Note a fine capitolo. Buona lettura! =)
“Quella sera non
accadde nient’altro di così importante.
L’argomento
che più mi premeva approfondire sembrava essere stato
chiuso, e per il resto
della serata ci comportammo come dei normalissimi ragazzi del liceo.
Dovevo
aver fatto una buona impressione ai compari di Enrico, o almeno quasi a
tutti,
visto che fecero subito in modo di farmi sentire parte del gruppo.
Sembrava che
la pistola che giaceva nella valigetta non avesse per loro lo stesso
valore che
le avevo da subito attribuito io. Ma, come compresi presto, avrei fatto
meglio
a farci l’abitudine.
“Quando Enrico mi
riaccompagnò a casa, mi consegnò
definitivamente la valigia con la pistola, raccomandandomi di tenerla
al sicuro
e di non nasconderla troppo bene, dato che presto ne avrei dovuto fare
uso. Non
compresi il significato di quelle parole, ma non ebbi il tempo di
chiedergli
spiegazioni, dato che già era andato via. Così,
non mi rimase che rientrare in
casa e affrettarmi a raggiungere la mia stanza prima che mia madre
potesse
vedermi armato. Per fortuna lei e Anastasia stavano già
dormendo, così potei
dedicarmi alla ricerca di un posto dove nascondere la pistola.
“Dopo averci pensato a
lungo, decisi che avrei fatto meglio a
nascondere la valigia sotto il letto, vuota naturalmente, e nascosi
invece la
Browning in un cassetto dell’armadio, sotto strati e strati
di felpe e
biancheria, dove mia madre raramente metteva mano. Per un po’
quel nascondiglio
avrebbe funzionato, in seguito avrei pensato a qualcosa di
più definitivo e
sicuro: per il momento volevo solo gettarmi a letto e dormire.
“Il mattino dopo andai
a scuola, come tutti i giorni. Come
sempre, non appena entrai in classe cercai con lo sguardo Enrico, che
era già
seduto al suo posto e che si voltò solo per salutarmi con un
cenno del capo.
Stranamente non mi rivolse la parola per tutto il giorno, neppure alla
ricreazione, tanto che durante tutte le lezioni non potei fare a meno
di
pensare che si era già pentito di farmi entrare nella sua
‘compagnia’. Col
senno di poi, posso dire che sarebbe stato cento volte meglio se fosse
andata
così, ma allora... Oh, non potevo saperlo.
“Tuttavia, alla fine
delle lezioni mi si avvicinò, portandomi
un braccio dietro le spalle in un modo del tutto innocuo e
insospettabile.
“Alle sei vengo a prenderti,” sussurrò.
“Prendi tutta la roba che ti ho dato,
non dimenticarti nulla.”
“Lo fissai, cercando di
chiedergli a che cosa potesse
servirmi la pistola quella sera, ma lui mi fece un chiaro cenno di
tacere.
“Stasera.” Ribadì, con decisione.
Dopodiché sparì in mezzo agli altri ragazzi.
“Quella sera attesi con
impazienza il suo arrivo: alle cinque
e mezza ero già pronto, seduto sul bordo del divano in
attesa dello squillo del
campanello che mi avrebbe annunciato la sua presenza. Nello zaino che
tenevo
tra le gambe avevo infilato tutto quello che mi aveva detto, la
Browning
insieme ai caricatori e la fondina: la valigia l’avevo
lasciata sotto il letto.
Ritenevo che, qualsiasi cosa avesse avuto intenzione di farmi fare,
sarebbe
stata assai difficile cercare di farla passare inosservata.
“Finalmente, il
citofono squillò. Salutai mia madre e corsi
giù per le scale prima che lei potesse affacciarsi a vedere
con chi stavo
uscendo, cosa che volevo, per il momento, evitare. Come avevo
immaginato,
Enrico era accanto alla sua moto, a braccia incrociate, aspettando che
lo
raggiungessi. Mi venne incontro con un mezzo sorriso, stringendomi la
mano e
porgendomi un casco.
“’Dove
andiamo?’ Chiesi, salendo sulla moto dietro di lui.
