I miei
venti metri quadrati
Capitolo
Diciassettesimo
Turchino
Natale
Rimasi
a guardare le ciglia scure di Joyce a pochi centimetri dal mio viso. Aveva gli
occhi scuri, i capelli scuri, la pelle scura e nonostante ciò aveva il
coraggio di definirsi Irlandese!
I
capelli erano scomposti sul cuscino, non avevano quella strana forma che era
solito dargli lui, a cresta storta così da dare impressione di aver
appena preso un colpo di vento.
Da
addormentato poteva sembrare a occhio profano quasi innocuo, con le labbra
leggermente aperte e il respiro leggero. Gli passai un dito sulle sopracciglia
scure. Erano strane folte ma sottili, spostai il dito lisciandolo fino ad
arrivare agli zigomi pronunciati, forse un po’ troppo. Gli mancava un
dente. Non che si vedesse, ma quando glielo avevano tolto, alle medie,
perché si era cariato aveva rotto le scatole a tutti perché si
sentiva menomato. “Sempre meglio che essere evirato”
aveva commentato sua sorella Emily sprezzante mentre era alla ricerca di un
fidanzato ricco, analizzando i conti in tasca di vari banchieri degli USA. Al
tempo non sapeva cosa voleva dire, lo scoprì tempo dopo, e si disse
d’accordo con sua sorella.
Passai
un dito sul lato della bocca e sul mento. Non aveva molta barba, ma a quanto
pareva gli stava spuntando quella nuova, avrebbe dovuto raderla, il mento era
un po’ ispido, mi morsi il labbro e gli passai il dito sul collo, pomo
d’Adamo, da piccolo non lo aveva, e se avessi fatto più attenzione
avrei scoperto che era spuntato anche a mio fratello. Le clavicole erano
sporgenti, ci passai sopra il dito seguendone il contorno, e proseguii sulla
spalla.
Joyce
non era un culturista, né un palestrato, né simili, ma non era
come suo padre, che era un piccolo scricciolo appassionato di fumetti, non si
sapeva da chi avesse preso, dato che superava sia me
che suo padre di tutta la testa. Forse era un po’ sproporzionato, con le
spalle troppo larghe rispetto al resto del corpo, da dove erano spuntate?
Chissà, da dove erano spuntati tutti gli altri muscoli… pensai che
Joyce era carino…era carino si, non era un
brutto ragazzo…oggettivamente certo, non che mi piacesse è ovvio.
Però era carino… no, non è vero, Joyce non era carino, era
un idiota, e per sottolineare il mio pensiero gli tirai una sberla in faccia
puntellandomi con un gomito sul materasso.
Lui
sobbalzò mezzo sveglio mezzo no, un po’ per il male, un po’
per il ciocco.
“Oddio,
chi sono? Dove sono? Non ho rubato io i cervi del Re!”
blaterò prima di mettersi a sedere e voltarsi a guardarmi perplesso.
Fece un sospiro. “Ah, sei tu Rachele!”
“Che
ci fai nel mio letto?” sbottai con una smorfia. Lui si accigliò e
mi lanciò uno sguardo eloquente.
“Di
nuovo?” strillai irritata tirandogli un calcio che lo fece cadere per
terra portandosi dietro buona parte della coperta.
“Questa
volta non ho fatto niente è tutta colpa tuaaa…ah!”
finì per terra con uno strillo vagamente femminile.
Alzai
gli occhi al cielo. E così era arrivato anche Natale.
Poco dopo, con un livido sul sedere dovuto
alla caduta dal letto ,Joyce si presentò in
mutande nella cucina dei Pavesi, dove la signora spignattava tortellini e dolci
natalizi.
“Buongiorno signora!”
esclamò allegro lui. Arabella Pavesi lo
gratificò con un sorriso, per nulla perplessa nel vederlo in mutande,
girava spesso per casa loro in quelle condizioni.
