bocca, allungando la mano affusolata verso Audrey. 

Lei gliela strinse. – Io sono Audrey. – Si presentò. 

– Che nome grazioso. – Commentò Penny, scrutandola. 

Non era particolarmente bella: era bassa e magrolina, il suo naso probabilmente era troppo largo per stare bene al centro di quel viso piccolo, gli occhi erano troppo grandi, ma indubbiamente di un bel colore. Non era il tipo di Percy, eppure il modo in cui lei si era rivolta a lui, proprio come se lo conoscesse, aveva fatto nascere in lei un fastidioso dubbio. Chi era Audrey? Perché Percy non l’aveva mai nominata in quegli ultimi tre anni?

Audrey fece un respiro profondo e poi si rese conto che quel senso di confusione che l’aveva accompagnata dal momento in cui aveva messo piede in quel villaggio si stava facendo man mano meno prepotente. 

– Scusate… credo che gli incantesimi respingi-babbani mi abbiano dato un po’ alla testa. – Si giustificò. 

– Sei babbana? – Domandò Penelope, sorpresa. – Come vi conoscete, allora? Come conosci Percy? – 

Audrey guardò prima Katie e Oliver, poi posò lo sguardo su Percy, fissandolo per lasciare a lui la risposta. 

– Ci siamo conosciuti durante la guerra. – Spiegò il giovane. – Sua sorella Lucy era una strega nata babbana. – 

Audrey annuì dandogli ragione, sentendosi poi sprofondare in uno stato di tristezza. Il sentimento che li aveva legati probabilmente era stato così fugace e insensato per lui che non si era nemmeno preso la briga di parlare di lei alla sua ragazza. Nella vita di Percy Weasley non c’era più alcuna traccia di Audrey Manning, lei non era nessuno, non era niente per lui. Ma dopotutto cosa pretendeva? Era stata lei ad allontanarsi, ad abbandonarlo… 

Ma come avrebbe potuto guardarlo negli occhi se anche in quel momento, a distanza di tre anni, la sua faccia non faceva che ricordarle Lucy, la guerra e la sofferenza che aveva provato? Non si sarebbe mai liberata di quella sensazione e ora ne era certa, era certa che la sé stessa del passato avesse ragione: non poteva funzionare tra loro. 

– Devo andare a cercare mio zio. – Disse Audrey, sforzandosi di apparire serena e rilassata. – È stato bello rivedervi. – 

– Ti diamo una mano a cercarlo. – Si offrì Oliver, alzandosi in piedi, e Katie lo imitò. 

– No, ragazzi. Mi sento molto meglio ora. – Li rassicurò lei. – Davvero io… devo andare. Magari ci vediamo a Hogwarts, eh… – 

Non lasciò il tempo a nessuno di dire altro, ma filò via talmente veloce che quasi sembrò sparire nel nulla. 

Seguì un lungo attimo di silenzio in cui Percy fissò la tazza che aveva davanti, poi sospirò, scoccò un’occhiata di scuse a Penny e si alzò in piedi. 

– Qualcuno deve pur seguirla, non posso lasciarla vagare da sola per Hogsmeade. – Disse, a modo di giustificazione. 

– Stai scherzando, spero. – Lo fulminò Penny. 

Lui prese un respiro profondo e poi scosse la testa, colpevole. – Vi raggiungo alla celebrazione più tardi. – 

Penelope, perplessa più di quanto non fosse mai stata in vita sua, vide spuntare sulla bocca di Katie uno strano sorrisetto vittorioso, anche Oliver non sembrava per niente sorpreso dal comportamento dell’amico. Un attimo dopo, Percy era uscito dal locale. 

Nella folla fuori da Testa di Porco, localizzò Audrey quasi all’istante, di nuovo confusa come poco prima. La rincorse e, quando la afferrò, lei si voltò verso di lui con un misto di paura e sorpresa dipinto in volto. 

– Cosa… cosa vuoi? – Fece lei, liberandosi da quella presa. 

– Cosa voglio? – Ripeté Percy, sgomentato. – Non puoi andare in giro da sola in un posto come questo, è pericoloso per te! – 

– Fatti gli affari tuoi, torna da quella! – 

– Quella? –

– Sì, quella… Penelope! – Sbottò Audrey. 

Percy alzò le sopracciglia, perplesso, poi si spinse gli occhiali su per il naso. – Lascia che ti aiuti a cercare tuo zio. – Rispose con calma. 

– No, va bene? Stammi lontano. – 

Audrey riprese la sua marcia, svoltando in un vicoletto meno frequentato nella speranza che lui smettesse di seguirla. Tuttavia Percy tenne il passo. 

