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Autore: Niglia    14/11/2009    10 recensioni
{Vecchio titolo: The Wrong Man}
Giulia è una normale ragazza di 18 anni; va a scuola, esce con le amiche e, quando capita, con qualche ragazzo, ma non è certo alla ricerca del Principe Azzurro.
Sembra l'inizio di un'estate come le altre quando, all'improvviso, compare Enrico: l'erede di un impero criminale, bello e affascinante, che si invaghisce di lei e la obbliga, un po' con le buone e un po' con le cattive, a frequentarlo...
"I tuoi amici non sanno dove sei, però loro sono al sicuro." Mormorò, avvicinando le labbra al mio orecchio e facendomi rabbrividire con il suo caldo respiro. "Cerca di fare in modo che rimangano tali... Se mi disobbedisci in qualsiasi modo, farò loro del male, e ti assicuro che sembrerà un incidente."
Parlava come farebbe un amante nell'intimità di una camera da letto, con la stessa voce calda e rassicurante, leggermente roca: eppure le sue parole erano tutto fuorchè rassicuranti. La sua era una minaccia bella e buona...
[dal Capitolo 7]
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Note a fine capitolo. Buona lettura! =)


 

 

 Capitolo XII

 

 

 

 

“Quella sera non accadde nient’altro di così importante. L’argomento che più mi premeva approfondire sembrava essere stato chiuso, e per il resto della serata ci comportammo come dei normalissimi ragazzi del liceo. Dovevo aver fatto una buona impressione ai compari di Enrico, o almeno quasi a tutti, visto che fecero subito in modo di farmi sentire parte del gruppo. Sembrava che la pistola che giaceva nella valigetta non avesse per loro lo stesso valore che le avevo da subito attribuito io. Ma, come compresi presto, avrei fatto meglio a farci l’abitudine.

“Quando Enrico mi riaccompagnò a casa, mi consegnò definitivamente la valigia con la pistola, raccomandandomi di tenerla al sicuro e di non nasconderla troppo bene, dato che presto ne avrei dovuto fare uso. Non compresi il significato di quelle parole, ma non ebbi il tempo di chiedergli spiegazioni, dato che già era andato via. Così, non mi rimase che rientrare in casa e affrettarmi a raggiungere la mia stanza prima che mia madre potesse vedermi armato. Per fortuna lei e Anastasia stavano già dormendo, così potei dedicarmi alla ricerca di un posto dove nascondere la pistola.

“Dopo averci pensato a lungo, decisi che avrei fatto meglio a nascondere la valigia sotto il letto, vuota naturalmente, e nascosi invece la Browning in un cassetto dell’armadio, sotto strati e strati di felpe e biancheria, dove mia madre raramente metteva mano. Per un po’ quel nascondiglio avrebbe funzionato, in seguito avrei pensato a qualcosa di più definitivo e sicuro: per il momento volevo solo gettarmi a letto e dormire.

“Il mattino dopo andai a scuola, come tutti i giorni. Come sempre, non appena entrai in classe cercai con lo sguardo Enrico, che era già seduto al suo posto e che si voltò solo per salutarmi con un cenno del capo. Stranamente non mi rivolse la parola per tutto il giorno, neppure alla ricreazione, tanto che durante tutte le lezioni non potei fare a meno di pensare che si era già pentito di farmi entrare nella sua ‘compagnia’. Col senno di poi, posso dire che sarebbe stato cento volte meglio se fosse andata così, ma allora... Oh, non potevo saperlo.

“Tuttavia, alla fine delle lezioni mi si avvicinò, portandomi un braccio dietro le spalle in un modo del tutto innocuo e insospettabile. “Alle sei vengo a prenderti,” sussurrò. “Prendi tutta la roba che ti ho dato, non dimenticarti nulla.”

“Lo fissai, cercando di chiedergli a che cosa potesse servirmi la pistola quella sera, ma lui mi fece un chiaro cenno di tacere. “Stasera.” Ribadì, con decisione. Dopodiché sparì in mezzo agli altri ragazzi.

