Sono sincera: ho a lungo pensato di aspettare ancora molto a pubblicare, perché le letture sono molto calate e non solo quelle. Ho pensato di dare più tempo a chi mi ha sempre seguita, ma è solo una stupida ff, questa, mica c'è una regola di pubblicazione, lettura ecc. Quindi ho detto, vabbè.
Questo capitolo è stato non semplice da scrivere per me, perché rappresentava un primo step verso le chiarificazioni e gli scontri che verranno. Spero che vi piaccia.
Cmq ho visto New Moon...
Ho una serie di osservazioni a riguardo, ma non mi sembra la giusta sede per farle, vi dico solo questo: per chi segue Proibito e NON è contro la coppia Bella-Carlisle... beh... quella scena tra lei e lui, che le mette i punti al braccio, mi ha lasciata con la boccuccia così: :-OOOOO Sarà che Carlisle, in questo film, fa qualcosina di più attivo, sarà che il personaggio ha un 'non so che' che non avevo percepito dal primo film, che lo rende in quella sequenza molto misterioso, quasi un essere diverso e superiore ai vampiri che scappano, sarà che mi ha per un istante dato quasi l'impressione di un -concedetemi la licenza esagerata- viscidone... beh, mi hanno fatto iniziare bene il film!
Peccato fosse leeeento, però... Le parole finali che dice ad Edward e che onestamente non ricordavo, visto l'ultimo capitolo che io ho pubblicato e la lettera... mi hanno lasciata altrettanto così! :-OOOOOOOOO
Beh, vi lascio alla lettura.
Non dimenticate di leggere e commentare lo spoiler sul BLOG !!!
PROIBITO
103 - Frammenti di luce - Alice
Di nuovo in
trappola. Di nuovo sotto gli occhi giudici di chi
comandava la mia vita da troppo tempo. Di nuovo nel raggio di azione di
Alec.
Di nuovo esposta alle sue violenze.
Di nuovo a
Volterra.
Il mio potere,
negli anni e per la paura, evidentemente
si era affievolito, perché nulla era andato
come avevo previsto. Non appena avevo messo piede in Italia,
all’aeroporto,
avevo ricevuto la chiamata di Silvia che, agitata come mai l’avevo
sentita,
aveva farfugliato qualcosa che avevo dedotto significare che il loro
piano non
era andato bene.
Mi ero sentita
ghiacciare ulteriormente il sangue nelle vene:
cosa era successo per portare lei a balbettare e, la potevo udire in
sottofondo, l’altra piccina a singhiozzare? Dove avevo sbagliato?
Poco dopo,
invece, un sms aveva riacceso una fiammella di
speranza nel mio petto:
merce
consegnata e stoccata
Voleva dire che
Marcus aveva trovato e messo al sicuro
Esme... almeno qualcosa –per il momento- stava andando per il verso
giusto.
Mi affrettai a
riprendere le mie cose dalla casa di Marcus,
quando, sbucando da dietro una siepe, quel maledetto di Alec mi fermò,
inchiodandomi sul posto.
-Finalmente sei
tornata...-, ghignò, venendomi incontro e
tendendo una mano fino a sfiorare il mio volto. Chiusi gli occhi, più
per il
disgusto che per la paura di uno schiaffo o di violenze di altro tipo,
invece
mi sentii spostata verso di lui, dal suo abbraccio irruento e le sue
labbra si
posarono morbide sulle mie, in un bacio casto e rovente. Forse l’unico
che
odorasse di un qualche sentimento tra tutti quelli che Alec si era
preso.
-Mi hai fatto
star male-, sussurrò stringendomi a sé,
tremando appena ed io, che avrei voluto approfittarne e strozzarlo con
le mie
mani, rimasi immobile come una bambola tra le sue braccia. Quando si
staccò e
mi guardò in viso, fu come assistere ad una trasformazione degna di un
attore
navigato. Le sue mani ferme sulle mie si strinsero presto in una morsa,
lo
sguardo si fece cattivo, le sopracciglia si unirono solcando una
profonda ruga
sulla sua fronte liscia; i lineamenti di indurirono e la sua bocca fu
pronta a
vomitarmi addosso tutto l’odio accumulato.
La prima cosa
che sentii fu che mi chiamava puttana;
solo dopo mi accorsi che mi aveva percosso con violenza il viso,
facendomi
cadere a terra.
-Cosa vuoi,
Alec?-, lo sfidai, rialzandomi e guardandolo
dritto negli occhi.
-Dove sei stata,
puttana? Tu mi hai ingannato...-,
risi della sua affermazione rabbiosa: pareva un cucciolo di mastino,
ancora
troppo piccolo per fare paura, eppure già noioso nel suo abbaiare
insulso.
-Dove sono stata
io? Tu, piuttosto, dove sei finito?
Ti ho cercato per tutto il centro della città, tu e la tua stupida
auto! E
poi... cos’è questo odore che hai addosso? Sei andato con un’altra, eh?
Confessa!-, dovevo passare all’attacco o mi avrebbe smascherata.
