“La storia è un
cumulo di bugie
su cui ci si è messi
d’accordo.”
CAPITOLO 5
INTO THE WILD
Il tempo di coprire l’ingresso alla grotta
con delle ramaglie e delle fronde, e Daemon era di nuovo in mezzo alla foresta.
Qualcuno avrebbe
considerato imprudente andarsene a spasso tra gli alberi con un gruppo di
Macaire inferociti alle costole, ma se non era occupato a fare da balia ad un
ciccione rumoroso Daemon sapeva come rendersi invisibile.
Dopo aver
sistemato una semplice trappola al lazo e inciso il tronco di un albero,
lasciando una borraccia a raccogliere la linfa che gocciolava fuori da una
cannula, il giovane prese a raccogliere meticolosamente erbe, fiori e foglie,
infilando tutto quello che gli serviva nella bisaccia alla cintura.
«Ecco, questo è
l’ultimo.» disse cogliendo alcuni fiori di edera bianca.
Nel frattempo la
borraccia aveva accumulato alcuni centimetri di liquido, e proprio mentre la
recuperava Daemon percepì poco lontano il rumore della trappola che scattava;
raggiuntala, trovò ad attenderlo una bella lepre grassa, rimasta bloccata per
una zampa.
«Scusa piccola. Niente
di personale.»
Era già pronto a
vibrare il colpo di grazia, quando un flebile odore gli scivolò strisciante tra
le narici, facendo scattare un allarme nel suo cervello.
«Non ci credo.»
disse a denti stretti, girandosi alle proprie spalle. «Non può averlo fatto
davvero.»
Doveva tornare.
Subito. Immediatamente.
Girati gli occhi
alla sua preda si apprestò a lasciarla andare, ma prima di farlo volle farle
una piccola incisione sull’orecchio, che subito tamponò per evitare la
fuoriuscita di sangue.
«Spero solo che
funzioni.» disse vedendola scappare via verso fondovalle.
Tornato sui propri
passi, corse a perdifiato lungo il crinale in direzione del rifugio, mentre
quell’odore pungente si faceva sempre più forte.
La barriera di
frasche e rami era ancora al suo posto, e da dietro di essa una nuvoletta
grigia si alzava placidamente verso l’alto, disperdendo tutto attorno puzza di
fumo.
«Per tutti gli
dei!»
Il professore
credeva accendendo un fuoco di fare cosa gradita al suo guardiano facendogli
trovare un giaciglio caldo al suo ritorno; invece, lo vide piombare su di lui
come un demonio, rosso di rabbia, che pareva volesse saltargli addosso per
strozzarlo.
«Che state
facendo! Spegnetelo subito!»
«Cosa!? Ma io…»
Ma Daemon non fece
neanche a tempo a scalciarci sopra una generosa dose di terra prima che i suoi
sensi di cacciatore lo spingessero a girarsi preoccupato verso l’uscita.
«Troppo tardi…»
disse digrignando i denti, e senza indugi scagliò una torcia contro le ramaglie
creando un muro di fuoco.
Giusto in tempo,
perché nel giro di pochi secondi si iniziarono ad udire schiamazzi e grida
infervorate, accompagnate da evidenti tentativi da parte di figure indistinte
di aprirsi una via tra le fiamme.
Solo allora Hinkel capì la portata della sciocchezza che aveva fatto.
«Il fumo…»
«Esattamente. Tra
quello e l’odore, mi sorprende che non vi abbiano trovato prima.»
«Volete dire che…
siamo in trappola?»
Daemon guardò in
basso, pensieroso.
«Forse no.
Venite.»
Al che il giovane
condusse il suo protetto in profondità nella grotta, fino ad una grossa
voragine che si apriva nel pavimento, e dal quale giungeva fragoroso
quell’incessante sciabordio.
Il professore
quasi vomitò provando a sbirciare oltre il bordo, riuscendo a malapena a
distinguere l’acqua più in basso.
«Non starete
pensando di…»
«Voi non soffrite
di vertigini vero?»
«Ecco… veramente…»
Un tomahawk gli mancò l’orecchio per pochi centimetri, ma per
sua fortuna Daemon ebbe il tempo di girarsi e fulminare alla gola con una
singola freccia il garuda spiumato che gli stava
correndo contro.
«Scegliete!
Possiamo tentare la sorte nel fiume o consegnare il nostro scalpo ai Macaire!»
«Beh, se la
mettete così…»
In realtà al
professore servirono tre tentativi per convincersi a saltare, cosa che fece
solo dopo aver trovato la forza di chiudere gli occhi e lasciarsi cadere.
