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Autore: Terre_del_Nord    24/09/2009    24 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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That Love is All There is

Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Mirzam - MS.005 - MorsMordre

MS.005


Mirzam Sherton
Trevillick, Cornwall - 20 agosto 1967

La residenza estiva della famiglia Lestrange, su un promontorio di fronte a Trevillick, nel Cornwall, sembrava trapiantata a forza da un mondo oscuro al centro di un paesaggio da sogno: persino la luce e il calore apparivano rarefatti e filtrati attraverso un velo nero. Ero stato due volte in quella casa, per il compleanno di Rodolphus, che festeggiò lì la sua maggiore età, e l’anno seguente, quando in quella tenuta fu sepolta sua madre. Con la morte di Natalie Duprès, quel luogo, già oscuro e tenebroso, sembrava aver perso il poco di umanità che gli restava: lo capii dallo stato penoso in cui ormai versavano i bei roseti, uno dei pochi motivi d’orgoglio e di piacere di quella donna, ricompensata con una vita di soprusi e cattiverie dei due figli maschi donati al marito. Da quelle antiche pietre, ora, trasudavano solo la crudeltà e la decadenza fisica e morale di Roland, discendente di una nobile e potente famiglia dedita da sempre alla Magia Oscura. Fermo davanti al portale di pietra, per un attimo pensai che forse Sile non avesse tutti i torti: si era offerta di seguirmi, sostenendo di essere più abile di me a riconoscere gli inganni di Rodolphus, io l’avevo invece riaccompagnata a Doire, con la promessa di sotterrare quella storia in fondo ai miei pensieri. Sapevo, però, che appena mi fossi smaterializzato avrebbe scritto a mio padre, perché aveva intuito che sarei corso da Lestrange prima e a Londra poi, per farmi giustizia da solo, una volta per tutte. Il vecchio elfo, Tell, apparve al cancello e mi fece entrare appena chiesi di Rodolphus, mi guardai attorno, la processione di domestici laboriosi, alle prese con ogni tipo di attività necessaria a rimettere in sesto quella villa decadente, faceva supporre che i Lestrange aspettassero ospiti importanti nei giorni seguenti. Era quasi prossima l’ora del tramonto, Tell mi fece accomodare sulla veranda: il sole scendeva velocemente a baciare la costa frastagliata, potevo ammirare da lontano espandersi tra cielo e mare il promontorio di Tintagell, su cui sorgevano alcune vestigia del nostro passato glorioso. Durante una tempesta doveva essere bellissimo trovarsi lì, esposto alla furia degli elementi scatenati, mi sarei sentito un tutt’uno con la natura che mi aveva forgiato.

    “Ciao, Mirzam Sherton…”

Una vocetta gracchiante mi sorprese alle spalle: mi voltai, seduto a un tavolino nascosto dietro la porta, un Rodolphus in miniatura mi guardava con occhi profondi e privi di espressione, per poi tornare a chinarsi sul suo lavoro; seguii la direzione del suo sguardo, incuriosito: mi prese un senso di disagio quando capii che l’attività che stava incatenando l’attenzione di Rabastan, un bambino poco più grande di mio fratello, era la maniacale dissezione di piccole creature appena cacciate. Quando lo vidi estrarre un corvo vivo dalla gabbia, decapitarlo con un gesto secco e strappargli il cuore per farne il ciondolo di una macabra collana, rischiai una crisi di vomito.

    “Quale straordinaria sorpresa, Sherton! Che cosa ci fai qui?”

La presenza del mio amico mi riportò in me: Rodolphus, in vestaglia, con l’aria scarmigliata di chi se l’è spassata con una femmina fino a pochi istanti prima, apparve sulla soglia in tutto il suo malato splendore, e mi si tuffò addosso per abbracciarmi. Sì, il profumo scadente da donna che portava addosso, faceva presumere che avesse fatto di nuovo conquiste in qualche bettola malfamata… Mi staccai da lui, temendo potesse attaccarmi germi anche solo guardandomi.

    “Ho bisogno di parlarti, Lestrange…”

Rodolphus si fece serio, annuì e mi fece strada nel giardino, allontanandoci dalle orecchie di suo fratello.

    “Confido nella tua sincerità, per una volta… Ne sai qualcosa di questa storia?”

Estrassi la foto dalla giacca e gliela porsi, senza staccargli gli occhi da dosso e studiando tutte le sue espressioni: non sembrava né inquieto, né preoccupato, solo un po’ sorpreso.

    “Non ho frequentazioni del genere, sono babbani, mi pare…”
    “E il tuo amico? Il messaggio non ha firma, ho pensato fosse opera sua…”

Rodolphus ghignò, gli si stampò in faccia un’espressione sinistra, al tempo stesso violenta e ironica.

    “Beata ignoranza! Non sono questi i suoi metodi, Sherton, non è un mago che si presti ai vantaggi dell’anonimato… Se avessi accettato i miei inviti, ora lo sapresti anche tu… ma dimmi piuttosto, perché questi babbani t’interessano?”
    “Questi due…”
    “Salazar… Non dirmi che sono i bastardi che ti hanno aggredito da piccolo?”

Avevo sempre avuto una forte resistenza a parlare con lui di quei fatti, non perché non mi fidassi, ma perché temevo di essere malconsiderato, per essere stato quasi ucciso da un babbano. Annuii e tornai a guardarlo con attenzione: era sinceramente sorpreso, non recitava in quel momento. E non mi considerava un idiota per quanto era successo. Al contrario, sorprendendomi, si mise a ridere e si spettinò con un gesto nervoso.

    “Salazar! La mia proverbiale sfiga! Non potevo trovarli io? Se avessi avuto una notizia così importante, l’avrei venduta a caro prezzo a mio padre, così quella vecchia cariatide avrebbe chiesto in cambio qualcosa di veramente prezioso al tuo… E invece il tesoro finisce nelle mani di un ragazzino senza senso degli affari come te…”
    “A meno che tu non abbia già preso qualcosa di prezioso da chi ti avesse chiesto di mandarmela… tutto ha un prezzo per te: l’hai appena detto…”
    “Non sono un idiota, Sherton: quello che hai in mano, presso tuo padre, varrebbe un tesoro, e se l’avessi avuto io, mi sarei fatto pagare profumatamente anche da lui, non te l’avrei certo consegnata gratis… Chiunque avrebbe agito così… E dovresti farlo anche tu: dalla a lui, e prenditi la giusta ricompensa…”

Era vero, Rodolphus in quel momento della sua vita, avrebbe cercato di ricavare il massimo profitto da quell’informazione: vantaggi materiali per liberarsi della sua famiglia senza dare scandalo, o credibilità e rispetto presso suo padre, ciò che agognava da una vita senza ottenerlo mai.

    “Grazie, Rod e… scusami per il disturbo…”

Feci per andarmene, ma Lestrange mi trattenne.

    “Ti conosco, non sei qui per questo: lo sapevi che io non c’entro niente… Tu vuoi sentirti dire da me ciò che già sai: questa storia puzza, Mirzam… Tuo padre ci è stato dietro anni e non ne è venuto a capo, e lo stesso vale per Orion Black, ma ora, a pochi giorni dal tuo ritorno a Hogwarts, la verità viene "recapitata" a te… A te, che per la prima volta non hai la Traccia addosso; a te, che per quanto bravo e abile non hai certo l’esperienza di tuo padre, e tanto meno la sua capacità di controllarsi… Al tuo posto rimetterei tutto nelle sue mani e dimenticherei queste facce… O, meglio ancora, strapperei la foto e non ci penserei più, perché questa è di sicuro una trappola…”
    “Anche se lo fosse… Non sarei un uomo se non li cercassi… tu non c’eri quel giorno… tu…”
    “Apri gli occhi, Mirzam! C’era qualcuno del Ministero allora e c’è anche adesso dietro a questa storia: qualcuno che vuol mettere le mani su Herrengton o semplicemente far carriera in fretta, mandando sotto terra o ad Azkaban qualcuno dei nobili Sherton, magari proprio tutti… Per il bene tuo e della tua preziosa famiglia, scordati questa storia, goditi la tua ragazza, il tuo Quiddicth e preoccupati solo dei MAGO…”

Mentre stavamo camminando diretti alla veranda, mi accorsi che era diventato improvvisamente pallido, tremava un po’, la voce era diventata sofferente e, fulmineo, l’avevo visto portarsi la mano destra sull’avambraccio sinistro, come se tutto il dolore fosse concentrato lì.

    “Che cos’hai, Rod? Ti senti male?”
    “No... no... Solo... Mi spiace, Sherton, ma ora devo lasciarti… ho… ho un impegno urgente… E tu… non devi tornare a Londra, soprattutto non stanotte… Mi hai capito?”

