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Autore: Enchalott    08/05/2024    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La notte dell’een
 
Yozora trasse un sospiro, vagliando che Mahati non sarebbe tornato quella sera, la terza da quando era partito.
Neanche il tempo di rientrare da Salki e l’avevano convocato d’urgenza a Minkar. Lo sguardo che si erano scambiati non aveva dato adito alle rimostranze: l’een sarebbe stato rinviato difronte all’improrogabilità della questione. Un abbraccio, una parola di rammarico e la promessa di sbrigarsela quanto prima.
C’è sempre qualcosa che me lo porta via.
Le mancate notti di nozze la rattristavano, sebbene Naiše si adoprasse per sollevarle il morale con chiacchiere e passatempi. La mente tornava al novello sposo e ai timori che la sua lontananza le infliggeva.
In aggiunta a ciò, Valka era sparito e Solea era preposta alla difesa della capitale, pertanto allontanarsi dagli appartamenti era precluso. Il sicario che l’aveva quasi uccisa era uccel di bosco e il palazzo era in costante allerta.
Avrebbe volentieri incontrato Rasalaje ma, quando aveva provato a organizzare un akacha, la principessa reale aveva declinato l’invito senza ricambiarlo. Sentiva la sua mancanza come amica e come figura di riferimento, inoltre la sua schietta opinione sui recenti accadimenti le avrebbe illuminato il sentiero.
Spero stia bene, l’ultima volta era sciupata e amareggiata.
Sfogliò controvoglia le pagine del racconto che stava leggendo. I pensieri fuggivano sull’interrotta trasposizione dello Shikin, ma il veto del Kharnot non era aggirabile e quelle righe conturbanti sarebbero giaciute nel mistero.
Certo Rhenn se la prenderà a morte.
L’Ojikumaar l’aveva accolta a Mardan con distacco tanto formale quanto recitato. Si era congedato in fretta, lo sguardo adombrato di chi sarebbe voluto restare. Nessuna ulteriore occasione di confronto, ma chiedere di lui era sconveniente a prescindere dalla manifesta avversione di Mahati.
Eppure vorrei parlargli del sogno. Accertare che è stata solo un’illusione prodotta dall’alizarina. Sarà difficile conseguire un colloquio serio, dato l’argomento.
Quando bussarono alla porta, sperò in un diversivo piacevole e ne ebbe conferma nel momento in cui Naiše tornò dall’anticamera, l’abito sollevato per la solerzia di riferirle il messaggio e un gran sorriso.
«Il Šarkumaar è di rientro! Ordina che siate disposta per l’een
«Serve una preparazione?» domandò stupita.
«Di solito no, ma vostro marito opta per il rito ancestrale, cui nessuno ricorre da anni. Vorrà che gli condoniate l’assenza.»
«Come?»
«Ecco, tale modalità prolunga e rende più piacevole l’unione. Inoltre nessuno oserà disturbarvi, l’incenso è un deterrente che tutti riconoscono» la shitai le prese le mani «Mia signora, non angustiatevi, il principe così vi comunica i suoi sentimenti.»
«Guardatevi dal pronunciare il proibito, Naiše. Non riuscirei a tirarvi fuori dalle carceri una seconda volta.»
«L’een è un’usanza remota quanto i daama. All’epoca di Kushan non esistevano divieti, è ciò che resta a un Khai per aprire il cuore senza intaccare il credo.»
«Capisco. Che devo fare?»
«Affidatevi a noi e attendete il vostro consorte.»
Le dorei allestirono il bagno purificatore con pregiati oli aromatici, le spazzolarono i capelli, l’agghindarono con una veste di seta, rossa come quella sponsale, sottile e fluente. La indossò sulla pelle nuda, scalza, il cinto fu serrato con un semplice nodo.
L’incensiere venne condotto nel talamo e sprigionò un’essenza dolce, che saturò l’ambiente senza dissolversi poiché le finestre furono schermate, i drappi abbassati e le lampade spente. Il chiarore esterno filtrava pigro, sufficiente a distinguere i contorni familiari.
