Litigi
Blaise si
materializzò a
casa e lanciò il mantello sul divano, imprecando ad alta
voce.
Chiamò Kikky ma poi, una
volta che lei si materializzò al suo cospetto,
sbuffò nel vedere la sua
espressione terrorizzata e il fatto che si stritolasse le dita delle
mani, così
la cacciò di nuovo e lei sparì senza farselo
ripetere.
Quella ragazzina aveva
dubitato di lui! Di lui! Girò su se stesso, passandosi una
mano fra i capelli,
come se cercasse qualcosa in salotto, ma poi, non trovando niente,
imprecò
ancora.
Con passo svelto, nervoso
e arrabbiato, si diresse verso lo studio.
Sulla porta si fermò:
sulla scrivania aveva lasciato le tavole che aveva disegnato quella
notte. Si
avvicinò e, una volta davanti al piano di mogano,
tirò fuori
la bacchetta: con un gesto e un
incantesimo non verbale, sgomberò lo scrittoio da tutto
ciò che c’era sopra,
lanciando ogni cosa contro la parete.
Fu così che le boccette di
inchiostro si infransero contro il muro lasciando macchie di colore
colanti e
vagamente artistiche, mentre le pergamene iniziarono a svolazzare e ad
appallottolarsi in gesti nervosi e stizziti.
Nel momento in cui si
ricordò le parole di Ginny ‘La prossima volta ci
penserai su due volte, prima
di rifarlo’, gli si affacciarono alla mente così
tante cose che per un attimo
pensò che sarebbe crollato. Poi, caricandosi della rabbia
che sentiva dentro,
con un ampio gesto del braccio, incantò un vortice nella
stanza, che prese tutto
ciò che c’era: boccette d’inchiostro
intere e a pezzi, penne, punte nuove e
usate, pergamene bianche e scritte. Poi vide salire da terra il suo
ultimo
lavoro, mentre iniziava a girare con tutto il resto, rovinandosi e
stropicciandosi.
Che Troll che era stato!
Aveva disegnato tutta la notte, aveva riprodotto la loro storia sulla
carta e
ora… lei aveva mandato tutto in frantumi.
Lentamente abbassò la
bacchetta e tutto cadde per terra in un frastuono di vetri infranti e
piume
spezzate.
“Blaise…”
Blaise si girò di scatto
verso la porta, al suono di quella voce. Lei era lì,
lì sulla porta, e lo
guardava, quando non disse niente, lo chiamò ancora.
“Blaise…”
Ginny aveva
lasciato cadere il tono della voce relegando il suo richiamo a un
sussurro.
Blaise la guardava, in mezzo al casino e alla confusione, ma non diceva
niente.
Fece un passo avanti, per
raccogliere da terra le pergamene, quando lui le puntò la
bacchetta contro.
“Ferma lì” ordinò.
“Voglio solo raccogliere…”
Mise mano alla tasca posteriore, ma lui fece dondolare di nuovo la
bacchetta.
“Non ti muovere, ho
detto!” Come al solito, il suo tono era autoritario, ma
questa volta lei
preferì non farglielo notare.
“Le tavole… almeno…”
Blaise per poco
non le
lanciò una fattura: quella era roba sua! “Non
toccare niente!”
Lei scosse il capo. “Potresti
pentirti di aver rovinato…”
“Non ho rovinato proprio
niente, io, Porco Salazar!” Le sue parole lo ferirono: lui
stava rovinando
qualcosa? Lui? Colpì con un incantesimo dalla luce blu una
boccetta di
inchiostro rimasta illesa, sul pavimento in fondo alla stanza, e la
fece
scoppiare, colorando tutto ciò che aveva attorno e
spruzzando gocce dense in
giro per la stanza.
Vide chiaramente Ginny
pulirsi, con una calma che non le aveva mai visto, delle goccioline
colorate
dal braccio. Ora lei era calma? Ora? Ora?
Ginny
capì che lui non era
lucido e decise di cambiare strategia. Alzò le mani e fece
un passo in avanti.