– Ti rendi conto o no che ti stai mettendo in pericolo? – 

– So badare me stessa. – Lo zittì lei, senza nemmeno voltarsi.

– Nel mondo babbano forse, ma qui è diverso e lo sai. – Replicò Percy 

Lei si fermò, si girò verso di lui e lo guardò male. – Ma quanto ti piace fare l’eroe che salva la donzella in pericolo, eh? – Sibilò, arrabbiata, facendo un passo nella sua direzione. – Ma io non ne ho bisogno, lo capisci questo? Torna dalla tua ragazza perfetta, che sicuramente gradirà i tuoi servigi più di me. – 

– Dunque è questo il tuo problema. – Constatò lui, fissandola di sottecchi. – Sei sparita per tre anni, davvero ti aspettavi che sarei rimasto solo ad attendere il tuo ritorno per tutto questo tempo? Chi ti credi di essere? –

– Nessuno. – Asserì freddamente Audrey. – Non sono nessuno per te dato che la tua ragazza non sa nemmeno che esisto! – 

– E cosa avrei dovuto dirle, mh? – Sbottò Percy. – Che ero innamorato di te? Che dopo cinque anni insieme, mentre lei si nascondeva per sopravvivere, io desideravo un’altra persona? Tu mi hai spezzato il cuore, mi hai lasciato da solo nel momento peggiore della mia vita e ora compari così, da nulla, e ti permetti di avere pretese su di me? Sei così egoista. – 

– Torna da lei, Percy, lasciami in pace. –

È quello che farò, infatti. – Dichiarò lui, con quell’orgoglio malsano che lo contraddistingueva e che per anni lo aveva tenuto lontano dalle persone che amava e che lo amavano. 

– Allora vai, che aspetti? – Lo spinse Audrey. – Torna da lei, dato che è perfetta, a contrario di me! – 

– Sì, infatti Penny non è una stronza viziata ed egocentrica come te! – 

– Sarò anche una stronza viziata ed egocentrica, ma almeno non ho una vita noiosa e borghese come la tua! –  

– Tu non sai più niente di me, e comunque la mia vita mi piace tantissimo! – 

– Non ci credi nemmeno tu! – 

Si stavano letteralmente urlando contro, ma tutto quello a cui Percy riusciva a pensare era che, se fossero stati in una casa, soli, allora non avrebbe frenato quella voglia di zittirla baciandola, come quella prima e unica volta in cui aveva avuto l'occasione di farlo. Quella tensione, quel fuoco che provava quando se la trovava davanti, era rimasto immutato, e gli era mancato anche se ammetterlo lo faceva sentire stupido, debole, schiavo di una passione che non voleva accettare. 

– Andiamo, ti riporto da tuo zio. – Le ordinò, con il fiato corto. 

Audrey scosse la testa e tirò su con il naso. – No. – 

– Audrey, non rendere le cose più complicate di quanto già non siano. – 

– Voglio andare a casa. – Specificò lei. – Questo posto… mi sento impazzire. – 

– Bene, allora ti riporto a Londra. – 

Gli occhi della giovane scattarono sul suo viso. – Non c’è bisogno… – 

– Non fare storie. – La rimproverò lui. – Ti riporto lì e poi me ne vado, visto che, a quanto pare, non vedi l’ora di liberarti di me nuovamente. – 

– Sei tu che mi odi. – 

– Magari ti odiassi, sarebbe tutto più semplice. – Ribatté il ragazzo. – Non ti lascerò vagare per Hogsmeade da sola, quindi hai due scelte: o andiamo a cercare tuo zio, o ti riporto a Londra. –

– Perché non puoi semplicemente lasciarmi in pace? – Insistette Audrey. 

Perché ho giurato a tua sorella che mi sarei preso cura di te, perché mi manchi, perché preferisco litigare con te che passare momenti sereni con chiunque altro. 

– Non starei tranquillo a immaginarti da sola, sotto gli effetti degli incantesimi respingi-babbani. – Disse semplicemente Percy. – Sono molto potenti, non bisogna scherzarci su. – 

Audrey sbuffò, scosse la testa e infine annuì. 

Dopotutto era solo un passaggio. 

Dopo essersi smaterializzati atterrarono in un vicolo di Notting Hill, poco distante dal vecchio monolocale di Percy. Audrey si guardò attorno, un po’ scossa ma con la mente molto più sgombra, e poi guardò lui, in attesa che le dicesse qualcosa. 

– Vivi ancora qui? – Gli chiese infine, quando si rese conto che Percy non aveva nessuna intenzione di aprir bocca. 

– No, i genitori di Penny hanno comprato una casa per noi a Oxford. – Rispose lui. 