“Mio padre le manda un panettone”
disse appoggiandone uno avvolto da una scatola blu,
comprato al supermercato. Il signor Cumoli era tristemente noto per essere una
frana ai fornelli.
“Oh, Joyce caro,
ringrazialo tanto, tuo padre è davvero un tesoro. Tua
madre viene in Italia per Natale?”chiese tranquilla tornando alle sue
cibarie.
Joyce scosse la testa “No, ma forse
verrà insieme a mia sorella Darcy per
Capodanno” spiegò. La signora Pavesi annuì e sorrise
amabile pur non avendo mai sentito nominare nessuna sorella Darcy
in vita sua.
“Mamma” mugugnò Rachele
ancora assonnata facendo il suo ingresso in cucina in camicia da notte.
“Dov’è Mei?”
domandò appoggiandosi stancamente allo stipite della porta, mentre Joyce decisamente più sveglio si girò verso di
lei.
“Oh, è
ancora a letto, pare che ieri sera abbia fatto più tardi del solito. Spero che non si sia
ammalato con tutta quella pioggia. L’avete riportato a casa voi in auto vero?” chiese tranquilla.
“Certo” mentì Rachele senza
esprimere alcuna emozione, poi si rimise in equilibrio su entrambe le gambe e
si avviò verso la stanza con la catenella da cesso, camminando a piedi
nudi sul pavimento freddo.
“Sai ho idea che ieri sera sia successo
un po’ di casino tra tuo fratello e Nikka…oltre la sberla, pare che
abbiano litigato” disse Joyce con aria preoccupato.
“Perché dici?” chiese lei
bussando alla porta del fratello con aria indifferente.
“Me lo ha detto Emily… ho idea che
sia entrato in un circolo… un club… una setta… forse
satanica…” spiegò lui con tono sempre più drammatico.
Il circolo delle pettegole incuteva timore un po’ a tutti.
Rachele incurante non sentendo risposta
aprì la porta sbattendola. La tapparella era alzata e Mei era sdraiato sul letto con gli occhi a mezz’asta
e un pigiama a righe bianche e azzurrine.
“Che diamine hai fatto?” chiese
brusca sedendosi di botto sul suo letto mentre Joyce si appoggiava allo stipite
della porta rimanendo in disparte.
Mei mugugnò
scocciato, era evidente che non gli andava di parlare, ma sapeva che sua
sorella era irremovibile.
“Ho litigato con
Nikka… mi ha fatto una storia infinita sul fatto che dovevo trovarmi una
ragazza e quando alla festa me la sono trovata si è arrabbiata e mi ha
tirato uno schiaffo. Quasi mi fa ancora male…”
disse voltando il viso dall’altra parte con aria triste.
Rachele si voltò a guardare
l’amico che era rimasto a guardare, lui alzò le sopracciglia in
modo eloquente.
“Tu non capisci cosa dicono le donne,
figurati se capisci quello che pensano!”disse rassegnata. Sospirò.
“Su, ripigliati, oggi è
Natale” disse alzandosi. “Ho lo stomaco a pezzi… e ho ancora
voglia di vomitare”disse con un singulto faticoso.
Rachele gli assestò una pacca
amichevole sulla cassa toracica “Tranquillo, la prima volta capita a tutti! Ma non
temere i tortellini sono un toccasana!” disse tranquillamente uscendo un
po’ sbilenca seguita a ruota da un Joyce ancora
mezzo nudo che gli regalò un sorriso raggiante a trentun denti.
Rachele mosse un po’ il cucchiaio nel
brodo appoggiando il volto annoiato al pugno. Zio Michele era già
ubriaco prima di iniziare a mangiare e diceva idiozie a tutto andare, mentre
sua moglie, una sclerotica bionda dall’aria consumata gli urlava dietro
suscitando l’ilarità della tavolata. A parte quella di Mei, che rigirava depresso il cucchiaio nel brodo come la
sorella, di Rachele scocciata e di loro cugina Lisa che imbarazzata nascondeva
il viso scialbo dietro ai lunghi capelli biondi ereditati dalla madre.
