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Autore: Cathy Holland    23/07/2024    1 recensioni
Sicilia, 1988. Tre bambini, Stefano, Enrico e Claudia, giocano insieme nella campagna bruciata dal sole estivo. Sono amici per la pelle, ma non sanno che tra loro c'è un segreto che può dividerli per sempre.
Milano, 2015. Stefano ha cambiato vita completamente e crede di essere libero dal passato, fino a quando non riceve una telefonata che lo riporta indietro, dove tutto è iniziato. E se ciò che si è lasciato alle spalle distruggesse il suo presente?
[Un nuovo capitolo ogni martedì]
AVVISO!
L'aggiornamento di martedì 16 luglio è rimandato a martedì 23 luglio.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 24
SPEZZATO

 

 

 

 
Sicilia, Isola di Santo Stefano
Autunno 1999

 

 

 

 
Due giorni dopo l’arrivo del risultato del test, Stefano era da solo nell’appartamento di Rosa e Claudia. Era quasi ora di pranzo, le ragazze erano al lavoro e il suo traghetto partiva nel primo pomeriggio. Aveva già fatto la valigia e non gli restava che aspettare, cercando di non impazzire sotto i colpi del pensiero martellante di Enrico. Non aveva ricevuto alcuna risposta da lui, ma non si era aspettato che accadesse o almeno non così presto. Sperava solo che non ci volesse troppo tempo, abbastanza da far diventare incolmabile l’abisso che li separava. Di tanto era tanto lo assaliva alla gola il dubbio che fosse già troppo tardi, che non ci fosse più nulla da fare, ma si sforzava di allontanarlo, concentrandosi per farlo sparire. Non era mai stato il tipo di persona che si crogiola nel tormento.
Era impegnato a sfogliare un libro che Rosa stava leggendo e che aveva lasciato sul divano del salotto, nel tentativo di distrarsi, quando suonò il campanello. Sollevò lo sguardo dalle pagine che non aveva neanche guardato. Le ragazze avevano le chiavi, naturalmente, e per quel che ne sapeva lui non aspettavano nessuno. Lo invase un presentimento sgradevole, come un gancio che gli strattonava lo stomaco, ma non considerò neanche per un secondo l’eventualità di non andare ad aprire. Nella vita si era comportato da codardo soltanto una volta, quando era scappato dall’isola per non incontrare Enrico dopo essere stato con Claudia. Aveva giurato a se stesso di non esserlo mai più. Mise via il libro, si alzò, andò alla porta con passo calmo, ma senza indecisione, e aprì. Il suo presentimento divenne realtà quando incrociò lo sguardo perplesso del fratello. Rimasero a fissarsi per qualche momento, muti. Enrico sembrava colto alla sprovvista, ma si riprese piuttosto in fretta e assunse subito un’aria impassibile.