Mi diede le spalle, io l’afferrai per il braccio dolorante e feci scorrere la seta della vestaglia il tanto che bastò a svelare uno strano tatuaggio che non gli avevo mai visto prima: era neroma virava al rosso cupo come il sangue, sembrava pulsare e muoversi; rappresentava un teschio, dalla cui bocca usciva un serpente. Mollai il braccio, sconvolto, quando ebbi la sensazione che la bocca del teschio si deformasse in un ghigno; Rodolphus mi strattonò, liberandosi, la sua espressione era diventata cupa e nervosa.

    “Che cosa ti sei fatto su quel braccio?”
    “Non sono affari tuoi! Guai a te se ne parli con qualcuno, mi hai capito? Dimentica quello che hai visto e dimentica quella foto… E per favore… Ora vattene…”

Raggiunta la veranda, mi diede le spalle e se ne andò per le scale, stanco, Rabastan come un automa, si alzò a sua volta, mi si avvicinò silenzioso e mi sussurrò con una voce appena percettibile:

    “Quello è il marchio con cui il suo Signore lo chiama... Appena sarò cresciuto, voglio appartenergli anch’io…”

Lo guardai esterrefatto, non capivo che cosa stasse accadendo in quella casa. I Lestrange, come gli Sherton, non si erano mai sottomessi a nessuno... Il ragazzino si dileguò e il vecchio elfo riapparve, con l'ordine di riaccompagnarmi alla porta.

***

Mirzam Sherton
Londra - 20 agosto 1967

Con Sile avevamo sottoposto la foto a tutti gli incantesimi che conoscevamo per svelare parole nascoste dalla magia, alla fine mi ero rassegnato: l’unico messaggio era la foto stessa. Conoscevo abbastanza la città di Londra, grazie alle escursioni babbane fatte con mio padre da ragazzino, da avere un’idea precisa di dove fosse stata scattata: era la zona dei magazzini lungo il fiume, zona da cui mio padre voleva che ci tenessimo tutti alla larga. L’avevamo percorsa insieme solo una volta, quando avevo sette anni, in macchina, tenendo una velocità sostenuta, fino a quando si era fermato davanti a un locale semi abbandonato: mi aveva ordinato di non uscire dall’auto, poi era entrato e l’avevo visto parlare animatamente da dietro il vetro con un uomo dai capelli lunghi, gialli come paglia. Il locale era lo stesso della foto, solo meno derelitto, e gli uomini ritratti, che ridendo uscivano da quella bettola, li riconoscevo anche a distanza di anni, come se li avessi visti il giorno precedente. Ero entrato, dopo aver trasfigurato i miei abiti nell’angolo buio in cui mi ero materializzato, e avevo ordinato una birra al bancone: il locale puzzava di un tanfo insopportabile, un misto di sudore umano e sangue sparso in chissà quante “scazzottate”, regnava un senso di oscurità, con luci basse e rossicce, e un paio di neon che si accendevano e spegnevano ritmicamente, contribuendo a fornire al posto un’aura di pressapochismo in cui mi sentivo molto a disagio. Il barman aveva mugugnato qualcosa di irriverente, quando aveva sentito il mio forte accento del Nord, ma non me ne curai, mi guardavo intorno, osservavo quella strana scatola che trasmetteva immagini, ascoltavo le conversazioni in buona parte incomprensibili di quella plebaglia insignificante. Rimuginavo sulle parole di Rodolphus: sapevo che poteva essere una trappola, ma non capivo in che modo, in una periferia babbana, potessi trovarmi di fronte a qualcosa capace di annullare la Magia del Nord. Se mi fossi trovato nei guai, se avessi avuto la necessità di fuggire in fretta, la magia primordiale mi avrebbe tolto dai guai senza conseguenze, perchè la tracciatura alla quale il Ministero sottoponeva tutti i maghi del Nord, per controllarci, riguardava solo la magia offensiva, non gli spostamenti, i rimedi curativi, o la difesa. Bevevo e mi tranquillizzavo, l’unico vero problema era trovare quei due uomini, spariti per dieci anni e scovati casualmente (o no?) in quel luogo.
Che cosa ci facevano lì? Quando era stata scattata la foto? Dove erano stati tutti quegli anni? E, soprattutto, che cosa avrei fatto io una volta che me li fossi trovati davanti? Non ero convinto che spezzargli le gambe mi sarebbe bastato, d’altra parte dentro di me dubitavo che sarei mai riuscito a torcergli un capello… Avrei dovuto chiedere a Rodolphus di venire con me, lui avrebbe saputo cosa fare, e probabilmente mi avrebbe aiutato persino volentieri… Sì, dovevo chiedere a Lestrange di seguirmi, lui era capace di farli “cantare”, quello che volevo era conoscere il nome dei complici e far rimpiangere loro quello che mi avevano fatto. Il locale era quasi pieno, diversi ragazzi giocavano a biliardo, altri ceffi commentavano con epiteti osceni e gestacci la partita di calcio che era trasmessa in televisione. Non aveva senso restare senza un piano, senza compagni ad aiutarmi… Una città così grande… come li avrei trovati? Che cosa mi garantiva che sarebbero tornati lì, proprio quella sera? Forse avrei dovuto prendere la foto e farla vedere alle persone presenti nel locale per ottenere informazioni, ma dagli sguardi poco rassicuranti che mi lanciavano, mi rendevo conto che non era una buona idea. Avevo sbagliato a trasfigurare gli abiti in quel modo, rispetto a quegli energumeni ero troppo elegante, probabilmente qualcuno di loro mi avrebbe seguito quando fossi uscito, per pestarmi e rubarmi denaro e vestiti. Presi le monete babbane che avevo in tasca dalla sera prima per pagare, me le rigirai in mano: pareva passato un secolo dal concerto e la cena del giorno prima, dalla felicità, dai baci, da Sile… Com’era possibile che il primo vero giorno di felicità mi fosse stato strappato via così? Perché avevo lasciato la mia Sile per imbarcarmi in quella follia inconcludente? Magari ora pensava che mi fossi solo approfittato di lei e fossi già passato ad altro… Dovevo tornare indietro, da lei… E non lasciarla più.
Bastarono quei pensieri a distrarmi. Mentre mi alzavo, andai a cozzare contro un energumeno accanto a me, che si girava in quel momento con due boccali di birra in mano, versandosene uno addosso e l’altro addosso a me.

    “Mi scu…”
    “Lurido scozzese bastardo! Guarda dove metti i piedi!”

Si fece silenzio di colpo, mi sentivo addosso lo sguardo di tutti, lo fissai in faccia, pronto a ripetere che mi ero già scusato e che gli avrei anche ripagato le birre, quando intercettai i suoi occhi. Sentii l’adrenalina scorrermi impazzita nelle vene: era lui, era proprio l’uomo alto, quello che mi aveva preso da dietro e tenuto fermo mentre l’altro mi accoltellava.

    “Che cos’hai? Cerchi rogna, ragazzino?”

Mi sentii spingere da dietro, mi voltai e riconobbi anche quello basso e corpulento: rividi lo stesso ghigno sordido, la stessa espressione ironica e sprezzante, sentii lo stesso odore penetrante della paura e il gelo che s’impossessava del mio sangue. Erano lì per me, sapevano chi fossi e che cosa ci facessi lì, mi aspettavano, come io aspettavo loro, ma ora che li avevo davanti, non avevo idea di che cosa avrei dovuto fare. Mi divincolai dalla presa e, forse impazzito, colpii il più piccolo con un manrovescio, pur sapendo che avrei suscitato la reazione dell’altro: non si fece attendere, il suo pugno mi centrò in pieno volto, mi ritrovai a cadere contro una sedia vuota e rovesciarmi quasi sul tavolo accanto.

    “Cerchi guai, ragazzino?”
    “Tornatene a casa tua, scozzese!”

La maggior parte degli avventori ruggì in un vociare unico, pareva che tra babbani la provenienza geografica fosse motivo di rissa, ancor più che tra maghi. Tra risate e insulti vari, si era formato un cerchio di persone che incitavano i due, ero convinto che mi avrebbero picchiato volentieri tutti quanti, senza un perché: erano simili a bestie, mossi solo da istinti e frenesia di sangue, erano ancor più meschini di quello che avevo sempre immaginato.

    “Fuori di qui, voi tre, non voglio casini nel mio locale!”