“Tuttavia lui non
rispose. ‘Lo vedrai.’ Si limitò a dire,
enigmatico.
“Come c’era
da immaginarsi, Enrico mi portò nella sua casa di
campagna, quella dove ha portato anche te, Giulia, dove avremmo potuto
esercitarci con le armi senza essere disturbati. Chi avesse sentito
l’eco degli
spari avrebbe sicuramente pensato ai cacciatori, e di certo non a due
ragazzi
che lo facevano per... beh... chiamiamolo hobby. Per la prima volta in
vita mia
mi ritrovai ad impugnare una pistola. Purtroppo non fu anche
l’ultima.
“Trascorsero solo una
decina di giorni, durante i quali
Enrico mi portò instancabilmente ad esercitarmi con
l’ormai mia Browning nel
suo terreno, senza la presenza degli altri suoi amici che, a quanto
diceva,
potevano distrarmi e rallentare il processo di apprendimento. Per
essere solo
un ragazzo di diciassette anni la prendeva tremendamente sul serio, ma
capivo
da solo che uno come lui doveva essere stato abituato quasi sin da
piccolo a
mostrarsi duro e pronto a tutto.
“Non fraintendetemi,
non lo sto giustificando... Ma allora mi
sembrava un ragazzo da ammirare e da prendere come punto di
riferimento, per
quanto le sue ‘attività
extrascolastiche’ fossero alquanto discutibili.
“E questo ci porta alla
mia prima notte da complice dei suoi
traffici.”
Riccardo tacque momentaneamente
di raccontare, portandosi la
bottiglia di birra alle labbra e bevendone un lungo sorso, come se
questo
avesse potuto aiutarlo a raccogliere meglio i ricordi di quei non certo
piacevoli eventi. L’espressione che aveva sul volto esprimeva
un dolore tale
che non avevo mai visto sul viso di nessuno, e durante tutta quella
serata
odiai Enrico come non l’avevo mai fatto. Se qualcuno era
capace di far soffrire
in quel modo un ragazzo grande e grosso come Riccardo, la sua
crudeltà doveva
essere davvero inimmaginabile...
Alessandra sembrava soffrire con
lui, ma c’era qualcosa nei
suoi occhi che mi fece capire che vi era ben altro oltre la semplice e
amichevole preoccupazione, e non si trattava solo della cotta di cui mi
faceva
una testa tanto ogni giorno: no, conoscevo quello sguardo, e sapevo che
c’era
dell’altro... Beh, se davvero era così, in fondo
ero contenta per loro:
Riccardo aveva bisogno di non essere più solo, e la mia
amica aveva bisogno di
qualcuno da amare. E quanto a me... Io avevo solo bisogno di sapere
come
continuava il racconto di Riccardo.
“Quella notte guidava
Alberto, era un sabato come tanti altri
anche se noi non eravamo proprio dei ragazzi comuni. Come Enrico mi
aveva
spiegato più volte, non saremmo andati alla Favola, visto
che quella discoteca
entrava nel raggio del suo territorio e lui non voleva nel modo
più assoluto
che i suoi clienti fossero anche i suoi stessi concittadini. Credo che
in
realtà temesse che qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo, ma
non lo ammise mai.
Non davanti a me, comunque.
“Perciò,
ricordo che ci impiegammo almeno un’oretta buona
prima di arrivare alla discoteca che invece Enrico aveva designato come
centro
principale dei suoi traffici, o almeno quello di cui si occupava
personalmente.
Il buttafuori lo fece passare con un mezzo sorriso, senza battere
ciglio: era
incredibile quanti contatti avesse quel ragazzo, all’epoca
non ero ancora del
tutto consapevole di quanto grande fosse la sua influenza e quella
della sua
famiglia. Una volta dentro, Enrico si diresse automaticamente verso una
saletta
divisa da un separé orientale dal resto della sala, nella
quale prese posto come
se si trovasse a casa sua. Mi fece cenno di sedermi accanto a lui, poi
mi porse
uno dei menù e sorrise.
“’Funziona
così, Riccardo.’ Esordì, parlando a
bassa voce.