La signora Pavesi si apprestava a tirare fuori
le scaloppine ai funghi, il cotechino, le verdure grigliate, il tacchino,
l’insalata russa, i ravioli al vapore, il set di ghiaccioli
all’anice, le castagne, i cachi, la pasta al forno, le cotolette , le costolette d’agnello, e zio Michele tra i fumi
dell’alcol giurava di aver visto anche una colomba pasquale.
La noia imbarazzata e ilare del pranzo venne
interrotta dal suono del campanello.
I padroni di casa aguzzarono subito le orecchie. È inutile dire
che non suonava più nessuno a casa loro, e la cosa gettò nel
panico la famiglia, che rimase ferma a guardare la porta finché Rachele
non si alzò annunciando “Vado io”.
Sua madre le aveva confezionato un vestito
turchino,vaporoso con la gonna di tulle che con Natale
non ci stava a dire proprio nulla. Insomma , non si
era mai sentito parlare di un turchino
Natale!
Afferrò la cornetta del citofono
svogliatamente “Chi è?” chiese diplomatica.
Ci fu un sospiro “Sono Nikka,
c’è Mei?”
Rachele si guardò in giro guardinga e
si morse l’interno delle guance pensierosa, poi
riagganciò. Si voltò facendo finta di nulla con
l’intenzione di tornare a tavola ma si trovò suo fratello a
sbarrarle la strada con uno sguardo supplichevole dipinto in volto.
Rachele storse la bocca e poi fu costretta a
dire controvoglia “E’ lei” e poi tornò al tavolo
assestandogli una spallata.
Mei la guardò
andare verso la cucina ancheggiando nel suo vestito turchino. Sospirò e
si chiese cosa fare. Poi con un gesto repentino afferrò la giacca di
pelle e uscì. Rachele sospirò e chiuse gli occhi quando sentii il
botto della porta.
Mei si fermò alla
fine delle scale per guardare oltre la porta a vetri. Nikka lo guardava
dall’altra parte. Lui deglutì e uscì all’aperto, una
sferzata di vento gli investì il viso.
Respirò l’aria gelida mentre lei
lo fissava dal basso, immobile senza sbattere le palpebre.
Indossava un cappotto lungo in panno color
giallo canarino, come l’auto d’epoca, ristrutturata che le stava
dietro.
“Ti va di parlare, o non sono abbastanza
bella per te?” chiese tra il gelido e il supplichevole.
Mei deglutì,
sentendo un groppo in gola, al ricordo di quello che aveva detto la sera prima.
“No, …sì…sì
che sei abbastanza bella per me” blaterò. Nikka si guardò
in giro e poi si mise degli occhiali enormi.
“Dai, sali in auto, facciamo un
giro” disse avviandosi verso la minuscola e antiquata vettura. Mei annuì e la seguì a testa bassa andando a
sedersi al posto del passeggero.
L’auto era piccola, e vecchia,
trent’anni almeno, ma aveva l’aria di essere stata messa nuovo,
c’era un girasole sul cruscotto. Si domandò se si fosse vestita di
giallo per essere in tinta con la sua vettura.
Nikka partì sgasando.
“Allora Mei,
capisco, abbiamo avuto dei problemi, mi sono già scusata per i logaritmi,
è stato un colpo basso imboscarmi con quel troglodita di Pallotti mentre tu facevi i compiti, e so anche che ti sei
ammalato quando ti ho costretto a fare il bagno nei ghiaccioli, ma speravo che
queste cose si fossero un po’ insabbiate” fece con voce diplomatica
e sicura, non era più indecisa come prima, parlava a raffica, e guidava
veloce, curve a gomito e sgasate, erano ormai usciti dalla città,
intorno a loro campi invernali e assolati.
