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Autore: Eurinome    21/09/2009    0 recensioni
Sette giorni per scoprire cosa è cambiato. Sette giorni per accettare il cambiamento. Sette giorni per capire se si può salvare tutto. Per due amici inseparabili, pressochè fratelli è ora di guardarsi in faccia e vedere cosa ha cambiato l'arrivo dell'adolescenza. Potranno sopportare il peso di questi cambiamenti o divideranno per sempre le loro strade?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Hey ciurmaglia! Ecco il secondo capitolo, che ci terrei ad avvisare contiene un alto tasso di seghe mentali, prima di iniziare vorrei ringraziare in particolare AngelinaSpring

che ha speso una piccola parte del suo tempo per lasciare una recensione. In più ringrazio anche chi ha messo Sette Giorni tra le storie seguite.

Chissà forse un giorno dopo questa mi darò allo slash.

[inutile informazione di servizio]

 

 

 

2. Venerdì

 

Alla fine ieri ero tornato a casa decisamente prima del previsto, camminando senza vedere realmente dove andavo. Dopo che Gio’, il mio amico che faceva battutacce da scaricatore di porto davanti ad ogni bella ragazza, aveva sputato il rospo ero rimasto lì totalmente rincretinito ad ascoltare i pensieri urtarsi e scontrarsi per poi cadere nel vuoto.

 

-Ti prego fa qualcosa, dì qualcosa- aveva sussurrato con vece sepolcrale con la testa ancora sulla mia spalla

-Che cosa dovrei dire?- avevo soffiato fuori senza riuscire neanche a pensare a cosa dire, e cosa c’era da dire in fondo?

-Quello che vuoi! Che ti faccio schifo, che sono un pervertito, che…-

-Sta zitto!- avevo esclamato poi.

Sconvolto o no, pensare che credesse che potessi dirgli crudeltà del genere mi stava irritando. Ma la cosa che più mi stava sconvolgendo (oddio il coming-out, o com’è che si chiama, rimaneva al primo posto in ogni caso…) era che non me l’aveva detto.

A me.

Il suo migliore amico, praticamente un fratello.

Ed ecco che una dopo l’altra le domande si erano affastellate nella mia testa, un caotico ciclone di cose da chiedere per capire se ero stato io il cieco o lui a non volermi far capire.

-Perché non me l’hai detto- ecco una cosa per volta, partiamo dalle domande più urgenti.       

-Non lo so perché non te l’ho detto, io…- aveva cominciato e si era scostato da me allungando le gambe davanti a sé –Avevo paura, della tua reazione- aveva aggiunto piano.

-Avevi paura di me?!- gli avevo chiesto incredulo

-Oh andiamo!- aveva esclamato lui recuperando un po’ della sua tipica baldanza –Hai sempre fatto quello a cui gli omosessuali non sono mai piaciuti, non dico che sei un omofobo ma… non mi sembra neanche che tu non l’abbia presa molto bene…- aveva aggiunto accendendo una sigaretta nervosamente.

-Ma cosa pensavi?! Che ti avrei dato una pacca sulla spalla e la mia… “benedizione”… così come se nulla fosse? Accidenti!, siamo quasi fratelli e tu hai avuto paura di me!- avevo controbattuto mentre lui si riprendeva dalla cupezza di poco prima: il battibecco stava stimolando il suo lato bisbetico, in barba all’atteggiamento triste e sconsolato di poco prima.

-Avevo paura di perderti! Mi credevi lo spaccone puttaniere mentre invece mi piace…- lo avevo interrotto.

–Sì, sì ho capito…- a mia volta avevo acceso rabbiosamente una sigaretta ed aspirato con violenza sentendo il fumo entrare nei polmoni con forza. Non avevo detto più nulla per un po’ limitandomi a fumare con foga crescente mentre lui stava in silenzio a scrutarmi cercando di capire cosa mi passava per la testa esattamente come avevo fatto pochi istanti prima io con lui. Stavo vivamente rimpiangendo di non essermi fatto gli affari miei per una volta, avrei dato qualsiasi cosa per… tornare indietro, per ricucire il tremendo strappo che si stava creando fra me e una delle persone che più amo al mondo, o anche solo per continuare a chiudere gli occhi e non capire la verità delle cose. Beata ignoranza…

 

Poi aveva deciso di anticipare le mie domande. Aveva cominciato a dirmi che era poco in fondo che aveva “scoperto” (ma si può scoprire una cosa del genere? Non la si dovrebbe sapere?, eppure è pur sempre qualcosa che fa parte del più profondo del nostro essere) le sue tendenze, neanche un anno. Al che avevo alzato un sopracciglio come a dire che quasi un anno era un bel po’ di tempo in cui avrebbe potuto dirmelo, poi mi era venuta in mente una cosa.