“Blaise, metti giù la bacchetta, per
favore…” Era strano, perché di solito
lui riusciva
a non perdere mai la testa. Non del tutto.
“Non voglio mettere giù la
bacchetta!” Scimmiottò la sua voce e Ginny
capì che qualcosa non andava, più
delle volte in cui aveva avuto quegli scatti d’ira.
“Blaise…” iniziò ancora.
“Ho detto che devi
andartene! Non ti voglio qui!” Lei scosse la testa alle sue
parole, ma lui
puntò di nuovo la bacchetta su di lei. “Vattene. O
ti lancio una maledizione”.
“Non lo faresti mai.”
“Io non ne sarei così
sicuro, se fossi in te!”
Come? Strabuzzando gli
occhi, chinò la testa di lato. “Blaise, ma
cosa…”
Blaise fece
dondolare la
bacchetta, bleffando ancora: se le avesse fatto credere che le avrebbe
fatto
del male, se ne sarebbe andata. Oppure gli avrebbe lanciato anche lei
qualcosa.
Tutto andava bene, l’importante era che lei smettesse di
guardarlo in quel
modo.
“È possibile che la morte
di tuo nonno ti abbia sconvolto più di…”
Incattivito dalle sue
parole, che smuovevano più di quanto volesse ammettere, la
interruppe gridando.
“Lascia stare mio nonno!”
Improvvisamente, alla sua
destra, una luce fortissima lo accecò, nonostante fosse
giorno e, quando capì che
era stata la lampada attaccata al muro, un po’ si
spaventò: lui non aveva mai
generato magia involontaria. Era lei che lo faceva. Lei,
perché era lei che si
scaldava quando litigava, a lui non succedeva
perché… perché non perdeva mai il
controllo. La osservò, ma dovette ammettere che sembrava
piuttosto fredda, in
verità: calma e pacifica.
Ma perché era così? Era
troppo strana, la cosa. E poi voleva che facesse qualcosa, che si
muovesse.
Quella non era lei.
“Perché sei così calma?
Perché?” sussurrò, incredulo.
Come? Cosa stava
dicendo?
Ginny si bloccò e spalancò gli occhi.
“Cosa stai dicendo? Non…”
“Chi sei? Sei sotto
polisucco?” L’accusò e lei
capì che lui era proprio fuori di testa: forse
davvero stava dando di matto. Quando le puntò contro la
bacchetta, riuscì a
scansarsi, anche se lui non aveva lanciato nessun incantesimo.
“Blaise, per la sottana
sporca di Morgana, cosa stai facendo?” urlò,
mentre si chinava e si spostava di
lato, per prendere la bacchetta e lanciarli un incantesimo disarmante.
Blaise vide la
sua
bacchetta volare e rimbalzare sul pavimento. “Mi hai
disarmato!” Incredulo e
sorpreso, più che arrabbiato, si girò verso la
ragazza.
“Dovevo aspettare che mi
lanciassi un Revelio?” Ora lei era veramente arrabbiata, ma
si chinò a prendergli
la bacchetta e gliela porse, ma lui era troppo arrabbiato per
allungarsi a
prenderla.
“Non mi sembra che ci sia
bisogno! Solo tu imprechi in quel modo!” le rispose, stizzito
e critico.
Lei fece una smorfia con
la bocca. “Lo sapevi, che ero
così…”
“Già, lo sapevo, hai
ragione.”
Il tono deluso
del ragazzo
le strinse il petto. “Che intendi?”
sussurrò Ginny, con un filo di voce.
“Niente!” Ma il suo tono,
il suo sguardo e il suo atteggiamento, le fecero capire invece che
qualcosa
c’era.
“Io…” Fece un passo verso
di lui, ma ritrasse il braccio che stringeva la sua bacchetta.
“Tu sei impossibile! Non
si sa mai cosa potresti dire o fare, puoi dire una frase e rovinare un
momento
in cui…”
“Che momento?” Stranita da
quella frase, Ginny fece un altro passo, non capendo cosa intendesse.