Yozora si accomodò sul letto nuziale, carezzando la delicatezza serica delle lenzuola e dei petali bianchi di yurishi. Precipitò in un trepidante silenzio quando le schiave abbandonarono gli appartamenti del Kharnot e serrarono i battenti.
L’uso antico prevedeva che gli sposi si concentrassero sull’amplesso e il cuore batté energico come la prima volta in cui lui l’aveva posseduta.
 
Una lama di luce si proiettò sul pavimento e svanì, quando lo sposo varcò la soglia. I passi cadenzati confermarono la sua presenza, il fruscio dell’abito indicò la fretta che lo pervadeva.
«Perdona gli indugi.»
La sua voce suonò lontana, eppure il materasso si piegò e il suo calore prossimo la lambì. Intravide il suo volto attraente, le palpebre socchiuse sullo sguardo intenso, i capelli privi di fermagli, la veste nuziale tesa sul corpo muscoloso.
Gli accarezzò una guancia, inoltrò le dita nella sua chioma d’onice, ancora umida per l’abluzione.
«Sento la testa leggera» gli sussurrò all’orecchio.
«È l’effetto transitorio dell’incenso, la resina potenzia la resistenza fisica e annulla la fame. L’een non si interrompe, può essere stancante persino per un Khai.»
«Secca la gola?»
«No» rise lui «Ciò è dovuto a te. Bevi, non avrai altre occasioni.»
Yozora si dissetò, le mani tremanti per l’aspettativa. L’acqua tracimò dal calice, colandole lungo il collo e tra i seni. Non ebbe tempo di rimediare: gli occhi di lui, gemme scure nella penombra, seguirono il percorso sinuoso, le pupille verticali si allargarono selvagge, le zanne biancheggiarono tra le labbra schiuse.
La rovesciò sul letto aprendole l’abito con due dita, poi seguì con la lingua il tragitto delle gocce trasparenti, tracciando una via di ritorno molto più lasciva.
«Che aspetti a spogliarmi?» suggerì impudico.
Lei gli snodò la cintura, quasi gli strappò la veste di dosso, non si scusò né arrossì quando ottenne in cambio un sorriso sorpreso ma pago. Gli accarezzò il perimetro flammeo del thyr, procurandogli un piacere tale da strappargli un gemito rauco.
«Così?» lo istigò.
Il principe accolse la provocazione e la denudò, seguì con una carezza la linea delle sue braccia, se le allacciò al collo, il corpo rovente calcato sul suo.
«Così» avvalorò ansante.
Finalmente la baciò, piano, giocando con la sua bocca e concedendo la propria, a lungo, con dolcezza, poi con forza. Le loro labbra rimasero incollate come se staccarsi fosse un supplizio, le mani s’incontrarono, si persero le une sulle membra dell’altro per regalarsi un godimento reciproco e prolungato.
Yozora gridò inarcandosi al suo tocco sapiente, fece scorrere le dita sulla sua schiena, stimolando la cicatrice biforcuta dell’enšak.
«Dèi!»
La pelle di lui s’increspò in brividi mentre sussultava come se la zona erogena non avesse mai ricevuto quel genere di attenzioni. Reagì d’istinto, prendendola ai fianchi, annodandosi alle sue curve procaci: l’intimità del tocco s’accese, s’inoltrò in lei. La vide contrarsi, nel respiro affannato la udì bramare il finale. Invece scelse di protrarre l’agonia di entrambi, l’eccitazione s’impennò, il cuore esplose in battiti disordinati e ancora non gli bastò, continuò, infierì.
Yozora riuscì a sfuggirgli e si rivalse con identica passione, spingendolo all’indietro, baciandogli il ventre fino alla radice del rogo che gli ornava il torace, in una discesa che pareva non avesse termine.
«No…»
La bloccò e si lasciò cadere su un fianco, ignorando la lieve meraviglia che le passò sul viso. Indugiarono occhi negli occhi, il desiderio inappagato pulsava nelle tempie, sulle labbra turgide, nei corpi frementi. Le dita si avvilupparono in carezze, tenere pressioni verso l’epilogo del gioco carnale che avevano ingaggiato.