Daemon aspettò di
vederlo piombare nel fiume prima di prepararsi a saltare a sua volta, ma prima
che potesse riuscirci Mytra gli piombò addosso come
una furia, la sua bella pelliccia castano chiara annerita e bruciacchiata in
più punti.
«Che cosa volete
da quell’uomo?» provò a chiedere sfoderando il pugnale. «Che ha fatto per
meritarsi un simile odio?»
La leonessa non
rispose, ma anzi tentò di attaccare di nuovo. Prima che la cosa andasse troppo
per le lunghe assumendo oltretutto contorni molto pericolosi, Daemon pensò bene
di battere in ritirata.
«Scusa, ma ora non
ho proprio tempo da dedicarti!» disse scagliando a terra una piccola sfera
d’argilla riempita con una mistura di fosforo, polvere ferrosa e pietra focaia.
Mytra venne
letteralmente travolta da un’esplosione luminosa che quasi le fece sanguinare
gli occhi, ancora provati dal peperoncino di poco prima, e per la seconda volta
quando fu in grado di vedere di nuovo il suo avversario era scomparso nel
nulla.
«Andate pure,
maledetti!» gridò infuriata all’indirizzo della voragine. «Se non vi uccide il
fiume, ci penserà lui!»
In quel fiume Daemon ci aveva pescato un
paio di volte, ma non ci aveva mai nuotato. Nonostante ciò, non ricordava di
averlo mai visto così impetuoso come quella volta.
Sballottato come
una bambola a destra e a sinistra, cercava furiosamente di rimanere a galla e
di non andarsi a sfracellare contro qualcuna delle rocce che affioravano qua e
là da oltre la superficie.
Nel mentre,
guardava in ogni direzione alla ricerca del professore, e per ogni secondo che
passava si convinceva di averlo praticamente costretto a suicidarsi; perché se
lui stava facendo tutta quella fatica, come era possibile che un cinquantenne
con problemi di linea e le gambe a grissino potesse cavarsela?
In pochi minuti il
torrente sbucò all’esterno, immergendosi nel fitto degli alberi, ma ogni
tentativo di aggrapparsi a qualche ramo o roccia risultò inutile.
Poi, quando stava
quasi per cedere alla fatica, qualcosa lo afferrò per la collottola.
«Vi ho preso!» esclamò
il professore, appollaiato in equilibrio su un tronco caduto che si protendeva
da una sponda all’altra.
Quindi, con una
forza insospettabile, Hinkel riuscì a sollevare
Daemon fuori dall’acqua, permettendogli di raggiungere finalmente a riva.
«Temevo di dovervi
ripescare dal fondo.» ansimò il ragazzo. «E invece siete stato voi a ripescare
me.»
«Per fortuna la
buonanima di mio padre ci teneva che imparassi a nuotare.»
Entrambi quindi si
guardarono attorno, tentando di capire dove potessero essere finiti.
«Voi avete idea di
dove siamo?»
«Fuori dalla
portata dei Macaire, e questo è già un progresso. Ora però dobbiamo trovare al
più presto un nuovo rifugio.»
«Un rifugio?
Perdonatemi, ma date le circostanze non sarebbe meglio approfittarne per
allontanarsi il più possibile da quegli esagitati?»
«Niente affatto.
Per prima cosa tra poco sarà notte, e fradici come siamo non sopravvivremmo mai
all’addiaccio. E in secondo luogo, voi avete ancora il sarpide
in circolo, che presto o tardi vi ucciderà se non facciamo qualcosa.»
Il giovane
cacciatore puntò quindi lo sguardo verso l’alto, imitato dal professore; nuvole
nere come la notte avanzavano a grandi passi scendendo dalle montagne,
preannunciate da folate di vento che fecero tremare entrambi di freddo.
«Quel temporale
sarà qui in pochi minuti. Se non saremo al più presto al chiuso, nessuno dei
due vedrà la prossima alba.»
Daemon non scherzava.
Prima ancora che
il sole fosse tramontato, un temporale come pochi se ne vedevano da quelle
parti in estate si abbatté furioso sulla foresta, scaricando cateratte d’acqua
che tramutarono in pochi minuti i sentieri in torrenti.
Fortunatamente,
poco distante si trovava un’altra grotta, composta da una sola, enorme camera a
volta, ma con un’entrata così stretta da passare completamente inosservata.
Una volta dentro e
murato l’ingresso, Daemon accese rapidamente un fuoco, cosicché potessero
entrambi riscaldarsi e asciugarsi i vestiti.
«Per fortuna gli
ingredienti sono ancora utilizzabili.» commentò triturando tutte le erbe, le
radici e i fiori che aveva raccolto in un mortaio di fortuna.