-Non tentare di
cambiare discorso! Dove sei andata? Tu con
chi sei stata?-, di nuovo mi strattonò e lo fece di
nuovo, quando risposi,
come da accordi, che ero stata a
casa di Marcus.
-Lui non c’era,
io sono entrato nella sua casa: neanche tu
c’eri. C’erano solo questi abiti che hai in mano e che portano il tuo
odore-,
si avvicinò minacciosamente, sovrastandomi e costringendomi ad alzare
lo
sguardo, per vedere i suoi occhi fiammeggianti. Allungò la mano e mi
strinse il
collo, tirandomi verso di lui, affondando il naso sulla mia pelle,
inspirando
profondamente. Poi mi leccò, tenendomi ferma con le unghie confitte
sulla gola.
-Vattene via,
Alec!-, tuonai divincolandomi da lui, ma fu
inutile.
-Tu sei mia! Sei
stata data a me! Te lo chiedo per l’ultima
volta: dove sei stata?-, mi scosse ancora facendomi cadere gli abiti
per terra
e gli puntai un dito sul petto: mi stavo davvero arrabbiando e quel
moccioso mi
stava solo facendo perdere tempo. Dovevo andare da mamma...
-Dove sono
stata, piccolo misero ragazzino? Sei sicuro di
volerlo sapere? Sono stata da un altro! Con un
altro! Un altro che non
sei tu, perché con te è noioso, con te è puerile, di te non ne posso
più! Tu
sei stato utile solo a stuzzicarmi, per il resto sei un fallito, come
uomo,
come maschio...!-, stavolta lo schiaffo fu atteso e
non si fece
aspettare.
-Tu menti...-,
sussurrò, iniziando a tremare.
-Ti incazzi? Oh
poverino... Sei proprio come Edward
quando mi sono messa con te: siete uguali. Incapaci di accettare che ci
possa
essere di meglio di voi!-
Senza essermene
accorta, forse imitando le sue azioni, mi ero
messa in posizione di difesa, come se avessimo dovuto affrontarci
combattendo.
-Tu sei mia...-,
era più un lamento, che una minaccia, ma
Alec accompagnò le parole con un balzo e mi fu presto alla gola: avrei
dovuto
allenarmi, imparare di nuovo a combattere, in vista della battaglia che
ci
sarebbe stata.
-Lasciami...-,
mugolai, ma una sua mano era tornata alla mia
gola, mentre l’altra, famelica e ossessiva, cercava un varco nel mio
cappotto,
per insinuarsi fino alla mia pelle, riprendere possesso del mio corpo e
della
mia anima.
-Dico la verità:
sono stata con un altro-, sibilai con voce
strozzata ed ottenni che lui mi lasciasse libera, fissandomi sconvolto
e
disgustato. Decisi di cavalcare l’onda.
-L’hai sentito
anche tu il suo odore su di me, no?-, per
fortuna ero stata abbastanza abbracciata a Carlisle, a Parigi ed il
profumo di
un vampiro è persistente, restava attaccato ai vestiti, come se noi
tutti
marcassimo il territorio, come gatti; -Sono stufa di te, del sesso con
un
ragazzino inesperto e imbranato come te! Io voglio di più e tu non
crescerai
mai per potermelo dare!-, stavo osando davvero tanto, stavo
mettendo in
mezzo l’inesperienza e la giovane età di Alec, ma solo facendolo
disgustare
avrei potuto liberarmene, oppure...
In un istante,
con un salto veloce, fu di nuovo su di me e mi
schiacciò per terra lunga distesa, sotto al suo peso, ai suoi occhi
insanguinati, alla sua bocca affilata, alle mani. Era ridicolo il suo
tentativo
di ferirmi e avermi, tutto in una volta sola: tentava di baciarmi e
mordermi,
di intrappolarmi, eppure di togliere i miei pesanti vestiti, di farmi
capire
quanto fosse ‘maschio’ e al tempo stesso quanto
fosse spaventato.
Un fruscio poco
distante da noi, che Alec non udì, preso
com’era dall’ultimo scempio che avrebbe voluto intraprendere sul mio
corpo, mi
dette l’appiglio per cercare di salvarmi e riemergere dal mare di puro
odio
possessivo.
-Aiuto!-, provai
a gridare, ma il potere strisciante di Alec
stava iniziando a fare effetto su di me, togliendomi la coscienza della
mia
condizione, una volta ancora. Volevo urlare e invece, lentamente,
sprofondavo
nell’oblio.
Poi, d’un
tratto, tornai a vedere e sentire. Pensavo che
Edward, o Marcus... qualcuno fosse venuto a togliermi d’impiccio: non
mi
aspettavo l’intera armata dei Rossi pronta a difendermi.
Demetri, Felix
furono in un istante su Alec, che perse il
controllo sul suo potere e non fu in grado di usarlo ancora su di loro;
vidi
che veniva sollevato di peso e addossato al muro della casa di Marcus.
I due
Rossi lo tennero fermo, mentre lui si divincolava e urlava che gliela
avrebbe
fatta pagare. Osservai la scena da poco lontano, abbracciata ad Edward,
che era
insieme a loro.