«Prendimi» esalò lei per prima, senza fiato nel viluppo di loro.
Gli baciò le mani, le callosità originate dalla spada erano ruvida fonte d’eccitazione, attese che la esaudisse sfiorandogli la curva virile dell’avambraccio sino alla pelle delicata del polso.
Incontrò un solco, una linea falcata che originava una sagoma.
Cosa…?
Luna crescente nitida, spietata, incisa dalle fiamme.
Non è possibile… non è…
Il marchio del tylid emerse dalla penombra e la annientò in un istante.
«No!» si ribellò alle braccia che la cingevano «No!»
Lo sguardo smarrito di lui si tramutò in coscienza. Inalò l’aria, puntellandosi al gomito, ma non la lasciò libera.
«Non toccarmi!» strillò Yozora «Come… cosa sei!?»
Rhenn scosse il capo: la chioma scurita, tagliata corta, seguì docile la movenza. Si tastò la cicatrice, una ruga tra le sopracciglia. L’assenza dell’onorifico non era un atto di confidenza.
«Per designare una forte somiglianza si dice “due gocce d’acqua”. Nulla di più vero: riflessi nella piscina della torre ovest, a lume smorzato, Mahati ed io siamo identici. Ho creduto che, priva dell’olfatto khai, non ci avresti distinto.»
«Cosa!? Perché l’hai fatto!?»
«È necessario che fornisca una risposta che conosci?»
«Sei un bastardo! È te che non conosco! Lasciami!»
«Ti voglio, fingi di non saperlo! Ti voglio da morire!»
«Io non riesco a guardarti! Mi disgusti! Non sarò tua! Mai!»
«Gli insulti non mutano la realtà. Percepisco il tuo desiderio.»
«Ti ho creduto mio marito! È lui che…»
«Nae! La tua mente mi respinge ora, il tuo corpo m’implora ora, a carte scoperte! Il rifiuto nei miei riguardi è menzogna per te stessa, una sofferenza autoimposta! Ne vale la pena?»
«Tu non sai ciò che provo! Se fossi limpido, se fossi un uomo e non uno sporco vigliacco, non avresti osato!»
«Da leale, da temerario, da bestia degenere, lo rifarei! Mille volte! Non avresti mai capito di essere stata mia, saremmo vissuti nell’iwatha di cui vai fiera! La dannata mezzaluna è un inconveniente che dimostra quanto tu mi conosca!»
«Con quale diritto nomini pace e coscienza!? Hai tradito tua moglie, tuo fratello, hai raggirato me che ti ero amica!»
«L’amicizia è un utile riparo, per te. Non è ciò che potremmo condividere.»
Yozora andò in frantumi. Quanto aveva costruito era crollato e non esisteva modo di ricostruirlo. Interruppe la resistenza fisica, afflosciandosi nell’abbraccio forzato.
«Vattene. Ti prego, vattene o chiamo aiuto.»
«L’ala è deserta. Chiunque penserebbe che l’een è faticoso per una straniera, nient’altro.»
«Riacquista il senno, Rhenn… non lo dirò a Mahati, te lo prometto. Va’ via.»
«Sono lucidissimo e finirò ciò che abbiamo iniziato.»
La schienò sul talamo. Lei serrò le palpebre, le lacrime caddero tra i petali sgualciti.
«Intendi violarmi?»
«No. Accettami, Yozora.»
«Preferisco morire! Mi aprirò uno squarcio nel petto, dammi la spada! È mio diritto!»
L’Ojikumaar palpitò. Le passò l’indice sul viso e lo fermò sulle sue labbra tremanti.
«Per l’Arco infallibile, in vita mia non ho mai chiesto permesso! Sei la prima di cui mi importa e preghi la morte!» sollevò la destra, gli artigli baluginarono alla luce incerta «Con una nutrita dose di veleno non sentirai nulla, forse la tua mente cucirà sulla mia l’immagine di Mahati, lo riterrai un sogno. Vivrai da inconsapevole. Ingiusto sì, ma non sopporterei di perderti.»