 

-Perché oggi?-  al momento il racconto della sua presa di coscienza non mi interessava

-Perché… Perché sì, ecco!- aveva sbuffato un po’ di fumo come un draghetto seccato –perché tu… eri qui e io non ce l’ho più fatta a tenermi tutto dentro, mi è…scappato.- borbotta

-Ah- Gli è scappato? Cioè avrebbe potuto continuare a non dirmi nulla per un altro anno? Non sapevo se arrabbiarmi o meno…

 

Avevo guardato l’ora: stavamo discutendo da quasi un’ora e un quarto tra pause e battibecchi. Decisi che per quel giorno ne avevo abbastanza. Spenta la cicca nel posacenere che iniziava ad essere pieno, a differenza del mio pacchetto, avevo notato stupidamente, mi ero alzato guardandomi intorno per cercare le mie cose.

Come uno zombie mi muovevo per l’ampio salotto mentre tutte le domande che fino a poco prima si moltiplicavano nella mia testa ora tacevano svanite nel nulla in cui la mia mente annegava. Gio’ mi guardava preoccupato.

-Dove vai?- aveva chiesto ansiosamente

-Sto andando a casa.- avevo risposto distrattamente come se fossi stato già per strada, lontano da quella casa, da quella situazione, da lui e le sue rivelazioni.

 

Solo una cosa ronzava nel mio cervello Basta.

Avevo bisogno di pensare.

 

-Aspetta! Ti do un passaggio a casa…- aveva fatto per alzarsi

-No, tranquillo non mi serve, ho… ho solo bisogno di stare per conto mio- avevo borbottato gelido, paralizzandolo.

 

 

Così me n’ero andato. Scappato come un coniglio.

Del tragitto tra casa sua e casa mia non ricordo praticamente nulla se non un vago senso di colpa, che si sarebbe poi acuito, per averlo mollato lì a quella maniera e l’acqua che mi ero preso perché alla fine aveva deciso di mettersi a piovere proprio mentre ero alla fermata. Ma che bella giornata…

 

Una volta a casa mi ero sfilato lo zaino di spalla per poi dirigermi in camera mia per poi chiudermici dentro, al sicuro da tutto quello che era successo quel pomeriggio con la speranza di ignorare per un po’ le macerie fumanti delle mie certezze più  granitiche. Appena messo piede a casa mi ero sentito incredibilmente stanco, sfilata la maglietta e i pantaloni bagnati mi ero messo un paio di vecchi calzoni felpati, calzini di lana e pail multicolore per poi tuffarmi, come un naufrago all’unico appoggio disponibile, sul letto coperto da testa a piedi dal plaid. In breve un benefico tepore era corso a lenire i miei nervi scossi, complici il calduccio e il cuscino morbido mi ero irrimediabilmente addormentato.

 

--

 

Rumore di buste di plastica e dell’anta del frigo che si apre e chiude, una risata gutturale che conosco bene, Che ci fa Becca qui?, un cerchio alla testa mi costringe a rimettere giù la testa.

 

Avevo fatto il punto della situazione: mia madre era tornata con la spesa e c’era Becca a cena, in un angolino della mia testa avevo pregato non si fosse portata dietro l’uomo. Il resto era avvolto da una specie di nebbia dolorante, tra l’altro stavo tremando di freddo. Vuoi vedere che con tutta quell’acqua… 

Avevo cercato di mettermi a pancia in su distendendo gli arti che sembravano ricoperti di cemento, l’operazione era stata più lunga del previsto dato che il mio corpo non voleva collaborare.