Blaise scosse la
testa.
Cosa doveva dirle? Che aveva capito di amarla e lei aveva rovinato
tutto? E
come poteva confessarglielo sembra sembrare un Troll o un idiota?
Probabilmente
avevano riso di lui, quando se ne era andato dalla Tana!
“Niente, lascia stare. Lo
sapevo che non dovevo stare con te. Che avresti…”
Fece una pausa. Non voleva
dirglielo, non voleva ammettere di averci creduto con tutto se stesso e
poi
magari per lei era stato come con gli altri.
Ginny non
capiva: cosa
aveva fatto?
“Avresti rovinato tutto…”
sussurrò, lanciando poi lo sguardo in giro, come se lei non
fosse lì con lui.
“Io ho rovinato tutto?”
chiese, incredula.
“Non sono stato io a
dubitare, in fin dei conti. Ma magari non volevi neanche dirlo, vero?
Avresti
fatto finta di niente, se non fosse venuto fuori. Hai parlato senza
pensarci
e…”
A quelle parole, Ginny
sentì il calore riempirle il viso, lo aveva detto anche suo
fratello: era
istintiva come i bambini, non pensava mai alle conseguenze delle sue
azioni.
Com’era imbarazzante! Ma non voleva ammetterlo:
l’orgoglio le diceva di
ribattere e di non scusarsi. E l’arroganza che non aveva
preso dalla famiglia,
ma dalla casa di cui aveva portato i colori, le fecero fare una cosa
ancora
peggiore: attaccò per difendersi.
“Io non ho fatto proprio
niente! Sei tu che hai iniziato a essere strano quando è
arrivato Harry!” lo
accusò.
“Potter? Non mi ha fatto
né caldo né freddo! Cosa vuoi che mi interessi di
lui!” esclamò, ma tolse lo
sguardo da lei e Ginny capì che stava mentendo, ma senza
poter dimostrare la
verità.
Scosse la testa, nervosa, e
gli lanciò la sua bacchetta.
Blaise
osservò la
bacchetta rimbalzare sul pavimento e si chinò per prenderla.
“Ora dovresti
proprio andartene” rimarcò, ma senza guardarla.
Non voleva che lei andasse via,
ma non si sentiva a suo agio, aveva bisogno di chiarire la confusione
che
sentiva nel petto e per farlo aveva bisogno di rimanere solo.
“Vuoi che me ne vada?”
sussurrò lei e Blaise non si rese conto di annuire.
“Sì, è quello che voglio.
Come dicevo, hai un brutto effetto su di me”.
Cosa? Ginny
sbatté le
palpebre: lui sembrava più calmo di prima, anche se non ne
era del tutto
sicura, perché aveva una strana espressione e i suoi occhi
sembravano un po’
spiritati, come avrebbe detto sua madre. “E che effetto avrei
su di te?”
“Mi fai perdere la calma,
mi agiti e guarda cosa mi succede…” Blaise
allungò un braccio e indicò la
stanza facendolo dondolare in cerchio. Ma cosa stava dicendo?
“Non è colpa mia
se…”
“Certo che è colpa tua!
Tutto questo non sarebbe successo se tu non mi facessi sentire
così! E io odio
sentirmi così! Non voglio che prima o poi possa succedere
qualcosa di brutto!”
“Di brutto?” Ginny capiva
che lui stava delirando, ma cercava di seguire il suo discorso,
sperando di
arrivare al nocciolo della questione.
“Sì, di brutto!” Lui girò
su se stesso, agitandosi come quando lei era arrivata. Fece un passo
verso di
lui, ma Blaise non se ne rese conto e continuò a camminare
per la stanza. “Come
quando mi sono fatto prendere dal panico e non ho salvato
Bert…” Il ragazzo si
interruppe improvvisamente e la guardò con gli occhi
sbarrati.
Blaise si
fermò quando
capì di aver detto troppo. Si sentiva come sotto un
incantesimo isterico e non
riusciva a controllarsi, la cosa lo fece innervosire ancora di
più.