Il barman, un omone calvo e "ampio" quanto un armadio, fece cenni ad altri due o tre individui, grossi quanto lui, fermi in vari punti della bettola, i quali si mossero come un corpo unico, circondandoci e isolandoci dal resto della folla. Approfittai del momento: il piccolo si preparava a saltarmi alle spalle per tenermi così che l’altro mi avrebbe centrato facilmente con un pugno allo stomaco, ma io, forte della mia maggiore agilità, riuscii a svicolare tra l’energumeno alla mia sinistra e il grassoccio, portandomi oltre l’ingresso.

    “Scappa! Scappa, vigliacco!”
    “Prendiamolo!”

Risate di scherno, rumore assordante, freddo, buio: iniziai a scappare per i vicoli, il sangue che mi pulsava dentro le orecchie, impazzito, il cuore a mille, un sapore disgustoso di sangue in gola e un dolore allucinante al naso. Dopo alcuni minuti di corsa sembrava avessi trovato un posto ben riparato per smaterializzarmi: dovevo solo recitare un paio di formule che Madame Pomfrey usava per sedarci momentaneamente il dolore durante le partite, altrimenti, non sarei mai stato capace di concentrarmi e fuggire fino a Herrengton. E quello fu l'ennesimo errore della giornata. All’improvviso sentii i passi rapidi e pesanti dei due uomini dietro di me: cercai di nascondere la bacchetta, ci mancava solo che si accorgessero di qualcosa e che dovessero intervenire gli uomini del Quartier Generale degli Obliviatori... Se fosse successo, avrei dato a mio padre un motivo in più per incazzarsi a morte.

    “Che cosa diavolo volete ancora? Non ho soldi!”
    “Davvero non lo sai, Sherton?”
    “EXPELLIARMUS!”

Vidi la mia bacchetta volare in mano al botolo, il quale si affrettò a spezzarla in due, mentre l’altro mi teneva sotto mira con la sua bacchetta. Questa non me l’aspettavo, davvero. Quindi erano maghi anche loro? O erano maghi che avevano assunto l’aspetto dei due babbani? Non poteva essere vero. Era stato tutto un errore, fin dall’inizio…

    “Tanto a voi maghi del Nord non serve la bacchetta, se ben ricordo…”
    “Che diavolo hai intenzione di fare?”
    “CRUCIO!”

Mi sentii abbattere al suolo, duemila aghi roventi conficcati nella carne, la sensazione di essere scuoiato vivo… Mi contorcevo a terra, preda di troppe sensazioni dolorose piovute addosso tutte insieme, incapace di concentrarmi e ritrovare rapidamente la forza nelle rune, le uniche capaci di farmi resistere e tirarmi fuori da quella situazione assurda.

    “Su ragazzino... facci vedere cosa sai fare... difenditi…”

Dopo secondi interminabili, il bastardo interruppe la maledizione, ridendo: come si aspettavano, non avendo ventuno anni, non ero ancora al massimo delle mie capacità, solo per provare a resistere al dolore avevo sprecato quasi tutte le mie forze ed ora, per smaterializzarmi, mi serviva necessariamente una bacchetta. Ed io non l’avevo più. Era diventato tutto improvvisamente chiaro. Non potendo fuggire, dovevo conservare il potere delle rune per resistere ad altri sicuri attacchi e eseguire piccoli incantesimi di difesa e offesa: era chiaro che mi avrebbero perseguitato fino a costringermi a far loro del male e mettermi definitivamente nei guai, ne ero convinto. Mi guardai attorno, alla ricerca di una via di fuga o di un diversivo, intravidi qualcosa di utile, sollevai una mano e sussurrando in gaelico, lasciai cadere tra me e loro un groviglio di cavi, sospesi da una gru e, approfittando della loro sorpresa, mi misi a correre a perdifiato: dovevo assolutamente ritornare in mezzo ai babbani, per impedir loro di usare la magia contro di me, mi sarei confuso tra la folla e avrei raggiunto Grimmauld Place, per chiedere aiuto e riparo al mio padrino.

    “Dove credi di andare?”
    “PETRIFICUS”

Mi feci scudo con la mano e un altro incantesimo, dovevo sfuggirgli in qualche modo, e dovevo sbrigarmi. Ripresi a correre, apprezzando che mio padre ci avesse insegnato a batterci e difenderci anche fisicamente, non solo con la magia, a sfruttare tutte le nostre risorse: tremavo all’idea che, senza una bacchetta e una scopa, se non fossi stato veloce a correre, a quest’ora potevo essere già morto. Ma l’agilità, una volta persa la capacità di orientarmi in mezzo a quei container e quei macchinari che non riconoscevo, non mi serviva poi a molto: preso da dolore e terrore, non avevo pensato a memorizzare i dettagli del percorso che avevo fatto, e ora mi rendevo conto di essermi perso. L’ultimo vicolo che avevo preso era cieco
   
    Merlino, che situazione del cazzo! Bastardi!


    “Sorpresa! Fine della corsa!”
    “Non uscirai vivo di qui, Sherton!”

Lo sapevo anch’io, già da un po’ avevo iniziato a pensare all’anello che portavo all’anulare destro: bastava ruotarlo di un quarto di giro e mio padre e tutta la Confraternita del Nord avrebbero saputo che ero in pericolo. Ma il sospetto che fosse proprio questo ciò che quei due pazzi volevano da me, mi faceva resistere: sarei morto piuttosto che mettere nei guai la mia famiglia e la mia gente.

    “Tra poco gli Aurors saranno qui, in un luogo dove spesso ci sono episodi di Magia Oscura, e ti troveranno e il Ministero avrà finalmente le prove per sbattervi tutti ad Azkaban…”
    “Sarete voi due ad andare all’inferno, dovreste starci già da dieci anni!”
    “Chissà, magari, un giorno... ma non prima di aver rivisto tua madre… mi piacerebbe tanto riprendere da dove siamo stati interrotti!”

L'uomo ghignò, io sentii l'odio imporporarmi la faccia. I babbani non c’entravano niente fin dall’inizio, per questo mio padre non aveva mai scoperto la verità… Aveva sempre avuto ragione lui…

    Maledetti…

Volevo sputargli addosso una maledizione in gaelico, capace di incenerirli all’istante, era sempre più difficile trattenermi. Sapevo di non poter resistere all’infinito a dolore e provocazione, presto quella posizione di stallo si sarebbe interrotta, mi avrebbero cruciato e colpito di nuovo, ed io per istinto di sopravvivenza, avrei fatto l’unica mossa possibile, quella che sapevo sbagliata in partenza. L’uomo grassoccio mi colpì di nuovo, io cercai di deviare lo schiantesimo, e fu allora che percepii un cigolio sinistro, poi un altro: due container si rovesciarono a terra, mancando i miei aggressori di pochi centimetri. Guardammo tutti e tre in alto: il cielo, buio e privo di stelle, era solcato da strane scie color argento, sembravano stelle cadenti che invece di perdersi all’orizzonte finivano la loro corsa sui container, in nuvole di fumo rossiccio e strane esplosioni simili a tuoni. Una, poi un’altra, e un’altra ancora…
Dalle ombre dietro ai due uomini, che mi avevano chiuso in un angolo come una bestia braccata, percepii una figura oscura in lento movimento, seguita da almeno altre tre: erano forme eteree, completamente vestite di notte, con il cappuccio che celava il capo e una maschera d’argento particolarmente elaborata a coprire i tratti del viso, la bacchetta stretta nella mano destra. Si muovevano sinuosi come le spire di un serpente e cantilenavano una nenia strana con un tono irridente, che mi fece gelare il sangue. I due ceffi si voltarono: la prima figura, che sembrava la più alta di tutte, emerse dal buio sbuffando in una specie di ghigno soffocato, l’aggressore più alto rovinò a terra, contorcendosi per gli spasmi dovuti a una Cruciatus, il suo compagno grassoccio cercò di proteggerlo, ma un getto di luce rossa, dall’alto di un container di fronte a me, lo centrò in pieno, schiantandolo all’istante. L'uomo, che aveva lanciato la Maledizione senza Perdono, si chinò a raccogliere le bacchette e le spezzò, poi rovistò tra gli abiti dei miei aggressori, trovando la mia, rotta in due parti. La studiò e la ricompose. A quel punto avanzò verso di me, minaccioso, puntandomela contro.

    “Stai lontano da me… Io non centro niente con quelli…”
    “Non dovevi trovarti qui, stupido idiota… Tra poco gli Aurors arriveranno per noi… riprenditi la tua bacchetta, non so quanto funzionerà, ma devi andartene lontano da qui!”
    “Rodolphus…”

Non potevo crederci. L’uomo mascherato si voltò ed emise la sua classica risata canzonatoria, poi mi sollevò con un incantesimo fino ad una nicchia formata da due container.