Audrey aggrottò le sopracciglia come se quella notizia l’avesse scossa. 

Li immaginò insieme, immaginò Percy in una bella casetta di provincia circondata da un giardino grazioso, immaginò la sua fidanzata perfetta, così bella, consapevole di sé stessa, con un buon lavoro e una vita già tracciata davanti a sé. Era questo ciò che Percy probabilmente aveva sempre desiderato, eppure sembrava così infelice. Certo, poteva darsi il caso che non lo fosse, che quello era solo ciò che lei voleva vedere: lui, infelice senza di lei, proprio come lei si sentiva infelice senza di lui. 

Forse Percy aveva ragione, era una stronza viziata ed egocentrica, ma soffriva perché lui era andato avanti, aveva una vita, mentre lei non aveva raggiunto niente, si sentiva sola, fallita, inutile.

– Mio padre e i miei zii hanno venduto la casa di mia nonna, dopo quello che è successo. – Raccontò.

– Lo so, ti sono venuto a cercare lì, una volta. – Svelò lui. – Ti ho anche scritto delle lettere. – 

– Sì, lo so. – 

– Non mi hai mai risposto. – 

Audrey lo guardò colpevole. – Non ne avevo la forza per farlo. – Ammise dopo un po’. 

– Sì, capisco. – Fece lui, senza sforzarsi minimamente di apparire credibile. – Non hai avuto la forza nemmeno di venire al mio processo, dopotutto. – 

– Ma ho scritto al vostro Ministro per raccontare la mia versione dei fatti… come hai aiutato Lucy e il resto. – 

Percy fece una faccia sorpresa. – Non lo sapevo. – Ammise. 

– Pensi davvero che ti avrei lasciato finire ad Azkaban dopo tutto ciò che hai fatto per me e mia sorella? – 

Percy scosse la testa con fare un po’ rassegnato. Dal suo punto di vista il suo operato aveva creato solo danni, visto che Lucy era morta proprio tra le sue braccia. 

– Ti ringrazio di averlo fatto. – Disse, distante. 

– Figurati. – 

– Casa tua è distante da qui? – Le chiese Percy. 

Lei scosse la testa. – Giusto qualche fermata di metro. – Rispose. 

– Bene. Allora io vado. – 

– Sì. Ciao… – 

– Ci vediamo. – 

Audrey annuì, ma non si mosse, aspettando di vederlo sparire nel nulla. Tuttavia nemmeno Percy mosse un muscolo. 

Non voleva andarsene, non voleva tornare a Hogsmeade, trovarsi costretto a spiegare tutto a Penelope e poi assistere a quella stupida celebrazione. Non aveva bisogno di una cosa del genere per ricordarsi che quel giorno, tre anni prima, suo fratello era morto insieme a tanti altri, perché in lui quello era un pensiero fisso, la prima cosa a cui pensava appena apriva gli occhi al mattino, l’ultima prima di andare a dormire la sera. Eppure lì, davanti ad Audrey, quel pensiero si ridimensionava.  

– Percy. – Lo richiamò lei, tirandolo fuori dalla sua spirale di pensieri. – Senti… ti va un frappuccino da Starbucks? – 

Percy la guardò come se avesse appena parlato in una lingua sconosciuta. – Cos’è un frappuccino da Starbucks? – 

 

Qualche ora più tardi, dopo aver bevuto la bevanda più strana e zuccherata della sua vita e dopo aver preso la metropolitana per la prima volta in assoluto, camminando in una vie residenziale piena zeppa di villette a schiera, la domanda che Percy si pose fu un’altra: come diamine era potuto succedere che fossero quasi le quattro del pomeriggio e che lui fosse ancora lì a Londra insieme ad Audrey?

Aveva saltato la celebrazione e il pranzo alla Tana, aveva lasciato Penelope da sola, ma in compenso aveva passato la giornata migliore degli ultimi tre anni. Aveva l’impressione di essere in un’altra dimensione, una dimensione in cui non c’era stata nessuna guerra, in cui Fred e Lucy erano ancora vivi e in cui loro erano solo due ragazzi normali, in un mondo normale. 

Lei gli aveva raccontato tutto sui suoi viaggi e poi l’aveva ascoltato parlare delle novità del mondo magico come nessun altro sapeva fare. Quella capacità che aveva solo Audrey di ascoltarlo l’aveva colpito ancora, come la prima volta, gli aveva fatto percepire quel piacere di essere visto, di essere preso in considerazione, di contare qualcosa. La sua opinione contava alle orecchie di Audrey, le sue parole erano importanti, e non si sentiva noioso né pedante. 

