Anime & Manga > Captain Tsubasa
Segui la storia  |       
Autore: OnlyHope    22/11/2009    11 recensioni
Per Sanae tutto iniziava davanti ad una fermata d'autobus, quello stesso giorno Tsubasa partiva per il viaggio che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. E mentre Sanae cercava la sua strada in Giappone, Tsubasa inseguiva con caparbietà il suo sogno in Brasile. Ma anche questa è la storia di un ragazzo che ama incondizionatamente una ragazza. Perché questa è la storia di Tsubasa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Don't Be Afraid to Fly ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 3

Come piace a me







Quella dello schermo è la sola luce che illumina la mia stanza.
Le mie dita scorrono sulla tastiera mentre nelle cuffie dell’Ipod suona una canzone brasiliana, che Pepe ha voluto ad ogni costo passarmi.
Scrivere di notte a Sanae mi permette di isolarmi, come se creassi una bolla sospesa nel tempo e nello spazio, dove scompare il presente ed io vivo solo dei miei sentimenti per lei.
Sentimenti che tento in qualche modo di gestire, ora che mi trovo in un altro continente, migliaia di chilometri distante da lei.
Nelle mail che le mando non faccio altro che parlare degli allenamenti e del mio impegno, non mi soffermo mai sulle difficoltà che incontro ogni giorno, sarebbe inutile farla preoccupare, aggiungerebbe solo altra sofferenza a uno stato che ne è già saturo.
Così mi faccio forza e mi sprono a essere ottimista, per lei ma anche per me, come ora che mi soffermo maggiormente a scriverle del mio primo amico qua in Brasile, perché so che ne sarà felice e sollevata, come mi sento io.
Ma quando esaurisco il resoconto delle mie giornate, sono tante altre le cose che vorrei continuare a scrivere.
Vorrei dirle che spesso mi sento solo e che mi manca la nostra vita in Giappone, gli amici e che vorrei abbracciarla.
Ma mi trattengo, perché dopo averla lasciata, non è giusto farle scontare anche questo peso, non mi posso permettere il lusso di fare di lei la mia confidente e per questo mi sto imponendo una linea di condotta.
Non mentire mai su come mi sento o su quello che mi succede, ma limitarsi a non dar troppo peso alle cose, perché questo è tutto ciò che posso fare per lei da quaggiù.
E tutto quello che sento, lo concentro alla fine, in un semplice “mi manchi” che racchiude il mio stato d’animo in una semplice verità.
Che dice tutto e allo stesso tempo poco, la via di mezzo che cercavo.
Anche ora che le mie dita digitano quelle due semplici parole spero tanto che quando Sanae le leggerà, potrà sentirsi come nel mio abbraccio, perché è quello che vorrei davvero ora.
Le mani si alzano dalla tastiera e si posano sotto il mento, a sorreggere la mia testa.
Rileggo la mail prima d’inviarla e quando alla fine sto per farlo, un tocco sulla mia spalla mi fa balzare il cuore in gola e saltare dalla sedia.
Sfilando le cuffie dalle orecchie mi volto e la mia visuale è completamente riempita dal viso di Roberto, ampiamente deformato da una risata, perché il mio mezzo infarto deve essere stata davvero una cosa divertente da vedere.
“Scusa non volevo spaventarti!” si giustifica cercando di riprendere contegno, io mi limito a scusarlo con un gesto della mano.
“Non la mandi più?” aggiunge poi indicando lo schermo, io solo ora prendo coscienza del fatto che la mia mail per Sanae è ancora in bella mostra davanti al suo naso e che, ancora peggio, non so da quanto tempo Roberto fosse alle mie spalle prima di farmi infartare.
Mi volto senza rispondere e veloce invio, rimanendo a fissare la piccola busta bianca e l’indicatore che scorre, tracciando la distanza Brasile - Giappone in una manciata di secondi.
Ruoto di nuovo sulla sedia e fisso Roberto che rimane impassibile nella stessa posizione a scrutarmi.