‘Ancora non ti ho spiegato il perché della mia squadra... Molte ragazze, a quanto pare,
ci trovano parecchio
attraenti: bene, spero che tu sappia sfruttare questa tua
caratteristica,
perché il tuo lavoro consiste nell’avvicinare le
ragazze che vedi sedute,
ovviamente sole, ai tavoli... Loro faranno finta di non sapere
perché sei lì,
ma in realtà sanno perfettamente cosa nascondi nelle tasche
e sotto la giacca.’
“Ammiccò in
direzione di Alberto, prima di continuare. ‘La
mia spiegazione non ti servirà a niente... Ora guarda cosa
fa Alberto, e cerca
di memorizzare ogni suo gesto.’
“Come se non avesse
aspettato altro, il nostro compagno si
alzò con disinvoltura dal tavolo, prendendo un bicchiere di
qualche alcolico
sconosciuto dal vassoio di un cameriere che passava accanto a noi.
Sempre
sorseggiandolo attraversò la sala, finché non
raggiunse un tavolo occupato da
tre ragazze che ridevano maliziose tra di loro alla vista del ragazzo
che
prendeva posto di fronte a loro. Dubitavo che quelle tre potessero
avere più di
quindici anni: il trucco pesante e i vestiti scollati e provocanti
denotavano,
al contrario, una furiosa voglia di crescere che le ragazze
più grandi e mature
avevano abbandonato da tempo. Ad ogni modo,
non era quello che mi interessava. Il mio sguardo si
puntò solo su
Alberto, e cercai di non perderlo di vista per un solo momento.
“Notai che si
comportava come se le conoscesse da sempre:
aveva iniziato a chiacchierare con un dolce sorriso dipinto sul volto
per far
diminuire l’involontario disagio delle sue clienti, malgrado
tutto troppo
giovani per comportarsi con la spudoratezza che sarebbe stata
più appropriata
alla situazione. Eppure, solo pochi minuti dopo, una di loro lo
seguì
docilmente alla toilette.
“Sapevo cosa sarebbe
successo, e potete benissimo immaginarlo
anche voi. Lui l’avrebbe presa, e dopo le avrebbe consegnato
la merce per lei e
le sue amiche; e solo in seguito l’avrebbe riaccompagnata al
suo tavolo e
sarebbe poi tornato da noi. Era tutto molto semplice.
“Beh, io non
approfittai mai di questa occasione per
comportarmi come loro: portarle in un posto appartato era
d’obbligo, in modo
che nessuno avrebbe potuto sospettare di niente, ma non feci mai nulla
che
andasse oltre l’aspetto professionale. Grazie a Dio, non ebbi
mai neppure
l’occasione di usare la pistola, se è per
quello.”
A quel punto, Alessandra non
riuscì a trattenere oltre la sua
curiosità. Posò il bicchiere sul tavolo e,
sporgendosi verso di lui, chiese: “Ma
che cosa ti ha spinto a lasciare Enrico? Voglio dire... Malgrado tutto,
sembra che le cose tra di voi
stessero andando bene...”
In effetti me lo stavo chiedendo
anch’io. Era da quando avevo
sentito Enrico chiamare Riccardo ‘traditore’ che
volevo saperne il perché. Dopotutto,
nella storia che ci aveva raccontato il nostro amico non sembrava
esserci
traccia di nessun tipo di rancore da parte di entrambi, anzi, Enrico si
comportava da amico nei suoi confronti, lo aveva addirittura vendicato
in
quella faccenda dei ragazzi delle professionali.
Perciò, il motivo del
loro odio reciproco continuava a
rimanere un mistero.
Ma, grazie alla domanda di
Alessandra, Riccardo saltò subito
alla parte conclusiva della storia.
“In realtà
è più semplice di quanto possiate
immaginare,”
disse, con un sospiro.
“Una notte, decisi che
ne avevo abbastanza. Erano trascorsi
parecchi mesi da quel primo giorno in discoteca, la scuola era finita e
io
stavo dando l’ultima ripassata generale prima degli esami. Ma
quella sera
ricevetti una telefonata da parte di Enrico. Quella volta aveva voglia
di
puntare in alto, di colpire grosso. Ed io purtroppo non riuscii a
dirgli di no.