-Come stai?-, mi
domandò stringendomi a sé, lasciando un
piccolo bacio sul miei capelli sporchi di terra e foglie secche, -E
soprattutto... dov’eri finita? Ti ho cercato per tutta la notte...-,
era anche
lui ignaro della mia fuga a Parigi.
Lo guardai negli
occhi e gli permisi di leggere nel mio
pensiero: gli mostrai la Torre Eiffel, Parigi, il sorriso felice di un
uomo che
conosceva bene, il suo sguardo angosciato. Lo vidi accigliarsi e
abbassare lo
sguardo.
-Lui... sta
bene?-, chiese in un sussurro, senza guardarmi,
stringendo i pugni.
Ci pensai un po’
su: lo avevo trovato che sembrava radioso,
poi lo avevo trascinato a fondo con me, condividendo il futuro che lo
avrebbe
aspettato, sconvolgendolo: stava dunque bene nostro
padre?
Lui aveva
Bella...
-Sì, credo che
stia bene...-, risposi e mi staccai da lui,
prima che chiedesse altri dettagli tra Carlisle e Bella.
Intanto Demetri
e Felix avevano colpito pesantemente Alec e
lo avevano fatto tacere.
-Che dobbiamo
farci?-, domandò il più rozzo tra i due,
guardandomi.
Chiusi gli
occhi, per un attimo e, come ogni volta, rividi il
corpo esile e scattante di Alec infierire sul mio, costringendomi ad
appagarlo,
a toccarlo. Sentii i suoi ansimi riecheggiare nella mia testa, dove
avrebbero
vissuto come fantasmi per sempre. Anche quando fosse tornato Jasper,
anche
quando avessi ripreso la mia vita felice, Alec avrebbe varcato la porta
della
mia coscienza e si sarebbe presentato a chiedere il conto, riaprendo la
ferita
profonda che mi aveva inferto.
-Rendetelo
innocuo.. impeditegli di usare il suo potere. Per
sempre-, girai sui tacchi e, mentre Edward si univa al pestaggio, mi
allontanai, finché le grida di Alec non furono solo un incubo lontano.
Mia madre mi
aspettava...
***
Non potevo
ancora crederci: le mie visioni non mi avevano
mostrato quel momento, non avevo avuto anticipazioni dell’attimo in cui
avrei
rivisto Esme, così, quando avvenne, fu inatteso e perfetto.
Marcus mi fece
entrare rapidamente nella cella dove avevo
indicato che Esme fosse tenuta ma io, lì per lì, non la vidi neanche,
dal
momento che si era nascosta dietro le spalle del vampiro: per un attimo
l’atmorsfera elettrica che c’era nella cella mi fece temere che
qualcosa fosse
andato storto anche per Esme. Fugando i miei dubbi, un istante dopo lei
fece
capolino, timida e spaventata da dietro Marcus ed entrambe rimanemmo ad
osservarci, immobili, mentre lui, molto discretamente si allontanò da
noi ed uscì.
Esme aveva il
volto stanco, per quanto possano essere stanchi
i vampiri e qualcosa la turbava, ma era bellissima, come l’ultima volta
che
l’avevo vista, forse ancora di più di come la ricordavo, bellissima e
fiera. I
suoi occhi erano un po’ opachi, ma baluginavano di una forza che non vi
avevo
mai scorto in passato, come animati dal fuoco della disperazione,
oppure da una
grande passione; le sue braccia erano abbandonate lungo il corpo e,
laddove le
maniche del golf sollevate permettevano di guardare, presentavano segni
di
morsi, qua e là, che dieci anni prima non aveva. I suoi capelli non
erano
pettinati con cura, ma lasciati lungo le spalle, selvaggiamente: era
magneticamente bella.
Non so per
quanto tempo rimanemmo a guardarci, senza parlare,
prima che arrivasse il momento dell’abbraccio. Quando mi strinsi a lei
mi parve
per un attimo di scomparire da quel mondo di dolore e di tornare
all’attimo in
cui, per la prima volta, ci eravamo realmente sentite madre e figlia,
qualche
tempo dopo l’arrivo mio e di Jasper a casa Cullen.
Avrei tanto
desiderato tornare indietro, abbracciare la mamma
e papà stretti stretti e dopo ridere e scherzare con loro, nella nostra
casa,
correndo insieme nel bosco, senza preoccupazioni, senza dolore...
-Bambina mia-,
Esme sussurrò piano al mio orecchio,
affondando il viso sulla mia spalla, mentre io mi inebriavo del suo
profumo di
fresia e vaniglia, immutato negli anni. Era come tornare a dieci, venti
anni
prima.
Come se tutto il
mio dolore si fosse cancellato in un
istante: puf!
Evaporato e
rimpiazzato solo dal dolce profumo di mia madre,
dalla sua pelle morbida, dagli occhi luminosi che mi catturavano e mi
trascinavano in volo in un mondo fatto solo di affetto, di calore. Poco
importava se eravamo vampiri! Io alla mia dolce mamma volevo bene come
se mi
avesse partorita lei stessa, come se fossimo state una cosa sola per
nove mesi,
come se mi avesse donato la vita.
