CAPITOLO
24
SPEZZATO
Sicilia,
Isola di Santo Stefano
Autunno
1999
Due
giorni dopo l’arrivo del risultato del test, Stefano era da solo
nell’appartamento di Rosa e Claudia. Era quasi ora di pranzo, le
ragazze erano
al lavoro e il suo traghetto partiva nel primo pomeriggio. Aveva già
fatto la
valigia e non gli restava che aspettare, cercando di non impazzire
sotto i
colpi del pensiero martellante di Enrico. Non aveva ricevuto alcuna
risposta da
lui, ma non si era aspettato che accadesse o almeno non così presto.
Sperava
solo che non ci volesse troppo tempo, abbastanza da far diventare
incolmabile
l’abisso che li separava. Di tanto era tanto lo assaliva alla gola il
dubbio
che fosse già troppo tardi, che non ci fosse più nulla da fare, ma si
sforzava
di allontanarlo, concentrandosi per farlo sparire. Non era mai stato il
tipo di
persona che si crogiola nel tormento.
Era
impegnato a sfogliare un libro che Rosa stava leggendo e che aveva
lasciato sul
divano del salotto, nel tentativo di distrarsi, quando suonò il
campanello.
Sollevò lo sguardo dalle pagine che non aveva neanche guardato. Le
ragazze
avevano le chiavi, naturalmente, e per quel che ne sapeva lui non
aspettavano
nessuno. Lo invase un presentimento sgradevole, come un gancio che gli
strattonava lo stomaco, ma non considerò neanche per un secondo
l’eventualità
di non andare ad aprire. Nella vita si era comportato da codardo
soltanto una
volta, quando era scappato dall’isola per non incontrare Enrico dopo
essere
stato con Claudia. Aveva giurato a se stesso di non esserlo mai più.
Mise via
il libro, si alzò, andò alla porta con passo calmo, ma senza
indecisione, e
aprì. Il suo presentimento divenne realtà quando incrociò lo sguardo
perplesso
del fratello. Rimasero a fissarsi per qualche momento, muti. Enrico
sembrava
colto alla sprovvista, ma si riprese piuttosto in fretta e assunse
subito un’aria
impassibile.
«Cerco
Claudia» disse, la voce rigida e priva di intonazioni particolari.
«Abbiamo un
appuntamento.»
Era
chiaro che non si aspettava di trovarlo lì. Stefano sapeva che Claudia
lo aveva
chiamato la sera in cui avevano avuto il risultato del test per
comunicarglielo
(le era sembrato doveroso, sebbene lui si fosse opposto all’idea di
verificare
la paternità) e aveva capito vagamente che si erano accordati per
vedersi dopo
che lui fosse andato via, ma non aveva fatto domande. Non erano affari
suoi.
Claudia, però, non c’era. Rifletté un momento e intuì cosa potesse
essere
successo.
«Claudia
è al lavoro» disse, tranquillo, nonostante il battito rapido del cuore.
«Si era
presa il giorno libero, ma ieri sera il suo capo l’ha chiamata e le ha
chiesto
di cambiare i turni. Ha avuto un’emergenza, credo. Stacca all’una.»
Lanciò uno
sguardo all’ orologio da polso: mancava una manciata di minuti a
mezzogiorno.
«Io parto alle due. A giudicare dalla tua faccia, direi che vi siete
capiti
male. Pensavi che fossi già andato via.»
Enrico
aveva proprio l’espressione di chi ha ricevuto una brutta sorpresa.
Fissò il
fratello in silenzio, limitandosi a stringere appena le labbra. «Dille
che sono
passato. Per favore.» aggiunse, ironico. «Mi troverà al baglio tutto il
giorno.
Può venire quando vuole.» Fece per andarsene. Era chiaro che non
sopportava di
stare lì, come se il pavimento bruciasse sotto i suoi piedi.
