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Autore: Will Turner    06/12/2009    8 recensioni
Cosa succede quando una ragazza scopre la verità che rischia di distruggere la storia d'amore attesa da una vita? Da quando ha incontrato Max, Faith ha imparato a sognare: il suo tormentato passato sembra ormai superato per sempre, ma un tremendo segreto incombe su di lei senza lasciarle alcuna possibilità di fuga e mettendole davanti la scelta più difficile. Un racconto d'amore fatto di romanticismo, passioni, tormenti e lacrime che riuscirà a strappare anche qualche risata.
Aggiornamento periodico mensile.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le Ragioni Del Cuore BN
P ROLOGO

    Era là, davanti all’altare, accanto all’uomo che stava per diventare suo marito, quando fu presa dall’incertezza. Stava facendo la cosa giusta? La paura di commettere un errore l’assalì improvvisamente.
    Un dubbio comune a tutte le donne che stanno per sposarsi, ma, diversamente dalle altre, che nonostante tutto, sanno per certo nel più profondo del loro cuore che stanno per fare la cosa giusta, Faith si rese conto che era completamente sbagliato.
    La persona al suo fianco non era la stessa che avrebbe voluto sposare tanto tempo prima. Come aveva potuto ingannare il suo cuore fino a quel punto? Cose di quel genere accadevano solo nei film oppure nei libri, pensò d'un tratto. Ma in quel momento c’era in gioco la sua vita e la realtà che la rendeva tale.
    Lui era un bravo ragazzo, certo, e, malgrado i suoi errori, lo aveva perdonato. Gli voleva un gran bene, ma non lo amava più come lo aveva amato un tempo.
    Aveva la certezza che sarebbe riuscita a dire sì senza lasciarsi travolgere dai sensi di colpa che l’attanagliavano da alcuni giorni.
    Il ragazzo al suo fianco la guardava con gli occhi pieni d’amore ma, allo stesso tempo, carichi di una profonda amarezza; le parve che anche lui avesse intuito i suoi pensieri e se ne vergognò.
    Quando il pastore chiese all’uomo se voleva prendere Faith Harrington come sua sposa, lui strinse le mani della ragazza e con i suoi occhi verdi la fissò per qualche istante.
- No. Non posso.-
    Sotto le espressioni sbigottite dei presenti, Faith non replicò, in quanto si riteneva priva di ogni diritto di farlo.
- Io ti amo più della mia stessa vita, Faith, ma non posso sposarti. Non è giusto, mi dispiace.- Si scusò il ragazzo.
    Poi le lasciò dolcemente le mani, attraversò a testa china la navata centrale della chiesa, ornata di nastri di raso bianco e gigli profumati, ed uscì.
    Adesso lei era là, davanti all’altare, sola.
    Ancora una volta nella sua vita.


1. U N PIACEVOLE… SCONTRO

                New York, 18 dicembre 1997
         
    Nonostante quell’anno l’inverno si fosse fatto sentire con qualche giorno d’anticipo, il cielo grigio e nuvoloso del primo pomeriggio che ricopriva la città si ostinava a non lasciar cadere neppure un fiocco di neve.
    La gente era indaffarata ad acquistare i consueti regali di Natale e la frenesia e il disordine erano ormai diventati una caratteristica abituale di New York, che si ripresentava puntuale nel mese di dicembre.
    Le insegne luminose dei grandi magazzini si imponevano sulle strade, mentre palazzi, grattacieli, bar e ristoranti erano stati addobbati abbondantemente. Era praticamente impossibile non lasciarsi coinvolgere dal quel clima di festa al quale tutti erano allegramente abituati.
    Anche nel Rockfeller Center le migliaia di luci colorate che avvolgevano il gigantesco abete suscitavano contemporaneamente gioia e stupore soltanto a guardarle. Un folto gruppo di lavoratori vestiti di arancione si stava impegnando nell'allestimento di un palco proprio ai piedi dell'albero, in vista dell'annuale concerto di Natale tenuto dai cantanti più in voga del momento.
    Ovviamente lungo le numerose Avenues non mancavano interminabili code di automobili e furgoncini, sempre pronti a suonare insistentemente il clacson anche quando non ce n’era assolutamente motivo.
- Dove desidera essere accompagnato, signore?- Chiese il tassista con una certa indifferenza ed in modo automatico.
- Mi porti al Roosevelt Hotel, grazie.- Rispose prontamente Max Warren dai sedili posteriori dell’auto che lo aveva portato dall'aeroporto Kennedy al centro della città.