Ma Esme mi aveva
davvero donato la vita, una seconda volta:
lei e Jasper lo avevano fatto, perché mi avevano ricoperta d’amore e
l’amore...
-Mamma...-,
sussurrai stringendomi al suo petto, lasciando
che mi carezzasse i capelli, che respirasse la mia stessa aria, che
sentisse
come tremavo, proprio come lei.
In due giorni
avevo riabbracciato mio padre e mia madre e allora
più che mai il desiderio di riportare la pace nella nostra famiglia
aveva
fiammeggiato, bruciando nel mio petto inaridito dal dolore.
-Cos’hai
fatto?-, mi domandò Esme, quando notò i segni delle
mani di Alec sul mio collo, il bordo del cappotto leggermente sdrucito,
una
calza smagliata.
Non avevo il
coraggio di risponderle, non ancora...
Abbassai gli occhi, sperando che cambiasse discorso ed Esme, che sapeva
sempre
quale fosse la cosa più giusta da fare, mi accontentò.
Mi parlò di lei,
di come era stata acciuffata da Marcus e
Felix e di come avesse creduto di essere giunta alla fine della sua
avventura.
Non fece parola di quel che si era detta con i due vampiri, né mi
spiegò il
motivo per cui si era nascosta dietro Marcus, al mio ingresso. Di
cosa aveva
paura... di me?
Riuscii sono a
dedurre che qualcosa di cui non voleva parlare
l’aveva profondamente turbata.
Rimasi in
silenzio incantata dai i suoi movimenti,
osservando come usava le mani per
parlare, come a volte le teneva ferme in grembo e le torturava,
pentendosi di
qualcosa che non era andato nel verso giusto, la chiamai ancora ‘mamma’
e la
vidi sorridere, notai che portava spesso le mani al cuore e ve le
teneva
premute, come se avesse dovuto sopperire ad un profondo vuoto, come se
ci fosse
stato un buco da cui avrebbe potuto uscure l’ultimo alito di speranza
che
stentava a brillare sul suo viso.
Mi raccontò di
come Rosalie fosse cambiata in meglio e mi
domandò se già lo avessi visto nelle mie visioni; per un attimo la vidi
guizzare animata da un’idea, ma non domandò nulla: forse voleva che
guardassi
per lei cosa sarebbe accaduto a Rose, o a Carlisle...
Rimanemmo a
parlare per ore di Rosalie ed Emmett, di come
entrambe fossimo cambiate in dieci anni e di quel che era successo
allora.
Le dissi che
avevo fatto le extesions ai capelli e le mostrai
una foto che tenevo nella mia borsetta, assieme ad Edward: sorridevamo,
eravamo
felici. Eravamo succubi del potere di Chelsea, succubi della volontà di
Aro.
Esme rimirò tra le sue mani la foto, indugiò ad osservare il volto di
Edward,
non riuscì a trattenersi dalo sfiorarlo, poi prese un po’ d’aria e mi
restituì
la foto, senza domandare niente.
-Sei più bella
così-, disse solo e mi spettinò i mozziconi di
capelli neri che ormai erano la mia caratteristica.
Dopo vide
spuntare dalla manica del mio abito il piccolo
stemma di famiglia, che non portavo più al collo, ma che non avevo mai
voluto
togliere e lo studiò con cura, prendendo la mia mano tra le sue, in
silenzio.
Mi guardò negli
occhi, mortificata e vinta e riprese a
parlare, di lei, dei dieci anni passati lontani da noi.
Mi confessò
quanto si fosse sentita in colpa per essersene
andata da casa, per aver dato il via ad una punizione che non aveva
senso di
esistere, per non aver mai provato a venire a Volterra, da me, a
riprendermi.
Si sentiva distrutta dal grande errore di cui si era macchiata,
abbandonando la
sua casa e portando ‘i suoi ragazzi’ allo sbando. Le feci una carezza e
l’ascoltai, perdendomi nella sua voce di fata, morbida e affettuosa,
nei suoi occhi
che brillavano di gioia e tremavano di tristezza. Né lei, né io avevamo
ancora
parlato di Jasper o Edward oppure Carlisle: avevamo evitato di
pronunciare
persino i loro nomi, come se la verità che li riguardava bruciasse come
acido
sul cuore.
Ma era
inevitabile: dovevamo farlo, volevamo entrambe
farlo, perché la nostra famiglia era tale solo con loro. Eravamo sette
pezzi di
un puzzle che era stato smontato e buttato in aria. Lei ed io eravamo
solo due
angoli, Rose ed Emmett gli altri due: il nostro cuore era costituito da
Edward,
Jasper e Carlisle.
E Bella...
Avremmo vissuto
orfani dell’amore di uno di loro? Ci saremmo
mai incontrati ancora? Avrei riabbracciato Jasper ed Esme si sarebbe
mai
chiarita con Carlisle?
E Bella?
Cosa ne sarebbe
stato di Bella? Perché non riuscivo più a
vederla nelle mie previsioni?