“Il ticchettio dei tasti, per questo sono entrato.”
“Ah! Scusa!”
“Niente.”
E non se ne va, ma continua a fissarmi, cosa che mi fa credere sempre più che abbia realmente sbirciato cosa scrivevo e a chi.
E per fortuna che c’è poca luce, perché sono sicuro che sto arrossendo come non mai.
“Magari non è proprio l’ora adatta, ma non pensi sia arrivato il momento di parlarmi di qualcosa o qualcuno in Giappone, che non sia strettamente collegato al calcio?” mi chiede infine, sorridendo bonariamente e sedendosi sul mio letto, ancora intatto.
Sposto lo sguardo di lato, mentre sento la temperatura del mio corpo alzarsi tanto da sentire all’improvviso la voglia di togliermi la felpa.
“Hai letto vero?” chiedo retoricamente, così, tanto per prendere tempo.
“Quanto basta, ma non l’ho fatto di proposito, mi è caduto l’occhio.”
Annuisco perché so che non si sarebbe mai messo a sbirciare volutamente, scemo io che mi faccio cogliere in fallo.
“Da dove inizio…” borbotto strofinando l’indice sotto il naso.
“Chi è Sanae?” mi chiede Roberto a bruciapelo, tanto per non farla lunga e tagliare la testa al toro.
“E’ Anego. Te la ricordi, no? La ragazzina che ci seguiva a ogni partita. Lei da tre anni a questa parte è diventata la manager del club di calcio e…”
“E’ la tua ragazza?” m’interrompe sbuffando affettuosamente e guardandomi come se dovesse insegnarmi proprio tutto, oltre al calcio.
Sospiro, consapevole che non ho via di scampo.
“Sì.”
“L’hai baciata?” ed io cado quasi dalla sedia, mi aggrappo giusto al bracciolo mentre il cervello va in pappa e credo di non essermi mai sentito così imbarazzato, nemmeno con Ishizaki!
“Ok l’hai baciata.”
Spiritoso! Si risponde anche da solo ora!
“E’ lei che hai salutato prima di partire?” chiede ancora, ma stavolta invece dell’imbarazzo, è la malinconia che s’impadronisce di me e che mi fa abbassare lo sguardo.
“Già…” mormoro fissando il pavimento e incoraggiato da questo stato d’animo, che mi spinge a cercare qualcosa di lei, a evocarla anche solo con le parole, per la prima volta mi sento pronto a parlare e a dar sfogo a tutti quei sentimenti che reprimo, non sapendo a chi confidarli.
E mi sembra ieri che l’ho vista, parlando di lei.
E mi sento più leggero, parlando di lei.
E mi sento vicino a Sanae, parlando di lei.



Il getto d’acqua calda scivola sulla mia muscolatura indolenzita, dandomi un minimo di sollievo, dopo l’allenamento decisamente massacrante al quale ci ha sottoposto Roberto.
Sono dentro, sono in squadra ma ancora lontano dall’essere nella rosa di titolari.
Ma non importa, non mi do per vinto, perché so che ce la farò, se come oggi, ogni giorno, mi spezzerò la schiena sul campo.
Butto la testa sotto lo scroscio e chiudo gli occhi, l’acqua oltre che a portare beneficio al mio corpo, mi aiuta in questo caso, anche a ovattare i suoni che provengono dalla doccia accanto alla mia.
Mi estraneo per un attimo dal ciarlare continuo di Pepe che mi sta ripetendo lo stesso concetto da circa cinque minuti, preso com’è dall’euforia e l’eccitazione.
Da quando siamo diventati amici, ho imparato un sacco di cose sul suo carattere e ho potuto capire che siamo opposti come il giorno e la notte, perché se io ho una maniacale tendenza a essere riservato, Pepe al contrario mi rende partecipe di ogni cosa gli passi per la testa e diciamo che il suo argomento preferito non è esattamente il calcio.