Da quando Mei era
nato non si ricordava un anno in cui a Natale non fosse stato bel tempo.
“Beh, dai, in questi mesi mi hai
conosciuta, sono una ragazza molto intraprendente, e a volte forse mi faccio
trasportare… spero che potrai capire…” disse tutto con voce
così concitata e stridula che Mei si
preoccupò per qualche secondo che non le potesse causare
un’embolia o qualche cosa di altrettanto antipatico.
Ma alla fine sfrecciando ancora per un ultimo
tornante decise di fermarsi in una piazzola di ghiaia. C’era qualche
ciuffo d’erba spelacchiato e un solo fiore, Mei
non avrebbe saputo dire di cosa.
Scese e una ventata d’aria fredda gli
fece chiudere gli occhi, mentre la portiera dell’auto si serrava con un
botto.
Anche Nikka scese, aveva finito di parlare,
anzi no, si era interrotta per avanzare silenziosamente verso di lui, coi
piedini intrappolati in un paio di ballerine gialle come il cappotto lungo, che
lasciava appena uscire l’orlo della gonna marrone. Non fece rumore
avvicinandosi a lui che guardava la città dall’alto. Se non fosse
stato per l’orribile cappa di smog si sarebbe vista in tutto il suo
splendore medievale.
Lo raggiunse a piccoli passi mettendosi di
fianco a lui coi piedi vicini.
Rimasero in silenzio un altro poco, poi Nikka
parve riaccendersi, come se qualcuno avesse premuto un bottone.
“Beh, e poi per l’altra
sera… forse ho un po’ esagerato col gin, ed è per questo che
mi sono un po’ esaltata, sono felice che tu sia riuscito a trovarti una
ragazza, ma ti dirò, la trovo un po’ sciatta, non potresti puntare
un po’ più in alto, come hai detto che si chiama?”
trillò con voce acuta.
“Non te l’ho detto” rispose
lui in un sussurro “Alsazia, si chiama Alsazia” spiegò.
Nikka fece una faccia schifata “E che
cavolo di nome è?”sbottò.
Mei alzò le spalle
“E’ geografico”, Nikka probabilmente non lo sentì e
continuò a parlare “E poi forse hai fatto troppo in fretta ad
abbordarla!”continuò imperterrita gesticolando senza guardarlo,
come se fosse troppo impegnata a fissare la cappa di smog.
“Hai fatto tutte le tappe che ti avevo
detto?” trillò.
“E tu col tipo che stavi tirando per la
cravatta?” chiese. Non era arrabbiato, non sembrava neanche triste, ne
saputo, era solo una semplice constatazione. Una constatazione che mandò
in buca Nikka.
“Oh… io e… e Coso ci conosciamo da un sacco di
tempo!” disse annuendo ed enfatizzando la parola sacco.
“Non sai neanche come si chiama”
disse con tristezza apatica. Si morsicò l’interno della guancia,
ma guarda come si era ridotto, a essere geloso di una streghetta
esaltata ed egocentrica che non lo vedeva come altro se non come il suo
cagnolino. I levrieri di D’Annunzio. Avevano sicuramente più
lussuosa dignità.
“Oh, no, lo chiamo Coso, perché
mi piace chiamarlo così, sai a volte affibbio soprannomi,per esempio Millie! Non si chiama Millie, è
l’abbreviazione di Millefoglie, che è il suo
cognome!”continuò a spiegare senza il minimo imbarazzo.
“Alsazia è simpatica” disse
poi lui, e Nikka si azzittì definitivamente. Sospirò e guardando
la città coperta dallo smog si avviò verso il guardrail per poi sedercisi sopra. Mei la
seguì facendo lo stesso, non si guardavano, e Nikka tirava piccoli calci
alla ghiaia facendola scivolare a valle.
Da lontano si udì il suono di una
sirena di ambulanza.
“Verso le tre del giorno di Natale il
pronto soccorso si riempie, perché la gente mangia troppo…”
disse lui guardandosi le scarpe.
