Capitolo
2
Questa volta erano state le sue stesse compagne di classe a
venire a lamentarsi. Purtroppo, quell'anno l'avevano scelto come
coordinatore della classe terza A, il che significava che qualunque
lamentela di professori e alunni o tra professori e alunni avrebbe
sempre e comunque dovuto passare attraverso di lui. Era un compito
ingrato e non avrebbe perdonato facilmente i suoi colleghi per averlo
incastrato a quel modo; solo perché era il più
giovane e aveva la
voce meno forte di tutti.
Ad ogni modo, tre ragazzine
scandalizzate si erano presentate alla sua ora di ricevimento, mentre
Bianca era confinata nell'ufficio della preside.
A quanto pare,
stavolta si era fatta trovare con la mano di Crivellaro sotto la
minigonna. E questo non aveva fatto una buona impressione alle sue
vicine di banco.
-Non è possibile, prof! - protestò Giulia, una
ragazza alta e seria, molto studiosa – Ogni volta bisogna
interrompere perché c'è questa non
voglio essere volgare
che fa la cretina coi ragazzi, o che si fa sgamare a fare non
voglio essere volgare
ai
ragazzi, o che si fa fare non voglio essere
volgare...
-E
ogni giorno, prof – intervenne Valeria, una ragazza dark che,
contrariamente alle aspettative, era tranquilla, seria e ligia alle
regole – io non lo so. Un conto è essere strani,
un altro conto è
essere fuori. Quella là è fuori come una grondaia.
-E poi basta
con queste minigonne e scollature! - fece una terza, esasperata
–
Non capisco perché noi veniamo rimproverate se per caso
mettiamo un
pinocchietto, e lei invece può arrivare qui vestita come
una...
vabè, ci siamo capiti.
Emanuele annuì. Le proteste erano serie,
e Bianca doveva piantarla. Certo; ci vedeva anche un sottile fondo
d'invidia, perché Bianca era sempre al centro
dell'attenzione e
soprattutto di quella dei ragazzi, ma c'era qualcosa che quelle tre
non avevano capito. Che anche lui era ben lontano dal capire, ma
forse qualcosina l'aveva afferrato.
-Ragazze, voi avete ragione –
incominciò con calma – ma cercate di guardare al
di là della
superficie. Certo, Bianca si prende sempre tutta l'attenzione; ma
pensate che sia una bella cosa? Non credo che vorreste ricevere lo
stesso tipo d'attenzione che riceve lei, no?
-Certo che no, io non
sono una troia – esclamò Giulia di getto, poi
borbottò: - Scusi.
È solo che volevo chiarire che non sono invidiosa di lei, si
figuri
se mi piacerebbe che tutti mi considerassero un buco!
-Io penso
non piaccia neanche a lei – intervenne Valeria, in un
tentativo di
essere conciliante – allora perché non la finisce
di fare la
stupida, visto che dà fastidio a tutti e non fa neanche un
gran bene
a se stessa?
-Prof, il fatto è che è imbarazzante averla in
classe...
Non faticava a crederci. Ma ci teneva a precisare una
cosa.
-Sì, però, ragazze, sbaglio o in presidenza ci
sono finiti
in due? C'era anche Mattia con lei quando li hanno trovati in
atteggiamenti intimi.
-Ma Mattia fa così con tutte – sbottò
Giulia – e almeno non si fa sgamare ogni volta, e poi lui
è
normale. Lei invece arriva qua vestita a quel modo perché
deve
sempre farsi vedere, e poi insomma, sembra quasi che lo faccia
apposta a farsi
trovare.
Questo non l'aveva mai considerato. Annotare, si disse
tra se e se.
-Prof, per favore, fate qualcosa, non si può andare
avanti così – supplicò Valeria
– io voglio soltanto fare
lezione. Non mi interessa quello che Bianca fa o non fa, ma lo faccia
fuori dall'aula, se proprio non vuole seguire! A qualcun altro
seguire la lezione può interessare!
-Avete pienamente ragione –
ammise – proveremo a farglielo capire.
-No, non dovete
'provare', 'provare' l'abbiamo già fatto tutti quanti
– protestò
Valeria – dovete proprio farglielo
capire,
in via definitiva. Bisogna minacciarla di espellerla.
-Grazie del
suggerimento, Valeria, ma siamo perfettamente in grado di gestire da
soli i nostri provvedimenti disciplinari – le sorrise
– non
preoccupatevi. Smetterà. E se non smetterà, credo
proprio che sarà
allontanata dalla scuola, quindi state tranquille; la situazione
migliorerà.