“Quella sera attesi con impazienza il suo arrivo: alle cinque e mezza ero già pronto, seduto sul bordo del divano in attesa dello squillo del campanello che mi avrebbe annunciato la sua presenza. Nello zaino che tenevo tra le gambe avevo infilato tutto quello che mi aveva detto, la Browning insieme ai caricatori e la fondina: la valigia l’avevo lasciata sotto il letto. Ritenevo che, qualsiasi cosa avesse avuto intenzione di farmi fare, sarebbe stata assai difficile cercare di farla passare inosservata.

“Finalmente, il citofono squillò. Salutai mia madre e corsi giù per le scale prima che lei potesse affacciarsi a vedere con chi stavo uscendo, cosa che volevo, per il momento, evitare. Come avevo immaginato, Enrico era accanto alla sua moto, a braccia incrociate, aspettando che lo raggiungessi. Mi venne incontro con un mezzo sorriso, stringendomi la mano e porgendomi un casco.

“’Dove andiamo?’ Chiesi, salendo sulla moto dietro di lui.

“Tuttavia lui non rispose. ‘Lo vedrai.’ Si limitò a dire, enigmatico.

“Come c’era da immaginarsi, Enrico mi portò nella sua casa di campagna, quella dove ha portato anche te, Giulia, dove avremmo potuto esercitarci con le armi senza essere disturbati. Chi avesse sentito l’eco degli spari avrebbe sicuramente pensato ai cacciatori, e di certo non a due ragazzi che lo facevano per... beh... chiamiamolo hobby. Per la prima volta in vita mia mi ritrovai ad impugnare una pistola. Purtroppo non fu anche l’ultima.

“Trascorsero solo una decina di giorni, durante i quali Enrico mi portò instancabilmente ad esercitarmi con l’ormai mia Browning nel suo terreno, senza la presenza degli altri suoi amici che, a quanto diceva, potevano distrarmi e rallentare il processo di apprendimento. Per essere solo un ragazzo di diciassette anni la prendeva tremendamente sul serio, ma capivo da solo che uno come lui doveva essere stato abituato quasi sin da piccolo a mostrarsi duro e pronto a tutto.

“Non fraintendetemi, non lo sto giustificando... Ma allora mi sembrava un ragazzo da ammirare e da prendere come punto di riferimento, per quanto le sue ‘attività extrascolastiche’ fossero alquanto discutibili.

“E questo ci porta alla mia prima notte da complice dei suoi traffici.”

 

Riccardo tacque momentaneamente di raccontare, portandosi la bottiglia di birra alle labbra e bevendone un lungo sorso, come se questo avesse potuto aiutarlo a raccogliere meglio i ricordi di quei non certo piacevoli eventi. L’espressione che aveva sul volto esprimeva un dolore tale che non avevo mai visto sul viso di nessuno, e durante tutta quella serata odiai Enrico come non l’avevo mai fatto. Se qualcuno era capace di far soffrire in quel modo un ragazzo grande e grosso come Riccardo, la sua crudeltà doveva essere davvero inimmaginabile...

Alessandra sembrava soffrire con lui, ma c’era qualcosa nei suoi occhi che mi fece capire che vi era ben altro oltre la semplice e amichevole preoccupazione, e non si trattava solo della cotta di cui mi faceva una testa tanto ogni giorno: no, conoscevo quello sguardo, e sapevo che c’era dell’altro... Beh, se davvero era così, in fondo ero contenta per loro: Riccardo aveva bisogno di non essere più solo, e la mia amica aveva bisogno di qualcuno da amare. E quanto a me... Io avevo solo bisogno di sapere come continuava il racconto di Riccardo.

 

“Quella notte guidava Alberto, era un sabato come tanti altri anche se noi non eravamo proprio dei ragazzi comuni. Come Enrico mi aveva spiegato più volte, non saremmo andati alla Favola, visto che quella discoteca entrava nel raggio del suo territorio e lui non voleva nel modo più assoluto che i suoi clienti fossero anche i suoi stessi concittadini. Credo che in realtà temesse che qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo, ma non lo ammise mai. Non davanti a me, comunque.