    “Scendi là dietro e scappa verso le luci che vedi sullo sfondo, mischiati tra i babbani il prima possibile e scordati di avermi visto questa notte…”

Si smaterializzò all’istante in una nuvola di polvere rossiccia, andando a intercettare delle ombre che si stavano librando sopra i container; anche gli altri uomini mascherati si dissolsero pronte a placcare le altre entità che stavano scendendo dal cielo: dovevo andarmene, volevo andarmene, ma volevo anche capire cosa stava accadendo e aiutare Rodolphus, se avesse avuto bisogno di me. Mi arrampicai e mi appiattii sul tetto del container, controllando la situazione dall’alto: nel vicolo in cui me l’ero vista brutta, circondato da una corona di cassoni, almeno otto Aurors duellavano con i cinque maghi mascherati. Li guardai ammirato, non avrei mai creduto che Rodolphus non fosse solo un pallone gonfiato, ma anche un combattente incredibilmente abile. I suoi compagni non si preoccupavano tanto di colpire per potersi dare alla fuga, quanto di usare tutti i mezzi possibili e più illegali per denigrare e impressionare gli avversari: o erano pazzi, o stavano giocando a gatto e topo, o volevano lanciare una sfida al potente capo del Dipartimento di "Applicazione delle Leggi magiche", il temibile Bartemius "Barty" Crouch. Si muovevano agili come felini e usavano la bacchetta con estrema destrezza: un Auror fu colpito alle gambe e fatto ruotare per aria come una trottola, almeno altri due erano tenuti a distanza dal fuoco, iniziai a tremare, se avesse attecchito sui container, i ruderi di quel vecchio porto abbandonato avrebbero sviluppato un rogo immane, che si sarebbe propagato in parti attigue della città. Dovevo scappare prima che succedesse il peggio, mi voltai e vidi due maghi mascherati che si stavano divertendo a rincorrere un paio di ministeriali capaci solo di darsi alla fuga. Quando però intravidi i due bastardi unirsi agli altri, pur privi di bacchette, sentii urgente dentro di me il richiamo del sangue: anche se era meglio non fare stupidaggini, avrei voluto unirmi alla lotta, per ammazzarli con le mie mani. Gli amici di Rodolphus intanto sembravano in difficoltà, uno di loro perse la maschera e riconobbi con sorpresa il mio ex compagno fuggiasco, Steven Pucey. Vidi altre "nuvole" scendere, almeno altri cinque ministeriali si aggiunsero alla battaglia, uno di loro strappò la maschera a Rodolphus che per tutto il tempo aveva duellato come una tigre contro un paio di Aurors: capii all'istante che dovevo intervenire e proteggerlo, dopo quello che Lestrange aveva fatto per me quella sera. Alzai la bacchetta, mossi dei cavi e li feci precipitare sui ministeriali, due Aurors furono colpiti e rovinarono a terra, rotolandosi provavano a liberarsi da quegli oggetti impazziti che li tenevano imprigionati. Un ministeriale alzò lo sguardo verso il container su cui mi nascondevo e mi vide, cercò di attirare l’attenzione degli altri nei miei confronti, e capii subito che dovevo impedirglielo; mi passò per la testa di sollevare la mano, scatenare contro tutti quanti il fuoco, il mio elemento: l’avrei fatto scendere a cascata su tutti, sugli uomini che mi avevano quasi ammazzato, su coloro dei quali mio padre si fidava, e che invece erano da sempre in combutta contro di lui… Sarebbe bastato chiudere gli occhi, rivedendo nella mente la disposizione di ognuno di loro, alzare la mano e colpire… e poi pagare le conseguenze. Ma quando ormai mi ero convinto e stavo per farlo, mi sentii prendere il braccio e, all’orecchio, una voce sibilante e trascinata mi fermò:

    “Non oggi, non ancora… Non mettere a rischio la tua famiglia in un modo così sciocco, Mirzam Sherton…”

Allarmato, mi voltai, due occhi serpenteschi a poca distanza da me, sentivo che nonostante gli resistessi, riusciva a sondarmi la mente. Poi tutto avvenne rapidamente. La mano pallida e scheletrica si staccò dal mio braccio, sollevò in alto la bacchetta e con una serie di fluidi movimenti di polso, mise fine alla battaglia: i ministeriali erano crollati a terra, annientati dagli Avada, gli uomini mascherati passavano tra i cadaveri, strappavano e rompevano le bacchette, trasfiguravano i corpi in sabbia… Io non potevo credere a quello che stavo vedendo, impietrito dalla sorpresa che si trasformava in orrore, sentivo qualcosa di strano e indefinibile dentro di me. Rodolphus si avvicinò a quello che rimaneva del mio aggressore basso e grassoccio: pur ferito gravemente, era ancora vivo, quando lo vidi sollevare la bacchetta per il colpo di grazia, mi uscì dal petto un "NO!" disperato,  ma Rodolphus, pur sorpreso di vedermi ancora lì, con quell’uomo vestito di nero al mio fianco, fee  finta di niente, puntò la bacchetta e pronunciò l’Avada. Poi come avevano già fatto i suoi compagni, si avvicinò al container, per prostrarsi al suo maestro.

    “Spero ti unirai anche tu alla mia causa un giorno, Mirzam Sherton… Al mio fianco potresti ottenere facilmente tutto ciò che vuoi… dalla donna che ami… al potere… alla verità…”
    “L’unica verità che m’interessava è morta questa notte… Non saprò mai chi fossero i mandanti di quegli uomini...”
    “Hai tutto il tempo pr scoprirlo, invece... per ora, ci sono altre verità più interessanti da conoscere, Mirzam Sherton…”

Mi afferrò il braccio, osservandomi con quegli occhi rossi come lava, le unghie che quasi mi ferivano la pelle… E fu allora, quando una stilla di sangue uscì dalla mia carne, che rividi un altro fuoco, l’isola, gli anatemi che lanciavo a Jarvis Warrington, colmo d’odio, la mia rabbia, la mia disperazione… E l’IMPERIUS di mio padre che mi ordinava di dimenticare quell’odio, di reprimere i pensieri cruenti che avevo per il mio compagno e per Bellatrix Black, di vivere finalmente libero dai sensi di colpa e dai turbamenti che per colpa sua e di mio nonno mi rovinavano la vita da quando ero solo un ragazzino… E le sue lacrime, che mi segnarono dentro più di tutto quello che avevo vissuto quella notte.
Ero confuso, non sapevo se ero più infuriato o più grato a mio padre per quello che aveva fatto per me. L’uomo, che tutti chiamavano Milord, si staccò da me, con un ghigno compiaciuto sulla bocca stranamente priva di labbra, lo osservai, sembrava un rettile… Poi si smaterializzò, seguito dai suoi uomini… Rodolphus, rimasto indietro, sollevò la bacchetta verso il cielo e pronunciando qualcosa che suonava come “Mors Mordre”, tracciò, nel cielo sopra i container, una figura verde che si compose nella stessa forma del suo tatuaggio. Poi mi prese per mano e ci smaterializzammo diretti a Essex Street, nella notte carica di uno strano odore di polvere e morte.


***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - settembre 1967

    “Barthemius Crouch non ha più dubbi: a Londra si aggira un nuovo Mago Oscuro molto pericoloso; pare che quello strano marchio magico apparso nel cielo della capitale, a fine agosto, si leghi proprio alla sparizione di una sua squadra di ricognizione… E alcuni dicono anche che…”

Weasley e un altro inutile Grifondoro abbassarono la voce fino a squittire, ma non abbastanza perché non sentissi il resto; d’altra parte erano giorni che notavo strane occhiate al mio passaggio: il pomeriggio precedente, l’avevo già beccato che arringava i compagni, sostenendo con sicurezza le proprie verità.

    “Doveva esserci per forza qualcuno dei Maghi del Nord a Londra quella sera, il Daily dice che è stata rilevata una loro traccia, e questo conferma che dovrebbero starsene tutti ad Azkaban e marcire là dentro: sono da sempre i discepoli più fedeli a Salazar, la loro è la Magia Oscura più potente…”

Ero stato sul punto di intervenire, gli avrei dato io la Magia Oscura, ma a suon di pugni, come facevano quei Babbani che ammirava tanto; Sile, però, mi si era avvicinata, mi aveva preso la mano e portato via, distraendomi con un bacio. Ora la situazione si ripeteva: ero salito presto a fare colazione per vedere meno persone possibili, invece quei discorsi mi avevano rovinato la giornata appena sveglio. Ero già turbato per conto mio: ancora mi balenavano davanti agli occhi gli avvenimenti di quella notte, non riuscivo a credere di essermi salvato ed ora cercavo inutilmente di ritrovare la mia serenità, perché, attaccato com’ero da mille pensieri, rischiavo di impazzire.
 