    Il Roosevelt era un hotel situato nella Midtown Manhattan, dalla quale erano facilmente raggiungibili il Broadway District, Central Park e la celebre 5th Avenue, la Quinta Strada, regno dello shopping a New York.
    Giunti innanzi al maestoso ingresso, Max estrasse una banconota da cinquanta dollari da una tasca del suo cappotto gessato e la porse gentilmente al tassista.
- Li tenga tutti!- Esclamò sorridendo e dandogli una leggera pacca sulla spalla - È Natale anche per lei!-
- Che Dio la benedica, signore! Buon Natale!- Esultò entusiasta il tassista.
    Max afferrò la sua valigia e scese dal taxi. Rimase attonito ammirando la facciata dell’hotel in cui avrebbe alloggiato per qualche giorno per motivi di lavoro.
    Un lungo tappeto rosso conduceva nell’elegante hall, facilmente visibile attraverso le vetrate rallegrate da rametti di pino, vischio e da decine di piccole luci bianche.
    Gli tornarono in mente le feste natalizie della sua infanzia, trascorse a scartare regali e a costruire bizzarri pupazzi di neve nel giardino della sua casa a Lakewood, un piccolo paese dell’Ohio affacciato sul lago Erie.
    A tredici anni, dopo la scuola, Max imparò a lavorare nell’officina meccanica del padre.
In quel periodo gli affari andavano alla grande, finché il padre morì e la madre, entrata in un profondo stato depressivo, si trovò ben presto a dover prendere l’infelice decisione di vendere l’attività del marito per poter garantire a lei e al figlio un futuro economico dignitoso.
    Dopo alcuni anni un amico di famiglia offrì a Max un’occasione irripetibile: un lavoro per una nota società di New Orleans. Il ragazzo accettò l’offerta senza pensarci due volte, deciso a dare una radicale svolta alla sua vita. Gli dispiacque molto lasciare sua madre, ma si convinse che non avrebbe potuto continuare a vivere nel passato.
    Così, terminata l’estate del 1990, partì alla volta della Louisiana.
    Non furono anni facili, ma la sua buona volontà e il costante ricordo del padre e dei suoi consigli gli diedero la forza di non arrendersi mai e di continuare a lottare contro ogni avversità.
    Ed ora, dopo sette anni, era davanti ad uno degli hotel più rinomati della città: il suo capo lo aveva infatti incaricato di concludere un’importante e delicato affare proprio nella Grande Mela.
    Mentre era completamente assorto nei suoi ricordi, il ragazzo venne improvvisamente travolto da una vera montagna di regali vagante.
- Mi scusi! Oh mio Dio! Che sbadata, accidenti! Perdoni la mia distrazione, signore, ma…-
    Il viso della giovane ragazza, che stava correndo lungo il marciapiede con una dozzina di pacchetti di varie dimensioni e colori, diventò di un simpatico rosso porpora per l’imbarazzo causato dalla situazione.
- Non fa niente, si figuri. Stia tranquilla.- La rassicurò Max che, rialzandosi da terra, riuscì a guardare negli occhi la sua distratta attentatrice.
    I loro sguardi si incontrarono ed entrambi avvertirono un brivido improvviso che li pervase, come un'energica scossa elettrica. Nessun pensiero li sfiorò minimamente se non quello dell'inaspettata sensazione di benessere nel trovarsi l’uno di fronte all’altra.
Nel frattempo un’anziana donna dall'aspetto piuttosto trasandato, che camminava a passo spedito tra la gente, si ritrovò intrappolata tra Max e la ragazza.
    Concludendo che nessuno dei due si sarebbe scostato per lasciarla passare,  si portò le mani sui fianchi e, dall’alto del suo metro e cinquanta, fece scorrere uno sguardo curioso dapprima su Max, poi sulla ragazza, poi di nuovo su Max.
- Avete intenzione di restare qui impalati ancora per molto a guardarvi con quelle ridicole facce?- Chiese la donna spazientita.
    Inevitabilmente i due giovani si accorsero della sua presenza e si allontanarono l’uno dall’altra, consentendole di passare.
    Ma un frettoloso passante urtò la ragazza spingendola nuovamente tra le braccia di Max, e la vecchia si ritrovò, suo malgrado, di nuovo in mezzo.
- Questa è la seconda volta nell’arco di tre minuti che mi travolge, signorina. So di essere particolarmente attraente, ma non crede sia giunto il momento di dirmi almeno come si chiama?-
- Avanti!- Intervenne l’anziana, scocciata - Dica il suo nome e facciamola finita con questa assurda sceneggiata!-
- Perché lei non si decide a chiudere quella pantofola e se ne va per la sua strada?- Domandò calma e decisa la ragazza.
    Max la guardò stupito e poi rivolse un sorriso di disappunto alla vecchia.
- Ah sì?- Rispose l'anziana - E dove dovrei andare, bambinetta presuntuosa?-
- Beh - Intervenne Max - Io credo che lei dovrebbe andarsene cortesemente per i fatti suoi, magari a ricamare un’orrenda sciarpa davanti al camino, come dovrebbero fare tutte le arpie come lei… senza offesa.-
    La donna, inorridita da quella risposta, contrasse le labbra e, mentre i due giovani si guardavano negli occhi scoppiando a ridere, ripartì spedita verso la sua meta.
- Farabutti!- Continuava ad urlare, agitando per aria un ombrello e calcandosi in testa il berretto blu dal quale faceva capolino una buffa penna di pavone.
- Bella mossa.- Si complimentò la ragazza.
- Altrettanto, signorina. Ad ogni modo… io sono Max. Max Warren.-
- Il mio nome è Faith.- Rispose porgendogli la mano - Scusa per il disastro che ho combinato poco fa. Io…-
- Non ti preoccupare, davvero. Ti aiuto a raccogliere la tua vagonata di pacchi!-
- Ehi! Non fare lo spiritoso!- Lo minacciò Faith, puntandogli un dito e tentando inutilmente di nascondere un sorriso.
- Altrimenti?- Le chiese Max, fingendosi terrorizzato.
    Faith rimase stregata dallo sguardo profondo del ragazzo che aveva davanti. I suoi occhi, di un verde acqua così intenso, che le sembrava di aver visto soltanto una volta, in un innocente sogno fatto molto tempo prima, irradiavano una sincerità così evidente che non era mai riuscita ad intravedere in altre persone, o, almeno, non in uno sconosciuto.
    Trovò che fosse anche di bell'aspetto, senza dubbio: piuttosto alto, accuratamente abbigliato e con i capelli scuri perfettamente in ordine, sembrava lo sponsor del marchio di un famoso stilista.
- Altrimenti io potrei… potrei…- Balbettò Faith, perdendo l'uso della parola.
- Uccidermi?- Azzardò Max.
- Sì! Cioè… No. Che dici? No di certo. Ma potrei farlo… Anche perché al momento non mi viene in mente nessun’altra minaccia.- Si rassegnò la ragazza. -  Senti Max, io adesso devo proprio andare al lavoro.- Mentì.
- Beh, io alloggerò in questo hotel per qualche giorno, perciò sai dove trovarmi, se ti va di scambiare qualche chiacchiera o di bere qualcosa.- Replicò lui.
- Tanti auguri di buon Natale, Max. Ciao!-
    Dopo aver raccolto l’ultimo regalo, Faith gli diede un bacio sulla guancia e se ne andò frettolosamente, scomparendo inghiottita dalla folla.
“Che stupida!” Pensava mentre correva via.
    Max, con un’espressione attonita, guardò il cielo ed esclamò: - Che stupido!-