“Come compresi solo
più tardi, non si trattava di una
‘normale’ serata di affari. A quanto pareva, alcuni
clienti del padre erano
stati poco fiscali e puntuali nei pagamenti, anzi, a quanto ci disse
Enrico,
avevano proprio dimenticato di versare alcuni conti corrente,
confidando forse
nel fatto di vivere lontani dal territorio centrale degli Occhi Belli.
Tuttavia, purtroppo per loro, non così lontani.
“Sempre stando alla
versione di Enrico, suo padre gli aveva
ordinato di stare fuori da quella faccenda e soprattutto lontano da
quegli
individui, visto che erano pesci troppo grossi per potersene occupare
lui. Ma
il nostro amico decise al contrario che quella sarebbe stata
l’occasione buona
per dimostrare alla sua famiglia quanto valeva, in modo che il padre
iniziasse
ad affidargli incarichi ben più importanti che lo elevassero
agli occhi di
tutti. Perciò, prendemmo la macchina e andammo alla ricerca
di questi fantomatici
clienti.
“Beh, non furono
difficili da trovare. Ci sono delle persone
che preferiscono non cambiare spesso luogo d’incontro, anche
se così facendo c’è
il rischio di attirare troppo l’attenzione della giustizia;
per quanto questa
sia, spesso e volentieri, loro alleata. Ad ogni modo, li trovammo in un
albergo
che frequentavano abitualmente, e la ragazza che c’era alla
reception non fece
storie quando Enrico le chiese il loro numero di stanza; dopotutto, non
si può
negare che sappia usare il suo fascino e bell’aspetto.
“Scoprimmo presto che
quello che aveva detto il vecchio Occhi
Belli non era un’esagerazione: si trattava davvero di gente
di un certo...
calibro, e solo guardandoli si coglieva l’antifona di
‘stargli lontano’.
Sembravano catapultati in un film de Il
Padrino, e la cosa terribile era che quei tipi non avevano
per niente l’aria
di voler scherzare o perdere tempo con dei ragazzini.
“Parlare si
rivelò inutile in partenza; non appena Enrico si
fu presentato, i due scimmioni che facevano da guardaspalle al capo
tirarono
fuori le pistole, e prima che ce ne rendessimo quasi conto era iniziata
la
sparatoria. Più per la paura che per il vero obiettivo di
colpire qualcuno, mi
ritrovai a sparare a tutti e a nessuno, stando solo attento a non
colpire i
miei compagni. La stanza si trasformò in un vero inferno,
non credo di aver mai
visto tanto sangue in vita mia, e i colpi sparati a pochi centimetri
dalle mie
orecchie mi assordavano, perciò persi la poca cognizione
della realtà che mi
era rimasta. Alla fine si scaricò il caricatore della mia
Browning, e solo in
quell’istante realizzai che cosa era successo, di cosa ero stato complice. Gettai la
pistola per terra e mi guardai
intorno, ma non c’era nessun silenzio, nessun attimo di
riflessione, niente. Fuori
dalla porta sentivamo urla e colpi sulle pareti, e prima che qualcuno
riuscisse
ad entrare ci dirigemmo tutti e sette verso la finestra. Io e Enrico
rimanemmo
per ultimi.
“Si voltò
verso di me, il volto trasfigurato dalla rabbia. ‘Prendi
la pistola, cazzo! Ci sono le tue impronte!’
“Mi voltai con una
lentezza che lo disarmò, tanto che mi
diede una spinta per esortarmi. Gli altri si erano già
calati giù dal balcone –
per fortuna eravamo solo al secondo piano – e quando tornai
dentro la camera
l’unica cosa che c’era erano i cadaveri di tre
persone sul pavimento. La mia
pistola era accanto alla mano aperta di uno di questi, e dovetti
reprimere un
conato improvviso per riuscire ad avvicinarmi, afferrarla e correre
nuovamente
verso la porta a vetri dove Enrico mi stava ancora aspettando.