“Perciò, ricordo che ci impiegammo almeno un’oretta buona prima di arrivare alla discoteca che invece Enrico aveva designato come centro principale dei suoi traffici, o almeno quello di cui si occupava personalmente. Il buttafuori lo fece passare con un mezzo sorriso, senza battere ciglio: era incredibile quanti contatti avesse quel ragazzo, all’epoca non ero ancora del tutto consapevole di quanto grande fosse la sua influenza e quella della sua famiglia. Una volta dentro, Enrico si diresse automaticamente verso una saletta divisa da un separé orientale dal resto della sala, nella quale prese posto come se si trovasse a casa sua. Mi fece cenno di sedermi accanto a lui, poi mi porse uno dei menù e sorrise.

“’Funziona così, Riccardo.’ Esordì, parlando a bassa voce. ‘Ancora non ti ho spiegato il perché della mia squadra... Molte ragazze, a quanto pare, ci trovano parecchio attraenti: bene, spero che tu sappia sfruttare questa tua caratteristica, perché il tuo lavoro consiste nell’avvicinare le ragazze che vedi sedute, ovviamente sole, ai tavoli... Loro faranno finta di non sapere perché sei lì, ma in realtà sanno perfettamente cosa nascondi nelle tasche e sotto la giacca.’

“Ammiccò in direzione di Alberto, prima di continuare. ‘La mia spiegazione non ti servirà a niente... Ora guarda cosa fa Alberto, e cerca di memorizzare ogni suo gesto.’

“Come se non avesse aspettato altro, il nostro compagno si alzò con disinvoltura dal tavolo, prendendo un bicchiere di qualche alcolico sconosciuto dal vassoio di un cameriere che passava accanto a noi. Sempre sorseggiandolo attraversò la sala, finché non raggiunse un tavolo occupato da tre ragazze che ridevano maliziose tra di loro alla vista del ragazzo che prendeva posto di fronte a loro. Dubitavo che quelle tre potessero avere più di quindici anni: il trucco pesante e i vestiti scollati e provocanti denotavano, al contrario, una furiosa voglia di crescere che le ragazze più grandi e mature avevano abbandonato da tempo. Ad ogni modo,  non era quello che mi interessava. Il mio sguardo si puntò solo su Alberto, e cercai di non perderlo di vista per un solo momento.

“Notai che si comportava come se le conoscesse da sempre: aveva iniziato a chiacchierare con un dolce sorriso dipinto sul volto per far diminuire l’involontario disagio delle sue clienti, malgrado tutto troppo giovani per comportarsi con la spudoratezza che sarebbe stata più appropriata alla situazione. Eppure, solo pochi minuti dopo, una di loro lo seguì docilmente alla toilette.

“Sapevo cosa sarebbe successo, e potete benissimo immaginarlo anche voi. Lui l’avrebbe presa, e dopo le avrebbe consegnato la merce per lei e le sue amiche; e solo in seguito l’avrebbe riaccompagnata al suo tavolo e sarebbe poi tornato da noi. Era tutto molto semplice.

“Beh, io non approfittai mai di questa occasione per comportarmi come loro: portarle in un posto appartato era d’obbligo, in modo che nessuno avrebbe potuto sospettare di niente, ma non feci mai nulla che andasse oltre l’aspetto professionale. Grazie a Dio, non ebbi mai neppure l’occasione di usare la pistola, se è per quello.”

 

A quel punto, Alessandra non riuscì a trattenere oltre la sua curiosità. Posò il bicchiere sul tavolo e, sporgendosi verso di lui, chiese: “Ma che cosa ti ha spinto a lasciare Enrico? Voglio dire... Malgrado tutto, sembra  che  le cose tra di voi stessero andando bene...”

In effetti me lo stavo chiedendo anch’io. Era da quando avevo sentito Enrico chiamare Riccardo ‘traditore’ che volevo saperne il perché. Dopotutto, nella storia che ci aveva raccontato il nostro amico non sembrava esserci traccia di nessun tipo di rancore da parte di entrambi, anzi, Enrico si comportava da amico nei suoi confronti, lo aveva addirittura vendicato in quella faccenda dei ragazzi delle professionali.

Perciò, il motivo del loro odio reciproco continuava a rimanere un mistero.