Chiudo il getto d’acqua ed esco dalla doccia, lo sento fare lo stesso e mentre mi avvicino agli armadietti avvolgendomi i fianchi con un asciugamano, me lo ritrovo affianco che ancora parla di quanto sia al settimo cielo per essere riuscito ad avere un appuntamento con la ragazza dei suoi sogni.
Ragazza che è nel suo immaginario da non più di quindici giorni, visto che un mese fa sembrava non avesse occhi che per la nipote del massaggiatore.
“Stasera spero che sia una serata devastante, al diavolo se domani non mi reggo in piedi!” sghignazza dando colpetti all’anta del mio armadietto mentre mi sto vestendo.
Sorrido alzando gli occhi al cielo mentre infilo la roba da riportare a casa nel borsone.
“Ti rendi conto Tsubasa? E’troppo carina! Troppo, troppo, troppo!”
Forse lo preferivo quando mi odiava…
“Ma senti, amico mio…” e si siede sulla panca, proprio accanto alla mia borsa, un piede poggiato al legno mentre cerca di infilarsi i calzini.
“Dimmi...”
“Hai visto qualcuna che ti piace in giro?”
Ecco, ti pareva…
Mi limito a rispondere negativamente con un gesto del capo, senza alzare lo sguardo nella sua direzione, tecnica che ho sapientemente messo appunto in Giappone con un altro compagno di squadra decisamente impiccione.
Fare finta di niente e non tradire emozioni, nei limiti, ecco la mia collaudata strategia di difesa da questo genere di domande.
Pepe rimane in silenzio per alcuni secondi, tanto da darmi il tempo di rilassarmi di nuovo mentre finisco di spostare le mie cose nell’armadietto.
“Senti potrei chiedere alla mia ragazza se ha qualche amica da presentarti. T’immagini? Magari usciamo pure in quattro un giorno!”
Mi volto di scatto a guardarlo, alzando leggermente un sopracciglio e scuotendo nuovamente la testa ma questa volta in modo più deciso per essere più convincente.
“E poi non è ancora la tua ragazza!” aggiungo per distogliere l’attenzione da me e da un mio improbabile appuntamento combinato.
Pepe mi scruta come se all’improvviso mi fosse cresciuta una proboscide al posto del naso.
“Dettagli!” mi risponde sventolando una mano davanti al viso mentre con l’atra tira la zip della felpa fino al mento.
“Ma l’hai vista quant’è bella? Di sicuro le sue amiche sono dello stesso livello, non fare lo schizzinoso!”
Arrossisco stavolta, la mia tecnica a volte ha delle falle di sistema, specialmente quando sono messo alle strette.
“Non m’interessa!” sbotto disegnando in aria una croce con le dita, tanto per fargli capire che voglio che il discorso muoia all’istante.
Il mio amico aggrotta le sopracciglia, poi sgrana gli occhi come se ora avessi ben due proboscidi in faccia.
“Nel senso che non t’interessano le ragazze?”
Sì era molto meglio quando mi odiava…
Alzo gli occhi al cielo e riabbasso lo sguardo seguendo il movimento delle mie spalle che si curvano in un moto di desolazione.
“Nel senso che a me piace una in particolare e basta!” rispondo sbuffando mentre chiudo l’armadietto, con la coda dell’occhio osservo la sua reazione che mi strappa un sorriso perché sta sospirando di sollievo.
“Ah sì?! E chi è? Chi è?” m’incalza ora sbattendo l’anta del suo di armadietto, la serratura s’incastra chiudendosi con un piccolo tonfo sonoro.
E come ogni volta che involontariamente il suo ricordo è riportato dall’esterno alla mia mente, una serie d’immagini e sensazioni che riguardano solo lei prende a riempire la mia testa.
Il volto sorridente di Sanae.
Le sue piccole mani calde.
Il suo profumo.
Le labbra screpolate dal freddo.