«Perché
non entri?» propose subito Stefano, di slancio. Si sporse un po’ verso
di lui
come per trattenerlo, ma non osò. Era più prudente evitare i contatti
indesiderati. «Puoi aspettarla qui. Torna tra poco.»
«No,
grazie.» Enrico rispose prima ancora che l’altro avesse finito di
parlare. Non
aveva avuto bisogno di pensarci neanche per un attimo. Si mosse di
nuovo verso
le scale.
«Sempre
così educato… Anche quando chi hai davanti meriterebbe i peggiori
insulti del
mondo» rilanciò Stefano, gli occhi fissi sulla schiena girata per metà
del
fratello. Non aveva intenzione di lasciarlo scappare via così in
fretta. «È
proprio da te» aggiunse con tono più basso e malinconico.
Enrico
si era bloccato, ma non si voltò, le spalle e le braccia visibilmente
rigide.
Fece un passo verso le scale, come se l’altro non avesse parlato, e
Stefano si
lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione. Perché doveva rendere
sempre tutto
così difficile?
«Hai
avuto il mio messaggio?»
Enrico
mosse appena la testa, come se avesse un moscerino che gli svolazzava
intorno a
dargli fastidio, e una smorfia gli incurvò le labbra. «Il messaggio in
cui ti
offri di essere preso a pugni?» chiese per tutta risposta, la voce
rigida. «Sì,
l’ho ricevuto. Anche quello è proprio da te.»
Stefano
si aspettava che cercasse ancora di andarsene, invece rimase lì
dov’era, fermo.
Non lo guardava, ma non era scappato via. Un barlume di speranza si
accese nel
suo petto. «Allora, che aspetti? Sono qui.» Allargò le braccia, quasi
offrendosi alla rabbia e al risentimento dell’altro. «Non reagirò. Sarò
il tuo punching
ball.»
«Non mi
sporco le mani con te.»
Stefano
trasalì, anche se cerò di mascherare il movimento cambiando leggermente
posizione. Non riuscì a non sentirsi ferito. Sapeva di meritarlo, però,
e suo
fratello era ancora lì. Era davvero un segnale di apertura, nonostante
le sue
parole, o stava solo pensando al modo migliore di filarsela?
«Quindi
devo tirarmeli da solo? Va bene, sarà un po’ complicato, ma se è questo
che
vuoi cercherò di accontentarti.»
«Basta
con queste minchiate» scattò Enrico di colpo e si mosse di nuovo verso
il primo
gradino. Ecco che scappava.
Stefano
reagì subito, d’istinto, senza riflettere. Doveva fermarlo. Aveva la
vaga,
angosciante sensazione che quella fosse l’ultima opportunità che
avrebbe avuto
con Enrico, che se gli fosse sfuggito adesso forse non si sarebbero mai
più
rivolti la parola. Non poteva lasciare che accadesse. Era colpa sua, ma
era
pronto ad accettare qualsiasi cosa, anche che il fratellastro lo
buttasse giù
dalle scale, pur di fare un tentativo.
«Aspetta»
esclamò forte e chiaro, senza ombra di esitazione. Con due lunghi passi
si
infilò tra Enrico e le scale, bloccando la via di fuga, e l’altro fu
costretto
a fermarsi bruscamente, imprecando sottovoce. Stefano non sentì, ma non
gli
importava. Lo guardò dritto negli occhi che erano lo specchio dei suoi.
«Parliamo. Ti prego. Non te lo chiedo per me, so che non ne ho il
diritto… Te
lo chiedo per quello che eravamo, da bambini.» Si interruppe e fece un
respiro
profondo. La tristezza gli scavava il cuore, ma si costrinse a
continuare. «Tu
eri tutto il mio mondo. E io ero il tuo» aggiunse, a voce molto più
bassa, come
se stesse rivelando un segreto delicato e prezioso, da non abbandonare
al vento
che lo avrebbe portato chissà dove.