– Comunque questa è casa mia. – Disse lei, quando si ritrovarono davanti all’ennesima villetta a schiera, uguale a quella precedente e a quella dopo ancora.

– Oh, bene. – 

Audrey sorrise. – Vuoi entrare? – Gli domandò. 

Percy ci pensò su. – Penso sia meglio che io vada. – Disse, dopo un sospiro. 

– Ma certo. – Si affrettò a dire lei. – Però grazie per avermi accompagnata. Quegli incantesimi respingi-babbani mi stavano mandando fuori di testa. – 

– Figurati. È stato divertente, in fondo. – 

– Solo in fondo? Ma come? Pensavo che avessi trovato la metropolitana molto spassosa. – Ridacchiò lei. 

– La metropolitana è un incubo. – Precisò Percy, seppur sorridendo. – Sul serio, come fate a spostarvi su un mezzo del genere? Tutti appiccicati l’un l’altro… orribile, assolutamente orribile. Non che stare vicino a te sia orribile, – si affrettò ad aggiungere, – anzi è piuttosto gradevole quella parte… ecco, poteva andarmi molto peggio, tutto qui... – 

– Oh, indubbiamente. — Annuì lei, facendo un sorrisetto imbarazzato. 

È stato bello rivederti. – Tornò a parlare Percy. 

– Anche per me. – Rispose Audrey. – E poi adesso sai dove abito, quindi… ecco passa a trovarmi, se ti va. Mi troverai qui. – 

– Certo, volentieri. –

Lei sorrise. Si sentiva strana. Da un lato c’era la giornata appena trascorsa, quel senso di appartenenza e familiarità che aveva percepito camminando al fianco di Percy per ore, ma dall’altro tutto ciò che l’aveva portata ad allontanarsi da lui c’era ancora. Aveva un debole per lui e con questo ci aveva già fatto i conti, ma dove l’avrebbe portata? Lui viveva con la sua fidanzata perfetta, viveva con lei in una casa perfetta, conducendo una vita perfetta, probabilmente le cose non gli andavano così male se aveva resistito con Penelope per tre lunghi anni. 

Forse doveva farsi gli affari suoi, non interferire così da non ferirlo ulteriormente, limitarsi a essere amici, o meglio, conoscenti. 

Dopotutto lui era un mago, lei una babbana, avevano due vite diverse e la sola cosa che li aveva uniti davvero era stato il grande trauma che li accumunava. 

– Perce, mi dispiace tanto, per tutto. – Si lasciò sfuggire lei, guardando in basso. 

– No, è a me che dispiace. – 

– Per cosa? – Chiese Audrey, tornando a guardarlo in faccia. 

Percy esitò. Mi dispiace per Lucy, di non essere riuscita a salvarla, avrebbe voluto dire, ma in fine rispose: – Non lo so. Forse mi dispiace che ci siamo persi in questi anni. – 

– Ora sono qui. Possiamo… essere amici. – 

Percy annuì e basta. 

– Forse è una domanda stupida ma… hai un telefono per caso? – Chiese dunue Audrey. – Potrei lasciarti il mio numero così mi avvisi prima di passare. – 

– Mio padre ha un telefono, da qualche parte nel suo capanno. – Disse Percy. 

La ragazza annuì in fretta, aprì la borsa a tracolla che aveva con sé e poco dopo tirò fuori una penna. Poi afferrò una delle mani di lui e scrisse qualcosa sul palmo pallido. – Ecco. Nel caso volessi tirare fuori il telefono di tuo padre dal capanno e mettere alla prova le tue conoscenze sulla babbanologia. – Disse allegramente. – C’è sia il mio numero personale, sia quello di questa casa. Scegli tu quale chiamare. – 

Percy guardò i numeri che Audrey gli aveva appena scritto sulla mano e poi annuì. – Allora, come direste voi babbani, “ci sentiamo”. – 

Audrey rise piano, poi oltrepassò il cancelletto che divideva il giardino dal marciapiede, si voltò una volta per salutarlo con la mano e raggiunse il portico. Quando sparì dietro alla porta di quella casa, Percy guardò di nuovo il numero scritto sul suo palmo e sospirò. 

Doveva tornare a casa e questo voleva dire solo una cosa: affrontare Penelope e tutti gli errori che aveva fatto con lei. 



 

Devo dire che questo capitolo non mi soddisfa molto, anzi in generale questa parte della storia non mi fa impazzire. Siamo finalmente arrivati alla parte due della nostra narrazione (praticamente tutte le mie storie sono strutturate così, ma giuro che non lo faccio apposta ahahah). 

Fatemi sapere voi che ne pensate, datemi consigli che ne ho davvero bisogno! 

Alla prossima, 

J.




 
   
 
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