«Cerco Claudia» disse, la voce rigida e priva di intonazioni particolari. «Abbiamo un appuntamento.»
Era chiaro che non si aspettava di trovarlo lì. Stefano sapeva che Claudia lo aveva chiamato la sera in cui avevano avuto il risultato del test per comunicarglielo (le era sembrato doveroso, sebbene lui si fosse opposto all’idea di verificare la paternità) e aveva capito vagamente che si erano accordati per vedersi dopo che lui fosse andato via, ma non aveva fatto domande. Non erano affari suoi. Claudia, però, non c’era. Rifletté un momento e intuì cosa potesse essere successo.
«Claudia è al lavoro» disse, tranquillo, nonostante il battito rapido del cuore. «Si era presa il giorno libero, ma ieri sera il suo capo l’ha chiamata e le ha chiesto di cambiare i turni. Ha avuto un’emergenza, credo. Stacca all’una.» Lanciò uno sguardo all’ orologio da polso: mancava una manciata di minuti a mezzogiorno. «Io parto alle due. A giudicare dalla tua faccia, direi che vi siete capiti male. Pensavi che fossi già andato via.»
Enrico aveva proprio l’espressione di chi ha ricevuto una brutta sorpresa. Fissò il fratello in silenzio, limitandosi a stringere appena le labbra. «Dille che sono passato. Per favore.» aggiunse, ironico. «Mi troverà al baglio tutto il giorno. Può venire quando vuole.» Fece per andarsene. Era chiaro che non sopportava di stare lì, come se il pavimento bruciasse sotto i suoi piedi.
«Perché non entri?» propose subito Stefano, di slancio. Si sporse un po’ verso di lui come per trattenerlo, ma non osò. Era più prudente evitare i contatti indesiderati. «Puoi aspettarla qui. Torna tra poco.»
«No, grazie.» Enrico rispose prima ancora che l’altro avesse finito di parlare. Non aveva avuto bisogno di pensarci neanche per un attimo. Si mosse di nuovo verso le scale.
«Sempre così educato… Anche quando chi hai davanti meriterebbe i peggiori insulti del mondo» rilanciò Stefano, gli occhi fissi sulla schiena girata per metà del fratello. Non aveva intenzione di lasciarlo scappare via così in fretta. «È proprio da te» aggiunse con tono più basso e malinconico.
Enrico si era bloccato, ma non si voltò, le spalle e le braccia visibilmente rigide. Fece un passo verso le scale, come se l’altro non avesse parlato, e Stefano si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione. Perché doveva rendere sempre tutto così difficile?
«Hai avuto il mio messaggio?»
Enrico mosse appena la testa, come se avesse un moscerino che gli svolazzava intorno a dargli fastidio, e una smorfia gli incurvò le labbra. «Il messaggio in cui ti offri di essere preso a pugni?» chiese per tutta risposta, la voce rigida. «Sì, l’ho ricevuto. Anche quello è proprio da te.»
Stefano si aspettava che cercasse ancora di andarsene, invece rimase lì dov’era, fermo. Non lo guardava, ma non era scappato via. Un barlume di speranza si accese nel suo petto. «Allora, che aspetti? Sono qui.» Allargò le braccia, quasi offrendosi alla rabbia e al risentimento dell’altro. «Non reagirò. Sarò il tuo punching ball.»
«Non mi sporco le mani con te.»
Stefano trasalì, anche se cerò di mascherare il movimento cambiando leggermente posizione. Non riuscì a non sentirsi ferito. Sapeva di meritarlo, però, e suo fratello era ancora lì. Era davvero un segnale di apertura, nonostante le sue parole, o stava solo pensando al modo migliore di filarsela?
«Quindi devo tirarmeli da solo? Va bene, sarà un po’ complicato, ma se è questo che vuoi cercherò di accontentarti.»
«Basta con queste minchiate» scattò Enrico di colpo e si mosse di nuovo verso il primo gradino. Ecco che scappava.
Stefano reagì subito, d’istinto, senza riflettere. Doveva fermarlo. Aveva la vaga, angosciante sensazione che quella fosse l’ultima opportunità che avrebbe avuto con Enrico, che se gli fosse sfuggito adesso forse non si sarebbero mai più rivolti la parola. Non poteva lasciare che accadesse. Era colpa sua, ma era pronto ad accettare qualsiasi cosa, anche che il fratellastro lo buttasse giù dalle scale, pur di fare un tentativo.
«Aspetta» esclamò forte e chiaro, senza ombra di esitazione. Con due lunghi passi si infilò tra Enrico e le scale, bloccando la via di fuga, e l’altro fu costretto a fermarsi bruscamente, imprecando sottovoce. Stefano non sentì, ma non gli importava. Lo guardò dritto negli occhi che erano lo specchio dei suoi. «Parliamo. Ti prego. Non te lo chiedo per me, so che non ne ho il diritto… Te lo chiedo per quello che eravamo, da bambini.» Si interruppe e fece un respiro profondo. La tristezza gli scavava il cuore, ma si costrinse a continuare. «Tu eri tutto il mio mondo. E io ero il tuo» aggiunse, a voce molto più bassa, come se stesse rivelando un segreto delicato e prezioso, da non abbandonare al vento che lo avrebbe portato chissà dove.