«Mi hai già persa! Tale cognizione esisterà in eterno, sarai l’unica vittima del tuo inganno. Potresti essere più infelice di così, Rhenn?»
Lui spalancò gli occhi ed espirò, l’anima lacerata dal tormento.
«Non userò gli artigli, non serve. Persino ora ti preoccupi di me. Perché non mi dici sì?» la baciò con insolita tenerezza, come se non fosse sull’orlo di un abuso «Non posso fare a meno di te. Non posso!»
Yozora rabbrividì. Giungere a modificare l’aspetto per ottimizzare la somiglianza con Mahati era diabolico. Tuttavia, in un canto del cuore, afferrava il motivo per cui lo aveva concepito. Fu costretta a difendersi da qualcosa che non era prepotenza fisica.
«Se non lo comprendi, sei peggiore di tuo padre. Per quanto ignobile, l’aikaharr è avvenuto alla luce del sole, tu hai preferito strisciare nel buio.»
Rhenn si bloccò, la mano sul cuore, la reminiscenza di una preghiera brillò lontana.
“Non permettete che diventi come mio padre. Piuttosto uccidetemi, un colpo di pugnale qui”.
I pensieri volarono, i ricordi turbinarono abbozzando il viso di Hamari, devastato dall’umiliazione, il rogo di Naora, la mano di Mahati stretta nella sua davanti alle ceneri di colei che l’aveva partorito, l’odio inveterato per Kaniša, sangue, morte, sofferenza… cristallo, piramide, eclissi…
Contenne lo slittamento e non si lasciò inghiottire dalla visione insorgente. Si chinò sulla ragazza e le sussurrò all’orecchio.
«Se lo pensi, uccidimi come ti ho chiesto. Dopo non lo impedirò.»
Yozora ricordò e raggelò. Le parole vennero meno, le braccia puntellate al petto del principe si piegarono alla sua energia demoniaca. Lo graffiò, lo morse, gridò ma non lo distolse.
Trovarsi sotto di lui è spaventoso, è… venerati Immortali, ascoltate la mia preghiera e aiutatemi… aiutatemi…
Il telaio della finestra esplose con il fragore del tuono, una folata scombinò il filo azzurrino dell’incenso ed estinse il lume, le schegge ticchettarono sul pavimento, un ringhio sordo eruppe dalla figura acquattata sotto l’arcata.
Rhenn balzò dal letto e si lanciò sulla spada, il corpo nudo teso come una corda.
Yozora si accasciò, ansando di terrore. Non assegnò un’identità alla sagoma che si spostava brandendo due lame sguainate, sulle quali il riflesso della luna pareva una sentenza di morte.
«Non è un gioco di specchi, vero?»
La voce era il brontolio di un vulcano al risveglio.
«Perspicace» ribatté l’Ojikumaar muovendosi cauto.
«Parrà bizzarro massacrare me stesso.»
«Vedrò di risparmiarti la stramberia.»
Mahati inalò l’aria con esiziale calma, raggiunse il contenitore traforato dell’incenso e lo scagliò a terra, smorzando le braci con lo stivale. Non abbassò mai lo sguardo.
«Resina per l’een mista a rabenda per coprire l’odore e a shyobi per abbassare i freni inibitori. Notevole, hai usato anche un afrodisiaco?»
«Aanthen. Superfluo, tua moglie sa come accendere un maschio khai.»
Il secondogenito scattò in avanti. Rhenn parò l’attacco della lama lunga, ma l’altra gli aprì un profondo taglio sull’omero. Arretrò cercando di bilanciare lo svantaggio, ma l’attaccante mulinò un secondo duplice affondo e lo ferì al fianco.
Incassò l’urto con un grugnito e si rimise in guardia. Inutile piatire un bilanciamento, suo fratello non avrebbe accordato parità a un campione di slealtà.
«Una sfortuna che tu abbia respirato l’incenso. Per quanto immune, l’aanthen riduce i riflessi» mormorò Mahati sprezzante.
«Non lo userò come scusa.»