Ma, grazie alla domanda di Alessandra, Riccardo saltò subito alla parte conclusiva della storia.

 

“In realtà è più semplice di quanto possiate immaginare,” disse, con un sospiro.

“Una notte, decisi che ne avevo abbastanza. Erano trascorsi parecchi mesi da quel primo giorno in discoteca, la scuola era finita e io stavo dando l’ultima ripassata generale prima degli esami. Ma quella sera ricevetti una telefonata da parte di Enrico. Quella volta aveva voglia di puntare in alto, di colpire grosso. Ed io purtroppo non riuscii a dirgli di no.

“Come compresi solo più tardi, non si trattava di una ‘normale’ serata di affari. A quanto pareva, alcuni clienti del padre erano stati poco fiscali e puntuali nei pagamenti, anzi, a quanto ci disse Enrico, avevano proprio dimenticato di versare alcuni conti corrente, confidando forse nel fatto di vivere lontani dal territorio centrale degli Occhi Belli. Tuttavia, purtroppo per loro, non così lontani.

“Sempre stando alla versione di Enrico, suo padre gli aveva ordinato di stare fuori da quella faccenda e soprattutto lontano da quegli individui, visto che erano pesci troppo grossi per potersene occupare lui. Ma il nostro amico decise al contrario che quella sarebbe stata l’occasione buona per dimostrare alla sua famiglia quanto valeva, in modo che il padre iniziasse ad affidargli incarichi ben più importanti che lo elevassero agli occhi di tutti. Perciò, prendemmo la macchina e andammo alla ricerca di questi fantomatici clienti.

“Beh, non furono difficili da trovare. Ci sono delle persone che preferiscono non cambiare spesso luogo d’incontro, anche se così facendo c’è il rischio di attirare troppo l’attenzione della giustizia; per quanto questa sia, spesso e volentieri, loro alleata. Ad ogni modo, li trovammo in un albergo che frequentavano abitualmente, e la ragazza che c’era alla reception non fece storie quando Enrico le chiese il loro numero di stanza; dopotutto, non si può negare che sappia usare il suo fascino e bell’aspetto.

“Scoprimmo presto che quello che aveva detto il vecchio Occhi Belli non era un’esagerazione: si trattava davvero di gente di un certo... calibro, e solo guardandoli si coglieva l’antifona di ‘stargli lontano’. Sembravano catapultati in un film de Il Padrino, e la cosa terribile era che quei tipi non avevano per niente l’aria di voler scherzare o perdere tempo con dei ragazzini.

“Parlare si rivelò inutile in partenza; non appena Enrico si fu presentato, i due scimmioni che facevano da guardaspalle al capo tirarono fuori le pistole, e prima che ce ne rendessimo quasi conto era iniziata la sparatoria. Più per la paura che per il vero obiettivo di colpire qualcuno, mi ritrovai a sparare a tutti e a nessuno, stando solo attento a non colpire i miei compagni. La stanza si trasformò in un vero inferno, non credo di aver mai visto tanto sangue in vita mia, e i colpi sparati a pochi centimetri dalle mie orecchie mi assordavano, perciò persi la poca cognizione della realtà che mi era rimasta. Alla fine si scaricò il caricatore della mia Browning, e solo in quell’istante realizzai che cosa era successo, di cosa ero stato complice. Gettai la pistola per terra e mi guardai intorno, ma non c’era nessun silenzio, nessun attimo di riflessione, niente. Fuori dalla porta sentivamo urla e colpi sulle pareti, e prima che qualcuno riuscisse ad entrare ci dirigemmo tutti e sette verso la finestra. Io e Enrico rimanemmo per ultimi.

“Si voltò verso di me, il volto trasfigurato dalla rabbia. ‘Prendi la pistola, cazzo! Ci sono le tue impronte!’

“Mi voltai con una lentezza che lo disarmò, tanto che mi diede una spinta per esortarmi. Gli altri si erano già calati giù dal balcone – per fortuna eravamo solo al secondo piano – e quando tornai dentro la camera l’unica cosa che c’era erano i cadaveri di tre persone sul pavimento. La mia pistola era accanto alla mano aperta di uno di questi, e dovetti reprimere un conato improvviso per riuscire ad avvicinarmi, afferrarla e correre nuovamente verso la porta a vetri dove Enrico mi stava ancora aspettando.

