“Ciao, bel bambino”
Andrea ancheggiava su un paio di tacchi che le erano costati una piccola fortuna ma non poteva certo mancare alla festa privata di Durque, il suo miglior cliente e nuova fiamma.
E lui la voleva sempre in forma.
L’uomo si girò circondando con un braccio la vita sottile della donna e sorrise, attirandola a se e stampandole un bacio sulle labbra rosse, trasudante erotismo.
“Sempre meglio”commentò mordendo il labbro scarlatto e tirandolo delicatamente.
“Moi o la mia bocca?” domandò maliziosamente accarezzandogli il sedere davanti a tutti.
Non era certo gente che si scandalizzava per così poco.
“Entrambi…sei in ritardo”
“Due minuti, il tempo di infilarmi uno straccetto decente per non farti sfigurare” sussurrò atteggiandosi a gran diva nel suo miniabito color carne. Durque l’aveva intravista con la coda dell’occhio e gli era sembrata nuda. Era già eccitato ancora prima di abbracciarla.
“Che si dice di bello?” mormorò abbracciando con lo sguardo chiarissimo l’intera sala. Durque non le rispose, imbambolato sui capelli che erano stati racconti in un complicato intreccio che le faceva risaltare la schiena seminuda e le forme toniche e scolpite.
Quella dea era bellissima, niente a che vedere con quelle puttane che frequentava nei bassifondi di Capobay.
Quando se ne accorse, Andrea fece saettare per un istante la lingua all’angolo della bocca e sussurrò nel suo orecchio cose irripetibili che gli fecero tremare il bicchiere che teneva nella grossa mano da pugile.
Andrea, il punto debole di Daniel Durque.
Anzi…debolissimo!
****
Finisco all’ospedale per farmi dare una
controllatina alla testa e di primo acchitto non c’è infermiera che
voglia visitarmi. Dondolo una gamba dalla sedia di plastica nera e poi si
addosso allo schienale pesantemente. Nel farlo do una capocciata al muro dietro
e mi lascio scappare un’imprecazione che mi fa guadagnare
un’occhiataccia da una vecchia col braccio ingessato e un risolino da una
ragazzina che avrà più o meno diciotto anni.
Carina. Bassina ma ben proporzionata. Una taglia 40, peserà si e no mezz’etto, ma veramente carina.
“Si è fatto male?” mi domanda con un sorrisetto che continua
a vacillare sulle labbra come una goccia che sta per staccarsi dal petalo di un
fiore. Quando mi sorriderà, si porterà via per un
attimo un frammento del mio cuore.
Sono un vomitevole romanticone!
“Si è fatto più male il muro” rispondo indicando la parete
col pollice.
La ragazzina scoppia in una risata cristallina, purtroppo di
breve durata. L’infermiera la conduce oltre una porta chiara che viene subito chiusa. Durante il tragitto, lei si è girata e
mi ha fatto ‘ciao – ciao’ con la manina.
Mi ha messo quasi di buon umore.
Mi guardo per un attimo nel riflesso della finestra che
rimanda l’aria di Willy Coyote appena caduto nel Grand Canyon senza paracadute e con i razzi Acme ai piedi.
Faccio proprio schifo e i miei capelli avrebbero
bisogno di una spuntata…per un parlare del rasoio che sembra essere sparito nel
buco nero creatosi nell’armadietto del bagno.
Se me l’ha preso quello stronzo, lo
smonto e lo uso su di lui.
Sarà stata la mia aria trascurata che l’ha intenerita…
Mi fa male la testa nel punto dove quel bastardo mi ha
pestato e il cazzotto che mi ha tirato il bisteccone tatuato
ha formato una bella macchia violacea stile ‘ubriacone che ha passato la notte
a pestarsi nel parcheggio del bar’.
Fortuna vuole che esista la compassione umana da qualche
parte – con me non ne hanno mai avuta molta – e una
bella infermierina fresca di università – si vede
dall’entusiasmo e dal sorriso che spande da tutti i pori - mi fa accomodare in
una stanzetta per scrutarmi la capoccia sotto la luce e magari ricucirmi. Quando
comincia a parlare di TAC, probabili commozioni celebrali e altre diavolerie,
sclero.
“Ce l’hai ago e filo?”
“Si..” Mormora senza capire.
“E allora cuci e non starmi a
rompere i coglioni con le tue stronzate da medico mancato!”
Ecco, poi dicono della malasanità.
Con pazienti come me, c’è da chiedere bottega
e incrociare le braccia per protesta.
Mezz’ora dopo esco di lì con un dolore cronico fra le
orecchie e l’umore pessimo. Ci si è messa d’impegno a renderlo più doloroso del
dovuto, quella disgraziata!
Torno in ufficio e Melissa mi fa un cenno col capo: vuol
dire che ci sono le due cacacazzi all’attacco.