    “Non devi ascoltarli, sono solo degli idioti, Mirzam…”
    “Queste idiozie, però, queste menzogne, diffuse tra questa gentaglia ignorante, sai a cosa porteranno, Sile? Il primo che, per impadronirsi del potere, designerà noi come il nemico da combattere, avrà al seguito tutti questi pezzenti pronti a saltarci alla gola, e noi verseremo di nuovo il nostro sangue, senza un motivo, solo per l’invidia e la corruzione del Ministero…”
    “Mirzam… calmati per favore…”

La nostra discussione stava attraendo l’attenzione dei pochi già presenti in Sala Grande, alcuni Serpeverde al tavolo mi ascoltavano annuendo, il gruppetto di Grifoni che mi aveva innervosito ora taceva e ascoltava con attenzione; notai che Dumbledore e Slughorn, che fino a quel momento avevano conversato davanti ai loro pasticcini, avevano smesso di mangiare attirati dal mio sfogo.

    “E’ una confessione la tua, Sherton? Stai dicendo che c’eri tu a Londra quella sera?”
    “Gli Sherton possiedono una casa a Londra, razza di un pezzente, solo gli idioti come te non vedono che questa è una scusa creata ad arte… Preoccupati piuttosto per le mani lorde di sangue magico che ti ritrovi, Weasley, tu e tutti quelli come te, traditori che ve la fate con chi ci ha perseguitato e ammazzato per secoli…”
    “Mirzam, per favore, non vale la pena perdere tempo con questa gente… si sta facendo tardi…”

Mi feci di nuovo trascinare via, un pesante cerchio alla testa: di solito non cedevo alle provocazioni di quell’idiota, ma avevo troppi pensieri confusi in testa, nulla mi appariva chiaro e lineare.

    “Non ascoltare quegli idioti! Ti stai logorando, si capisce a guardarti che non dormi più: ti farai del male continuando così!”
    “Non ti preoccupare per me, io sono forte…”

Le sorrisi appena, malizioso, ma lei non parve molto convinta. L’abbracciai e le stampai un bacio sulla fronte: avevo immaginato per tutta l’estate che, appena fosse iniziato il settimo anno, avremmo dormito insieme nella mia stanza da Caposcuola, senza curarci delle chiacchiere, una volta che mi avesse permesso di parlare con suo padre. Invece, dopo quanto avevo ricordato quella notte, dentro di me quel desiderio era morto: a volte temevo i momenti in cui ci ritrovavamo soli, credevo che, solo osservandomi, Sile potesse capire che noi due eravamo tutta una menzogna, come il resto della mia vita. Ed io non volevo perderla, perché se era vero che mi era stato imposto di dimenticare Bella, razionalmente sapevo che i mesi trascorsi con Sile erano stati i più belli della mia vita, ricchi di una felicità che non avrei potuto mai nemmeno sognare. Dovevo superare quel momento di confusione, perciò, senza che Sile si accorgesse dei veri motivi. In quei giorni mi ero rifugiato nella balla della discrezione e del rispetto per la sua famiglia, per mantenere un certo distacco, nella speranza di riuscire a guardarmi dentro e convincermi che nel mio cuore era tutto come prima; tuttavia non ero riuscito a celarle i miei turbamenti.

    “Sono solo nervoso per queste stupide dicerie, Sile…”
    “Io non so cosa devo pensare del tuo silenzio… so che c’eri tu a Londra quella notte…”
    “Vuoi sapere se ho ucciso io quelle persone? Pensi che dopo la “nostra” notte, io sia andato ad ammazzare gente, invece di restare con te? È vero, per quei due provo un odio profondo, ma…”
    “No, io… io non credo che tu sia coinvolto, ma… c’è qualcosa che ti turba e che mi nascondi… poi c’è questa tua strana ostilità verso tuo padre…”
    “Te l’ho già detto… Mio padre lascialo fuori da qualsiasi cosa ci riguardi, d’ora in poi, d’accordo?”
    “Ma perché? Che cosa sta accadendo? Avete litigato? È per questo che sei così arrabbiato?”
    “Mio padre non è la persona che credi… per favore, lasciamo stare… ora pensiamo a Vitious…”

La strinsi di nuovo a me e, abbracciati, entrammo in aula, fino a sederci al nostro banco vicino alla finestra: per tutta la lezione feci finta di non accorgermi dello sguardo preoccupato che Sile aveva stampato in faccia. Sospirai. Avevano ragione lei e Rodolphus, non sarei dovuto tornato a Londra quella notte: il mio gesto sconsiderato rischiava di farmi perdere tutte le persone che amavo.

***

Mirzam Sherton
Hogsmeade, Highlands - ottobre 1967

Al termine di quella maledetta notte di agosto, Lestrange mi aveva aiutato a Materializzarmi sotto uno dei ponti del Tamigi: io ero agitato, confuso, spaventato, l’avevo riempito di domande, ma da lui non avevo ottenuto nessuna risposta.

    “Io voglio parlare con Lui…”
    “Scordati di questa storia e scordati di questa notte! Devi pensare ai MAGO e a Sile… Ti cercherò io quando sarà il momento, appena la bufera sarà passata… E procurati una bacchetta identica a quella che ti hanno rotto, non devi farti trovare impreparato!”

Poi si era volatilizzato. Avevo fatto come mi aveva detto: da quella notte erano passati giorni, poi settimane, io andavo a Hogsmeade regolarmente, visitavo i soliti negozi, ma alcune volte ero entrato alla Testa di Porco per cercare tracce di Lestrange e dei suoi amici. Sembravano spariti tutti dalla faccia della terra. Intanto dal “Daily Prophet” continuavano a giungere notizie poco confortanti per la Confraternita: il Ministro voleva chiarire la storia della traccia del Nord, benché mio padre avesse ripetuto che con la nostra casa al centro di Londra, la “traccia” era nient’altro che la testimonianza dei nostri spostamenti tra la Scozia e la Capitale. Era chiaro come fosse tutto un pretesto: il Ministero voleva approfittare dell’attuale crisi per imporre delle limitazioni alla vita della mia gente; con la mia stupidità avevo offerto la scusa perfetta.
Ero appena entrato da Madama Hockbilden, con Sile e Jarvis, quando un energumeno si avvicinò e ci disse che noi "Runati" non eravamo più graditi nel locale: ci guardammo increduli, protestammo inutilmente, poi ci dirigemmo alla Testa di Porco, anche se non era un posto adatto a Sile.

    “La situazione evolve in fretta a quanto pare…”
    “Tuo padre ha già incontrato la commissione, Jarvis?”
    “Sì… Secondo lui presto convocheranno anche noi ragazzi, se Dumbledore smetterà di opporsi…”
    “Dumbledore si sta opponendo? Anche se lo osteggiamo da quando è stato nominato preside?”
    “Il vegliardo non ha mai apprezzato i processi sommari, Sile: lui ha fatto dei precisi nomi al Ministero, ma là dentro si guardano bene dal dargli retta. Preferiscono seguire la pista del Nord, tutti sanno che non usiamo Metropolvere o Smaterializzazione per muoverci: hanno la scusa perfetta per controllarci.” 
    “Vuoi dire che si tratta di una trappola creata ad arte dal Ministero a questo scopo?”
    “Sul Daily, oggi, c’è scritto “Alshain Sherton convocato dalla Commissione”, come se fosse ritenuto il colpevole. Non scrivono che è stato lui a chiedere di riunire il Consiglio, la Commissione e la Confraternita per parlare. Stanno sistematicamente travisando la verità. E quello che è peggio, è che la gente legge quel dannato giornale corrotto quasi fosse un testo sacro!”
    “Alla riunione di Inverness, tutta la Confraternita si è detta pronta a far fronte comune, se provano a muovergli qualsiasi accusa: le attività del Ministero, del San Mungo e della nostra scuola sarebbero bloccate per mesi, se tutti i Maghi del Nord si dimettessero dai propri compiti. Il Ministero non riuscirà a mettere le mani sulla nostra Herrengton!”
    “In questo modo, però, ci estrometteremmo volontariamente dai nostri compiti, Jarvis, togliendoci da soli la possibilità di votare decisioni che altri prenderanno sulle nostre teste… Gli daremo tutto ciò che vogliono… E a servirglielo su un piatto d’argento sono stato io, con la mia stupidità…”
    “Mirzam…”

Non mi curai dell’espressione smarrita di Jarvis, non sapeva che c’ero io a Londra quella notte. Mi sentivo soffocare, tutto assumeva contorni ancora più foschi di quello che avevo immaginato: avevo pensato che la foto fosse una trappola per eliminare fisicamente la mia famiglia, ora mi rendevo conto che la situazione era ancora più machiavellica e complessa. Di certo, se gli amici di Rodolphus non fossero intervenuti, io avrei dovuto chiedere aiuto alla mia gente, e quando fossero arrivati gli Aurors, la Confraternita sarebbe stata distrutta. Di questo però, non avevo voluto parlare con mio padre, ero rimasto troppo sconvolto dalla storia dell’Imperius per pensare a tutto il resto. Per colpa mia, ora avrebbe affrontato la Commissione senza sapere che cos’era successo, con il mio rancore l’avevo messo nelle condizioni di non potere difendere se stesso e la Confraternita.