Mentre finiva il
proprio lavoro, il giovane passò a Hinkel la sua
borraccia invitandolo a berne il contenuto; il professore obbedì, assaggiando
un liquido talmente dolce da risultare quasi imbevibile.
«Che cos’è?»
«Linfa d’acero.
Terrà alto lo zucchero nel sangue, almeno fino a quando non farà effetto questo
impiastro.»
Il preparato in
questione, una volta finito, prese l’aspetto di una melma scura dall’aria molto
poco invitante, che Daemon avvolse attorno all’unico pezzo di carne secca
rimastogli, per poi offrirlo al suo protetto.
«È amaro come
poche altre cose al mondo, ma mangiatelo tutto.»
Hinkel obbedì,
constatando che non si trattava affatto di un’esagerazione; il sapore forte
della carne a malapena rendeva il tutto tollerabile, tanto che il professore
esitò a lungo prima di decidersi finalmente ad ingoiare.
«Suppongo che
fosse una sorta di antidoto.» disse tracannando la poca linfa rimasta, nel
tentativo di togliersi di bocca quell’orribile sapore.
«Come ho già detto
il sarpide uccide in maniera quasi istantanea, ma
viene anche espulso molto velocemente qualora non riesca a fare effetto. Questo
impiastro impedirà al corpo di assorbire il veleno, inoltre velocizzerà
l’espulsione. Fossi in voi mi preparerei ad una notte piuttosto movimentata.»
«Bontà divina, la
possibilità di uscire vivo da questa avventura fuori dal mondo vale di sicuro
qualche corsa al gabinetto.»
Quanto a Daemon,
anche lui sentiva il bisogno di riempirsi lo stomaco, e non avendo più carne
secca dovette arrangiarsi con quello che c’era; fu così che il professore lo
vide acchiappare un paio di grossi ramarri e mangiarseli abbrustoliti,
accompagnandoli con un infuso di erbe selvatiche per rendere il sapore un po’
più sopportabile.
«Scusate la
franchezza, ma sembrate molto atipico, anche per un cacciatore abituato a
vivere in queste terre così selvagge.»
«Lo prenderò come
un complimento.»
«Ma lo è. Ho avuto
molte guide nel corso dei miei viaggi, ma nessuna di loro aveva una conoscenza
del territorio pari alla vostra. Inoltre dimostrate competenze che esulano da
quelle di un comune cacciatore. Erboristeria, primo soccorso, persino qualche
nozione di alchimia. Dovete aver avuto un grande maestro.»
«In realtà sono
autodidatta, se escludiamo le poche cose che mi hanno insegnato a scuola.»
L’atmosfera si era
decisamente rasserenata, tanto che al professore venne quasi da ridere nel
momento in cui iniziò a sentire alcuni inquietanti movimenti di stomaco.
«Ora scusatemi, ma
credo che farò la prima di quelle corse al gabinetto di cui parlavate. Spero
solo che ci sia un posticino appartato in questa grotta.»
La pioggia continuò a cadere impetuosa per
tutta la notte, fermandosi e lasciando il posto al sereno solo poco prima
dell’alba.
Al sorgere del
sole, la foresta era traboccante di rugiada, e un fortissimo ma piacevole odore
di muschio riempiva ogni cosa; il terreno aveva già assorbito buona parte
dell’acqua piovuta per ore, diventando scuro e pesante.
«Il villaggio di Nevria è ad una decina di miglia a est.» disse Daemon
mentre seguitavano a camminare tra gli alberi. «Di questo passo, saremo lì
prima del tramonto.»
«Per fortuna, quei
Macaire così ostinati sembrano essersi finalmente arresi.»
Anche Daemon si
era accorto della cosa, ma a differenza del suo protetto non riusciva a
sentirsi del tutto tranquillo.
«Che succede?»
esclamò il professore quando Daemon, bloccatosi, gli fece segno di fare
altrettanto. «Altri Macaire?»
In effetti d’un
tratto si erano uditi dei rumori di qualcuno in avvicinamento, e Hinkel prese a girarsi nervosamente in ogni direzione,
mettendo davanti a sé il grosso bastone che aveva rimediato lungo il cammino.
«Ero certo che
avresti capito.»
«Felice di
constatare che alle mie lezioni sulla dispersione di tracce tu non abbia
dormito.» disse Drufo saltando giù da un ramo «Però
potevi anche inventarti qualcosa di meglio. Sai quanta fatica ho fatto per
seguire i segni lasciati da quella lepre, e quindi anche i tuoi?»
«Ho dovuto pensare
in fretta. Per fortuna posso contare sul migliore cacciatore sulla piazza.»