«Vale anche per me.»
Contro ogni aspettativa il minore gettò l’arma in eccesso, però non concesse tregua e lo caricò, spingendolo contro il muro in poche mosse. Rhenn si sottrasse a malapena alla furia dell’assalto, lungi dal pareggiarlo: poco dopo il sangue sgorgò dalla lacerazione orizzontale che gli si allargò tre dita sotto l’ombelico.
Per gli dei, pochi centimetri e…
Portò la mano al ventre e avvertì la viscosità tiepida ruscellare verso l’inguine. Avrebbe dovuto medicarsi o l’emorragia lo avrebbe portato alla sconfitta. Trascurò lo spasimo e riacquisì la posizione di difesa.
«Vuoi uccidermi o evirarmi?» sogghignò nel tentativo di ricavare secondi preziosi.
«invero saresti molto più riconoscibile, tuttavia arresterò il tuo cuore abietto senza umiliarti. È l’unica cortesia che ti devo.»
Mahati lo incalzò come se fosse un nemico qualunque.
L’Ojikumaar tentò l’affondo, consapevole che al primo incrocio il fratello aveva privato il suo braccio dominante dell’agilità. Portò la spada a sinistra e fu daccapo: il minore evitò il fendente e gli trapassò la spalla, inchiodandolo alla parete senza pietà.
Inghiottì un gemito, sulla lingua il sapore ferroso del sangue. Si addossò al muro per non dare mandato alle ginocchia che si piegavano. La visione scurì, segnalando il limite della sua resistenza.
Non ho ancora perso!
L’orgoglio gli restituì un pizzico di contezza.
«Non ascolti le mie ultime volontà?» rantolò sarcastico.
«Ne ho abbastanza. Crepa in silenzio.»
Lo sguardo del Kharnot era ghiaccio. Se fosse stato magma, avrebbe avuto margine di trattativa, una probabilità di spiegarsi, per quanto ignobile e condannabile. Avrebbe ricevuto una grandinata di botte, cui non si sarebbe sottratto, e la collera di Mahati si sarebbe estinta. Sarebbe sopravvissuto. Non era il caso presente. Lo conosceva: nel momento in cui ogni umanità in lui appariva spenta, le emozioni si addensavano sul confine ove sceglieva tra volontà e dovere, e la risoluzione che ne scaturiva non avrebbe generato alcun rimorso. Comprese che lo gli avrebbe elargito la morte.
Lui è l’aurora, io il tramonto. Sarebbe logico, se non desiderassi vivere.
«Questo buio è la fine della notte, fratellino, non l’inizio» esalò con un sorriso stanco.
L’altro sgranò gli occhi. Quell’esitazione fu sufficiente.
Rhenn afferrò la lama a mani nude e se la strappò dalla carne. Balzò sul tavolo, fracassò le imposte con una spallata e rotolò sulla terrazza. Al chiarore lunare la sua carnagione appariva alabastro nonostante l’artificio usato per abbrunarla, il sangue fresco lo rendeva simile a un effimero oyūre.
Al fischio appena udibile, Delzhar s’innalzò dal cornicione di pietra, il rostro schiuso al percepire le condizioni precarie del padrone. Lo afferrò di peso e decollò prima che lo sfidante lo fermasse.
Il Šarkumaar portò le dita alle labbra, deciso a inseguirlo foss’anche nel naarak.
«Mahati…»
Per un istante il flebile richiamo di Yozora lo distolse. Poi riempì d’aria i polmoni ed emise il segnale. La sagoma di Fyratesh si levò annerendo parte della volta celeste.
«Mahati… non lasciarmi sola, ti supplico!»
Il vradak si posò sul fregio di mattoni, in attesa.
«Ti prego… non andare via, non stavolta…»
Il cuore del principe ebbe una contrazione. Sollevò l’indice e l’uccello da guerra tornò da dove era venuto. Si terse il sudore dalla fronte, attraversò il talamo distrutto dal duello e raggiunse la moglie. Rimase in piedi accanto al letto, fronteggiandola.