Le tre se ne andarono tra mormorii di
insoddisfazione, molto poco tranquille; ne avevano d'altronde motivo.
Lui stesso faticava a immaginare un universo dove Bianca se ne stava
seduta composta sul banco con gli occhi fissi sulla lavagna;
d'altronde, il fascino di un ribelle maledetto sta proprio nel suo
essere ribelle e maledetto. Quando cambia, perde anche quel fascino,
pensò.
Ci volle poco prima che Bianca si intrufolasse nell'aula
professori, dopo essere stata rilasciata dalla preside.
-Prooof –
esalò, alzando gli occhi al cielo – non la finiva
più. Ha detto
che se lo rifaccio mi sospende di nuovo e che se mi sospende di nuovo
mi bocciano.
-Niente che non potessi immaginare, Bianca.
-Ma
sì, ma sì, lo sapevo che me l'avrebbero detto
– sospirò –
anzi, mi sorprende che non mi abbiano ancora espulsa. È solo
che,
come immaginavo, i miei voti mi hanno salvato il culo anche
stavolta.
-Non per fare la predica, Bianca... anzi sì, lasciami
fare la predica, dato che stavolta ti sei comportata da bambina e lo
sai. Sei intelligente, Bianca. Lo so io, lo sai tu, lo sa la preside,
lo sanno tutti. Scrivi dei temi bellissimi, pieni di citazioni e
riferimenti letterari e cinematografici. Mi vuoi spiegare
perché fai
finta di essere un'abitante delle bidonville?
-Preferisco pensare
a una puttanella di Harlem, mi affascina di più
l'ambientazione
suburbana.
Emanuele si tolse gli occhiali e si massaggiò gli
occhi. A Bianca non sfuggì la disperazione del gesto.
-Cosa c'è?
Ho esagerato? Scusi, prof. Stavo solo scherzando.
-Ma no... -
mormorò – non è per le scemenze che
dici, di quelle metà le
ascolto e metà le rimuovo seduta stante. È che...
cazzo, sai dire
'ambientazione suburbana' senza cercare prima nel dizionario e poi ti
fai trovare con Crivellaro che ti fa un dito durante l'ora di
matematica. Ma perché
lo fai? Perché ci tieni così tanto a passare per
cretina?
-Ma io
non voglio passare per cretina, prof. Se volessi farlo, cercherei di
dare tutte le risposte sbagliate nei compiti e alle interrogazioni
farei scena muta, e di certo non direi 'ambientazione suburbana'
davanti a un testimone. Io sono fatta così, leggo i libri ma
faccio
anche sesso. È così strano secondo lei?
Perché era riuscito a
farsi dire da una ragazzina di sedici anni che era un bigotto anni
sessanta che ammetteva soltanto che le donne fossero o
troie o intelligenti?
Come riusciva a farsi incastrare ogni volta?
-No, non è strano,
Bianca; anzi, è piuttosto normale. L'unica cosa strana
è che tu a
scuola faccia delle cose che dovresti fare rigorosamente in camera
tua e rigorosamente in assenza di qualunque altra forma umana che non
sia il tuo partner. Possibilmente, senza cambiare partner ogni
giorno.
Lei si rabbuiò.
-Prof, lei pensa questo di me?
-Penso
cosa? Che cambi... ma no, era per dire, dai. Non fare così.
Ho detto
'ogni giorno' per dire 'spesso'. Non intendevo...
-Ma no, no,
prof. Non è quello; se non siamo a 'ogni giorno', in effetti
poco ci
manca. Ma non vorrei che lei pensasse che contino qualcosa per me; a
me piace solo lei. È solo che lei non mi vuole, e
dovrò pur farlo
con qualcuno.
-'Devi'? Perché, te l'ha ordinato il
dottore?
-Prof, non si comporti come la preside e tutti gli altri
– s'imbronciò Bianca; ed Emanuele si
ritrovò a pensare 'no, no' e
si stupì di dipendere dal giudizio di quella ragazzina,
perché
erano rimasti che era lei
a dipendere dal suo di
giudizio – insomma, continuano tutti a sgridarmi. Mai che si
facessero i cazzi loro, nel vero senso della parola. Mica stavo
facendo casino, tutto si è svolto nel perfetto silenzio; se
poi loro
sono sempre lì a controllare cosa faccio io, non so che
dirle, ma
nessuno dei due ha emesso il minimo suono. Come possono dire che
'stavo disturbando la lezione'? Che guardino da un'altra parte,
no?