Come se si aprisse leggermente il coperchio di una scatola colma che non vede l’ora di esplodere, così lei scivola fuori da quella fessura che la gente inconsapevole ha creato, prendendo possesso di tutto lo spazio a disposizione nella mia testa.
E come ogni volta che mi permetto di soffermarmi sulla sua mancanza, divento all’improvviso malinconico e il mio sorriso si spenge, diventando una smorfia amara, proprio come quella che sto mostrando in questo momento al mio amico, che mi osserva curioso.
“Non la conosci. Non la puoi conoscere…” rispondo arcuando un lato della bocca e sospirando, tanto vale fargli capire le cose come stanno.
“Ah! Capisco!” esclama così Pepe, che tutto è tranne che un ragazzo poco sveglio “Un problema da niente, eh amico mio?” aggiunge poi dandomi una pacca sulla spalla.
Abbozzo un sorriso di ringraziamento, poi per sviare il discorso, lo esorto allegramente ad andare al dormitorio per cambiarsi e raggiungere la ragazza dei suoi sogni.  
Pepe si rianima del suo consueto entusiasmo e agganciato lo zaino con la mano sinistra, si allontana canticchiando festoso, ma quando raggiunge la soglia dello spogliatoio, si ferma e si volta a guardarmi.
“Tieni duro amico!” esclama accentuando le parole con il pugno chiuso scosso sotto il mento, sorrido riconoscente annuendo.
“E non credere di essertela cavata con così poco, domani mi racconti ogni particolare!” aggiunge sghignazzando facendomi l’occhiolino, prima di scoppiare a ridere e scomparire oltre la porta.
E ora che sono rimasto solo, avverto ancora di più la sensazione di vuoto che mi ha colto solo qualche minuto fa.
A testa china, cercando di non pensarci, carico il borsone sulla spalla e mi dirigo veloce fuori.
Attraverso la soglia dello spogliatoio e istintivamente mi guardo intorno, come se inconsciamente avessi spostato il mio presente in un altro posto, in un altro momento.
Ma nessun suono rompe il silenzio che mi circonda, non c’è nessuno ad aspettarmi e mi sento improvvisamente solo.
E come a non volerci credere, rimango imperterrito ad ascoltare, nell’attesa assurda di sentire la sua voce che mi chiama per tornare a casa.
Abbasso lo sguardo sul terreno e faccio lo stesso con la vista, aspetto che un’ombra si avvicini a me per prendermi per mano, ma i secondi passano e l’unica immagine davanti ai miei occhi rimane quella dell’erba tinta di rosso dai raggi del tramonto.
Rialzo lo sguardo e osservo il campo.
Ascolto il silenzio e mi chiedo se mi abituerò mai a tutto questo.
Mi siedo a terra senza staccare lo sguardo dalla porta vuota, la rete dondola mossa dal vento.
Mi sdraio e appoggio la testa al borsone che ho sistemato sotto la nuca.
E solo ora chiudo gli occhi, cercando nei ricordi tutto quello che mi viene negato ma di cui sento follemente il bisogno.



“Certo che Kumi è davvero carina, eh?” esclama Taki con un sorriso, osservando la ragazza, che poco distante, strofina forsennatamente una divisa sporca d’erba.
I ragazzi seduti attorno a lui annuiscono ridacchiando divertiti.
“Beh dobbiamo proprio rendere giustizia alle nostre manager! Siamo stati fortunati, nessuna delle tre è una cozza inguardabile, anzi!” aggiunge Kisugi alimentando ancora l’ilarità generale, perché ora tutta la squadra scoppia allegramente a ridere.
Anch’io lo faccio mentre in piedi dietro di loro, sorseggio dell’acqua minerale e mi tampono la fronte sudata con i lembi dell’asciugamano che ho intorno al collo.
Li ascolto in silenzio, mentre presi dall’euforia, trascinano il discorso inevitabilmente sulle ragazze in generale.