Enrico non si mosse, non fiatò. Sembrava che respirasse a malapena, lo sguardo puntato da qualche parte oltre il viso del fratello. I secondi scorrevano nel silenzio e Stefano stava pensando di lanciarsi e scuoterlo, ma poi, all’improvviso, l’espressione di Enrico ebbe un cambiamento quasi impercettibile: diventò un po’ meno cupa, come se un raggio di luce gli sfiorasse i lineamenti aggraziati.
«Papparusu» [1] commentò, freddo. Stefano si sentì riempire dal sollievo e trattenne a stento una risata.
«Lo so» ammise con un’alzata di spalle, nello stesso modo in cui avrebbe accolto un complimento.
Enrico non si muoveva, non lo guardava, la schiena talmente rigida da sembrare una tavola di legno, ma non se n’era andato. Era ancora lì. Stefano lo fissava con un misto di ansia, desiderio e speranza che gli riempiva il cuore fin quasi a farlo scoppiare.
«Lo capisci ancora il siciliano, allora» aggiunse Enrico cono tono piatto.
«Non sono cose che si dimenticano.» Era vero. Stefano aveva perso quasi del tutto l’accento siciliano e non si era mai sforzato di conservarlo. Un po’ gli dispiaceva, ma aveva sempre pensato che forse anche quello era un modo per chiudere con il passato. Il ricordo delle parole e delle intonazioni che avevano caratterizzato la sua infanzia, però, non era semplice da cancellare.
Finalmente Enrico spostò gli occhi su di lui, con un’espressione così gelida che a Stefano parve che un’enorme mano di ghiaccio lo afferrasse e gli serrasse la spina dorsale in una morsa. Fu sufficiente a far sprofondare la sua speranza in un pozzo. «Togliti dai piedi» disse, come se non avesse alcun interesse per alcuna conversazione che avrebbe potuto esserci tra loro. Se mai era esistito uno spiraglio, si era chiuso e Stefano non capiva il perché. Strinse i pugni, travolto dalla rabbia verso se stesso e verso Enrico, perché era fatto in quel modo.
«Mi dispiace» rispose, con calma e forza allo stesso tempo. «Non volevo ferirti. Ho sentito qualcosa per lei, quel giorno, e non sono riuscito a…»
Enrico fece uno scatto in avanti, ma poi si trattenne, impedendosi all’ultimo momento di toccare il fratello, anche se erano vicinissimi. Una smorfia di furia gli deformava i lineamenti delicati che aveva ereditato dalla madre. «Levati o ti ammazzo, Stefano!» sbottò, alzando la voce, e Stefano lanciò un’occhiata istintiva verso l’unica altra porta che c’era sul pianerottolo. Sapeva che nell’appartamento di fronte a quello di Rosa e Claudia abitava una coppia di anziani e, se fossero stati anche solo in minima parte simili ai loro coetanei di Portosalvo, era certo che si trovassero schiacciati contro la porta a origliare già da un po’. E ora Enrico sembrava aver deciso di farsi sentire da tutto il condominio.
«Fallo!» ribatté, deciso. Non alzò la voce, ma cercò di infonderle tutta la determinazione che provava. Puntò di nuovo lo sguardo negli occhi di Enrico. Di solito quell’azzurro era sempre calmo e luminoso, ma ora sembrava stravolto da una di quelle tempeste improvvise, fulminee e violente, che piombano sul mare all’inizio dell’estate, quando il tempo è ancora incerto. «Meglio questo che scappare.»
Si rese conto una frazione di secondo troppo tardi che forse non avrebbe dovuto dirlo. Un lampo attraversò lo sguardo di Enrico, poi lo spinse via con violenza. Stefano barcollò all’indietro, ma riuscì a recuperare l’equilibrio quasi subito. Sorrise con aria di sfida.
«Una reazione, finalmente. Era ora.»
«Ma che minchia vuoi?» Enrico quasi ringhiò, esasperato. Per un attimo parve sul punto di alzare di nuovo la mano e colpire, questa volta, ma poi rimase fermo, il petto che si alzava e si abbassava più in fretta del normale.
Stefano rimase interdetto per un istante da quella domanda. Fissò il fratello a lungo, le braccia in tensione lungo i fianchi, anche lui con il respiro affannoso. «Voglio tornare come eravamo» disse alla fine e subito dopo si detestò, perché era una cosa da bambino, perché ammettere che il loro mondo segreto gli mancava era lacerante.
Enrico scosse la testa, incredulo. «No, tu vuoi solo sentirti meglio, avere la coscienza a posto. Pensi che basti un pugno a metterci alla pari? Non basterebbe, Ste’. Questo non c’entra niente con me, con Claudia, con quello che è successo.»
Ogni parola era uno schiaffo sulle guance di Stefano. Sapeva che Enrico lo stava provocando, se l’era aspettato. Era normale. Sapeva che avrebbe dovuto lasciar perdere, ma in quel momento provò la sensazione che uno spillo lo pungolasse fastidiosamente. Qualcosa aleggiava sospeso tra loro e chiedeva di essere compreso o sarebbero rimasti bloccati per sempre in quel punto. C’era bisogno di una svolta, invece. Sentiva quella strana esigenza, simile a un comando imperioso, e cercò di contrastarla, ma la domanda gli scivolò tra le labbra tese prima che se ne rendesse conto.
«Che vuoi dire?» chiese, con la calma che precede un terremoto. Era come scivolare lentamente sul bordo di un baratro e non poter combattere in nessun modo la forza di gravità.