 

Mentre cercavo di capire bene perché ero ridotto così male una testa piena di capelli castani era apparsa nella mia visuale e mi aveva passato una mano fredda sulla fronte, Oh meravigliosa sensazione!, poi visto che ero sveglio e si era seduta vicino a me sulla sponda del letto.

 

-Ehi dormiglione! Lo sai che ore sono?- Mi aveva chiesto sussurrando, io avevo provato a scuotere la testa ma il dolore si era acuito ed era stato come se un branco di spiritelli maligni mi saltasse con scarponi chiodati sulle tempie, mugolato un ahi!, Becca mi aveva guardato e riappoggiato la mano fresca sulla mia fronte portando un po’ di sollievo -Eh sì, sei bollente. Così impari a non coprirti decentemente a Gennaio- aveva ridacchiato, e si era messa a riordinare il marasma che avevo lasciato.

 

Tona qui, avrei voluto dirle osservandola mentre faceva un po’ d’ordine, lascia stare quella roba e sta qui con me… Avevo un disperato bisogno di parlare con qualcuno. Al mio borbottio inconsulto si era girata e aveva sorriso -Se la mamma vede questo macello ti stronca- e aveva piegato i panni, da me lasciati a terra, sulla sedia, poi mi aveva tira il telefono che era arrivato pericolosamente vicino alla mia testa, non ha mai avuto una buona mira.

 

-Non è stato zitto tre secondi quel coso- aveva mugugnato mentre osservava lo stato pietoso dei jeans ancora fradici dal polpaccio alla caviglia -A proposito hai una suoneria orrenda…!-

Ignorata l’ultima frase avevo mosso faticosamente un braccio e afferrato il telefono stringendo le palpebre infastidito dalla luce del display che irrompeva allegramente nella penombra della mia stanza. Tolto il blocca tasti avevo scoperto di avere cinque chiamate senza risposta e un messaggio. Quattro chiamate erano state effettuate a distanza l’una dall’altra di venti minuti circa e tutte dalla stessa persona, quella più recente era di papà.

 

Com’è ovvio le chiamate erano di Giovanni e credo anche il messaggio, ma avevo avuto né la forza né la voglia di leggerlo, mi ero limitato a uno sbuffo spazientito e avevo appoggiato il cellulare sul comodino lanciando nel contempo un’occhiata alla sveglia.

 

Le otto meno venti. Le otto meno venti?!

 

Avevo dormito quasi tre ore. Cercando di alzarmi avevo scoperto che la testa faceva troppo male per alzarla dal cuscino.

Stavo uno schifo.

Becca era tornata a sedersi vicino a me e mi accarezzava piano una guancia guardandomi in silenzio.

 

Mia sorella è tutta la mia famiglia. Ha quasi dieci anni più di me e da quando sono in grado di ricordare lei c’è sempre stata, che volessi propinarle l’infinita serie di Perche?! tipica dei bambini, o avessi paura del temporale o tante altre piccole cose. Era lei ad aiutarmi con i compiti, a venirmi a riprendere da scuola, a prepararmi il pranzo…

La grande differenza d’età non è un caso: io sono un fuori programma, il bicchiere di spumante di troppo per essere chiari.

 

Una volta ho ascoltato una conversazione di mia madre per caso, io ero piccolo e non ricordo bene l’interlocutore o come fosse nata la discussione.

Ricordo bene quel che disse, cioè che mi voleva bene, ma non abbastanza.

Il suo amore lo aveva già investito tutto su Becca e per me non erano rimaste che le briciole. Esistevo per puro caso, solo perché non aveva avuto il coraggio di liberarsi di quell’esserino che le cresceva dentro.

 

Quanto dolore mi abbiano dato quelle parole lo ricordo ancora meglio, perché mio malgrado si fa vivo tutte le volte che per caso mi ritornano in mente, tuttavia col tempo ho imparato a conviverci e a gestire la rabbia che causano. Anche se so che non è giusto. E lo sa anche Becca, chissà forse è per questo che mi è stata così vicina… Per un’inestinguibile senso di colpa, che bello!

 

O forse dovevo piantarla con la lagna.