Passato il momento
delle presentazioni, venne quello di tornare alle cose serie.
«Hai trovato segni
dei Macaire?»
«Vi hanno seguiti
per un po’ dopo che siete usciti dal fiume, ma poi si sono fermati.»
«Me ne sono
accorto. Effettivamente è piuttosto strano.»
«Strano!?» disse
un incredulo e preoccupato Drufo. «Davvero non ti sei
accorto di niente?»
«Di che stai
parlando?»
«Ritiro quello che
ho detto circa il tuo addestramento.»
Drufo condusse quindi
Daemon e il professore in un anfratto poco distante, dove i due si ritrovarono
di colpo a tu per tu con uno scenario a dir poco macabro: il terreno, coperto
di aghi di pino e foglie morte, era letteralmente disseminato di prede, alcune
mangiucchiate altre quasi completamente scarnificate, così tante che neanche il
più ingordo dei leoni sarebbe stato capace di mangiarle tutte.
«Per la veste di
Zion.» esclamò Hinkel
Di fronte a quello
spettacolo Daemon rimase sconvolto, domandandosi come avesse fatto a non notare
le altre tracce in cui dovevano essersi sicuramente imbattuti.
«Ma questo è un
basilisco.» disse il professore apprestandosi ad un mucchietto di resti
completamente triturati. «Le sue ossa sono tra le più resistenti dell’intero
mondo animale, eppure sono state quasi sgretolate.»
«C’è una sola
bestia capace di fare una cosa del genere.» bisbigliò Daemon.
Poi, come se
qualcosa lo avesse improvvisamente scosso, il cacciatore si girò alle proprie
spalle, con tutti i sensi protesi e il pugno stretto attorno all’arco.
«L’avete sentito
anche voi?»
«Che succede?»
chiese Jacob, che ovviamente non aveva il loro sesto senso
«È qui. Ci ha
fiutati.»
«E presto ci sarà
addosso.» decretò funereo Drufo.
Capendo di chi e
cosa si stava parlando, il professore si sentì gelare il sangue.
«Forse, dovremmo
scappare finché possiamo.»
«Impossibile. Se
corriamo o gli diamo le spalle, ci salta addosso e ci dilania.»
«E comunque.»
disse Daemon. «Non possiamo permettergli di avvicinarsi troppo al villaggio, o
sarà una strage.»
«E allora… che
cosa facciamo?»
«L’unica cosa
possibile. Combattiamo.»
Lavorando insieme,
Daemon e Drufo usarono rami, tronchi e pietre per
trasformare quella piccola porzione di foresta in una stanza degli orrori, con
buche piene di pali, trappole a pressione e altre diavolerie simili; in ultimo,
accesero tutto intorno un gran numero di fuochi, immediatamente coperti di
foglie umide, riempiendo in questo modo l’aria di un fumo acre e denso.
«Siete sicuri che
servirà a qualcosa?» domandò Hinkel di fronte a
quest’ultima trovata. «A quanto ne so, il fiuto dei tarkana
non è così scadente da farsi ingannare da questo fetore.»
«Non è il suo naso
che vogliamo colpire, ma i suoi occhi.» disse Drufo «I
tarkana hanno un fiuto e un udito eccezionali, ma una
pessima vista. Oltretutto i loro occhi sono molto sensibili. Il fumo li
irriterà, così gli confonderemo le idee.»
Un ruggito
improvviso e spaventoso interruppe ogni discorso, spingendo tutti a girarsi in
una stessa direzione.
«Arriva!»
Un attimo dopo gli
alberi sembrarono come cedere il passo a quella poderosa creatura, che apparve
dal nulla sopraggiungendo a grandi balzi e fermandosi proprio davanti ai tre
compagni.
Anche se tarkana era il loro nome ufficiale, il nome con il quale
erano maggiormente noti era quello di orsi corazzati, benché a parte una vaga
somiglianza non avessero nulla in comune con detti animali.
«Avanti
bestiaccia! Vieni a prenderci se ne sei capace!»
Borg aveva un diavolo per pelo mentre,
nell’area di carico e scarico del magazzino, constatava l’ennesima flessione
settimanale negli introiti.
«E questo cosa
sarebbe?» sbraitò vedendo che il carro appena arrivato era mezzo vuoto. «Con
questa roba non ci copro neanche i costi di trasporto!»
«Mi dispiace,
signore. Ma quel tarkana si aggira ancora lungo i
sentieri a ovest. Siamo costretti a passare dalle strade più battute. E i
controlli, i dazi, le tangenti…»
Il maiale allora
esplose.