    “Devo parlare con mio padre… subito…”
    “Non puoi arrivare a Londra in tempo e, anche se ci riuscissi, non ti farebbero parlare con lui…”
    “E non sarebbe nemmeno saggio farlo, ora, a Londra, tra quella gente: ormai sei maggiorenne…”

Quando vi posai lo sguardo, negli occhi di Sile vidi un dolore indescrivibile che mi ferì: vi lessi la convinzione della mia colpevolezza e la consapevolezza che la nostra vita insieme fosse già finita.

    “Mi aspettavo fiducia almeno da te, Sile, ma evidentemente non so giudicare le persone…”

Mi alzai, muto, e ritornai verso il castello di Hogwarts, solo, lasciando Jarvis incapace di decifrare le mie parole cariche di rancore e Sile preda di un pianto sordo e inevitabile. Mi ero macerato per settimane sulla sincerità dei miei sentimenti verso di lei, ed ora scoprivo che la donna che amavo e che sapevo di amare di là di tutto, non aveva più alcuna fiducia in me. Non mi ero mai sentito tanto sperduto e tanto solo in tutta la mia vita.

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 16 dicembre 1967

    “Per favore, lasciami… Mi fai male…”

Allentai la stretta, Sile si staccò subito da me, uscendo dalla nicchia in cui l’avevo trascinata, e riguadagnando il corridoio, mentre di sopra si teneva il ballo di Natale. Ancora incredulo, la seguii a mia volta, senza una parola, fino in Sala Comune, mi diressi verso il caminetto, lasciando che il mio sguardo si perdesse nelle fiamme e ringraziando Salazar che in quel momento fossimo ancora soli, mi sentivo già abbastanza umiliato così, non c’era bisogno di dare anche spettacolo. Non sapevo cosa mi stesse succedendo: a volte non volevo nemmeno vederla, altre volte mi prendeva una frenesia irosa, quando l’avevo tra le braccia spariva tutta l’antica dolcezza, sentivo che la stavo perdendo e diventavo quasi furioso nel tentativo disperato di trattenerla accanto a me. Mi voltai, lei era in piedi accanto al divano, a capo chino; feci un passo e subito mi puntò addosso un’occhiata piena di paura: era lo sguardo di una sconosciuta.

    “Scusami… Non volevo farti male… Credevo che anche tu volessi stare un po’ da sola, con me…"

Mi avvicinai, le accarezzai il viso, sentii la tensione sciogliersi appena, percepii la lotta tra la sua voglia di lasciarsi andare e la paura che la ancorava lontano da me; mi chinai verso il suo orecchio, la baciai, lieve: se solo mi avesse guardato negli occhi, invece di nascondere il viso, avrebbe saputo che non mentivo, che desideravo il suo perdono e il suo amore, come sempre… di nuovo.

    “A volte sembri un’altra persona, Mirzam. E mi fai paura… Io ti rivorrei indietro, rivorrei ciò che siamo stati fino a poco tempo fa… So che sei preoccupato e non ti chiedo di far finta di niente, ma… Credevo sapessi che sono qui per te, per noi… perché ti amo… Invece a volte sembra che…”

Mi si strinse il cuore: non ero mai stato quel genere di persona, con nessuna ragazza, e mi vergognavo come un ladro, scoprendo di aver fatto sentire priva di valore proprio lei.

    “Non sei e non sarai mai solo uno sfizio per me, Sile… Te lo giuro su quanto ho di più caro: se mi avessi fatto parlare con tuo padre, a quest’ora la nostra storia sarebbe ufficiale… Lo sai anche tu…”
    “Ma io voglio molto meno di un anello, di una dichiarazione pubblica, o di una festa, Mirzam… e al tempo stesso voglio molto di più… perché io voglio te, io – voglio – solo - te…”

Le presi la mano, annuendo, e la baciai; riuscii a convincerla a sedersi accanto a me, ero pronto a spiegarle la situazione: aveva ragione lei, non dovevo cercare gli uomini della foto. Sile sembrava più sollevata ed io pensai ci fosse ancora una possibilità: se avessi sollevato quel velo di silenzio che avevo lasciato cadere tra noi, sarebbe stato tutto come prima. Vedevo il suo volto trasfigurarsi in mille emozioni, paura, rabbia, dolore, preoccupazione e dopo tante settimane, non mi sentii più solo, riconobbi, riconoscente, il sostegno prezioso della mia Sile: era assurdo averla tenuta all’oscuro fino a quel momento. Le raccontai che quegli uomini non erano Babbani, che era una trappola e che mi avrebbero ucciso, se un gruppo di Maghi mascherati non mi avesse salvato.

    “Tu hai visto i Maghi che tutti stanno cercando? E i due finti Babbani? Che cosa ne è stato di loro?”
    “Uno dei Maghi mi ha indicato la via di fuga, ed io con la bacchetta spezzata, ho dovuto spostarmi con la nostra magia fino a Essex Street, lasciando una traccia… Non so com’è finita, anche se posso immaginarlo…”

Sapevo che non era giusto nascondermi dietro una menzogna, non in quel momento, ma avendomi salvato, non potevo tradire Rodolphus.

    “Per colpa mia tutta la Confraternita sta pagando le conseguenze: mio padre ha rinunciato ai suoi incarichi al Ministero e lascerà che controllino le sue mosse, per garantire l’estraneità dei Maghi del Nord… e per salvare me. Se il Ministero avesse preso la mia bacchetta, Olivander avrebbe capito che non è opera sua: per questo mio padre ha voluto impedire che i giovani fossero coinvolti…”
    “Quello che io non capisco è perché tu non voglia più parlare con lui…”
    “Mio padre ed io, Sile, abbiamo da sempre un rapporto burrascoso… Negli ultimi tempi si sono riaperte vecchie ferite, alcune risalenti a quando avevo quell’insana fissazione per Bellatrix Black.”

Vidi l’espressione di Sile mutare, irrigidendosi come faceva ogni volta che si trovava di fronte la sua ex amica, che da mesi portava avanti una campagna d’ignominie verso entrambi.

    “Vuoi dire che tuo padre non accetta che stai con me, perché vorrebbe che ti mettessi con lei?”

Certo, quello sarebbe stato sicuramente più semplice e più facile da spiegare.

    “No, non è questo il punto … Ti prego, ora ascoltami fino in fondo, senza interrompermi, e giurami che non ne parlerai nemmeno con tuo padre… Per favore…”

Sile annuì, percepivo la sua tensione da come sistemava i bordi della gonna con le dita e si mordeva le labbra… Avrei dovuto raccontare la prima bugia che mi passava per la testa, per salvarci.

    “Ti ricordi quanto sembrassi impazzito verso la fine del quinto anno? Avevo visto lei e Jarvis… insieme… e avevo perso la testa, perché…”
    “Lo so… Rodolphus mi aveva detto che dovevo smettere di pensare a te, perché ti aveva visto comprare un anello meraviglioso per qualcuna ed io ho subito immaginato si trattasse di lei…”

Era pallida, gli occhi lucidi, faticava a non piangere: le stavo causando un dolore superiore a quanto avessi immaginato, io avrei dato tutto per essere incenerito all’istante e non dover continuare.