-Bianca, non lo pensi nemmeno tu.
-Che palle.
Lei
accavallò le gambe, posò il gomito sul tavolo e
la testa sulla
mano; fissò lo sguardo fuori dalla finestra, sulla strada
trafficata
dove in quel momento il tram stava ripartendo dalla fermata.
-Guarda
che non puoi stare qui fino a fine giornata a guardare fuori dalla
finestra. Devi tornare in classe assieme a Crivellaro.
-Ha paura
che sospettino di lei? In effetti, non la metto mica tanto in una
bella posizione a venire sempre qui, vero?
-Bingo.
-E per di
più, questa è l'aula insegnanti. Rischiano di
scoprirci. Beh, ha
ragione, tornerò un'altra volta quando le acque si saranno
calmate.
Allora arrivederci, eh, prof? Grazie di avermi ascoltata. Si ricordi
che la amo.
Si alzò e si diresse saltellando verso la porta. Poi
all'improvviso, sull'uscio, si girò.
-Prof?
-Sì?
Bianca
fece un sorriso buffo; gli occhi le brillavano come quelli di una
bambina che confessava una marachella di cui andava enormemente
fiera.
-Niente, niente. È solo che volevo che ci guardassimo
prima che uscissi. Non riesco mai a salutarla per l'ultima
volta.
Emanuele non seppe cosa rispondere. Abbassò lo sguardo sui
compiti, scosse la testa, e fece un cenno di saluto.
Sapeva
perfettamente che Bianca era rimasta lì sull'uscio per un
minuto o
due, in attesa di una risposta, ma, anche se si sentiva quei due
occhi enormi puntati esattamente sulla fronte, non alzò mai
lo
sguardo dai fogli.
A ricreazione, vi fu una riunione di
professori inviperiti teoricamente atta a frenare gli impulsi
inarrestabili della Ferreri in terza A, ma che poi nella pratica si
trasformò soltanto in uno sfogo collettivo di un manipolo di
insegnanti sottopagati che non avevano alcuna intenzione di fare
anche gli assistenti sociali.
-Ormai è ingestibile – esordì
Sara, la collega di francese, scuotendo la testa – credo sia
il
caso di verificare se abbia dei genitori in casa a controllarla.
-Per
averli, ce li ha – intervenne Rossella, di matematica e
fisica –
ma non capisco se non se ne accorgano, non vogliano accorgersene, o
se ne infischino del tutto.
-Ha sicuramente un problema –
esclamò Mariolina, di filosofia – è
chiaro come il sole. È un
comportamento troppo estremo. Secondo me...
-No, Mariolina, non è
niente di tutto questo – sibilò sprezzante Monica,
che insegnava
tedesco – è soltanto il prodotto della sua
generazione. Sono
precoci, pensano di essere grandi ma non lo sono, cercano di
dimostrarlo con questi metodi che vedono alla televisione. Non
è
altro che il frutto di una cattiva educazione.
-Ci ha provato
anche con me – Giulio, di educazione fisica, cercò
di dirlo con un
sorriso – veniva a educazione fisica più svestita
che
vestita...
Lì Emanuele pensò 'ti piacerebbe', dato che
Giulio
era famoso tra le studentesse per aver più volte allungato
le mani e
fatto commenti; ma si trattenne dal dirlo in quella sede.
-Viene
più svestita che vestita dappertutto –
osservò Sonia, insegnante
di arte – è intelligente. Ha una mente pronta, sa
interiorizzare e
sviscerare la materia, sarebbe il sogno di qualunque docente. La
adorerei, se non fosse per questo.
-Forse anche un po' per questo
– intervenne Antonella, che insegnava inglese e con ogni
evidenza
amava Bianca – è un po' la Modigliani dei nostri
tempi.
-Se
fosse un genio e sapesse dipingere, forse lo sarebbe –
tagliò
corto il vecchio Leandro di scienze – ma io vedo solo una
stupidella che si comporta in un modo che sarebbe indecente anche
fuori da un istituto scolastico. I genitori sono stati informati?
Com'è possibile che non intervengano?
-Emanuele, tu cosa ne dici?
- lo incitò Antonella con un sorriso – Non hai
ancora parlato.
Cosa pensi che dovremmo fare?
-Io dico che non ne ho idea –
buttò lì. In fondo, era la pura e semplice
verità. - Davvero;
parlarci non funziona, minacciarla non funziona; espellerla
significherebbe soltanto scaricare il barile e ammettere la
sconfitta.