“Sei cinico” disse lei sottovoce. Mei alzò le spalle “Non è vero,
è che conto le ambulanze… e a Natale verso le tre c’è
l’impennata… Coso
è simpatico?” chiese infine con lo stesso tono piatto.
“No, è un idiota” disse
amaramente lei “Torniamo a casa?”. Mei
annuì ed entrambi entrarono silenziosamente in auto.
L’unico rumore che accompagnò il
viaggio verso casa era il rombo del motore, ci misero più tempo che
all’andata, la guida di Nikka era decisamente più calma e fluida.
Si fermò quasi in mezzo alla strada,
senza curarsi di parcheggiare al meglio, la città sembrava deserta, se
non fosse stata per qualche canto natalizio e qualche fastidioso abete
meccanico e parlante che urlava Merry Christmas.
Scesero entrambi, Mei avrebbe giurato che lei se ne
sarebbe andata e invece lo seguì fino alla porta di casa , si voltò perplesso a guardarla prima di salire.
Lei rispondeva al suo sguardo trenta centimetri più in basso, e
andò a sedersi sullo scalino in cemento che separava la porta
d’ingresso dal marciapiede, la gonna le si alzò un poco, mostrando
una modesta porzione di calze candide.
Il ragazzo rimase con un piede sul gradino e
la mano appoggiata al bottone del citofono,indeciso se
salire o rimanere lì con lei.
Sembrava decisa a rimanere lì seduta,
anche se lui fosse salito.
Fece un passo indietro e si accoccolò
accanto a lei.
“Mi odi?” chiese lei triste. Mei prese un profondo respiro “A volte
sì” ammise infine senza avere il coraggio di guardarla.
“E’ per lo schiaffo? E’
perché ti tratto come se fossi di mia proprietà? E’ perché parlo sempre di vestiti?” chiese con
la voce un po’ piagnucolante. Mei
sospirò senza sapere cosa dire, e Nikka deglutì incerta quando si
accorse dell’ombra scura che aveva sulla guancia.
Non pensava che lo schiaffo che gli aveva
assestato la sera prima fosse stato così forte, gli era venuto il
livido.
Fu in quel momento che una faccia tonda con un
concio spuntò orizzontalmente dalla porta d’ingresso.
“Oh, ragazzi siete qui!”
esclamò allegra la signora Pavesi. Entrambi si voltarono verso la donna,
della quale dalla porta sbucava solo la testa. La testa fu seguita da un corpo
rotondo saltellante
che a piccoli passi si posizionò gioviale davanti ai due mostrando una
torta ricoperta di cioccolato.
“Ragazzi se
volete salire stiamo per aprire il panettone del signor Cumoli! E
intanto vi ho portato giù la torta Sacher!” esclamò
raggiante.
“Non importa mamma, stavo giusto salendo
e..” disse Mei
accennando ad alzarsi prima che sua madre gli appioppasse il vassoio fuggendo
civettuola con un gran sfarfallare di grembiule giallo con tanto di mucche
ricamate al punto croce.
“No, no,
cari” risatina genitoriale infantile “ non volevo interrompervi! Io
torno su, unitevi pure a noi se vi va!” e fuggì su per le scale
lasciando che la porta dell’atrio sbattesse.
Mei si appoggiò al
vetro con la testa sospirando.
“Credi che potremmo essere amici lo
stesso?” domandò lei con una smorfia scettica. Mei
si alzo e le depositò la torta in grembo.
“Non lo so” sussurrò infine
prima di infilansi nella porta e augurare “Buon
Natale Nikka…”. E anche lui come sua madre sparì lasciandola
sola con la torta.
Il primo impulso fu di gettarla a terra
malamente, ma poi ci infilò il pugno afferrandone un gran pezzo e se lo
mise in bocca con rabbia.