    “No, non fare così, non è come credi… Io ero solo un ragazzino, un idiota che si credeva un adulto… Non provavo nulla di paragonabile a quello che provo per te…”
    “Ti prego… Non ora… Vai avanti…”
    “D’accordo. Quando ho preso le Rune con Jarvis, ho provato ad ucciderlo: volevo vendicarmi di quello che avevo visto, ma mio padre mi teneva d’occhio, così è riuscito a fermarmi in tempo... ”
    “Lo so già che a volte perdi la testa, Mirzam, ricordo quella volta della Cruciatus, quando eravamo ancora dei ragazzini, ma non capisco che cosa c’entra tutto questo con quanto è successo a Londra.”
    “Il capo di quei Maghi è molto potente, Sile, appena mi ha toccato una spalla, io ho rivisto tutto: mio padre ha dovuto lanciarmi un Imperius per impedirmi di ammazzare Warrington… "
    “Che cosa? Ti ha lanciato un Imperius? Tuo padre? Salazar… Ma…”
    “Quando sono ritornato a Essex Street, l’ho trovato ad attendermi con la tua lettera in mano, mi aveva cercato per Londra, era furioso, voleva sapere che cosa avessi combinato, ma io invece di rispondergli l’ho attaccato, volevo sapere perché l’avesse fatto. Lui mi ha risposto che doveva impedire che mi rovinassi la vita con scelte sbagliate, che preferiva essere maledetto in eterno che sapermi morto o ad Azkaban, perciò non si sarebbe mai pentito di quello che mi aveva fatto…”

Scese il silenzio tra noi, freddo come una mattina d’inverno: aveva capito fin troppo bene quello che le avevo appena detto, pensavo sarebbe scoppiata in lacrime; invece alzò il suo sguardo fiero su di me, pallida e orgogliosa, e fissandomi mi fece la domanda che mi perseguitava ormai da mesi.

    “E’ per l’Imperius di tuo padre che ti sei avvicinato a me e stiamo insieme? Stai cercando di dirmi questo? Che tuo padre ti ha ordinato di non uccidere Jarvis e di metterti con me?”
    “No, Sile, il nostro amore è sincero, lui non ha interferito, quello che abbiamo creato, tu ed io, l’abbiamo fatto di nostra volontà. Ma è stato mio padre ad impormi di non pensare più a Bellatrix..”
    “Salazar… quindi se non fosse intervenuto lui, tu penseresti ancora a lei?”
    “No, Sile, no: io ero mosso dall’odio, quando mio padre mi ha fermato. La mia era un’ossessione, una malattia, non era amore: io con te sono felice, prima provavo solo rabbia e frustrazione… Mio padre ha fatto sì che ci mettessi meno tempo, ma prima o poi l’avrei capito da me, che stavo buttando via la mia vita. E a quel punto sei arrivata tu, col tuo amore, la tua gioia di vivere, la tua capacità di sognare con me e la tua voglia di realizzare con me i nostri progetti comuni… Tu mi hai davvero ridato la vita…”

Le presi la mano, come una supplica. Provò a parlare, ma le parole le morivano sulle labbra: sapeva che lì si decideva il nostro futuro, che passava dalle sue mani l’unica possibilità di essere felici. La conoscevo: bella, intelligente, forte e orgogliosa, non avrebbe accettato una vita di dubbi.

    “Se ti è tutto così chiaro, allora perché sei così sconvolto?”
    “Perché mi sentivo confuso: se ti avessi detto la verità, avrei rischiato di perderti, ma non ti volevo mentire, perché ti amo. Ho cercato di prendere tempo, di non coinvolgerti, ma quando ho visto che dubitavi di me, alla "Testa di Porco", mi sono smarrito, ho temuto che avessi già deciso di non credermi. Non potevo accettarlo: mi sono comportato da pazzo, e ti chiedo perdono, ma avevo solo  paura di perderti… Stammi vicino, Sile, quando ti stringo a me, non voglio più sentire la violenta disperazione che provo adesso. Non voglio vederti svanire, tu sei la mia stessa vita… ti prego... ”
    “Io non sparirò, Mirzam, io voglio vivere con te, ma ti amo troppo per accettare di averti così, con quello che mi sembra un inganno. Io non voglio fondare tutto il nostro futuro su un’atroce domanda. Abbiamo bisogno di tempo per capire. E tu hai bisogno di tempo per fidarti di nuovo di tuo padre, altrimenti non potrai mai essere sicuro di noi e il dubbio rovinerà il resto della nostra vita… "
    “Sile… Ti prego non farlo… Non dire…”
    “No, non ti sto dicendo addio… Vorrei darti, però, l’opportunità di capire quello che provi… Io non ho bisogno delle risposte di tuo padre per sapere cosa voglio, ma non è lo stesso per te… Lo faccio per entrambi, perché ti amo, perché non voglio manipolarti come hanno fatto altri… Quando sarai sicuro di noi… io ti aspetterò a Doire, e da quel momento staremo insieme per sempre…”

Guardai la sua mano stretta alla mia, guardai quella stessa mano che mi lasciava andare, che si staccava da me, che usciva dalla mia vista. Non alzai gli occhi mentre si allontanava, non sarei sopravvissuto vedendola svanire nei dormitori. Percepivo l’aria che mi lasciava, il gelo che s’impossessava di me, udivo le voci dei miei compagni che rientravano alla spicciolata, come un brusio lontano ed io, immobile, sentivo spegnersi sulla mia, il calore della sua pelle.

***

Mirzam Sherton
Hogwarts Express, Highlands - 2 gennaio 1968

Il treno correva veloce nella neve, portandosi via il mio ultimo viaggio verso Hogwarts: lo scompartimento che dividevo con i miei amici Serpeverde era rumoroso e allegro, tutti parlavano già dei propri progetti futuri, una volta finita la scuola. Io mi sentivo ancorato a un passato di giorno in giorno più confuso e pesante. Sile era partita per Beauxbatons, in seguito avrebbe frequentato in Francia la scuola che preparava i migliori Medimaghi d’Europa: non mi aveva scritto per dirmelo, l’avevo scoperto per caso. Il mio orgoglio mi aveva fatto ingoiare questa novità senza lasciar trasparire il fuoco d’odio, misto a disperazione, che provavo: solo mia sorella aveva assistito a un mio momento di sconforto, ma mi ero affrettato a mentire, rassicurandola che quella irlandese non aveva mai significato niente per me. Da allora tutto mi scorreva addosso senza lasciare traccia. 

    “E’ tutto deciso, da giugno lavorerò al Ministero, farò carriera, arriverò il prima possibile a dire la mia nel Wizengamot e sbatterò dentro quanti più sporchi filobabbani troverò sulla mia strada…”
    “A cominciare da quelle carote dei Prewett, vero Rook? Ahahah…”
    “Ridi, Warrington? Tu cosa farai nella vita, oltre goderti i soldi della tua ricca cugina Corvonero?”

Jarvis diventò pallido e gli si stampò in faccia l’espressione di chi ha addentato un limone.

    “Parliamo d’altro, per favore… Già penso di darmi alla macchia, dovrò farci un figlio entro un anno, vi rendete conto? Con quei capelli a cespuglio e la faccia equina… Io mi sento male…”
    “Che cosa t’importa dei capelli e della faccia… sposala, prendi i soldi e scappa! E’ così che si fa…”
    “Ascolta Rita, lei è un’esperta… Quanti nel carniere questo Natale, Skeeter?”
    “Fottiti, O’Ryan! E tu, signor Caposcuola, come mai così silenzioso? Dove hai nascosto Sile?”

Solo il nome di Sile mi aveva riportato sulla terra, tutto mi era rimasto lontano ed estraneo. Dal vetro vidi Rita indicarmi con la sua piuma: la peggiore oca impicciona di tutto il castello mi stava elevando ad argomento del giorno. Distolsi lo sguardo dal finestrino, il profilo selvaggio dei rilievi battuti dal vento diceva che eravamo prossimi all’arrivo.

    “E’ in Francia: prenderà là i MAGO, poi frequenterà l’Accademia di Medicina…”
    “Che novità è questa? Non stavate insieme? Credevo vi sareste sposati a giugno!”
    “Matrimonio? Io voglio giocare a Quidditch, e togliermi qualche sfizio prima di pensare al matrimonio… E lei può dedicarsi a ciò che vuole…”
    “Senti senti… Non avevo idea che un ragazzo serio come Mirzam Sherton pensasse agli sfizi… e ne hai già in mente qualcuno che vorresti toglierti, di questi sfizi?”

Si era avvicinata come una gatta, sinuosa, puntandomi addosso gli occhi languidi e si mise a giocare con la piuma davanti alla mia faccia. Notai lo sguardo ironico di Rook, lui conosceva fin troppo bene le arti di Rita. Fui io a sorprenderli tutti, però, quando lasciai che lei facesse la smorfiosa con me: di solito, mandavo al diavolo, per molto meno, chiunque mi si avvicinasse.

    “Peccato quest’odioso paio di baffi, Sherton… Eri molto più carino senza… Lo sai?”

Ormai era seduta sulle mie gambe, mi accarezzava la faccia con la piuma e mi guardava ammiccante: da sempre mi dicevo che non sarei mai uscito con lei, non solo per la lingua biforcuta, ma perché le ragazze volgari ed esibizioniste non erano il mio tipo. Perciò stupii persino me stesso quando mi ritrovai a invitarla a cena.