Enrico
non si mosse, non fiatò. Sembrava che respirasse a malapena, lo sguardo
puntato
da qualche parte oltre il viso del fratello. I secondi scorrevano nel
silenzio
e Stefano stava pensando di lanciarsi e scuoterlo, ma poi,
all’improvviso,
l’espressione di Enrico ebbe un cambiamento quasi impercettibile:
diventò un
po’ meno cupa, come se un raggio di luce gli sfiorasse i lineamenti
aggraziati.
«Papparusu» [1]
commentò, freddo. Stefano si sentì riempire dal sollievo e trattenne a
stento
una risata.
«Lo
so» ammise con un’alzata di spalle, nello stesso modo in cui avrebbe
accolto un
complimento.
Enrico
non si muoveva, non lo guardava, la schiena talmente rigida da sembrare
una
tavola di legno, ma non se n’era andato. Era ancora lì. Stefano lo
fissava con
un misto di ansia, desiderio e speranza che gli riempiva il cuore fin
quasi a
farlo scoppiare.
«Lo
capisci ancora il siciliano, allora» aggiunse Enrico cono tono piatto.
«Non
sono cose che si dimenticano.» Era vero. Stefano aveva perso quasi del
tutto
l’accento siciliano e non si era mai sforzato di conservarlo. Un po’
gli
dispiaceva, ma aveva sempre pensato che forse anche quello era un modo
per
chiudere con il passato. Il ricordo delle parole e delle intonazioni
che
avevano caratterizzato la sua infanzia, però, non era semplice da
cancellare.
Finalmente
Enrico spostò gli occhi su di lui, con un’espressione così gelida che a
Stefano
parve che un’enorme mano di ghiaccio lo afferrasse e gli serrasse la
spina
dorsale in una morsa. Fu sufficiente a far sprofondare la sua speranza
in un
pozzo. «Togliti dai piedi» disse, come se non avesse alcun interesse
per alcuna
conversazione che avrebbe potuto esserci tra loro. Se mai era esistito
uno
spiraglio, si era chiuso e Stefano non capiva il perché. Strinse i
pugni,
travolto dalla rabbia verso se stesso e verso Enrico, perché era fatto
in quel
modo.
«Mi
dispiace» rispose, con calma e forza allo stesso tempo. «Non volevo
ferirti. Ho
sentito qualcosa per lei, quel giorno, e non sono riuscito a…»
Enrico
fece uno scatto in avanti, ma poi si trattenne, impedendosi all’ultimo
momento
di toccare il fratello, anche se erano vicinissimi. Una smorfia di
furia gli
deformava i lineamenti delicati che aveva ereditato dalla madre.
«Levati o ti
ammazzo, Stefano!» sbottò, alzando la voce, e Stefano lanciò
un’occhiata
istintiva verso l’unica altra porta che c’era sul pianerottolo. Sapeva
che
nell’appartamento di fronte a quello di Rosa e Claudia abitava una
coppia di
anziani e, se fossero stati anche solo in minima parte simili ai loro
coetanei
di Portosalvo, era certo che si trovassero schiacciati contro la porta
a
origliare già da un po’. E ora Enrico sembrava aver deciso di farsi
sentire da
tutto il condominio.
«Fallo!»
ribatté, deciso. Non alzò la voce, ma cercò di infonderle tutta la
determinazione che provava. Puntò di nuovo lo sguardo negli occhi di
Enrico. Di
solito quell’azzurro era sempre calmo e luminoso, ma ora sembrava
stravolto da
una di quelle tempeste improvvise, fulminee e violente, che piombano
sul mare
all’inizio dell’estate, quando il tempo è ancora incerto. «Meglio
questo che
scappare.»
Si
rese conto una frazione di secondo troppo tardi che forse non avrebbe
dovuto
dirlo. Un lampo attraversò lo sguardo di Enrico, poi lo spinse via con
violenza. Stefano barcollò all’indietro, ma riuscì a recuperare
l’equilibrio
quasi subito. Sorrise con aria di sfida.