«Il tarkana, il tarkana! Ogni volta
tirate fuori questo tarkana! E che sarà mai? Forse se
avessi delle vere guardie invece che dei debosciati che rubano lo stipendio,
questo problema sarebbe già stato risolto!»
Rust cercava di far
finta che il suo capo non ce l’avesse anche con lui stando due passi indietro,
e per questo fu il primo ad accorgersi dell’arrivo di un ospite inatteso e non
particolarmente gradito.
«Che ci fai qui? Il
capo non è dell’umore migliore.»
Daemon non rispose
continuando a camminare, e allora il coboldo gli mandò incontro due dei suoi
uomini che il ragazzo, benché visibilmente malandato e appesantito da una
grossa sacca, mandò al tappeto con pochi colpi.
«Adesso mi sono
stufato di te, moccioso! Vieni qua che ti cambio i connotati!»
Rust gli si lanciò
addosso brandendo il suo guanto artigliato, e attirando così sulla zuffa
l’attenzione di tutti i presenti. Ma il suo avversario non batté ciglio, e
schivati i suoi attacchi replicò con un singolo potente colpo di taglio dietro
il collo che lo spedì dritto nel mondo dei sogni.
«Se volevi un
appuntamento, bastava chiederlo. Ho sempre tempo per il mio investimento a
lungo termine preferito.»
«Non lavoro più per
te, o te ne sei dimenticato?»
«Sarà. Allora?
Cosa posso fare per te?»
«Ho passato gli
ultimi due giorni a correre in giro per tutta la foresta inseguito da un gruppo
di Macaire inferociti, ansiosi di fare la pelle ad un vecchio professore. Non
so cosa volessero o perché ce l’avessero con lui, ma so per certo chi li ha
mandati. Tu.»
«Cosa te lo fa
pensare?» chiese Borg facendo spallucce
«Perché sei
l’unico con le conoscenze necessarie ad entrare in contatto con loro, e lo
sappiamo entrambi. Più di una volta ti sei servito di loro per fargli svolgere
lavori sporchi.»
«Interessante
osservazione. C’è solo un problema. Che motivo potrei avere avuto? Ti sembro
forse il tipo che si dannerebbe tanto per un qualunque professoruncolo
umano?»
«Certo che no. È
ovvio che anche tu sei stato assoldato da qualcuno. E ora mi dirai di chi si
tratta.»
Lo sguardo arcigno
che Borg assunse per un istante, nascondendolo subito dietro il suo saccente
sorriso, rivelò senza alcun dubbio che Daemon ci aveva visto giusto.
«Anche ammesso che
tu possa aver ragione, dovresti conoscermi. Lo sai che io non vengo mai meno ad
un affare, a prescindere da chi sia il cliente.»
I due si fissarono
dritti negl’occhi, mentre attorno a loro la tensione si tagliava col coltello.
«Stiamo
negoziando?» sibilò Daemon
«Tu che cosa
dici?»
Passarono altri
interminabili istanti, fino a che il giovane non gettò a terra il contenuto
della propria sacca, dinnanzi al quale persino Borg restò senza parole.
«Questo credo che
basti.»
Dinnanzi a loro
non c’era solo la risoluzione di tanti problemi che a Borg stavano facendo
ormai perdere il sonno, ma anche il genere di trofeo di caccia che ogni nobile
di Erthea avrebbe pagato oro per avere.
«Figlio di… Ma
come hai fatto?»
«Allora? Lo
facciamo questo accordo?»
Come era stato informato del ritorno del
professor Hinkel, il Sindaco Luparl
si precipitò di corsa nella sua stanza alla locanda, trovando inaspettatamente
due miliziani a sorvegliare la porta.
«Che significa?»
chiese. «Perché siete qui?»
«Ordine del comandante
Beek.»
Colpito, ma non
più di tanto, il sindaco si fece forte della sua autorità e ottenne di essere
lasciato entrare.
«Professore.»
disse, trovando l’erudito intento a rendersi nuovamente presentabile con un
cambio d’abito. «Siano ringraziati gli dei, per fortuna state bene.»
«E lo devo tutto alla
mia guida, signor sindaco. Se non fosse stato per lui, a quest’ora il mio
scalpo farebbe mostra di sé sulla lancia di qualcuno di quei mostri.»
«I Macaire sono un
problema da anni in questa regione, ma non avevano mai assalito qualcuno in
questo modo, con il chiaro intento di uccidere.»
«Fossero stati
solo i Macaire. Per poco non rischiavo di diventare la cena di un tarkana. Ma quel cacciatore e il suo servo sono stati a dir
poco strepitosi. Ma visto che quel satiro non era il mio servo, appena mi ha
visto tornare insieme a lui quel vostro comandante di milizia ha pensato che
fosse una buona idea farmi chiudere qui dentro, guardato a vista dai suoi
gorilla.»