Normalmente mi sarei scrollato di dosso pensieri del genere, pensieri deliranti nonché offensivi nei confronti della mia sorellona che mi è sempre stata accanto.

Osservavo i suoi occhi, identici ai miei, e avevo alzato una mano per passarla tra i suoi capelli mossi (doveva averci dato giù di piastra la maledetta) e le avevo battuto un colpetto affettuoso dietro la nuca. Ci eravamo guardati con un sorrisetto sghembo, poi mi aveva aiutato a mettermi seduto districando il groviglio di coperte in cui mi ero legato le gambe. Aveva borbottato un sembri una mummia! mentre mi stringevo le tempie trafitte da quelle che sembravano lame infuocate, gli spiritelli maligni di prima dovevano essersi presi una pausa.

 

Spiritelli maligni… Me ne era venuto subito in mente uno, ma avevo scacciato il pensiero dalla mente e aggirato anche quello dell’sms che con ogni probabilità mi doveva aver mandato lui, stavo già abbastanza male non volevo curarmi anche di quella… faccenda.

 

Mentre io mugugnavo e Becca mi sosteneva, ci eravamo incamminati verso la cucina ed era stato così che avevo riconosciuto l’imponente figura di Adriano, il suo compagno, che tentava senza successo di intavolare un discorso con papà che, al solito, cercava di non tirargli qualcosa di contundente. Non è che ce l’abbia proprio con lui, ce l’ha con qualsiasi esponente di genere maschile si avvicini troppo alla sua bambina.

 

Il povero uomo osservava costernato l’aria truce del “suocero” che rispondeva ai suoi vani tentativi di conversazione con monosillabi buttati fuori a forza dai denti, era così disperato che quando ci aveva visto arrivare un’incredibile sollievo gli aveva illuminato gli occhi e sembrava quasi dire “Vi prego salvatemi!”.

Era abbastanza divertente vedere la sua faccia di bronzo mentre veniva tiranneggiato dagli sbalzi d’umore di un uomo di mezz’età. Mia sorella lo troverà pure affascinante ma per me è solo un emerito…

 

-Stai male Leo?- mi aveva chiesto con serio interesse, sì ma era interessato a cambiare discorso.

-Tu che dici?- gli avevo risposto così piano che mi aveva sentito solo mia sorella che aveva fatto, tuttavia, finta di nulla

 

Stramazzato sulla sedia, immediatamente i miei genitori mi avevano guardato storto: non ci si siede così Leo! era la frase non detta a voce. Poi papà mi aveva passato una mano sulla fronte e detto marziale -Quanto è alta?-

-Papà si è appena svegliato non l’abbiamo ancora misurata…- era stata la risposta di Becca -Scotta ma avrà solo preso freddo-

-Un po’ di aspirina e passa tutto- aveva aggiunto il capellone incapace di non dire la sua. Avrei tanto voluto dirgli che con l’aspirina in quel momento non ci risolvevo nulla e poteva anche mettersela in un certo posto ma mi ero trattenuto e avevo frenato il mio cattivo umore. Papà lo aveva guardato omicida, lo odia poverino.

 

 

Alla fine era iniziata la cena, e visto che stavo male mi era toccata la minestrina con buona pace delle mie papille gustative, tra le pessime battute di Becca e della mamma, e gli sfoggi di cultura di Adriano, che sarebbe pure simpatico non fosse per la sua abitudine di mettersi sul piedistallo, mentre io e papà mangiamo a testa bassa.

 

Il pensiero di Gio’ mi tormentava. Stava lì accompagnato da una miriade di scomode domande e un bel senso di colpa per il mio atteggiamento.

 

A livello teorico, in qualità di “fratello adottivo”, non avrei dovuto comportarmi a quella maniera, avrei dovuto incassare elegantemente (e non stare lì come uno stoccafisso appeso all’amo) e dire una frase del tipo Non importa, sei sempre tu, indipendentemente dalle tue  tendenze sessuali.