«Una
reazione, finalmente. Era ora.»
«Ma
che minchia vuoi?» Enrico quasi ringhiò, esasperato. Per un attimo
parve sul
punto di alzare di nuovo la mano e colpire, questa volta, ma poi rimase
fermo,
il petto che si alzava e si abbassava più in fretta del normale.
Stefano
rimase interdetto per un istante da quella domanda. Fissò il fratello a
lungo,
le braccia in tensione lungo i fianchi, anche lui con il respiro
affannoso.
«Voglio tornare come eravamo» disse alla fine e subito dopo si detestò,
perché
era una cosa da bambino, perché ammettere che il loro mondo segreto gli
mancava
era lacerante.
Enrico
scosse la testa, incredulo. «No, tu vuoi solo sentirti meglio, avere la
coscienza a posto. Pensi che basti un pugno a metterci alla pari? Non
basterebbe, Ste’. Questo non c’entra niente con me, con Claudia, con
quello che
è successo.»
Ogni
parola era uno schiaffo sulle guance di Stefano. Sapeva che Enrico lo
stava
provocando, se l’era aspettato. Era normale. Sapeva che avrebbe dovuto
lasciar
perdere, ma in quel momento provò la sensazione che uno spillo lo
pungolasse
fastidiosamente. Qualcosa aleggiava sospeso tra loro e chiedeva di
essere
compreso o sarebbero rimasti bloccati per sempre in quel punto. C’era
bisogno
di una svolta, invece. Sentiva quella strana esigenza, simile a un
comando
imperioso, e cercò di contrastarla, ma la domanda gli scivolò tra le
labbra
tese prima che se ne rendesse conto.
«Che
vuoi dire?» chiese, con la calma che precede un terremoto. Era come
scivolare
lentamente sul bordo di un baratro e non poter combattere in nessun
modo la
forza di gravità.
«È
solo per Claudia che ti senti in colpa?» chiese Enrico di rimando, con
un tono
di sfida molto simile a quello che aveva usato Stefano. Sembrava
trionfante,
felice che lui avesse accolto la provocazione. «Ammettilo che non è
così.»
A
Stefano girava la testa, gli mancava il fiato e il pavimento sembrava
liquefarsi sotto i suoi piedi, lasciandolo cadere giù. Fermati qui,
gli
disse una voce nella sua testa. Non andare avanti.
«Cosa?»
disse invece, con un filo di voce. Era troppo tardi.
Enrico
non parlò per un lungo momento, poi gli si avvicinò ancora di più,
senza
staccare gli occhi dai suoi. «Sai benissimo cos’è successo per colpa
tua e di
tua madre» rispose lentamente, la voce bassissima.
Stefano
non pensava che il fratello avrebbe mai voluto il coraggio di parlare
di quello.
Qualcosa gli mozzò il fiato in gola, un’ondata di nausea gli travolse
lo
stomaco e pensò di essere sul punto di sentirsi male. Poi si costrinse
a
prendere aria e fu come un altro schiaffo, violentissimo, che questa
volta gli
schiarì le idee invece di confonderle. Recuperò il controllo e tornò
lentamente
se stesso. Il suo sguardo si affilò mentre studiava il viso in tensione
di
Enrico.
«Che
cazzo c’entra mia madre?» Aveva capito benissimo cosa intendeva dire
l’altro,
ma voleva sentirlo da lui.
«C’entra
che mia madre è morta per colpa sua.»
Stefano
prese a scuotere la testa ancora prima che Enrico finisse di parlare.
«No. No,
non è vero. Non è andata così. Lo sai che non è vero.»
«Sì,
invece» ribatté Enrico, tranquillo, freddo, perfettamente padrone di
sé. I suoi
occhi erano di ghiaccio.