    “Potrei togliermeli se vieni con me da Slughorn, stasera, mi annoio sempre tanto al Lumaclub…”
    “Come dire di no al ragazzo più difficile della scuola? I baffi, però, potrebbero essere un po’ poco per farmi sopportare quel vecchiaccio noioso… Non hai nulla di più divertente da… toglierti?”
    “Chissà… ne potremmo parlare… Hai qualche preferenza?”
    “Un paio…”

Rita fece scivolare la mano ingioiellata sul mio cravattino, senza staccare gli occhi dai miei.

    “Attento Sherton!”
    “Pensa per te, Rook, o bevo una Polisucco e vado a dichiararmi a Mr. “Carlino” con la tua faccia!”
    “No! Rita, no! Il Carlino no! Tutto, ma non il Carlino!”

Scoppiammo a ridere, rompendo quella strana tensione che si era formata tra me e la mia improbabile compagna per la sera, poi ricominciammo a parlare di Quidditch, argomento in cui mi sentivo molto meno a disagio. Dalle occhiate che mi lanciava Rita, però, capivo che aveva preso seriamente i miei discorsi. Iniziai a sentirmi uno strano calore addosso.

    “Forse è il momento di fare un ultimo giro per il treno e radunare i Prefetti… Torno tra poco…”
    “Fa con comodo!”

Rook e Rita mi salutarono con occhiate e sorrisi maliziosi, appena uscii dallo scompartimento, sentii che scoppiavano a ridere, io li mandai al diavolo in gaelico e percorsi il corridoio osservando il buio che aveva inghiottito il paesaggio. La pioggia rigava i vetri e l’immagine riflessa dei miei compagni, chiusi nei propri scompartimenti, si scioglieva in rivoli di luci e linee deformi… La mia vita era tutta finzione… una completa finzione. Tanto valeva accettarlo fino in fondo. Una volta arrivati al castello, mi cambiai e con Rita andai alla cena del Lumaclub, pasticciai con gli alcolici e finii con l'inaugurare con lei la mia famigerata stanza da Caposcuola. Il mattino dopo, quando, sfatto, mi sistemai il cravattino allo specchio, mi vidi molto simile a Rodolphus, ma il mal di testa e il totale disgusto per quello che era successo, mi ricordarono che la mia coscienza, prima o poi, si svegliava sempre e mi faceva pagare pegno. Anche scegliendo la strada più semplice, ottenebrare la mente, avrei solo rimandato il duro scontro con la realtà che, alla fine, mi avrebbe travolto con tutto il suo dolore.

***

Mirzam Sherton
Castello di Hogwarts, Highlands - 17 febbraio 1968

Rita non fu che la prima di una lunga serie: sembrava che col calar delle tenebre, uno spirito antico s’impossessasse di me e cercasse di strapparmi dall’anima quel poco di umano che mi restava. Non ero felice e ogni nuova ragazza, chi consapevole di essere solo lo sfizio di una notte, chi illusa di aver trovato la strada per la mia anima, era solo un altro girone d’inferno che mi allontanava, passo dopo passo, dalla luce che agognavo. Un giorno d’inverno ricomparve Rodolphus, acceso della sua solita aria furfantesca e beata, come se la vita che si era scelto non gli lasciasse nessun segno addosso: capii subito che non era lì solo per verificare quanto fossero vere le voci su di me. D’altra parte, avere l’ammirazione di quel donnaiolo immorale, mi dimostrò che ero ormai prossimo a toccare il fondo.

    “Finalmente ti sei svegliato! Con l’aspetto e il nome che hai, hai sprecato sette anni di sane scop…”
    “Merlino, Lestrange, smettila! Potrei non sopravvivere sapendo che ora mi approvi…”
    “Ora ti riconosco! Pensi ancora alla tua bella irlandese fuggita in Francia? Si può sapere che cosa le hai fatto per costringerla all’esilio? Non sarà mica che l’hai messa incinta e poi l’hai rifiutata?”
    “Dico, sei pazzo? Io non sono te… Non te lo scordare… Le ho detto che sposandomi avrebbe dovuto dividermi con te, e non ha retto all’emozione…”
    “Molto divertente… Davvero… Non ti mando al diavolo, solo perché ci sei già andato da solo… Mi spiace che soffri, anche se non era alla tua altezza, evidentemente ne sei proprio innamorato…”
    “Sfotti, Lestrange? Ti pare che le mie attuali attività di letto dimostrino un amore sconfinato?”
    “Ci son molti modi per punirsi… Ognuno sceglie la strada che più gli fa ribrezzo, per mettersi in croce da solo: io farei il monaco, tu il donnaiolo… Quello che non capisco, è di cosa t’incolpi…”
    “Sei diventato un filosofo? Non dispiacerti, l’hai detto tu, con lei non mi sarei mai goduto la vita…”
    “Spero che a forza di ripetertelo, te ne convinca al più presto, perché sei messo peggio di prima… Ma cambiamo discorso… il Quidditch? Avrai delle conseguenze per le limitazioni del Ministero?”
    “Il mio ingresso in squadra era già previsto non prima di un paio d’anni e le limitazioni riguardano mio padre e alcuni capi della Confraternita, non me… Potrò allenarmi con Stenton, a Inverness.”
    “Sai, non credevo mi avresti protetto, ci ha rimesso tuo padre, potevi vendere me per lui…”
    “Mi hai salvato la vita, Lestrange, anche se avessi parlato con mio padre, sarebbe stato lui a non tradirti… ma ora basta girarci intorno, sei qui per un motivo, quindi parla!”
    “Sempre diritto al punto eh… Milord passerà alla Testa di Porco, stasera, se vuoi ancora parlargli...”
    “Preferisco fare, più che parlare…”
    “Tutto a suo tempo, Sherton: sono sicuro che con noi potrai toglierti molte soddisfazioni…”
    “La mia soddisfazione sarebbe che il Ministro e tutti i suoi caproni bruciassero all’inferno…”
    “Si farà, Mirzam, si farà… basta avere pazienza, e muovere nel giusto ordine le pedine: ora reclutiamo, ci rafforziamo, ci infiltriamo, e poi li mandiamo all’inferno… Che te ne pare?”
    “Che ho intenzione di occupare il mio posto nella Confraternita, Lestrange, e farla pagare al Ministero come merita, ma senza una maschera sulla faccia… e senza dover ringraziare nessuno. Quello che volevo dal tuo Milord era solo la verità… ma è tardi, ormai non ha più importanza…”
    “Capisco, ma… vedi… anche se non l’hai richiesto tu, Lui ti ha aiutato e tu ora sei in debito… Dovresti ricordartelo ed essere, come dire… meno definitivo, con i tuoi no… capisci? Cerca di essere meno ostile del solito, quando verrà a chiederti di fare qualcosa per Lui… E prima o poi verrà, te lo posso assicurare… D’accordo?”
    “E’ una minaccia, Lestrange?”
    “Minacciarti? Io? Io sono tuo amico, Mirzam: il mio è solo un consiglio, e spero ne farai tesoro… ora, appunto, in virtù della nostra antica amicizia, vorrei chiederti un favore personale…”
    “Di cosa si tratta? Devo rapirti Bellatrix, ammazzare tuo fratello, o cos’altro?”
    “E’ bello sapere che hai una così alta opinione di me, sai? Anni fa ho lasciato un oggetto dentro la scuola, stavo sfuggendo a un gruppo di Grifoni e non volevo me lo trovassero addosso… bene, lo rivorrei indietro, se fossi così gentile da ritrovarlo per me… Se non l’hanno spostato nella Stanza delle Necessità, dovrebbe trovarsi ancora in un mobile lungo i corridoi dell’ultimo piano…”
    “Come bugiardo sei davvero patetico, Rodolphus: se fosse stato un oggetto così prezioso, non avresti atteso due anni per reclamarlo, col rischio che qualcuno lo trovasse prima di me. Dimmi cosa c’è davvero sotto e se non si tratta di fare del male a chicchessia, forse ti aiuterò…”
    “Scozzese infame… Non so se è solo una favola, però potrebbe tornare utile…”

Lestrange pagò il conto alla “Testa di Porco” e mi scortò fuori, avanzammo nella neve e mi fece il discorso più assurdo e al tempo stesso esaltante in tanti anni che lo conoscevo. Ci lasciammo ai cancelli di Hogwarts promettendo di tenerci in contatto, per valutare gli sviluppi. Se quella storia avesse avuto un fondo di verità, sapevamo entrambi che mi sarei tenuto il segreto della scoperta per me, e ne avrei approfittato per mettere finalmente in atto le mie vendette.



*continua*




NdA:
Ringrazio quanti hanno letto, aggiunto a preferiti/seguiti, recensito ecc ecc.

Valeria



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