-La psicologa della scuola? - suggerì Sara –
Perché
non tentiamo?
-Già fatto – sospirò Rossella
– già tentato.
L'ho vista dopo averci parlato; non poteva ovviamente dirmi niente,
ma era visibilmente colpita.
-Chissà cosa deve averle raccontato
– borbottò Monica – non voglio neanche
immaginare cosa fa fuori
da qui, se già quando è qui arriva a certi
livelli.
-Ma se
arriva a certi livelli – insisteva la pacata Mariolina
– dobbiamo
chiederci cosa la spinge ad arrivare fin o lì. È
nostro compito di
insegnanti...
-No, non è nostro compito, è compito dei genitori
– sbottò Leandro, con la poca voce che gli
rimaneva – e allora,
adesso cos'è, che noi insegnanti dobbiamo insegnare, e
tenere a
bada, e capire, e consolare... ma insomma, ci pagano per mettergli in
testa delle nozioni, non per insegnargli l'educazione! Quello lo
devono fare i genitori!
-E devono anche capirlo loro stessi, dato
che sono abbastanza grandi – aggiunse Monica.
-Ha solo sedici
anni – tentò Antonella, conciliante –
è ancora piccola, è per
metà bambina.
-Mi sembra che si ritenga abbastanza grande da
avere una vita sessuale addirittura scandalosa.
Emanuele
dovette trattenersi dall'insinuare qualcosa che conteneva al suo
interno parole come 'invidia', 'in bianco' e 'repressione'.
-Forse
è proprio perché è piccola, che la
vive in modo così immaturo –
suggerì Sonia, lanciando a Monica uno dei suoi sguardi
penetranti.
-Questa faccenda va sottoposta alla preside –
ragionò Sara – noi non possiamo fare molto, oltre
che sgridarla,
metterle note e spedirla in presidenza. Se ne deve occupare qualcuno
con dei poteri.
-Ma 'occuparsene' in che modo? - si accalorò
Mariolina – Perché i provvedimenti disciplinari
dovrebbero
insegnare, far crescere, aiutare. Il metodo meramente punitivo mi
è
sempre sembrato controproducente.
-Ma la comprensione e la
giustificazione a oltranza mi sembrano altrettanto controproducenti
–
sottolineò Monica con vigore – quella ragazza,
più viene
giustificata, e più va oltre.
-Ma punirla servirà solo a
indispettirla...
-Ai miei tempi, mio padre le avrebbe mollato due
begli schiaffoni sul muso e fine del discorso! C'era la guerra, c'era
la fame, c'era tutto quello che volete, ma le ragazze erano
già
delle signore! Non
erano delle piccole... non fatemi essere volgare.
C'erano pareri
di tutti i tipi. Sara era una fervente cattolica ma era troppo
politicamente corretta per dire cosa realmente pensasse; Rossella,
inflessibile ma anche incorrruttibile, si esprimeva sempre in
direzione neutrale, Sonia voleva bene a Bianca senza volerlo
ammettere, mentre Emanuele faceva fatica a formulare un'opinione.
Giulio non era nemmeno da considerare. Monica, tutta
rigidità e
regole e correttezza, era una di quelle che davano agli alunni dei
deficienti per poi dire che 'deficiente' era voce del verbo deficere,
che significava 'mancanza', e che quindi non li aveva insultati,
scherziamo, non si
sarebbe mai permessa.
Leandro era un altro di quella risma, ma lui
aveva settant'anni e Monica aveva da poco superato la trentina, come
quasi tutti gli altri. Antonella aveva più o meno
l'età di Leandro
ma era fatta di tutta un'altra pasta; comprensiva, colta, umana.
Mariolina, intorno ai cinquanta, stava a metà tra le due
fazioni
d'età, ma lei aveva una laurea in psicologia e una in
filosofia:
chiaramente non poteva far altro che interessarsi al caso di Bianca,
considerandola però appunto più un 'caso' che una
ragazza la quale,
effettivamente, oltre ad avere un problema chiaramente lo costituiva,
anche, un problema.
-Io penso che la preside possa fare ben poco,
davanti a questo caso. È un essere umano come noi.
-Sì, ma
Giovanna ha un modo di fare davanti al quale anche Bianca fatica a
fare storie – replicò Rossella, che era
vicepreside – ha una
calma nei modi, un'imperturbabilità...
-E un'eleganza
– rincarò Leandro – una cosa che quella
ragazzina là, guardate,
proprio... dovrebbe imparare più di qualcosina da Giovanna.