Mei salì le scale
di corsa, non perché fosse felice, ma voleva scappare dalla strada dove
era stato fino a un minuto prima. Sua madre aveva lasciato la porta socchiusa,
e sul pavimento del pianerottolo, in palladiana si faceva largo un rivolo di
luce. Spinse piano la porta ed entrò senza far rumore, dalla cucina
arrivavano gli schiamazzi di zio Michele ubriaco che cercava di brindare con
tutti schizzando vino rosso ovunque.
Seduta sul divano con le gambe raggomitolate
sotto al sedere e il vestito vaporoso che occupava praticamente tutto il
residuo sofà, Rachele assisteva alla vita famigliare con noia apatica.
Sembrò avere un guizzo quando vide entrare Mei
furtivo, nella penombra dell’ingresso. Si alzò in piedi di scatto,
guardandolo negli occhi e annunciando “Buon Natale a tutti, io
vado” con scarsa vivacità.
“Tesoro, portati dietro questi, per ringraziare il signor Cumoli del
panettone!” cinguettò la signora Pavesi quasi sdraiandosi sul
tavolo per porgere alla figlia un piatto. Rachele annuì e lo
afferrò, quando si incrociarono Mei non aveva
ancora messo piede in cucina. Gli lanciò un’occhiata, non era di rimprovero,
era di curiosità, e con gli occhi sgranati a guardarlo si avviò verso la porta
d’ingresso , si voltò solo quando zio Michele si accorse del
nipote e gli si lanciò addosso a peso morto.
“Mei, sei tornato! Sentivi la nostra mancanza
vecchio briccone!”, Mei ridacchiò
un po’ imbarazzato cercando di scollarselo di dosso.
“Su, su zio, sono stato via solo
mezz’ora!”cercò di liquidare.
“No, mi sei mancato Mini Mei!” piagnucolò suo zio abbracciandolo. Sua
figlia Lisa, in sincronia con sua moglie si coprì la faccia con le mani
per non vedere la scena.
Rachele fu invece silenziosamente inghiottita
dal buio della tromba delle scale, quando la porta si chiuse definitivamente
dietro di lei.
Rimasi
per qualche secondo ferma immobile sul gradino che separava la porta del mio
condominio dal marciapiede, a guardare Nikka che mangiava con le mani la sacher
di mia madre.
Alzò
la testa per guardarmi, credo che non volesse essere vista così, tutta
sporca di cioccolato. Dedussi che la parte forte della discussione per una
volta fosse stato mio fratello.
Poi,
parte forte, era tutto da vedere, ma a Nikka non era andata bene a giudicare da
come si stava strafogando di torta.
Mi
fece quasi pena per un attimo. Alzai le sopracciglia e mi avviai verso casa di
Joyce, non mi ero nemmeno messa il giubbotto, e la temperatura non era di
gradimento ne alle mie spalle, ne alle mie gambe.
Volevo sbrigarmi a fare quei due passi che mi separavano da casa Cumoli, ma
nonostante questo dissi “Attenta, non hai idea di quante calorie contiene
quell’affare…”.
Lei
fece fatica a non rispondere, e rimase lì, seduta sul gradino, con
l’ultima fetta di torta ancora in mano.
“TI
auguro un turchino Natale” proferii accennando al mio vestito decisamente
fuori luogo.
Non
lo so di preciso perché non mi girai, ma credo che sfracellò
il dolce sull’asfalto e scappò via in auto.
La porta dell’appartamento dei
Cumoli mi fu aperto da Emily che non mi fece vedere altro che la sua faccia,
tenendomi all’oscuro di ciò che si celava all’interno, per
dire “Non guardare la cravatta di Joyce, potresti pentirtene. O almeno se la guardi non descriverla
a tua madre, credo che potrebbe avere seriamente uno shock anafilattico”
disse con voce grave “Ah, comunque buon Natale” augurò prima
di schiudere l’uscio rivelandomi un Joyce coi
pollici alzati seduto sul divano.