-Parlami di
Jasper-, le domandai candidamente ad un certo
punto, quando il pensiero del mio adorato era tornato prepotentemente a
bucare
la mia coscienza e una fugace visione del suo viso triste eppure
raggiante mi
aveva sfiorata, illuminandomi. Allora, crollato il tabù, Esme mi
raccontò di
quanto lui avesse sofferto senza di me, di quanto si fosse distrutto la
vita
cercandomi nell’ombra di mille altre persone, dimille altre donne, di
quanto
gli mancassi, da fargli male, da spezzare perfino un vampiro come lui.
Mi disse
che volontariamente si era sempre spostato nel mondo, prendendo
decisioni certe
solo all’ultimo momento, per impedirmi di localizzarli, prevederli,
perché il
suo scopo era sempre stato liberarmi da Volterra.
Mi disse che mi
amava.
Era come se Esme
mi avesse rivolto, al posto suo, una muta
preghiera di perdonarlo. Con le sue parole e i modi accorati con cui
descriveva
le sofferenze patite dal mio amore, pur rimanendo nella sensibilità che
la
contraddistingueva, mi urlava ‘Perdonalo, Alice!’
-Jasper ti ama
profondamente-, mi disse ed io annuii, in
silenzio, senza riuscire a dire una parola di più. Mi fece una carezza,
carica
di significati impliciti e dopo mi tenne stretta a sé. Era una delle
sensazioni
più belle e dolci che mi non provavo ormai, da anni.
Rimanemmo
immobili così, fin quando Esme prese le mie mani
tra le sue, mi guardò negli occhi e parlò con il cuore in mano.
-Lui ha
sbagliato, bambina mia, ma tu... devi perdonarlo, non
devi chiuderti nell’ira, devi capire che l’ha fatto per disperazione e,
in un
modo tutto suo, l’ha fatto per te... non perderti nell’odio, non
rifiutarlo... Non
fare come me...-, mi abbracciò di nuovo stretta, in una muta
pretesa che
ricambiassi il suo gesto, perché era lei che aveva bisogno di me, in
quelmomento: era di lei che stava parlando, lei che sentiva di aver
sbagliato
tutto, lei che si pentiva e lei che non sapeva come chiedere perdono ed
io non
potevo confortarla. Chiedeva di perdonare Jasper, ma voleva essere
perdonata
anche lei, dal suo amore.
Fu per quello
che non ebbi il coraggio di dirle nulla, che
preferii smascherare il mostro che giaceva in me e raccontarle dei miei
errori,
per non farle capire quanto ai suoi fosse troppo tardi per rimediare.
-Anch’io ho
sbagliato, mamma... ho fatto una cosa...
Jasper non capirà, non accetterà mai le mie scuse...-, presi le sue
mani tra le
mie e la fissai in viso, con sguardo mortificato e colpevole. Esme
cercò una
risposta nei miei occhi, rimase immobile a guardarmi, poi si aprì in un
dolce
sorriso e mi carezzò la testa.
-Lo so, amore
mio, ma so anche che non puoi chiamarlo errore.
L’ho sempre saputo che lui era l’alternativa
ma so anche che quel
che vi lega è puro affetto, che forse avete scambiato per qualcosa di
diverso.
Tu ed Edward siete due anime che danzano insieme, da sempre, siete due
persone
dal cuore grande e dai poteri complementari, vi siete sempre cercati,
studiati,
avete sempre tratto piacere dalla reciproca vicinanza. Eravate
inseparabili, nonostante
Jasper, nonostante... nonostante tutto. Non siete fratelli, ma è
davvero come
se foste stati generati dalla stessa madre: siete sempre stati in
simbiosi,
come due gemelli... Forse... forse avete sperato che l’affetto
reciproco
potesse essere sufficiente a coprire i buchi lasciati dalle vostre
perdite.
Siamo vampiri, è nella nostra natura cercare un contatto fisico,
cercare la
trasgressione, l’appagamento dei sensi. Io... vi capisco bene...-,
abbassò gli
occhi, -Devi solo pensare che questo l’ha reso almeno un po’ felice-,
un’altra
carezza, un’altra remissione dei miei peccati. O forse anche
dei suoi?
Ma io non volevo
essere perdonata, io chiedevo solo di
espiare le colpe della mia vita...
-E lui... come
sta?-, mi domandò dopo qualche attimo, trepidante.
Era dura dirle esattamente la verità, ma Esme non solo meritava di
sapere come
stesse Eddie, ma forse era anche l’unica che avrebbe potuto porvi
rimedio.
~
In realtà mi
sbagliavo e lo avrei capito solo tempo dopo, in
una visione che mi lasciò senza parole e fece finalmente risplendere un
bel
sole su tutta la nostra esistenza.
~
-Edward non sta
bene, mamma-, dovetti risponderle, contrita e
sconfortata, -Eddie... lui si sente abbandonato da tutti, anche da me.
Da
quando io...-, non potevo rimandare oltre, dovevo parlarle di Alec.
Non mi accorsi
che stavo tremando fino a qunado Esme non mi
stinse al suo petto, carezzandomi la schiena, come se mi stesse
cullando.