Ma a livello pratico tanta lucidità non mi riusciva proprio. Il fatto è che non è più lui, o almeno una buona parte di lui non è più quella che conoscevo, è qualcosa di diverso, una macchia sulla pagina, una nota stonata…

 

A mettere il dito nella piaga ci aveva pensato mamma -Poi con Giovanni? Tutto a posto?-

Lei adora Gio’, perché lui sì che è un bravo ragazzo…

 

Per un istante sono stato tentato di smontare anche le sue di convinzioni sul mio amico (quindi in fondo lo considero ancora tale?) e  risponderle “Oh sì mamma, tutto a posto, solo che oggi pomeriggio si è confessato finocchio e che sa di esserlo da più o meno un anno ma aveva paura di dirmelo perché mi considera uno stupido omofobo…” ma avevo capito che non era proprio il caso, così avevo annuito e bofonchiato qualcosa mentre mi versavo la polverina dell’Oki nel bicchiere buttando poi giù l’acqua al gusto di menta, o di chi sa che altra porcheria.

Però Becca mi aveva intercettato, doveva aver visto il lieve irrigidimento alla domanda di mamma. Non le sfugge nulla, ma avevo sperato di essere graziato per il momento viste le mie condizioni non ero in grado di reggere uno dei suoi leggendari terzi gradi.

 

Finita la brodaglia insipida che avevo nel piatto buttato giù un sorso d’acqua e mi ero alzato rumorosamente da tavola facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento. Ero scappato da quella bella riunione familiare sotto l’occhio invidioso di papà che avrebbe dato qualsiasi cosa pur di non avere sottomano Adriano e di non poterlo massacrare.

Mentre le passavo vicino Becca mi aveva battuto un colpo sul fianco col dorso della mano ad indicare che sarebbe passata più tardi a tormentarmi con le sue manie da psicologa, io avevo annuito rassegnato mentre barcollavo verso la mia stanza dove mi ero infilato definitivamente a letto a fissare il soffitto. Dopo poco era stato come se avessero acceso un proiettore e il film della giornata era partito sotto i miei occhi: fotogrammi che si rincorrevano insensatamente l’uno con l’altro, ora una mano e per audio una frase slegata, Gio’ che disegna un tribale e la Iacovilli che spiega, il sapore della pizza e il suo sguardo incupito, il fumo che grattava in gola mentre faceva l’affermazione più importante della nostra amicizia.

Ma io non volevo vedere nulla, non volevo rivivere ancora quella giornata, volevo solo che finisse in fretta per farmi una dormita decente.

 

Ero quasi stato sopraffatto dal senso di protezione delle coltri col profumo delle lenzuola fresche di bucato nel naso quando un’insistente vibrazione era giunta dal comodino a disturbarmi. Grazie al cielo l’Oki stava facendo effetto e non avevo fatto troppa fatica nell’allungare il braccio e afferrare con rabbia il telefono. Due messaggi.

Ero andato nel menù e aperto il primo dei due, che mi aveva mandato poco dopo che ero crollato nel mondo dei sogni.

 

Dopo averli letti, avevo deciso di averne avuto abbastanza e rifoggiata la testa sul cuscino mi ero nuovamente addormentato.

 

--

 

-Però… Va bene che c’era qualcosa di strano in lui ultimamente… ma addirittura un coming-out!- sento lo scatto dell’accendino e penso che vorrei accendermene una anche io, ma se la virago mi becca a fumare adesso sono morto.

 

Sono tre quarti d’ora che faccio il resoconto di ieri a mia sorella e non sono ancora riuscito a capirci qualcosa. Finora lei si è limitata ad ascoltare in silenzio senza commentare, ed anche se non la vedo capisco perfettamente che ha aggrottato le sopracciglia e sta mordicchiando il filtro tirando e soffiando il fumo nervosamente senza prestarci troppa attenzione.

Mi passo una mano sulla fronte umida, sto morendo di caldo sotto le coperte. Le scosto con un movimento quasi rabbioso.

 

-Non me l’ha detto… Ha avuto paura. Paura di me!- insisto, perché è una delle cose che mi ha ferito di più è stata proprio la sua totale mancanza di fiducia nei miei confronti

-Lo posso capire- borbotta però Becca e subito vorrei dirle qualcosa ma mi precede -Ha sbagliato, è vero, ma proprio perché sei una persona a cui tiene in modo incredibile non voleva correre il minimo rischio di perderti, anche se è successo comunque… o no?- chiede

Un attimo di silenzio -Non lo so- rispondo sedendomi sulla sponda del letto -Non so più nulla in questo momento…- lei mugugna in tono comprensivo poi sbuffa.