“Ma secondo voi come dovrebbe essere la ragazza ideale?” chiede innocentemente Morisaki, le guance colorate di rosa per l’imbarazzo, che mi fa pensare che al mondo esista un ragazzo più timido di me in queste cose, ringraziando il cielo.
“L’importante è che sia carina e gentile!”
“Deve avere i capelli lunghi, lisci e il naso all’insù!”
“Non deve essere noiosa e nemmeno appiccicosa! Sai che palle se no!”
“Per me c’è solo un requisito importante da tener conto!” esclama all’improvviso nella confusione Ishizaki, i miei compagni si ammutoliscono e si voltano a guardarlo.
Ryo rimane ancora per qualche secondo in silenzio, sguardo basso, testa inclinata e braccia incrociate.
“Una bella coppa C! Ma anche una D non mi dispiacerebbe!” aggiunge poi ridendo e facendo con le dita il segno di vittoria, tutti scoppiano di nuovo a ridere aggiungendo commenti sulla stessa linea della sua bella uscita.
Io approfitto del momento di delirio per tagliare la corda, per quanto mi riguarda, mi sono trattenuto fin troppo, me ne sarei dovuto andare già dal momento in cui le ragazze sono diventate l’argomento di conversazione.
Perché non fanno per me questo genere di discussioni, gli altri finiscono sempre per mettermi in mezzo e faccio delle figure di merda da guinness dei primati.
Così mi volto silenziosamente prendendo di nuovo la direzione del campo, con la ferma intenzione/scusa di fare ancora qualche tiro, perché se il mio obiettivo è vincere il campionato delle medie per il terzo anno consecutivo, devo allenarmi, allenarmi e ancora allenarmi.
Ma faccio in tempo ad allontanarmi di soli tre passi, perché mi sento chiamare per nome a squarciagola.
“Ehi non ci hai ancora detto come la pensi tu, capitano!”
Izawa ma i cazzi tuoi mai, eh?
Mi fermo senza voltarmi, alzando gli occhi al cielo e già so che le mie guance sono diventate probabilmente di quel colore tanto di moda tra le ragazze ma che io odio, il fucsia.
E mentre sto elaborando mentalmente una risposta sensata e possibilmente non ridicola, che possa tirarmi fuori da queste cose che detesto e che magari non mi faccia fare la solita figura da imbecille, il buon Ishizaki interviene al posto mio con una delle sue perle, che di solito ottengono il risultato di rendermi proprio ridicolo e imbecille.
“Tanto li conosciamo già i gusti di Tsubasa, vero ragazzi?”
Appunto…
E giù tutta la squadra che mi ride dietro, bel rispetto per il vostro capitano!
Sbuffo ignorandoli e afferrando con la mano destra la cesta dei palloni, la trascino malamente dietro di me finché non raggiungo il cerchietto dei calci di rigore.
Posiziono il primo pallone e prendendo una piccola rincorsa, lo calcio cercando d’imprimere effetto alla palla, che s’insacca all’angolo sinistro della porta.
Vado avanti così meccanicamente per un paio di volte, ma la mia mente non si scollega dai discorsi dei ragazzi di poco fa.
La ragazza ideale.
Come piace a me…
Involontariamente il mio sguardo si sposta dalla porta al bordo del campo.
E si posa su Sanae.
Mi fermo a osservarla mentre parla animatamente con la Nishimoto, di tanto in tanto sorride, sembra una conversazione divertente ma che comunque non m’interessa, preso, sì preso, come sono da fissare il suo sorriso.
Arriccia il naso quando questo si trasforma in una risata allegra, le gote si colorano di un tono di rosso così caldo, da farmi pensare che non è poi così male arrossire.
Perché quando è lei a farlo, non c’è nulla di ridicolo o stupido, è solo… bello.
E mi viene da sorridere, ancora un’altra azione che non sto gestendo io, mentre la guardo e mi sprono a distogliere lo sguardo, riprendendo un pizzico di lucidità, solo quando mi rendo conto che la sto fissando già da un po’.