“Chi è Bert?” Ginny si era
bloccata e aveva corrugato le sopracciglia.
“È… Era mio fratello”
rispose Blaise senza pensarci, per poi prendersela con se stesso per
aver
parlato.
Ginny
spalancò gli occhi.
La frase sul fratello! Si portò una mano alla bocca.
“Il Magician Directory!
Hai detto qualcosa nello studio di tua madre…
cosa…”
Blaise sbuffò. “Non ha
importanza, tanto non voglio parlarne con te”.
Ma come? Cosa stava
dicendo? E poi, che collegamento c’era?
“Cos’è successo con Bert?
Perché dici che non lo hai…”
Blaise la
interruppe
gridando. “Ho detto che non voglio parlarne!”
Lei fece una faccia
strana, come se fosse scocciata. “Beh, avrò il
diritto di sapere…”
“No!” urlò ancora lui.
Perché non capiva?
Ma forse lei iniziava a
conoscerlo troppo bene. “È qualcosa che ti fa
sentire in colpa? Per questo?”
Colpito dal fatto che lei
lo avesse detto ad alta voce e che avesse capito tutto,
respirò forte e dalla
sua gola si sprigionò un ruggito. Non riuscire a spiegare
nenache a se stesso
il fatto di sentirsi in colpa per qualcosa che, realmente, non era
stata per
colpa sua, lo faceva stare male e non voleva parlarne con nessuno.
“Ora vattene.”
Ginny, non troppo stupita
dalle sue parole. Scosse la testa.
“Tendi a scappare quando
non capisci quello che provi. Proviamo a parlarne insieme”
propose, senza
pensare al fatto che lui non avrebbe gradito una frase del genere.
“No. Vattene. Come ho
detto, è stato uno sbaglio” insistette.
Anche se aveva capito
quello che intendeva, Ginny non riuscì a non chiedere:
“Cosa è stato uno
sbaglio?”
“Noi.”
Blaise non
riuscì a guardarla
mentre le diceva quelle parole. Non si rendeva conto che
l’orgoglio era dei
Grifondoro e, probailmente, se ci avesse pensato, avrebbe reagito
diversamente.
“Per la lettera di Harry…”
iniziò lei, ma lui preferì non farla finire: ora
voleva veramente rimanere da
solo.
“Non mi interessa di
Potter, te l’ho già detto.”
Lei sospirò come si fa
quando si parla con un bambino piccolo particolarmente fastidioso ma di
cui non
si può evitare la compagnia.
“Pansy diceva che probab…”
“Se mia cugina ti ha detto
che ero geloso, sappi che si è sbagliata, perché
io non potrei mai essere
geloso di…”
Ginny lo
guardò mentre il
suo sguardo tornava su di lei e si faceva freddo. Freddo come a
Hogwarts. Come prima
di conoscerlo veramente.
Lui non avrebbe mai potuto
essere geloso di lei? Lei non era importante per Blaise? Non lo era
come lui lo
era per lei? Forse era vero: non era il classico tipo di ragazza che
lui
frequentava, non era appariscente, non sapeva muoversi
nell’alta società, non
sapeva niente delle cose da ricchi. Forse loro non erano ben assortiti.
Si
morse il labbro e annuì più volte, con la morte
nel cuore.
“Di me. Allora… ciao…”
mormorò, prima di fare un passo indietro e smaterializzarsi.
Blaise rimase a
osservare
il punto in cui lei era sparita, come se si rendesse conto in quel
momento di
cosa aveva detto, di quello che le aveva fatto credere. Voleva
dirglielo,
voleva che ci rimanesse male, che si sentisse come si era sentito lui
e, allo
stesso tempo, voleva anche che lei non ci credesse. Che gli ridesse in
faccia e
lo prendesse in giro. Era troppo confuso.
Lentamente, andò a sedersi
alla scrivania, appoggiò la bacchetta, mise i gomiti sul
tavolo e si nascose il
viso fra le mani.
Ma cosa aveva fatto?
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