-Cosa dice il messaggio?- si informa allora, la correggo - I messaggi, ne ha mandato un altro-

-Va bene. Cosa dicono i messaggi?- quel tono condiscendente mi sta un po’ innervosendo.

 

Apro il menù dei messaggi ricevuti e cerco quei due messaggi che ho letto di sfuggita ieri sera prima di crollare.

 

Le leggo il primo: “Leo, lo so che è difficile da capire: io stesso non volevo ammetterlo all’inizio. Ma non ci possiamo fare nulla, io non ci posso fare nulla sono fatto così. Per favore cerca di capirmi…

Il tono del secondo è decisamente più tipico di Gio’, meno supplichevole e assolutamente più deciso: “Non ho la lebbra, potresti almeno rispondere alle mie telefonate o anche soltanto mandare un sms…„

 

Becca rimane in silenzio qualche secondo -Dovresti rispondergli Leo, o quantomeno digli che hai bisogno di pensare…-

Sbotto -Ma che pensare e pensare!- la gola indolenzita protesta per lo sforzo di strillare -Io non ho nulla su cui pensare… Il mio migliore amico non ha nulla a che vedere con… questa persona!-

Mia sorella fa uno dei suoi risolini sarcastici e io mi preparo allo scontro.

Le nostre visioni del mondo tendono a differire costantemente, io sono il classico italiano medio forse poco più sveglio ma sempre un po’ borghese e perbenista, Becca al contrario sembra piovuta dal cielo in questo. Non ho mai conosciuto nessuno con una mente tanto aperta, per questo può accettare il mio stato d’animo ma non la mia ultima uscita.

 

-Non è questa persona Leo. È sempre Giovanni, che vada a letto con le donne o con gli uomini. È sempre il tuo amico, quello che c’era quando ti sei rotto la gamba sciando, quando ti sei preso la prima cotta, quando hai dovuto comprare un preservativo e ti sei ritrovato allucinato davanti allo stand!- esclama mentre prende sempre più a cuore le difese di questa ‘nuova versione’ di Giovanni.

-Io non…- tutti quei ricordi perché vorrei tanto che Gio’ fosse rimasto la stessa persona ai miei occhi, ma le cose sono cambiate. Per quanto vicini, per quanto ci possiamo volere bene fra noi gli equilibri sono cambiati, le tacite regole del nostro mondo sono state distrutte e le fondamenta del castello di carte mi sembrano dolorosamente troppo fragili per poterlo ricostruire da capo.

Da dove vengano quest’amarezza, questo risentimento, questa rabbia, non saprei spiegarlo.

-Tu non, cosa?- chiede inquisitoria

-Io non ci riesco- esalo -Non ci riesco a vederlo alla stessa maniera, non… è diverso da quella persona-

-Diverso da chi? Diverso in che senso?- continua lei senza darmi tregua e sento il mio respiro accelerare, sento me stesso spinto contro un muro, sostenuto dall’inevitabile caduta solo da qualcosa di irrazionale e mi sento esplodere, sento il petto gonfiarsi seguendo il respiro più faticoso, come se una bolla piena di un liquido corrosivo si gonfiasse nella cassa toracica fino al limite estremo. Fino all’esplosione.

-Diverso nel senso che mi ha raccontato un sacco di puttanate, che mi ha preso per il culo facendo lo spaccone e facendomi sentire un imbranato quando lui in realtà… - il cuore palpita a ritmo folle e la vibrazione si propaga per le vene fino alle tempie, ma la bolla è scoppiata e devo tirare fuori quel liquido o ne verrò soffocato -Io… io mi sono sentito sempre in sua soggezione lo vedevo come un grande, mentre tutte quelle storie… era tutto un bluff, una presa in giro… Tutte quelle fisime per nulla-

Becca tenta inghiottire i rimproveri e i tentativi di farmi vedere le cose a suo modo -Leo, non ha senso. Sei furioso e cerchi giustificazioni, cerchi di crearti un alibi per quello che pensi-

 

Scuoto la testa rabbiosamente come se potesse vedermi -Ciao Becca- la saluto esasperato.