    La hall del Roosevelt si presentava come una grande sala dalla forma circolare.
    Dal soffitto eleganti lampadari di cristallo la illuminavano a giorno e davano la sensazione del lusso più sfrenato. Al centro del salone, tra due alte colonne di portoro, un marmo nero con le caratteristiche venature giallo dorate, vi era collocata la reception, mentre tutto il pavimento era coperto da una moquette di probabile provenienza orientale, che dava particolarmente risalto al rosso e al nero.
    Max si avvicinò alla reception, dove fu accolto calorosamente da un uomo massiccio con barba e baffi ben curati e una giacca rossa con i bottoni dorati che, come la classica cravatta verde, recavano l’emblema dell’albergo, la lettera R.
- Benvenuto al Roosevelt Hotel, signore. In cosa posso esserle utile?- Chiese garbatamente.
- Buonasera, signor… Mc Kingley.- Rispose Max, leggendo il nome sulla targhetta che l'uomo portava sull’uniforme. - Ho una stanza prenotata al nome di Warren.-
- Controllo immediatamente la lista delle prenotazioni.-
    Il concierge sfogliò velocemente un’agenda e verificò sul suo computer.
- MAX WARREN, eccolo qui. Se non erro lei soggiornerà in hotel fino a lunedì 22 dicembre.-
    Max annuì.
- Perfetto!- Esclamò l’uomo - Come intende effettuare il pagamento?-
- Carta di credito.-
- Bene. Intanto ecco a lei la chiave della sua stanza. La informo che al mattino la colazione viene servita a partire dalle nove. Se lo desidera la informo che si effettua anche il servizio in camera. La prego di rivolgersi a me per eventuali lamentele o ulteriori necessità. Le auguro un’ottima permanenza.-
- La ringrazio, Mc Kingley.-
    Max prese la chiave e la sua carta di credito e si avviò verso l’ascensore. La 984 era situata in uno degli ultimi piani dell’hotel.
    La corsa dell’ascensore si fermò un paio di volte, che videro comparire due tipi piuttosto bizzarri.
    Il primo era un uomo calvo di mezz’età, che stava litigando con qualcuno al cellulare, probabilmente la moglie, ipotizzò Max. Ciò che rendeva ridicolo quell’uomo non era tanto il fatto che stesse litigando, ma che, sopra la giacca nera, indossava una camicia hawaiana: decisamente un pugno in un occhio se si teneva conto dell’ambiente circostante. Sembrava appena uscito da una di quelle simpatiche festicciole d’ufficio. Erano da poco passate le due del pomeriggio, ma era risaputo che quel genere di feste andavano di moda a qualsiasi ora del giorno.
    Max guardò incuriosito quell’uomo facendo attenzione a non farsi notare, poi accennò un sorriso, ma cercò di trattenersi, nonostante la vista di quel tipo, che sbraitava e agitava velocemente braccia e gambe, fosse davvero una comica originale.
    Arrivati al terzo piano l’ascensore si bloccò di nuovo.
    Entrò una donna sui settant’anni, dai capelli color platino, occhialoni da sole anni Sessanta abbinati ad un abitino vintage dai colori sgargianti, che portava con sé un Chihuahua all’interno della sua piccola borsa firmata. Allora non era molto diffusa la moda del cane nella borsetta: si trattava di un privilegio tipico delle persone facoltose e snob, che alla gente comune suscitava soltanto una risata a fior di labbra.
    Tuttavia Max riuscì a trattenere un sorriso guardando altrove.
    Giunto al nono piano il ragazzo scese dall’ascensore e, con lui, anche la donna con il Chihuahua, che sparì voltando velocemente l'angolo.
- 980… 982… Eccola qua: 984.-
    Entrò nella stanza, si tolse il cappotto e si sdraiò sul letto a due piazze, dove si appisolò, stanco del viaggio in aereo.