«È solo per Claudia che ti senti in colpa?» chiese Enrico di rimando, con un tono di sfida molto simile a quello che aveva usato Stefano. Sembrava trionfante, felice che lui avesse accolto la provocazione. «Ammettilo che non è così.»
A Stefano girava la testa, gli mancava il fiato e il pavimento sembrava liquefarsi sotto i suoi piedi, lasciandolo cadere giù. Fermati qui, gli disse una voce nella sua testa. Non andare avanti.
«Cosa?» disse invece, con un filo di voce. Era troppo tardi.
Enrico non parlò per un lungo momento, poi gli si avvicinò ancora di più, senza staccare gli occhi dai suoi. «Sai benissimo cos’è successo per colpa tua e di tua madre» rispose lentamente, la voce bassissima.
Stefano non pensava che il fratello avrebbe mai voluto il coraggio di parlare di quello. Qualcosa gli mozzò il fiato in gola, un’ondata di nausea gli travolse lo stomaco e pensò di essere sul punto di sentirsi male. Poi si costrinse a prendere aria e fu come un altro schiaffo, violentissimo, che questa volta gli schiarì le idee invece di confonderle. Recuperò il controllo e tornò lentamente se stesso. Il suo sguardo si affilò mentre studiava il viso in tensione di Enrico.
«Che cazzo c’entra mia madre?» Aveva capito benissimo cosa intendeva dire l’altro, ma voleva sentirlo da lui.
«C’entra che mia madre è morta per colpa sua.»
Stefano prese a scuotere la testa ancora prima che Enrico finisse di parlare. «No. No, non è vero. Non è andata così. Lo sai che non è vero.»
«Sì, invece» ribatté Enrico, tranquillo, freddo, perfettamente padrone di sé. I suoi occhi erano di ghiaccio.
Stefano avvertiva l’impulso trascinante di scagliarsi contro di lui, scuoterlo, picchiarlo fino a che non avesse ammesso che era una bugia, solo una tremenda bugia lanciata per ferirlo. Inspirò ed espirò più volte, cercando di calmarsi. Poteva sopportare qualsiasi cosa da lui, sapeva di meritarlo, ma non quello. «Lasciala fuori, Enrico. Anche lei è morta. Lasciala in pace» disse, a fatica. Il dolore era così intenso che gli frantumava il fiato e le parole.
«Ma non è stata colpa di nessuno. Maria si ammalò. Mia madre forse sarebbe ancora viva se…»
«Se cosa?» Stefano quasi ruggì scattando in avanti. Non poteva essere vero. Non poteva essere. E se anche lo fosse stato, lui avrebbe difeso sua madre fino a che avesse avuto una goccia di sangue nelle vene, il sangue che lei gli aveva dato, l’unico che contasse per lui. «Dillo! Dillo, se ne hai il coraggio!» Per un attimo temette che avrebbe pianto e strinse i pugni fino a lacerarsi la pelle con le unghie. Il dolore fisico era appena un’eco sottile di quello che gli faceva a pezzi il cuore, ma finché lo avesse sentito, avrebbe ricordato che non poteva piangere. Non in quel momento, non davanti a Enrico che lo fissava con un misto di rabbia e odio sul viso.
«Sarebbe ancora viva se non fosse stato per voi.»
Cadde il silenzio. Tutto sembrava congelato, ma il tempo scorreva, portandosi dietro tutto quello che erano stati. Erano così vicini che ciascuno sentiva il respiro dell’altro sulla pelle, ma tra loro si era scavata una voragine. È così che va a finire, allora, pensò Stefano, nel mare di tristezza che lo soffocava. Non c’era più niente da salvare. Non importava che quello che aveva detto Enrico fosse vero o meno. La cosa più straziante era un’altra.
«È questo che pensi?» gli chiese in un soffio.
Enrico ebbe un attimo di esitazione. «Credo di averlo sempre pensato… da quando ho scoperto che siamo fratelli.»
Qualcosa si ruppe, come un filo spezzato in due. Stefano lo sentì dentro di sé, nel petto. Faceva un male atroce e si chiese come sarebbe riuscito a sopportarlo. Emise un verso strozzato. «Edoardo ha fatto un ottimo lavoro con te» disse, la voce soffocata. «Sai che ti dico? Che fare sesso con Claudia è stata la scelta migliore di tutta la mia vita.»
Enrico si mosse così in fretta che Stefano non avrebbe mai potuto schivarlo, ma se anche avesse visto la mano stretta a pugno che puntava al suo viso, non si sarebbe ritratto. Sentì le nocche del fratello che si scontravano con la sua mascella e un dolore acuto gli esplose nella testa. Barcollò di lato e cadde contro la parete, mentre un sapore acre e metallico gli riempiva la bocca: sangue. Il dolore martellante gli offuscava la vista, ma sapeva che suo fratello era ancora lì. Il suo respiro ansimante riempiva il silenzio. Poi Enrico si voltò di scatto e si lanciò giù per le scale.







NOTE.

1. Presuntuoso.





SPAZIO AUTRICE

Chiedo scusa per le dimensioni estremamente ridotte del carattere, purtroppo è il problema che mi sta creando da giorni non solo NVU, ma anche KompoZer, i due programmi consigliati per pubblicare su questo sito. Non sono ancora riuscita a risolvere. L'unica soluzione è che aumentiate le dimensioni direttamente sulla pagina del capitolo. Mi dispiace per l'inconveniente, ma sto smanettando da ore e proprio non so come fare. Spero di riuscire a sistemare tutto per il prossimo aggiornamento. Grazie per la comprensione.

   
 
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