Non voglio ragionare, essere obiettivo, voglio solo dare retta al caos che mi si agita dentro, alla rabbia che cresce minuto dopo minuto.

 

E allora cerco di fare il silenzio nella mia mente.

 

Scappare dai problemi è molto più facile che affrontarli, e io ne ho abbastanza di cose complicate.

 

Un quieto vibrare, soffocato dalla coperta mi scuote dalla piacevole apatia in cui ero scivolato per una manciata di minuti. Guardo il soffitto a occhi sgranati mentre lo stomaco si stringe in un nodo, non so di chi preferirei fosso il messaggio, ma più che di Giovanni mi aspetto una replica di Becca, che all’ultima parola non  vuole mai rinunciare. E infatti…

 

“Lo so che ti senti preso in giro, che vorresti solo che le cose tornassero come prima senza dover più ragionare su tutto questo. Ma non è la fine del mondo! Cerca di capirlo e accettare le cose. Un bacio, Becca„

 

Chiudo gli occhi e deglutisco a secco. Becca si sbaglia.

Per una volta si sbaglia.

 

Perché per me è la fine del mondo: del mio mondo.

Naufragato contro silenzi e menzogne.

 

Giovanni non è più la stessa persona, per quanto crudele possa sembrare. Di lui avevo un immagine che evidentemente non corrispondeva alla realtà delle cose, ma davvero ho voluto bene a un ‘fantasma’, un sogno a occhi aperti? O ho solamente chiuso gli occhi a un certo punto del tragitto ignorando i cambiamenti che si stavano verificando tra di noi, in noi.

 

La caccia al colpevole non da frutti e non so con chi prendermela, se con me con lui o con chissà cosa.

In tutto questo una vocina che ha una strana affinità con la voce di Becca si chiede se ci sia davvero una colpa o qualcosa da far scontare, che magari non esistono colpevoli e che è solo la realtà delle cose, che sono un testone e devo smetterla di comportarmi come un bigotto troglodita. Ma è così debole questa vocina (è forse la voce della ragione, e perché accidenti l’ho personificata in Becca che è l’Anticristo della ragionevolezza?) che viene uccisa, o comunque azzittita, dal turbinio oscuro di altre voci, di altre domande che non sanno contro chi o contro cosa indirizzare la loro rabbia, la frustrazione per quel castello di carte che era così bello e che è stato crudelmente distrutto in una sola frase.

 

Dapprima è un piccolo sentiero che si scava silenzioso e indisturbato nel disordine generale, e poi diviene sempre più grande, il letto del fiume. Tutta la rabbia, la frustrazione si adagiano su questo canale e il filo di pensieri è sempre più chiaro fino a che rimane un solo pensiero:

 

Se LUI fosse stato zitto ora non starei qui a rimuginare, ma col mio amico!

 

La sottile vocina riemerge e cerca di urlare che la causa di quella rabbia è proprio il silenzio in cui si era chiuso, l’assenza di parole e spiegazioni. Che quel bel castello non era affatto splendido e accogliente ma basato su una mutua accettazione della mia inferiorità. La sorgente di tutta la mia frustrazione.

Che magari anche lui doveva pensare e capire come difendersi da certi idioti, fra i quali ci sono anche io…

 

Tale è il fastidio che reca la ragione al mio orgoglio (sia mai che io possa essere un idiota dalla mentalità ristretta o che possa avere un complesso di inferiorità nei confronti di qualcuno!) che la ammutolisco, preferendo lo strano sollievo che mi da incanalare tutta la rabbia contro un’unica persona.

 

E la mia mente sgombra carica sulle spalle di colui che ho considerato fratello il fardello di tutte le colpe decretando che il nostro mondo idilliaco è stato distrutto senza pietà da lui.

 

Ma così facendo, sussurra la ragione dall’angolo in cui l’ho relegata, sono io e nessun altro che distrugge quel mondo, che in fondo era tutt’altro che idilliaco.

 

E allora, tanto per cambiare, la tacito una volta di più.

 

 

  
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