    Mentre si allontanava, Faith non faceva che ripensare al suo bellissimo incidente, quando ad un tratto lo squillo del suo cellulare la riportò con i piedi per terra. Eseguì mille acrobazie nel tentativo di rispondere a quel dannato arnese che suonava senza sosta, ma con tutti i regali che teneva tra le mani le veniva impossibile.
    Perciò decise di fermarsi e sistemarli sopra il tettuccio di una macchina in sosta.
- Holly! Siamo in vacanza da meno di quindici ore e tu già non riesci a restare da sola in una camera d’albergo! Che hai combinato stavolta?-
    Holly era la migliore amica, nonché collega di lavoro, che Faith aveva portato in vacanza a New York.
- FAITH!!!- Urlò Holly disperata all’altro capo della linea. - CORRI SUBITO IN ALBERGO! HO COMBINATO UN DISASTRO CON I CAPELLI!!! TELETRASPORTATI QUI IMMEDIATAMENTE!-
    Faith allontanò il cellulare perché Holly continuava a gridare come una povera pazza, facendole fischiare l'orecchio.
    La lasciò disperare ancora per qualche minuto, poi riattaccò e ripartì di gran carriera.
    Arrivata in hotel, la trovò che circolava istericamente per la stanza coperta soltanto da un asciugamano.
    I suoi poveri capelli castani erano devastati da una vistosa chiazza gialla che li rendeva tutti appiccicosi ed opachi.
- Holly! Ma… Ma che hai fatto ai capelli?- Le domandò stupita.
- Volevo farmi completamente bionda, ma Dio solo sa cos’ho combinato con queste maledette tinte fai-da-te!-
- Sembra che tu sia andata a farti bionda sul sole!- Faith stava scoppiando dal ridere.
- Non fare battute sceme, Faith! E adesso cosa faccio, Dio mio! Cosa faccio?- Holly andò in escandescenza.
- Mi avevi detto che avresti dormito un po’ e non che ti saresti tinta i capelli! E poi, con tutte le tonalità di biondo esistenti, proprio quella dovevi provare?-
    Holly sbuffò - Brava! Ridi di me! Divertiti pure!-
    Faith si sentiva male a furia di ridere ed era impossibile fermarla.
- Adesso tu ti metti un cappello qualunque e vieni con me!- Le ordinò.
- Dove hai intenzione di portarmi conciata così, Faith?- Le chiese Holly, timorosa.
- A Times Square. Magari ci sarà qualche rete televisiva nazionale che si occuperà del tuo caso.-
    Holly sgranò gli occhi.
- Andiamo, combina guai!- La tranquillizzò Faith - So io dove portarti.-