“Mentre scavalcavo il davanzale, sentii la porta dell’appartamento cedere sotto i colpi insistenti di coloro che erano accorsi già dai primi spari, e le urla dei primi che videro i cadaveri. Poi mi lanciai nel vuoto, e poi... Più niente.

“Mi risvegliai in macchina, madido di sudore e coperto di sangue, circondato dagli altri ragazzi. Erano tutti parecchio scossi, ma credo che nessuno lo fosse più di me. Di che cosa ci eravamo fatti complici? Ma l’unico pensiero coerente che la mia mente riusciva a produrre era questo: se continuo a stare con loro, a frequentarli, a quante altre occasioni simili dovrò assistere?

“Fortunatamente, dal giorno dopo in poi, per quasi un mese, ebbi la scusa degli esami che mi tenne occupato per tutto il tempo: studiavo come un forsennato mattina e sera per cercare di non pensare a quella notte, a quei corpi, e riuscii a strappare un novanta alla maturità. Ma nel mentre avevo anche pensato a lungo a cosa fare. Non sarei più rimasto con Enrico e i suoi. Basta. Non volevo più averci nulla a che fare, avevo deciso. Rimaneva solo una cosa da fare, e cioè dirlo ad Enrico.

“Come potete immaginare, lui non la prese molto bene. Dire che era incazzato è solo un gentile eufemismo. Tuttavia mi lasciò andare, facendomi però giurare di non dire mai a nessuno le cose che avevo visto e sentito. O meglio, minacciandomi che, se mai qualcuno ne fosse venuto a conoscenza, se la sarebbe presa con la mia famiglia. Mia madre era incinta, e Anastasia era piccola, e lui lo sapeva. La posta in gioco era troppo alta, perciò non dissi mai niente.

“Voi siete le prime a cui lo racconto, dopo sei anni.”

 

E con questo, si concluse il racconto di Riccardo.

Non ci fu nessun applauso, nessun pianto, nessuna obiezione, come spesso accade nei film.

Solo silenzio.

E paura, tanta.

La mia.

 

 

 






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Note dell'Autrice:
E così, eccomi tornata. Dopo quasi tre mesi di assenza - di cui vi chiedo umilmente perdono, davvero, ma purtroppo, tra impegni vari e poca ispirazione, non ho potuto fare altrimenti - la mia mente - a questo punto potete tranquillamente dire "malata"! - ha partorito il 12 capitolo.
E che parto, oserei dire. L'ultima parte è stata scritta d'un fiato, la pubblico senza nemmeno osare rileggerla perchè ho paura di cancellarla del tutto, ma mi ci è voluto molto per trovare una "degna" conclusione al racconto di Riccardo, volevo qualcosa che colpisse i lettori e che colpisse la mia protagonista, ovviamente. La sua storia, come già forse si era intuito, non è una storia facile, ma a me del resto le storie che filano lisce come l'olio non sono mai piaciute. L'unica cosa che temo è di aver calcato un pò la mano, di avere esagerato, insomma. Ma questo potrete dirmelo solo voi! =)
Spero di aver reso l'idea, comunque. Enrico non stava uscendo molto bene nei precedenti capitoli, spero invece di essere riuscita a trasmettergli un pò dell'oscurità e della... mmh... magari malvagità è una parola troppo forte, però ecco, io me l'ero immaginato con l'animo molto più nero di come invece l'ho dipinto finora!
Bene, con questo concludo. Mi farà piacere trovare nuove recensioni, mi spingono ad andare avanti e mi dimostrano che, forse, questa storia non è un completo disastro. Inizio a scusarmi sin da ora se gli aggiornamenti non saranno molto puntuali (quest'anno ho la maturità e ho poco tempo a disposizione...)
Un bacio a tutte quante, non mi stancherò mai di ringraziare chi recensisce, chi legge senza recensire, chi mi ha aggiunta tra le preferite e le seguite... Insomma, Grazie Mille! =)
Al prossimo capitolo =*
   
 
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