«Vogliate
perdonarlo, il Comandante Beek alle volte è fin
troppo zelante nel suo lavoro. Comunque, in realtà mi erano giunte voci circa
dei movimenti strani tra i Macaire, ma prima che potessi avvisarvi eravate già
partiti. E poi…»
Il sindaco abbassò
il capo, come mortificato.
«E poi cosa?
Sapete qualcosa che dovrei sapere anch’io?»
«No, è solo che…
ecco, non mi piace accusare ingiustamente, però…»
«Visto e
considerato che stavo quasi per lasciarci le penne, credo di essermi guadagnato
il diritto di sapere.»
«Il fatto è che ho
ricevuto dei rapporti abbastanza strani dai doganieri sul ponte. Voci di
individui sospetti che negli scorsi giorni avrebbero passato il confine con
salvacondotti rilasciati dallo Stato di Elordia.»
Sentendo quel nome
il professore si accigliò.
«Benwood. Avrei dovuto immaginarlo. Ha sempre osteggiato il Presidente,
fin da prima della sua elezione. Avrà pensato di colpire me per fare un danno a
lui.»
«Forse è un bene
che abbiate quelle guardie fuori dalla porta. Chissà cos’altro potrebbero
tentare quegli agenti nemici ora che il loro piano è fallito. Ad ogni modo, mi
assicurerò che possiate rientrare nell’Unione in tutta sicurezza.»
Un bussare alla
porta mise entrambi in allerta, ma la comparsa di Daemon, seppur visibilmente
provato dalle fatiche degli ultimi giorni, li rasserenò.
«Daemon.» esclamò
il sindaco. «Di sicuro sarai stato meglio, ma nonostante tutto sono felice di
rivederti vivo.»
«Mi associo
all’amico sindaco. Sembrate davvero un fantasma.»
Il giovane si
guardò un momento attorno, senza proferire parola.
«Professore, il
padrone della locanda vi ha fatto preparare la cena.» disse con sguardo severo
e voce calma. «Le guardie vi scorteranno al piano di sotto.»
«Ma, veramente, io
non avrei neanche tutta questa fame.»
«Vi prego. Io e il
sindaco dobbiamo parlare in privato.»
Di fronte a quegli
occhi e a quel tono di voce il professore si sentì di nuovo uno scolaretto
irrispettoso, e come tale in silenzio obbedì lasciando la stanza.
«Date le circostanze,
sono felice di averti scelto per questo incarico. E ho sentito che hai anche
eliminato quel tarkana. Davvero notevole.»
«Potete anche
smetterla con la commedia, signor sindaco. Borg ha già vuotato il sacco.»
Sulla faccia del
sindaco si intravide un sussulto, ma la sua espressione calma e controllata non
parve risentirne.
«Posso sapere di
cosa stai parlando?»
«Del fatto che
tramite Borg vi siete servito dei Macaire perché uccidessero il professore,
dicendo loro che si trattava di un famoso schiavista dell’Unione. Proprio il
genere di persona che i Macaire sono più che felici di uccidere.»
«Dimentichi che
sono stato proprio io a chiederti di proteggere il professore. Perché avrei
dovuto affidargli una scorta se avessi tentato di ucciderlo?»
«Perché nessuno
potesse accusarvi di non aver preso tutte le precauzioni necessarie a tutelare
la sua incolumità. Come avete detto voi, la mia reputazione mi precede in
questa provincia. Ovvio che vi aspettavate che ci lasciassi la pelle anch’io,
così da non avere testimoni scomodi. Ed effettivamente un paio di volte ci sono
andato vicino, il che capirete non mi mette di buonumore.»
In quel momento la
porta si aprì di nuovo e le due guardie di poco prima si ripresentarono nella stanza,
con Beek al seguito.
«Avrete molto da
spiegare Signor Sindaco, e per il vostro bene spero che abbiate una buona risposta
per le accuse del moccioso.»
«Io non le
chiamerei neanche accuse, sono solo un mucchio di fandonie. Tanto per
cominciare, perché avrei dovuto fare una cosa del genere? Mi ero assunto
personalmente l’incarico di garantire l’incolumità del professore, quindi sarei
stato il primo a dover rispondere della sua morte.»
«I Macaire sono
conosciuti e temuti anche nell’Unione. Se fosse emerso che l’omicidio era opera
loro, non avreste avuto problemi a trovare un modo per discolparvi.»
Quindi venne il
momento dell’accusa peggiore.