-Io sto con un
altro, ora-, sussurrai e la guardai con occhi
enormi e putativamente lucidi. Esme aggrottò le sopracciglia e si
scostò appena
da me, senza capire.
Mi alzai,
incapace di sostenere ancora il suo sguardo
smarrito e avanzai fino al piccolo armadio che avevamo inventato in
quella
stanza, fingendo di interessarmi ai vestiti che conteneva.
Questo maglione
non l’ho messo io qua dentro...
-Che vuol dire,
Ali?-, domandò la mamma, alzandosi e venendo
verso di me; nella sua voce un sottile filo di paura.
-Si chiama Alec.
Sto con lui adesso... almeno credo-,
aggiunsi borbottando e ripensando al pestaggio che avevo autorizzato,
scatenandogli contro i miei amici. Di nuovo la guardai, eravamo
entrambe
spaventate, lei era davvero confusa. Scosse la testa, come per capire,
fissò il
pavimento, poi rialzò lo sguardo e mi fissò, sorridendo dolcemente.
-Hai sofferto
tanto piccola mia... so che ami Jasper, so che
provi un profondo affetto per Edward, ma se... Alec...
può renderti
felice, io credo che entrambi capir...-
-No! Ma non
capisci?-, le urlai contro, agitando le mani e
lasciandomi poi cadere in un angolino della stanza. E come avrebbe
potuto
capire? Gliel’avevo messa in termini incomprensibili...
Esme mi
raggiunse e si sedette accanto a me, posando una mano
sulla mia spalla.
-Non è quello
che vuoi, vero piccola?-, mi domandò ed io
annuii in silenzio.
-Tu non provi
nulla per questo Alec, non è così? Perché l’hai
fatto, allora... chi è e cosa vuole da te?-, mi vergognavo troppo,
bruciava
troppo raccontare alla persona che consideravo come una madre cosa
avevo
accettato di fare.
-Io... non ce la
faccio, perdonami-, le dissi alzandomi e
battendo alla porta, una volta. Prontamente risposero tre colpi ed
aprii a
Marcus.
-Tu eri... lì?-,
gli domandò Esme, chiudendosi appena nelle
spalle.
-Sì, ero lì e ho
sentito lo strillo che ha fatto! Ali, sei
matta?-, Marcus si avvicinò a me e mi guardò, con finto rimprovero. Mi
avvicinai a lui, non lo avevo mai ringraziato abbastanza per quello che
aveva
fatto e stava facendo con me, lo abbracciai ritrovando un calore che mi
mancava. –Le ho detto di Alec... ma è così difficile...-, sussurrai al
suo
orecchio.
Marcus mi
sorrise e mi promise che avrebbe parlato lui a mia
madre, quando me ne fossi andata e non avessi dovuto guardarla negli
occhi.
-Avete bisogno
di qualcosa, signore?-, ci domandò poco dopo
ed entrambe gli sorridemmo, scuotendo la testa. Lui ricambiò il
sorriso,
abbozzò un inchino ed uscì.
-Perché l’hai
chiamato?-, chiese Esme, un po’ confusa.
-Non lo so...-,
risposi, e presto una visione breve e sfocata
apparve ai miei occhi, talmente rapida che lei non si rese neanche
conto del
mio smarrimento.
Però vide il mio
sorriso...
-Che è successo?
Alice... perché sorridi?-, la abbracciai
senza risponderle, fiduciosa per quello che avevo visto e mi preparai a
parlarle ancora di Edward.
-Eddie si sente
abbandonato, ma ha trovato in sé una forza
che non sapeva di avere, ha iniziato a riunire un piccolo esercito e
intende
usare tutte le sue forze per abbattere il dominio di Aro-
La
preoccupazione che le mie parole suscitarono in lei
istintivamente fu subito sostituita da altre domande accorate, curiose
e
dolcissime.
Esme era nata
per fare la madre, non avevo dubbi.
-Si nutre, non è
vero? Non è che si è chiuso ancora nella
depressione, come dieci anni fa? L’hai tenuto d’occhio, Alice? Lui se
non
mangia e se si fissa su pensieri brutti deperisce, povero amore mio...-
Come dieci anni
fa... Adesso è peggio, mamma...
Ed infine,
quando l’abbracciai una volta ancora, per
tranquillizzarla, la vidi inspirare l’aria dai miei capelli.
-Tu profumi di lui-,
disse in un soffio, con gli occhi chiusi e il sorriso sulle labbra. Poi
scosse
la testa, rapidamente, come a scacciare un’idea assurda.
La guardai,
interrogativa, anche se avevo capito tutto…
-Lascia perdere,
Alice, la
tua mamma è del tutto pazza!-, esclamò e si sedette sul
letto,
vergognandosi un po’ per quel che aveva pensato. Non volevo più che
soffrisse
nell’incertezza, che si aggrappasse ad una speranza vana. Non meritava
anche di
illudersi.
-Tu non sei
pazza, Esme: l’ho incontrato davvero e ho il suo
profumo addosso perché mi ha abbracciata, proprio come hai fatto tu-,
mi
avvicinai a lei, che era rimasta impietrita, con la schiena curva,
immobile e
spaventata sul letto.