Imbarazzato, ma con ancora quel sorriso da stupido che sento tirarmi le guance, riprendo ad allenarmi e un pallone dietro l’altro finisce in porta fino a svuotare la cesta.
Per riempirla di nuovo e svuotarla ancora, sentendo il sudore sulla fronte e la fatica che mi mozza il fiato.
Ancora e ancora, imperterrito ne insacco un altro, cercando subito con lo sguardo il successivo pallone da posizionare sul dischetto.
“Tsubasa!” mi volto in direzione della voce che mi ha chiamato, la sua voce.
Sanae si avvicina a me, non indossa più la tuta da manager noto ma l’uniforme scolastica e in mano stringe la cartella.
Stordito, mi guardo intorno e mi rendo conto che al campo non c’è più nessuno, in lontananza infatti posso scorgere gli ultimi ragazzi della squadra, anche loro docciati e cambiati, in prossimità dei cancelli.
“Ma che ore sono?” le chiedo perplesso, grattandomi una tempia con l’indice.
Sanae scoppia a ridere divertita, scuotendo la testa e i suoi capelli ondeggiano delicati intorno al suo viso sorridente.
“Vai a cambiarti, è tardi! Ti ho lasciato un asciugamano pulito davanti al tuo armadietto!”
E a me non resta che annuire imbarazzato, grattandomi il ciuffo ribelle sulla nuca, sia per la mia palese mancanza di attaccamento alla realtà quando si tratta del pallone che, devo ammetterlo, per i pensieri che mi hanno per un po’ distolto dal mio allenamento.
“Ok vado… Grazie per l’asciugamano!” borbotto cercando di sfoderare un sorriso convinto e quando sto per salutarla, Sanae mi anticipa mettendomi al corrente di come la squadra e le manager sia siano nel frattempo organizzati per passare la domenica, ossia domani, tutti insieme al Luna Park.
“Vieni anche tu?”mi chiede alla fine del discorso, così a bruciapelo, la testa leggermente inclinata di lato e il sorriso più incoraggiante che potesse fare.
“Mi spiace ma domani avevo deciso di allenarmi comunque!” rispondo anche fin troppo sinceramente, perché è davvero il programma che mi sono prefissato per la domenica di riposo.
Sanae sorride ancora, ma in modo diverso mi pare e annuisce.
“Io vado allora, sbrigati e torna a casa anche tu!” mi esorta e con un gesto della mano, mi saluta voltandosi.
E non so nemmeno io che mi prende, perché all’improvviso sento una sensazione molto simile al panico, molto vicina a quando si pensa velocemente a qualcosa che possa rimediare a qualcos’altro andato storto.
“Sanae!” la chiamo per fermarla, lei si volta e mi guarda con aria interrogativa.
“Non penso di fare troppo tardi, domani intendo…” e lei non sa che dentro di me ho già programmato che mi alzerò due ore prima per anticipare il rientro a casa, la doccia e la corsa per raggiungerli.
Per raggiungerla.
“Magari appena ho fatto chiamo Ishizaki per farmi dire dove siete di preciso…” e prendendo fiato, leggi coraggio, aggiungo “… o chiamo te, se non ti disturbo!”
Ecco l’ho detto e imbarazzato, non so se riesco a nasconderlo ora, mi gratto di nuovo la nuca aspettando la sua risposta.
Sanae mi guarda stupita per un attimo, poi annuisce convita e i lineamenti del suo viso si distendono in quel sorriso incredibile che le illumina il volto e che mi fa pensare, non so perché, al sole d’estate.
Mi saluta di nuovo allegramente, dandomi questa volta, appuntamento per il giorno dopo ed io rimango immobile a osservarla mentre si allontana da me.
E sorrido perché a me posso dirlo, con me stesso posso ammetterlo.
Lei non è semplicemente come piace a me.
Sanae è la ragazza che credo di amare…






Semplicemente GRAZIE, OnlyHope^^




 
 

 

   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: OnlyHope