Storie originali > Introspettivo
Segui la storia  |       
Autore: GirlWithTheGun    26/10/2009    2 recensioni
Elisa e Colin non sanno cosa volere dalla vita. Elisa e Colin non sanno se volerla, la vita. Si risvegliano quindicenni e confusi in un universo dove l'unica lente per vedere, sentire e amare è la violenza. Una violenza nascosta nell'anima, che riempie, madre di domande senza risposte e di silenzi assordanti.
Elisa vorrebbe avere ottant’anni, vorrebbe non vedere il buio del nulla nel suo futuro, non avere paura e non essere nata delusa, vorrebbe capire qual è il giorno maledetto in cui ha cominciato a pensare.
Colin si trascina dietro la memoria di un padre suicida, sogna un mare che mangia vive le persone, non riesce ad identificare quel desiderio caotico di libertà che lo infiamma.
"Ma cosa siamo se possiamo esaltarci e distruggerci così? Perché siamo, dove siamo, sperduti negli angoli degli universi e schiantati nelle nostre tragedie di cartone.Esistenze misere che non si accendono mai, lampadine spente che non conoscono la luce. Ma io voglio brillare! Io voglio brillare!".
A tutti i Catchers In The Rye.
Genere: Romantico, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Comin’ Back To Me

 

Certi giorni mi alzo con lo scazzo.
Come mi piacerebbe spegnere tutte queste sigarette contro i muri della scuola, strusciare bene contro il cemento la cenere e sentire l’odore che mi sfrigola buono nelle narici.
Il guaio delle adolescenti contemporanee è che, cazzo, non sanno per niente fumare. Le vedi gonfiare le guance, mettere tutto in bocca e poi soffiare fuori a vuoto il nulla. Il nulla, cazzo. Mentre invece la parte più importante di fumarsi una buona sigaretta, di fumarsela per bene, dico, è portare il filtro alle labbra. E poi tirare e tirare e sentire che tutte le sostanze nocive, e la nicotina e il catrame e il petrolio o quello che cazzo è, ti entrano dentro i polmoni, si attaccano, ti corrompono la salute, l’ossigeno. E poi soffiare fuori tutto, illudendosi di essere guariti. Perché per soffiarlo fuori, il male deve entrarti dentro. Per dire di aver fumato veramente una sigaretta, devi sentire i polmoni lamentarsi almeno la prima volta, e la testa girare, fin quando poi si tratta di abitudine.
A me piace fumare, cazzo. Ma non così. Così non è fumare. E’ come dipingersi addosso un’aria maledetta che non ci azzecca niente con la tua vita. E’ come dire di avere i capelli biondi invece ci si accorge benissimo che sono tinti, ecco. Far finta di essere quello che non si è. Ecco perché la maggior parte delle mie coetanee mi stanno sul cazzo. Perché stanno tutte lì a cercare di essere quello che non sono. Cercano di convincerti e di convincersi, e fanno di quelle stronzate che neanche è possibile immaginarsele tutte.
Ci penso parecchio, a questo genere di cose, la mattina. Penso anche al fatto che io ho il mio pacchetto di Lucky Strike rosse, che le fumo da quattro anni, ormai, ma nessuna di queste squinze qui mi ha mai visto accendere una sigaretta. Io le mie sigarette me le fumo quando ne ho voglia, e di solito la voglia mi sale quando sono solo, quando c’è buio, e quando attraverso i viali inutilmente giganteschi del mio quartiere amaro. Ecco. Le mie Lucky Strike non sono uno status. Sono solo sigarette. Fanno un male del cazzo e tutto il resto, certo, lo so. Ma tutto questo è iniziato molto tempo fa e per motivi ben precisi, per quanto mi riguarda. Non per sentirmi a mio agio in mezzo a degli sconosciuti o per ingannare il tempo. Mah. Fanculo. Sembro proprio uno di quegli opinionisti del cazzo che stanno in tivù a parlare delle nuove generazioni credendo di saperne qualcosa.
Ah,  poi non capisco. Come fanno a vestirsi tutte nello stesso modo? Io impazzirei per riuscirci. Infatti mi vesto senza pensarci, e si vede. Non che mi interessi, eh, ma posso capire che a qualcuno il mio modo di vestire potrebbe sembrare un mischiarsi di abiti senza nessun senso apparente, e nemmeno non apparente. Mi vesto alla cazzo di cane. Lo so io, lo sanno gli altri. E punto, la faccenda finisce lì. Ma loro, come fanno? Come fanno ad avere le stesse scarpe, gli stessi pantaloni, le stesse magliette dello stesso modello, le stesse borse? Fanno compere tutte insieme? Si comunicano i negozi dove andare? E poi mettiamo che una compri qualcosa di leggermente differente? Non va bene? Certo che non va bene, cazzo. Altrimenti non sarebbero tutte uguali.
Dopo un po’ mi stanco, di pensare a queste cose. Non perché c’è qualcosa di più significativo a cui pensare, no. E’ che pensarci troppo mi fa salire la disperazione, ecco. Perché? Perché non lo so… mi piacerebbe sapermi spiegare. Comunicare a tutte queste bambine-ciminiera che potrebbero anche essere tanto belle, tanto pulite. Invece c’è il fondotinta, la matita, la magrezza esasperata e la piastra e i profumi di Dolce & Gabbana, i jeans di non so quale fottuta firma e gli stivali imbottiti UGG. O forse tutta questa sconsiderata tristezza è colpa dei Jefferson Airplane, di Comin’ Back To Me, e di mio padre, che si ostina ad inseguirmi. Mi sembra di avere sempre un cane attaccato al guinzaglio da portare a pisciare. E anche se il mio vecchio è morto da quattro anni e qualche mese, non ha importanza. Lui è ancora qui, attaccato come una zecca ai miei polpacci, aggrappato ai miei capelli lunghi e alle mie sigarette. Che certe volte avrei voglia di urlare senza spiegazione: “VATTENE! CAZZO, VATTENE!”. E mi guarderebbero tutti, assicurato. Ma almeno saprei se lui mi può sentire, se gli interessa rispettare quello che voglio io, per una dannata volta. Invece non l’ho ancora fatto. Non ho trovato un briciolo di coraggio fottuto. Perché so che se ci provassi, a cacciarlo ad alta voce, mi verrebbe male. Non mi riuscirebbe di fare un ringhio disperato, di quelli da film. Piuttosto produrrei un pigolio, una preghiera patetica. E magari potrei anche convincermi di aver detto “vattene”, ma molto probabilmente tutto quello che direi, una volta aperta la mia boccaccia sporca, suonerebbe tipo “I saw you comin’ back to me. Comin’ back to me”.
E’ per questo che il mio vecchio non se ne va. Perché alla fine non voglio lasciarlo andare, cazzo.
Ma come faccio a convincere questo mio cuore di merda che è il momento, eh?
Come faccio?