Erano passate
molte ore, molte mani mi avevano toccata e
molti odori si erano mischiati al mio: Edward, Marcus, Alec, l’odore
dell’aereo, quello del taxi, l’aeroporto... eppure Esme aveva
riconosciuto
quello di Carlisle, tra tutti ed io non potevo far altro che spezzarle
il
cuore.
-Come...
come...-, balbettò, senza riuscire a formulare la
domanda che le premeva. Se avesse avuto un cuore pulsante, le sarebbe
scoppiato
fuori dal petto.
-Sono andata a
Parigi, lui adesso vive là. Sono fuggita da
Volterra per andare a parlargli, perché lui doveva sapere che stavamo
ancora
tutti bene e per implorarlo di non venire qua a combattere...-, Esme
non
respirava più, forse per mantenere dentro di sé il profumo dell’uomo
che amava,
forse per il terrore di sapere qualcosa che avrebbe spezzato la sua
ultima
speranza, uccidendola.
Puntò i suoi
occhi spalancati su di me, le pupille dilatate
dalle emozioni che ribollivano in lei mi guardavano mute e cupe.
-Perché non deve
venire a Volterra...?-, domandò tremante,
con un filo di voce.
-Perché se
verrà, morrà-, le dissi chiaramente e la vidi
chiudere gli occhi. Se avesse potuto, una lacrima sarebbe scappata alle
sue
ciglia ed il suo cuore avrebbe frenato di colpo, ne ero certa.
Si aggrappò a
me, distrutta ed immobile. Voleva chiedere
tante cose, ma aveva paura, tanta paura di quel che le avrei potuto
dire.
-Gli hai detto
tutto? Lui lo sa che se verrà qua...-, ebbe la
forza di bisbigliare.
-Sì, gli ho
parlato, gli ho spiegato ogni cosa...-
-E lui...
cosa... come l’ha presa?-, mi chiese, allontanadosi
appena da me e guardandomi negli occhi.
Deglutii e feci
appello a tutte le mie forze per proseguire
in quell’argomento penoso.
-Era felice,
prima che gli parlassi; credo di averlo
spaventato, ma era felice-, la guardai intensamente, sperando che
potesse
leggere nei miei occhi muti tutte le parole che non sapevo dirle,
perché era
così difficile spezzare quella poca forza che le era rimasta. Esme mi
guardava
immobile, gli occhi piegati appena all’ingiù in apprensione eppure
sollevata.
Ripresi a parlarle, cercando la via meno dolorosa.
-Vedi, mamma...
Carlisle è... c’è una cosa che non ti ho detto
e quindi... Lui non è più la stessa persona che conoscevamo, è
cambiato. Ha
seguito altre strade e questo...-, mi torturavo le mani, incapace di
sferrare
il colpo che l’avrebbe piegata.
-L’importante è
che sia felice-, dichiarò, con voce ferma,
guardando dentro di me, -E che stia al sicuro, lontano da qua, anche se
io...-,
non resse all’emozione ed abbassò lo sguardo, fissandosi le mani
immobili in
grembo. Lo voleva rivedere, lo potevo capire benissimo, voleva
abbracciarlo una
volta ancora, chiedergli perdono...
-Mamma... è
meglio che lui resti dov’è, che non rischi la sua
vita per aiutare noi. Se vorremo, quando tutto sarà finito, lo potremo
andare a
trovare, penso, per salutarlo, per mostrargli che ce l’abbiamo fatta,
che ci
siamo di nuovo riuniti che...-
-Non tornerà mai
con noi, non è vero?-, chiese
interrompendomi e fissandomi con i suoi occhioni tristi.
Scossi la testa,
deglutendo: -Vedi, mamma... è che lui... È che Carlisle,
in questi anni...
lui...-, Dio se era difficile dirle la verità!
-Piccola mia, io
lo so-, mi sorrise amaramente e mi fece
un’altra carezza, -Lo so che lui adesso ha trovato un’altra ed è felice
con
lei... Lo so che l’ho perso-, oh povera mamma... non potevo credere che
lei...
-Ma come...
chi....? Mamma, come lo sai... cosa...?-, ero
schizzata a sedere ritta sulla schiena, impreparata a quella
rivelazione: il
mio potere era meno utile di una palla divetro sporca e crettata...
Esme inspirò,
lentamente, prima di rispondere, prese una mia
mano tra le sue e, stringendola forte, mi sorrise tristemente.
-Lo so-, non
aggiunse altro e lasciò che l’abbracciassi,
cercando di passarle tutto il mio affetto.
-Edward lo sa?-,
chiese dopo qualche minuto in cui eravamo
rimaste in silenzio, abbracciate, io ad inspirare il suo profumo, lei a
pensare
e pensare, carezzando i miei capelli corti.
Se Edward lo sa,
Esme? Se Edward lo sa?
-Alice, Edward
sa che forse suo padre non tornerà assieme a
voi?-
Alzai la testa,
spalancando gli occhi, incredula.