-Ci
parla ogni volta – osservò Sara – ogni
volta la spediamo là, ed
ogni volta la preside esce dall'ufficio sospirando. Dobbiamo parlare
con i genitori.
-Ma se ogni volta che le diciamo di chiamarli, lei
non lo fa mai – si stizzì Monica – non
mi sorprenderei se fosse
lei a firmare le note sul libretto.
-D'altronde, non possiamo di
certo introdurci in casa sua – affermò
allegramente Rossella,
tentando di stemperare – bisognerà chiamare a
casa. Alla prossima
ci facciamo semplicemente dare il numero dalla segreteria.
-Ma
cerchiamo comunque di non farne una tragedia – insistette
Mariolina
– dobbiamo aiutarla, integrarla; non
renderla un paria.
-Il problema è che ci si rende già da sola
–
si sbilanciò Sara, sistemando alcuni compiti nella
ventiquattrore –
i suoi compagni non sembrano averla in grande simpatia.
-Questo
dovrebbe farvi pensare che probabilmente si sente molto sola.
-Ma
– Monica iniziava ad alterarsi – ci si è
messa da sola
in questa condizione.
-O forse no – intervenne Antonella, con la
sua voce gentile e il suo tono calmo – forse qualcuno l'ha
messa
nelle condizioni di comportarsi in questo modo.
-Esatto,
Antonella. È proprio quello che sostengo anch'io. Non
possiamo
essere semplicemente dei 'docenti', cari colleghi; non siamo in
un'università, siamo in un liceo, e per giunta privato.
Abbiamo
cento alunni in tutto e non siamo in grado di occuparci neanche di
questi? E i genitori perché li avrebbero affidati a noi
anziché a
una più fredda struttura pubblica?
-Ma questa rimane una scuola,
Mariolina. Mi ascolti bene. Una volta, se non avevi voglia di andare
a scuola, ti mandavano nei campi, o a casa a cucire. Ha sedici anni;
se non ha più voglia di venire qui, può anche
farne a meno.
-Ma
questi non sono discorsi da fare, Leandro, mi scusi –
Emanuele non
poté più trattenersi – hanno sedici
anni; hanno dei genitori che
li spingono in questa direzione, ed è giustissimo che li
incoraggino
a finire quantomeno il liceo. Siamo noi che dobbiamo far sì
che la
scuola sia un luogo di serenità e di incontro, oltre che di
insegnamento; una sedicenne non può certo fare ragionamenti
simili,
nel duemilaenove! Per quanto si comportino come dei piccoli adulti
immaturi, la realtà è che sono sempre
più dei bambini. A sedici
anni, adesso come adesso, le responsabilità non esistono;
indipendentemente da quanto succedeva quando li aveva lei, sedici
anni.
Forse non avrebbe dovuto dargli contro così apertamente, e
l'occhiataccia che gli arrivò dal vecchio collega glielo
confermò.
Mariolina gli mise una mano sul braccio, ma lo sostenne:
-Sono
d'accordo con Emanuele – asserì. - Ormai la figura
dell'insegnante
è diventata un misto tra quella del docente e quella dello
psicologo, e francamente parlando io sono contenta che sia
così; non
sarei felice di svolgere il mio lavoro semplicemente entrando qui,
ripetendo le pagine di un manuale e poi salutando tutti, ognuno per
la sua strada e ognuno con la sua vita. Abbiamo a che fare con delle
piccole persone, non possiamo dimenticarcene.
-Però – osservò
Sara – se vogliamo trattarli come delle persone, dobbiamo
essere a
volte anche severi. Una persona che, nel mondo, si comporta come fa
lei, riceve dei duri colpi dalla società circostante. Se sia
giusto
o no che li riceva non sta a noi deciderlo, ma è certo che
li
riceverà. In un certo senso bisogna essere severi per
proteggerla.
-You're got to be cruel to be kind,
dicono in Inghilterra – intervenne pacatamente Antonella, con
il
suo sorriso pacifico che risolveva qualsiasi questione – ci
toccherà insegnarle anche l'educazione, Leandro.
Antonella aveva
sempre dei modi così cortesi che, anche se stava lanciando
una
frecciatina, uno la riceveva sempre senza battere ciglio. Nessuno era
in grado di replicare a quella donna. Nemmeno lo scorbutico
Leandro.
Il suo intervento, come sempre accadeva, chiuse il
discorso e anche quella ricreazione finì.
A cena, quella
sera, Camilla continuava a guardarlo come se cercasse una risposta.