«Quanto al perché,
è presto detto. Mi è bastato fare qualche domanda in giro. Voi oggi in pubblico
criticate apertamente la dottrina reunionista, ma in
verità voi stesso da giovane avete fatto parte di una società segreta che
perseguiva questo scopo. I Cacciatori dell’Ovest. Il vostro motto era Una volta era, e sarà per sempre.»
«Lo è ancora.»
replicò il sindaco, stavolta con malcelato astio. «E anche se fossi un reunionista? La nostra guerra era contro l’Impero, non
contro l’Unione. Anzi, tutti sanno che l’Unione versava fondi considerevoli ai
gruppi reunionisti per provocare disordini nei
territori di confine. Che motivo avrei avuto di attentare alla vita di un
illustre cittadino di una nazione che ci era amica?»
«Per lo stesso
motivo per cui vi siete sempre battuti. La riunificazione di Eirinn e la sua
liberazione dall’Impero. I reunionisti più fanatici
credono di poter riportare Eirinn ad essere una nazione indipendente, ma voi
non siete così ingenuo. Sapete benissimo che allo stato delle cose l’Impero non
si può sconfiggere, per quanto indebolito e decadente possa essere. D’altro
canto però, una Eirinn riunificata che divenisse un membro dell’Unione avrebbe
sicuramente maggiore libertà di quanta possa mai sperare di averne adesso.»
«Volevate
sfruttare la tensione provocata dalla morte di una persona molto cara al
Presidente per provocare una nuova guerra, giusto?» intervenne Beek
«Anche se il clima
di guerra fredda tra l’Impero e l’Unione è ormai passato l’inimicizia è ancora
molto forte lungo il confine.» continuò Daemon. «E con l’Impero che ha dismesso
o riassegnato buona parte delle sue legioni, confidavate che a qualche fanatico
sarebbe bastato un pretesto per provocare un nuovo conflitto. D’altronde è
fatto risaputo che l’Unione aspira da sempre ad annettersi questa regione.»
Luparl ostentava
sicurezza, ma i muscoli tirati del viso e la fronte imperlata di sudore
tradivano il suo nervosismo.
«Siete solo un
povero ingenuo. Non avete ancora capito che all’Unione non importa nulla
dell’Oriente? Tutto quello che vogliono è mettere le mani sull’Occidente e
sulle sue miniere. Se il vostro piano per chissà quale motivo fosse riuscito,
avreste ottenuto solo di dividere Eirinn ancora di più.»
Finalmente, il
sindaco si degnò di alzare gli occhi, fissando i suoi due accusatori con fare
calmo e padrone di sé.
«Tutto molto
affascinante, signor Haselworth. C’è solo un piccolo problema. Anche se avessi
fatto quello di cui mi accusate, non vedo alcuna prova a mio carico. A mio
carico ci sono solo la parola di un maiale e le farneticazioni di bifolco. Io
non confesserò niente.»
Era vero. Il sindaco
Luparl era la persona più rispettata e apprezzata di
Dundee, in buoni rapporti non solo con le autorità locali ma persino col
governatore.
«In realtà.» disse
Daemon come mortificato, cambiando nel mentre completamente espressione. «Io
speravo che lo faceste. A questo punto, sarebbe la vostra unica speranza.»
«Come?»
«Per quanto questo
piano avesse scarse possibilità di riuscire, è chiaro che non potete averlo
organizzato da solo. Altri vi avranno aiutato, sia qui che nell’Unione. Se
accettaste di collaborare nello svelare i nomi dei cospiratori, con la
reputazione che avete potreste appellarvi al governatore per ottenere clemenza.
I Macaire invece non saranno altrettanto generosi. Sono sicuro che mentre
parliamo Borg vi sta già vendendo a loro per proteggersi. E considerando che
per salvare il professore ho dovuto uccidere alcuni di loro, non credo vi
perdoneranno per averli manipolati in questo modo.»
Ogni parola di
Daemon era come un chiodo sulla bara, e per quando il giovane ebbe finito di
parlare la maschera del sindaco si era ormai sgretolata.
Sul tavolo della
stanza il professore aveva lasciato un affilato tagliacarte.
Luparl lo afferrò,
puntandolo minacciosamente verso il ragazzo e i tre soldati, che subito a loro
volta misero mano alle armi.
«Non fate idiozie
Signor Sindaco.» gli intimò Beek. «È finita.»
«Non è finita per
niente. Una volta era, e sarà per sempre!» e detto questo si tagliò la gola.
«Non dico di condividere ciò che il
Sindaco Luparl ha fatto, ma non me la sento di
giudicarlo. A modo suo, voleva solo il meglio per la sua patria.»
«Suona strano
detto da voi, professore. Le sue macchinazioni vi sono quasi costate la vita.»