-Mi domandi se
Edward è al corrente che Carlisle non sarà più
suo padre?-, chiesi credendo di non aver capito bene.
Esme sichiuse
nelle spalle, un po’ imbarazzata per quella
ingenua domanda di madre che mi aveva fatta scattare a quella maniera.
-Lo sa-, le
risposi semplicemente e mi voltai, alzandomi dal
letto, confermando la sua impressione che l’argomento fosse delicato.
Passarono alcuni
pesanti, lunghissimi secondi, durante quali
ognuna delle due rimase in silenzio, chiusa nei propri problemi.
-Forse potrà
accettare la nuova compagna di Carlisle come una
madre e tornare a credere nella nos... vostra famiglia. Forse questa
vampira
saprà essere per tutti voi un esem...-
Mi gettai al suo
collo, abracciandola, mettendo le mani sulla
sua bocca, affinché non parlasse, non dicesse altro.
-Basta... Ti
prego, mamma... basta!-, la imploravo tremante,
spaventandola ancora di più, impedendole di capire che era tutta una
giostra di
sangue e dolore.
-Lo amerò per
sempre, non mi importa se sta con un’altra,
adesso. Io lo amerò per sempre e lui resterà il padre dei miei figli,
finché
vivrò-, mi prese per le spalle e mi fissò con forza: era forte, mia
madre,
forte e salda nella sua dignità.
Eppure lo sapevo
come si sentiva... sapevo quanto acesse male
sapere le sue mani sul corpo di un’altra,sapere che nonavrebbe più
baciato la
sua bocca, che era di un’altra, ormai, che un’altra l’avrebbe fatto
felice, lo
avrebbe toccato, lo avrebbe baciato, lo avrebbe fatto godere e avrebbe
riempito
ogni istante delle sue giornate.
Io sapevo quanto
facesse male.
-Siamo uguali,
piccola Alice-, sussurrò d’un tratto, dando
voce ai miei pensieri, -Ma tu hai il diritto di riprendertelo: Jasper
ti ama
ancora, Jasper è tuo-, mi sorrise.
-Vorrei tanto
vedere Edward... -, disse doo un po’, con voce
stanca e triste.
-Mamma, vedi...
sarebbe meglio che...-
-Non gli dirò
nulla: sono diventata brava a mentirgli e
tenere nascosti i miei segreti. Non gli dirò nulla di più di quello che
tu e
Marcus mi consiglierete di fare. Non potrei mai mettere in pericolo mio
figlio-, prese di nuovo la mia mano, mai sazia di quel contatto materno
che
avevo disimparato a desiderare, -Ma io voglio tanto vederlo...-, mi
implorò.
E mentre dalla
porta della cella chiara faceva di nuovo
capolino Marcus, sorridendoci e tenendo tra le mani un piccolo capriolo
dagli
occhi terrorizzati, prossimo alla sua fine, io baciai la mia mamma ed
uscii da
quella bolla di dolore, lasciandola sola con lui, sperando
che il mio
potere, in fondo, non fosse andato del tutto perduto...
Avrei parlato ad
Edward e l’avrei fatto andare da lei, perché
avrebbe fatto bene ad entrambi.
E infine avremmo
dovuto confessare ad Esme la vera identità
della nuova compagna di Carlisle...
Saltai giù dalla
balza adibita a piccolo oliveto ornamentale,
che nascondeva l’ingresso delle prigioni all’occhio umano e mi preparai
a
mettere ordine nella mia esistenza.
In quel momento
il cellulare che tenevo in tasca, quello
‘segreto’, squillò: era un messaggio di Jane.
The Boss & The First Lady hanno fatto
scintille.
Credo
sia
giunta l’ora che io faccia quell che devo con Ed.
Dammi
l’ok.
Aro e Sulpicia
avevano litigato! Il nostro piano stava
andando come previsto, il mio potere, almeno in quello, ci aveva visto
giusto!
Non avevo capito cosa Jane avrebbe dovuto fare su Edward, ma mi fidavo
di lei e
avevo letto in questo la buona riuscita del mio piano. Dovevo indicarle
dove
fosse mio fratello e... mi afflosciai come un palloncino che si
sgonfia: mio
fratello era a fare del male a suo fratello, dietro
mio ordine. Ane mi
voleva bene, capiva ogni mia sofferenza, ma avrebbe accettato anche
quello? Mi
si strinse il cuore per tutto il male di cui, quell giorno, mi ero resa
ambasciatrice.
Ed
è alla Watch
Tower:
si
stanno
occupando di Alec.
Jane,
perdonami...
***
Disclaimer: i personaggi e gli argomenti trattati appartengono totalmente a S. Meyer. La storia è di mia fantasia e non intende paragonarsi a quella concepita e pubblicata da S. Meyer.
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La
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Siete state per giorni sono 3.
Lentamente siete arrivate a 7.
A tutte voi, il mio più sentito grazie.
(PS: voi soccolo duro che recensite e mi fate tanto contenta, mi contattate su facebook e mi dite chi siete, per favore? Mi farebbe davvero piacere...)
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