    Le due ragazze si erano conosciute alle scuole elementari e quello era il primo anno che riuscivano ad andare in vacanza insieme, dopo tanto che lo desideravano.
    Faith era già stata a New York per qualche mese, svolgendo uno stage previsto dal suo lavoro. Entrambe lavoravano come stiliste in una nota casa di moda di Santa Monica, a pochi passi da Los Angeles e, avendo appena ottenuto una promozione, avevano deciso di festeggiare insieme il Natale a Manhattan.
- A proposito!- Si ricordò Holly - Non ho potuto fare a meno di notare che alcuni regali che hai portato in camera poco fa sono leggermente ammaccati. Cos’hai fatto? Non sarai caduta?-
- No… Me li hanno incartati così.- Rispose Faith, cercando di essere il più convincente possibile.
- Sicura Faith? Io ti credo, ma non c’è bisogno di arrossire come stai facendo adesso.-
- Ma cosa stai dicendo Holly? Io non arrossisco! Dai continua a camminare o arriveremo tardi.-
    Holly si bloccò di colpo e con una mano fermò anche lei.
- FAITH!- Esclamò allarmata - Devi chiamare subito la polizia!-
- Ma perché? Quale polizia?- Domandò sconcertata l’amica.
- È chiaro che sei stata aggredita da un ladro, un assassino!-
    Faith scoppiò in una risata.
- Holly, tu sei pazza, lo sai vero? Stai scatenando inutilmente demoni più grandi di te senza nemmeno rendertene conto!-
- Faith, i regali non s’incartano in quel modo! Forse i Flintstones li incartavano così nell’era preistorica!-
- Ok, Holly, stai calma! Ti spiegherò tutto lì dentro.- La rassicurò Faith, indicandole con un cenno il salone di un parrucchiere.
- Hai ragione, si discute meglio davanti ad un buon hamburger, magari con maionese, funghetti, capperi, salsiccia. E poi ancora…-
- Holly!- La interruppe Faith, alzando gli occhi al cielo - Questo non è un fast-food, ma il rimedio per i tuoi capelli.-
    Holly lesse con più attenzione l’insegna posta sopra all’entrata e rise sonoramente.
- Cosa farei senza di te, Faith?- Cantilenò.
- Di certo non la parrucchiera!- Replicò Faith con ironia.
  
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