«Mi chiedo se
sapendo cosa era destinato a succedere di lì a breve avrebbe comunque scelto di
portare avanti il suo piano. Lui voleva un’Eirinn libera dall’Impero, ed è ciò
che tu, ragazzo mio, alla fine hai ottenuto.»
Il professore
sorrise: «Quando ci siamo lasciati ho detto che vedevo in te qualcosa di
grande, ragazzo mio. Ma mai mi sarei aspettato di vederti arrivare così
lontano.»
«Il fato ha voluto
così.»
«A proposito, poi
cos’è successo ai Macaire? Spero che da allora abbiate fatto pace.»
«Sono rimasti
coinvolti in una faccenda delicata. Brutta storia. Forse un giorno ve ne
parlerò.»
Dopo aver svuotato
piacevolmente una seconda tazza di infuso, venne per il professore il momento
di congedarsi.
«È stato un
piacere rivederti. Immagino però che avrai ben altro da fare che perdere tempo
con un vecchio fossile come me. Mi ha fatto piacere rivederti, e ti auguro ogni
bene. Spero veramente che la tua impresa si concluda per il meglio. Questo
mondo ha bisogno del cambiamento che vuoi portare.»
Daemon esitò un
momento, fermando il professore quando questi era già sul punto di lasciare la
tenda.
«Aspettate. In
realtà c’è una cosa che vorrei chiedervi.»
«Ovvero?»
«Come avete detto
voi, sto cercando di costruire qualcosa di buono da tutto questo. E ho avuto
modo di sperimentare e apprezzare le vostre sterminate conoscenze. Immagino che
siate molto ferrato anche negli studi storici e culturali.»
«Non mi considero
un luminare, ma me la cavo.»
«Il fatto è che
sia la nostra patria che questa nazione abbondano di antiche rovine, e ad oggi
noi conosciamo ancora molto poco della storia antica di questo mondo. Pensavo
potesse essere una buona idea mettere insieme una squadra di dotti studiosi che
possano sollevare il velo sui molti misteri che ancora circondano il passato di
Erthea, e sarei onorato se voi decideste di farne parte.»
«Io!?» rispose il
professore tornando a sedersi «Dici sul serio?»
«Credo che Erthea
abbia trascurato anche troppo a lungo la propria eredità. C’è così tanto che
possiamo imparare dal nostro passato. Non posso promettervi grossi stanziamenti
come quelli a cui sarete abituato all’università di Mickarn,
ma vi garantirei assoluta libertà investigativa. Basterebbe che vi faceste
carico di scavare, indagare e catalogare ogni rovina o reperto in cui doveste
imbattervi.»
Come se stesse
cercando di prendere il professore per la gola Daemon gli versò una nuova tazza
di infuso.
«Mi piacerebbe
anche istituire una scuola superiore nello Stato Libero. Solo perché ora siamo
in guerra non significa che dobbiamo trascurare le giovani generazioni. Ci sono
tanti ragazzi volenterosi che potrebbero dare il loro contributo al benessere
della nostra patria, se solo potessero contare su di una buona formazione. Se
ve la sentite, potreste assumere la direzione della scuola e aiutarmi a
reperire altri docenti.»
Daemon conosceva
il professore abbastanza bene da sapere quanto le situazioni un po’ complicate
e che richiedevano capacità di adattamento lo attirassero.
«Tu lo sai
immagino che il Circolo non vede di buon occhio chi conduce ricerche storiche
senza la loro autorizzazione.»
«Noi siamo una
nazione scomunicata. Del giudizio e delle disposizioni del Conclave non può
importarcene di meno. E poi se non mi sbaglio voi non vi siete mai fatto troppi
problemi nello sfidare l’autorità di quegli zeloti.»
Era come se i due
navigassero sulla stessa lunghezza d’onda, intendendosi alla perfezione.
«Forse è davvero
giunto per me il momento di appendere gli stivali al chiodo e concedere a
queste vecchie ossa un po’ di meritato riposo. In fin dei conti un po’ mi
mancava l’ambiente accademico, e l’idea di formare così tante promettenti
giovani menti non mi dispiace.»
«Vi ringrazio,
professore.»
«Ma ad una
condizione.»
«Dite pure.»
«Ci sono tante
cose che non vanno nel nostro mondo, e se con il mio lavoro potrò aiutarti a
migliorarle sarò ben felice di aiutarti. Ma devi promettermi che tutto questo non resterà solo
un bel sogno. Dovrai impegnarti con tutto te stesso a creare questo mondo nuovo
e migliore di cui mi stai parlando.»
«Avete la mia
parola.»
«In questo caso,
sarà un piacere lavorare con te.»