“A
tuo rischio e pericolo” aggiunse Emily mentre io rispondevo che
c’ero ormai abituata, non poteva esserci nulla di peggio del pellicciotto
arancione.
“CHE
DIAMINE E’ QUELLA ROBA?”sbraitai appoggiando il piatto sul tavolo
per non farlo cadere, e indicando con aria omicida la cravatta di Joyce.
“Io
la trovo natalizia” mi rimbeccò lui. Oltre a quella volta credo di
non aver mai visto una cravatta con le lucine colorate. C’era raffigurato
un abete illuminato da tante piccole lampadine intermittetenti, come se fosse
stato vero.
Jane mi passò un bicchiere di
spumante “Bevi, che è meglio! Ci ha messo così tanto ad ubriacarsi
quest’anno zio Michele?”
Alzai
le spalle mentre ingoiavo lo spumante “No, era ubriaco prima di cominciare
a mangiare, ho dovuto aspettare Mei”spiegai. Il
signor Cumoli guardò furtivo sotto il tovagliolo che copriva il piatto
che mia madre mi aveva fatto portare.
“Ma
sono dei ravioli al vapore?” chiese perplesso,
sua figlia Jane gli tirò una gomitata “Zitto e non lamentarti, che
il prossimo ano potrebbe arrivarci un cocomero!!”
Io
andai a tagliare la cravatta di Joyce, con l’approvazione
dell’intera famiglia Cumoli.
Turchino
Natale a tutti.
Non sono molto
contenta di questo capitolo, è anche più corto di molti altri, ma
spero che possiate gradirlo, ringrazio tantissimo chi ha commentato lo scorso! Le
risposte ai commenti sono un po’ frettolose scusatemi, avrei voluto
dedicarci più tempo, ma è tardi e domani devo
alzarmi per andare al lavoro.. uffa!!
Melisanna_: che c’è di male
nella bigamia infondo? Sono felice che ti piaccia Nikka, sei una delle poche
che me lo ha detto! Spero che il capitolo ti sia piaciuto!
The Corpse Bride: Eh, si Marco e Delfina mi mancavano! Beh, per
lo spinoff… sinceramente non ho ancora capito
se sono gelosa o meno dei miei personaggi.. O.o ma credo che ne sarei lusingata! Anche perché
sicuramente sarai più brava di me con la tragedia (abbiamo constatato
che devo lasciare perdere io!!XD).
in pratica anche se può non capirsi era un sì!!^.^credo che Joyce e Rachele
stiano diventando fin troppo teneri! Non staremo esagerando?XD
e si, forse Rachele assomiglia a Effy,
però Effy non ha un Joyce da tirannizzare come vuole. È un peccato!
Nikka a qualche
problema alimentare, ma è solo a livello mentale, nel senso è
sempre a dieta, ma non è magra da preoccuparsi!!
^.^ te ne sei accorta cavolo!! ^.^
DarkViolet92: Nikka è in
contraddizione, gli piace Mei, ma non lo vuole
ammettere, e quindi quando lo vede con una ragazza d’impulso si arrabbia.
È una cosa stupida in effetti, ma credo che di
gente intelligente in questa storia che ne sia poca!!
TheDuck: come vedi qui sta degenerando un
po’ tutto! La dichiarazione non c’è, ma il casino
sì… prima o poi concluderanno qualche cosa tranquilla!!
Turchino Natale a
tutti! (eh sì, sono un po’ in anticipo!).
comunque nello scorso capitolo nella parte narrata da
Rachele ho aggiunto due righe inutili, se qualcuno non avesse nulla da fare
può andare a darci un’occhiata! Forse scriverò alla fine un
capitolo sui signori Pavesi, mi piacciono come personaggi… ma
chissà…
Volevo dire qualche
cosa d’altro ma non me lo ricordo, spero che il capitolo non faccia
troppo schifo!!
Alla prossima!!
Aki_Penn