Oggi il compito di italiano. Tema scontatissimo: “Immagina di avere quarant’anni”.
Credo sia una delle peggiori tracce mai svolte in vita mia. Roba che la leggo e non faccio altro che ripetere “cazzo” sottovoce. Infatti Marco mi lancia un paio di anatemi dei suoi per farmi smettere. Non che gli interessi se continuo ad imprecare allegramente, no. E’ che così perdo tempo. Perché tocca a me scrivergli il suo bel compito di italiano, dato che lui non riesce a mettere due parole in fila quando parla, figuriamoci se si tratta di scrivere.
Insomma, parto con il suo tema. E lo farcisco di frasi fatte, luoghi comuni, chi più ne ha più ne metta. Un tema alla Marco Ravasi, tanto per intenderci. Roba di ragionamenti degni dei palinsesti Mediaset. Un mucchio di stronzate, ecco. Ma di stronzate belle grosse, ridondanti e farcite di buonismo. Tipo famiglia unita, impiego che ti permette di stare con i figli, moglie anche non bellissima ma intelligente, vita sana, weekend nei parchi naturali, estate in camper. Visite ai genitori anziani, anche, che a una come la nostra prof di lettere cose del genere piacciono. E’ pronto in venti minuti, e a me rimane un’ora e trenta per stendere il mio tema, mentre le idee mi si affollano nella testa e faccio una fatica boia a riordinarle in un modo umanamente comprensibile. Ravasi è contento. A me non sbatte un cazzo, non so nemmeno perché gli faccio i temi. Forse siamo una sottospecie di amici, devo ancora capirci qualcosa.
Deve essere sempre colpa di tutta la storia dei Jefferson Airplane, di Comin’ Back To Me e del mio vecchio. Sta di fatto che, come praticamente ogni volta che scrivo, mi si spacca il cuore e ne scoppia fuori qualcosa di stranissimo. Come una sensazione iniziale di smarrimento e poi la trance totale, l’assenza. Cazzo. Mi ci perdo, io, nell’inchiostro. E non torno più fin quando non so che è uscito tutto, che è finita. E vorrei aver i polpastrelli duri come quelli dei pescatori, o dei muratori, o di quelli che follavano la lana una volta. Pelle che si spacca contro la penna Bic e sangue acquoso che ne esce, che magari macchia il foglio. Così potrei vedermi davvero, dipinto sulla pagina. Così potrei essere sicuro di esserci davvero io, in quella grafia sghemba e bambinesca che storpia la carta giallognola.
Alla mia prof racconto che non so se arriverò ai quaranta. Che ci sto pensando. Perché tutto mi sembra già abbastanza angosciante adesso, e non riesco ancora a capire se ne vale la pena, di andare avanti. Che non ho paura, no. Più che altro che mi sento stanco ancora prima di partire. Che so già che probabilmente non ne varrà la pena, perché a questa vita di merda tu puoi dare tutto, anche il respiro, che tanto la maggior parte delle volte non ti torna indietro niente. Anzi, forse ci perdi qualcosa. La salute, la felicità, le speranze e anche i soldi. Le scrivo chiaro e tondo che poi non posso sapere come sarò a quarant’anni, perché la verità è che non ci spreco nemmeno un minuto su questa ipotesi qui, del crescere troppo. Tipo che sarebbe bello morire come Sid Vicious, a vent’anni più uno, e non vedere mai tutte le cose brutte che il futuro ci riserva. Magari anche morire di droga o di velocità o di proiettile, che tanto la mancanza di quello che non conosciamo non ci potrà mai venire, se siamo morti. Perché non esiste l’inferno, e non esiste il paradiso, come diceva il mio vecchio. Esiste la polvere e basta. E’ come schiacciare il tasto “erase”. Tutto quello che c’è stato prima scompare, tutto quello che verrà dopo non può interessarti.
Punto.
Ecco, alla prof non glielo scrivo che per fatti miei ho già deciso di non arrivare ai quarant’anni.
Che traccia di merda, cazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: GirlWithTheGun