“Mentre scavalcavo il
davanzale, sentii la porta
dell’appartamento cedere sotto i colpi insistenti di coloro
che erano accorsi
già dai primi spari, e le urla dei primi che videro i
cadaveri. Poi mi lanciai
nel vuoto, e poi... Più niente.
“Mi risvegliai in
macchina, madido di sudore e coperto di
sangue, circondato dagli altri ragazzi. Erano tutti parecchio scossi,
ma credo
che nessuno lo fosse più di me. Di che cosa ci eravamo fatti
complici? Ma
l’unico pensiero coerente che la mia mente riusciva a
produrre era questo: se continuo a stare con
loro, a
frequentarli, a quante altre occasioni simili dovrò
assistere?
“Fortunatamente, dal
giorno dopo in poi, per quasi un mese,
ebbi la scusa degli esami che mi tenne occupato per tutto il tempo:
studiavo
come un forsennato mattina e sera per cercare di non pensare a quella
notte, a
quei corpi, e riuscii a strappare un novanta alla maturità.
Ma nel mentre avevo
anche pensato a lungo a cosa fare. Non sarei più rimasto con
Enrico e i suoi.
Basta. Non volevo più averci nulla a che fare, avevo deciso.
Rimaneva solo una
cosa da fare, e cioè dirlo ad Enrico.
“Come potete
immaginare, lui non la prese molto bene. Dire
che era incazzato è solo un gentile eufemismo. Tuttavia mi
lasciò andare,
facendomi però giurare di non dire mai a nessuno le cose che
avevo visto e
sentito. O meglio, minacciandomi che, se mai qualcuno ne fosse venuto a
conoscenza, se la sarebbe presa con la mia famiglia. Mia madre era
incinta, e
Anastasia era piccola, e lui lo sapeva. La posta in gioco era troppo
alta,
perciò non dissi mai niente.
“Voi siete le prime a
cui lo racconto, dopo sei anni.”
E con questo, si concluse il
racconto di Riccardo.
Non ci fu nessun applauso, nessun
pianto, nessuna obiezione,
come spesso accade nei film.
Solo silenzio.
E paura, tanta.
La mia.
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Note dell'Autrice:
E così, eccomi tornata. Dopo quasi tre mesi di assenza - di cui vi chiedo umilmente perdono, davvero, ma purtroppo, tra impegni vari e poca ispirazione, non ho potuto fare altrimenti - la mia mente - a questo punto potete tranquillamente dire "malata"! - ha partorito il 12 capitolo.
E che parto, oserei dire. L'ultima parte è stata scritta d'un fiato, la pubblico senza nemmeno osare rileggerla perchè ho paura di cancellarla del tutto, ma mi ci è voluto molto per trovare una "degna" conclusione al racconto di Riccardo, volevo qualcosa che colpisse i lettori e che colpisse la mia protagonista, ovviamente. La sua storia, come già forse si era intuito, non è una storia facile, ma a me del resto le storie che filano lisce come l'olio non sono mai piaciute. L'unica cosa che temo è di aver calcato un pò la mano, di avere esagerato, insomma. Ma questo potrete dirmelo solo voi! =)
Spero di aver reso l'idea, comunque. Enrico non stava uscendo molto bene nei precedenti capitoli, spero invece di essere riuscita a trasmettergli un pò dell'oscurità e della... mmh... magari malvagità è una parola troppo forte, però ecco, io me l'ero immaginato con l'animo molto più nero di come invece l'ho dipinto finora!
Bene, con questo concludo. Mi farà piacere trovare nuove recensioni, mi spingono ad andare avanti e mi dimostrano che, forse, questa storia non è un completo disastro. Inizio a scusarmi sin da ora se gli aggiornamenti non saranno molto puntuali (quest'anno ho la maturità e ho poco tempo a disposizione...)
Un bacio a tutte quante, non mi stancherò mai di ringraziare chi recensisce, chi legge senza recensire, chi mi ha aggiunta tra le preferite e le seguite... Insomma, Grazie Mille! =)
Al prossimo capitolo =*