Stefano
avvertiva l’impulso trascinante di scagliarsi contro di lui, scuoterlo,
picchiarlo fino a che non avesse ammesso che era una bugia, solo una
tremenda
bugia lanciata per ferirlo. Inspirò ed espirò più volte, cercando di
calmarsi.
Poteva sopportare qualsiasi cosa da lui, sapeva di meritarlo, ma non
quello.
«Lasciala fuori, Enrico. Anche lei è morta. Lasciala in pace» disse, a
fatica.
Il dolore era così intenso che gli frantumava il fiato e le parole.
«Ma
non è stata colpa di nessuno. Maria si ammalò. Mia madre forse sarebbe
ancora
viva se…»
«Se cosa?»
Stefano quasi ruggì scattando in avanti. Non poteva essere vero. Non
poteva
essere. E se anche lo fosse stato, lui avrebbe difeso sua madre fino a
che
avesse avuto una goccia di sangue nelle vene, il sangue che lei gli
aveva dato,
l’unico che contasse per lui. «Dillo! Dillo, se ne hai il coraggio!»
Per un
attimo temette che avrebbe pianto e strinse i pugni fino a lacerarsi la
pelle
con le unghie. Il dolore fisico era appena un’eco sottile di quello che
gli
faceva a pezzi il cuore, ma finché lo avesse sentito, avrebbe ricordato
che non
poteva piangere. Non in quel momento, non davanti a Enrico che lo
fissava con
un misto di rabbia e odio sul viso.
«Sarebbe
ancora viva se non fosse stato per voi.»
Cadde
il silenzio. Tutto sembrava congelato, ma il tempo scorreva, portandosi
dietro
tutto quello che erano stati. Erano così vicini che ciascuno sentiva il
respiro
dell’altro sulla pelle, ma tra loro si era scavata una voragine. È
così che
va a finire, allora, pensò Stefano, nel mare di tristezza che lo
soffocava.
Non c’era più niente da salvare. Non importava che quello che aveva
detto
Enrico fosse vero o meno. La cosa più straziante era un’altra.
«È
questo che pensi?» gli chiese in un soffio.
Enrico
ebbe un attimo di esitazione. «Credo di averlo sempre pensato… da
quando ho
scoperto che siamo fratelli.»
Qualcosa
si ruppe, come un filo spezzato in due. Stefano lo sentì dentro di sé,
nel
petto. Faceva un male atroce e si chiese come sarebbe riuscito a
sopportarlo.
Emise un verso strozzato. «Edoardo ha fatto un ottimo lavoro con te»
disse, la
voce soffocata. «Sai che ti dico? Che fare sesso con Claudia è stata la
scelta
migliore di tutta la mia vita.»
Enrico
si mosse così in fretta che Stefano non avrebbe mai potuto schivarlo,
ma se
anche avesse visto la mano stretta a pugno che puntava al suo viso, non
si
sarebbe ritratto. Sentì le nocche del fratello che si scontravano con
la sua
mascella e un dolore acuto gli esplose nella testa. Barcollò di lato e
cadde
contro la parete, mentre un sapore acre e metallico gli riempiva la
bocca:
sangue. Il dolore martellante gli offuscava la vista, ma sapeva che suo
fratello era ancora lì. Il suo respiro ansimante riempiva il silenzio.
Poi
Enrico si voltò di scatto e si lanciò giù per le scale.
NOTE.
1. Presuntuoso.
SPAZIO AUTRICE
Chiedo
scusa per le dimensioni estremamente ridotte del carattere, purtroppo è
il problema che mi sta creando da giorni non solo NVU, ma anche
KompoZer, i due programmi consigliati per pubblicare su questo sito.
Non sono ancora riuscita a risolvere. L'unica soluzione è che
aumentiate le dimensioni direttamente sulla pagina del capitolo. Mi
dispiace per l'inconveniente, ma sto smanettando da ore e proprio non
so come fare. Spero di riuscire a sistemare tutto per il prossimo
aggiornamento. Grazie per la comprensione.