Lei gli prese la mano e l’appoggiò sul viso umido di pianto. Aveva le pupille dilatate dall’afrodisiaco e tremava, dalla sua nudità proveniva l’essenza maschile di Rhenn.  La respinse, la rabbia divampante in ogni fibra. Al movimento brusco, Yozora sollevò uno sguardo indifeso, che lui si impose di trascurare.
«Per quale difetto non mi hai riconosciuto!?» sferzò furibondo.
La ragazza si asciugò gli occhi, pallida come gli yurishi che giacevano sulle coltri.
«Io… io ho reagito appena ho realizzato…»
Mahati aveva visto le tracce sull’epidermide del fratello, non certo dovute a un gioco erotico. Tuttavia non sentì ragioni.
«Non portava né l’anello né il pendente! L’hai notato!?»
«Come la prima volta tra noi. Solo l’uomo, ho creduto che anche per l’een…»
Lui fremette, la collera sfumante in sentimenti troppo forti per essere contenuti.
«Non hai il nostro fiuto, la mistura che hai respirato ti ha intontita, eppure… il mio tocco, le mie labbra, il mio corpo! Non può essere stato identico!»
Lei nascose il volto tra le mani, disperata.
«Gli dèi mi siano testimoni, ti volevo così tanto che, quando ho appreso di una richiesta tanto romantica, sono scoppiata di gioia! Eri tu finalmente, tu giungevi per me, tu e nient’altro a frapporsi! Certo alcuni dettagli mi hanno sorpresa ma li ho ritenuti connessi al rito, la mia testa era una trottola impazzita, era buio e tu… lui… non c’è scampo alla passione travolgente di un Khai!»
Romantica!?
Mahati sapeva che per sua moglie le notti sponsali rappresentavano un idillio e che le attendeva in dolce trepidazione. Avvertì la morsa del senso di colpa. A causa del suo ruolo era stato costretto a lasciarla quando invece bramava rimanerle accanto. Troppe volte l’assenza si era tradotta in avversità che l’avevano investita.
È così? Sono io che ho mancato?
«Sin dove si è spinto?» domandò rauco.
Yozora si ritrasse, stringendo le lenzuola a nascondere il disagio, ma la risposta non corrispose al gesto.
«Se mi avesse presa, avresti trovato il mio cadavere confitto sulla spada!»
L’immagine funesta si proiettò nella mente del principe, che si irrigidì in un rifiuto.
Una mia responsabilità il sacrificio per lavare šokai. No, divino Belker, neppure a voi darò mia moglie. Non segue le vostre leggi, ma questo mondo infausto la costringe a comportarsi come chi vi esaudisce. Non posso permetterlo.
Lasciò cadere lo sguardo sui fiori bianchi: i petali spossati ansimavano un profumo trasparente. La furia defluì in bruciante frustrazione.
«Per ciò che ora hai detto, sarà Rhenn a incontrare il Custode.»
«Ti macchieresti di fratricidio?»
«Nae! Lo disconosco, ripudio il sangue condiviso! È un estraneo, un rifiuto!»
«Mio prezioso, ascoltami…»
«Seguiti a difenderlo, a proteggerlo! Cosa devo pensare, Yozora!? Cosa!?»
La principessa vinse il groppo alla gola e riconquistò la mano del marito.
«Dirgli che è divenuto peggiore di vostro padre è stata la mia ultima prova d’amicizia» deglutì sofferenza e affrontò gli occhi sgranati che la fissavano «Ciò che farà o sarà, da ora non mi riguarda più. Tu all'opposto sei il mio diletto sposo, non ti consentirò di agire come Kaniša con Kujul. Se esiste una maledizione sulla vostra casata, la spezzerò a costo di offendere i Superiori e precipitare nell’oblio eterno. Finché mi concederanno respiro però, sarò il baluardo tra te e ciò che osa definirsi destino.»
Mahati si morse le labbra onde non arrendersi alla commozione.
«Sentiamo come dovrei rivalermi» mormorò ostinato.
«Sii felice.»