Tra una forchettata di pastasciutta e l'altra, Emanuele decise di
vuotare il sacco.
-Bianca – spiegò semplicemente, e Camilla si
limitò ad annuire. Si limitava ad annuire perché
non sapeva
dell'amore spassionato che Bianca proclamava nei suoi
confronti.
-Cos'ha combinato stavolta?
-Guarda... - sbuffò,
scosse la testa – mi imbarazza perfino dirtelo. Si
è fatta fare un
dito in aula dal ragazzino più stupido e puttaniere della
classe.
Con la Mantovani, poi...
-Quella di matematica e fisica?
-Proprio
quella giusta. La più fissata con il silenzio e l'attenzione
e le
regole.
-Anche la Lombardi però non scherza, vero?
-Monica?
No, quella è una rompicoglioni petulante e basta. E anche
abbastanza
stupida. Rossella, invece, è intelligente, ma dubito che
tolleri un
atteggiamento del genere. Ha mantenuto la calma in nostra presenza,
ma siamo tutti un po' turbati dal modo di fare di quella
ragazzina.
-Forse anche lei è turbata da qualcosa,
chissà?
-Appunto: chi lo sa? Sai, forse è solo figlia della sua
generazione. Esagerata, forse, forse concentra su di sé
tutta la
perversione di cui i ragazzini di oggi sono testimoni... ma forse
è
soltanto la dimostrazione che quelli nati prima di loro hanno
sbagliato tutto.
-E a loro, ovviamente, dà fastidio vederselo
sbattere in faccia.
-Già. Chi non si sente in colpa, pensa che ha
un problema. Chi ci si sente, invece, pensa che sia
un problema.
-E tu? Tu che ne pensi?
-Un misto tra i
due.
Camilla sorrise in modo strano, assottigliò gli occhi.
-La
via di mezzo è per i mediocri. E non è una
risposta. Cosa pensi che
la spinga a fare certe cose?
Emanuele abbassò gli occhi sul
piatto. Diede la prima risposta che gli veniva in mente.
-I sedici
anni – disse – e tutto quello che
quell'età si porta
dietro.
-Mh. Non sono d'accordo. Ma ne riparleremo, ok, amore?
Adesso mangia tranquillo e poi concentriamoci su noi due.
-Amore,
se non gli porto quei compiti domani mi squartano e mi danno in pasto
ai dobermann della casa a fianco...
-Poi ti aiuto io a
correggerli. Lo sai che sono più brava di te.
-Sì... tu sei
intelligente. E hai delle idee chiare. E in generale sei molto
più
forte e capace di me.
Camilla sorrise e gli fece una carezza sulla
guancia.
-No, sai... - proseguì Emanuele – a volte qualcuno
o
qualcosa mi ricorda che dovremmo ritenerci fortunati ad avere
qualcuno a fianco. Qualcuno che ci piace... non qualcuno che ci ama;
qualcuno che ci piace.
Lei
non gli lasciò finire la pastasciutta. Gli si sedette a
cavalcioni e
un paio d'ore dopo correggevano i compiti assieme, alla debole luce
verde di una lampadina comprata assieme all'Ikea tanto tempo
prima.
Quella notte si addormentò come un bambino,
perché la
felicità gli era dilagata dentro come una macchia d'acqua
che gli
rilassava le spalle, il viso, lo stomaco. Come fosse stata acqua la
assorbì e la mattina dopo fece il viaggio in treno col un
dolce
sorriso sul volto, il sorriso di chi in qualche modo aveva conosciuto
l'amore.
(Nda: ok, questa storia sta
abbastanza prendendo il via. Mi piace molto scriverla e sono contenta
che sia piaciuta anche a qualcun altro, aw X3 grazie per i commenti
dolcissimi di Dance of Death e Diletta, troppo carine ^-^; colgo
l'occasione per ringraziare Pnin che mi aveva recensito un altro
racconto e per informarla che il mio cervello è grande come
un acino d'uva e per lo più inutilizzato *qua ci sta faccina
che annuisce* e che ci sono autori moooolto più fighi di me
in giro, anche in EFP... sono lusingata dai complimenti ma sono
immeritatisssssimi .//.''.
E con ciò vi saluto; torno alla stesura del 4°
capitolo :) come sempre, fatemi sapere com'era, che ho bisogno di
tastare il polso dell'opinione pubblica è_é
è un pezzo che non scrivo nulla di originale... ;_;
Buon fine a tutti ^o^!
The Corpse Bride/Arianna)