Il signore dell’aurora esitò solo un istante. Poi la sollevò tra le braccia per guardarla negli occhi, lasciando scendere in profondità quell’auspicio semplice e temerario.
«Hai un’idea del modo o è una frase a effetto?» le sussurrò all’orecchio.
«Con il coraggio di un Khai. Niente di più vero.»
 
Delzhar planò sul tetto della torre ovest poiché l’istinto lo ammonì di lasciare il suo cavaliere alle cure di quel luogo noto.
Quando divelse il telaio dell’accesso esterno, Rhenn riacquisì parziale coscienza.
Scivolò d’arcione premendo la mano sulla ferita più grave, il respiro affannato, una nuvola nera a ottenebrare i sensi. Si resse all’infilata di arcate, scostando le dita insanguinate dal piumaggio scuro del vradak, che pigolò inquieto.
«Vai, piccolo… grazie…»
L’animale lo scrutò interdetto, le iridi granato strette tra le orbite oblunghe. Obbedì controvoglia, innalzandosi in una ventata di polvere ascendente.
Il principe scese la scalinata con il supporto dell’abitudine, un piede dietro l’altro, disegnando contro la parete un’ondulata linea scarlatta.
 
Rasalaje si destò allo schianto inatteso e ordinò alle dorei di ravviare le lampade. Non ebbe tempo di richiamare i nisenshi: un uomo nudo e ricoperto di sangue irruppe barcollando nell’anticamera come se avesse gli inferi alle calcagna.
«Mahati!?»
Arretrò inorridita, priva di spiegazioni plausibili, la paura rovente nel petto.
«Devo… un guaritore…»
La principessa reale pietrificò. Impiegò un istante a focalizzare ciò che la voce incerta rivelava, gli occhi si sforzarono di vedere oltre l’artificio.
«Re…Rhenn?»
L’erede al trono rovinò a terra in un tramestio di cocci infranti, boccheggiando.
Lei passò l’ordine alle schiave, raggiungendolo con il cuore in gola. Riconobbe le ferite di spada, la mente vagò nel vuoto mentre cercava di arrestare l’emorragia.
«Che hai fatto?» ansò «Per quale fine perverso hai l’aspetto di tuo fratello?»
Sulle labbra esangui di Rhenn spuntò un sorriso compiaciuto. La risposta non esalò dalla bocca ma dalla pelle: un aroma familiare misto a quello del sesso e della pena fisica.
No!
Rasalaje si conficcò gli artigli nei palmi per non infliggergli il colpo di grazia e insisté a comprimere la ferita al ventre, mentre nell’animo se ne apriva una altrettanto letale.
«Hai fuorviato Yozora per averla mentre Mahati è a Minkar?! È così!?»
Non cercò una risposta bensì una conferma.
«Ehn…»
Nessun pentimento nell’ammissione, solo quell’espressione appagata sul volto pallido. Pressò più forte, strappandogli un gemito.
«Neppure gli Immortali sanno quanto sei esecrabile, Rhenn! Vorrei stringerti la gola e spegnerti ora, nell’infamia! Ma un’agonia breve è una pena inadeguata, ti salverò affinché tu affoghi nel fango! Per secoli ho perdonato l’infedeltà, le concubine, le parole distorte! Ho finto di non sapere, di non vedere, persino quando hanno tentato di mettermi contro un’innocente! Ma questo… questo non passerà, lo giuro sull’Arco delle battaglie!» trasse il fiato, divisa tra collera e oppressione «Parla! La mia kalhar ha bisogno d’aiuto?»
Il petto del principe si sollevò a fatica. Tossì una boccata di sangue, gocce di sudore gelido fiorirono lungo le membra. Scosse il capo.
«È Mahati che ti ha ridotto così? Se giungerà a finirti, non lo ostacolerò!»
«Lei… lo impedirà…»
Rasalaje trasecolò, le iridi di ghiaccio prive di colore.
«Arrogante spergiuro, chi ti dà la certezza?»
«Lo so… no, forse l’ho visto nei sogni…»
Rhenn ebbe uno spasmo e si abbandonò.
20240416-191722
   
 
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