Apro la porta ma trovo solo miss PlayMate
in abito ridotto, neanche fosse piena estate e
infradito alte con perline. Mai capito come fanno le donne a portarle…
“Il suo fidanzato mi ha dato una botta in testa ed è scappato” le dico senza girarci troppo intorno, appoggiando il braccio sul cartello stradale. Tanto è stupida come una zucca vuota e non scassa come quell’altra.
Quando sta zitta.
Adesso non sembra proprio intenzionata a farlo. Si agita
come una biscia sulla sedia e mi viene istintivo immaginare…vabbè, lasciamo
perdere: il mal di testa aumenta, se mi va il sangue al cervello.
“Inoltre mi domando perché rivolgiate indietro quel
poveraccio che non ha più un soldo sul conto in banca e non sembra minimamente
intenzionato a tornare con nessuna di voi due”
Tiè! Secco e deciso, se comincia a
piangere, me la sarò meritata.
Fran sbatte gli occhi e non sembra aver capito la mia
provocazione. E quando mai! La testa le serve solo per
acconciarsi i capelli e tenerci su gli occhiali da sole.
Si porta una mano al petto come un’attrice scadente di
teatro e mi annuncia che ‘per il suo amore farebbe qualsiasi cosa’ e che sarebbe disposta a pagare i debiti di Gershow se tornassero insieme.
“Lei pagherebbe gli alimenti alla moglie?” le domando scettico.
“Per Max questo e altro!”esclama ad alta voce lasciandomi
stupito quel tanto che basta a tapparmi la bocca e a farmi pensare.
Perché nessuna donna ha mai detto
‘per Ford questo e altro’? Al massimo mi hanno detto
di levarmi dai piedi o cose simili…mi sa che ha ragione il principino:
è l’approccio che è sbagliato.
“Lei ha tutti quei soldi da parte?”
La ragazza assume un’aria offesissima e poi mi guarda come
fossi una cacchetta “guardi che io sono ricca!”
Guarda che io
sono…ricca?!
Resto a fissarla senza crederci veramente. Mi costringo a
non mostrare sorpresa ma lei è talmente stupida che se mi mettessi a ballare
sul tavolo con una scimmia sulla schiena mi lancerebbe un nichelino e la
prenderebbe per normale amministrazione.
Non riesco a trattenere la meraviglia, così mi alzo e
comincio a gironzolare attorno alla finestra, ammirando lo splendido panorama
del cassonetto stracolmo d’immondizia al di la della
strada.
“Signor Shelton, se ha bisogno di
qualcosa, non esiti a chiederlo…piuttosto: a cosa le serve quel cartello?”
“Mi aiuta a concentrarmi” rispondo distratto, sorridendo
come un deficiente… meno male che non può vedermi. Di che avrei bisogno? Tanto
per cominciare di clientela, di rimpinguare il conto in banca, di prendermi un
antidolorifico e farmi una birra decente insieme agli amici…prima, però, avrei bisogno di parlare con Jordan…e devo cercare Natalie!!
“Non si preoccupi, le farò una telefonata in quel caso”
grugnisco con aria sostenuta. “Signora, mi tolga una curiosità…”
“Signorina!”
“Quello che è..”
Porca vacca, sto per dirlo sul serio. Qualcuno mi tappi la
bocca prima di perdere una cliente!
Mi giro verso la donna che solleva il busto e resta in attesa della domanda con aria sognante e allegra. Appoggio le mani sullo schienale
della sedia e la guardo intensamente, piegandomi un po’ nella sua direzione “ma
lei non occupava tutto il paginone centrale di Playboy
del Maggio 1999?”
La mia domanda fa calare un silenzio imbarazzante. Fran mi
guarda impietrita e non apre bocca.
“Ho rispolverato la vecchia collezione ieri sera per esserne
sicuro...è identica!” esclamo un'altra volta con espressione stupida che su
questa faccia sta benissimo.
Ci credete che la gallina non apre bocca neanche per
protestare? Si alza rigida e aggiusta il vestito sulla pancia inesistente “se
ha bisogno di altro denaro, mi chiami” sussurra
tentando di riguadagnare la dignità che sta franando pericolosamente.
È lei! Non mi sbaglio mai su queste cose. Grande Ford!
Arriva fino alla porta in silenzio e quando la apre, mi
rivolge un’occhiata sconvolta “è stato un errore di gioventù!” esclama con
vocetta acuta e isterica facendomi scivolare il braccio dal cartello.
*°*°*°*
“Te ne vai…”
Che perspicacia! “Certo amore. Lavoro
stasera”
L’ennesima fiamma di Jordan, bello in carne come piacciono a
lei, si volta a guardarla mentre si riveste
lentamente, ignorando le sue suppliche di rimanere un altro pò.
“Eeddai…”
“Spiacente, Sam. Patti chiari, amicizia lunga”
“Joey”
“Quello che è” risponde seccata dalla sua insistenza. Non
valeva neanche la pena di restare a farsi la seconda. Era stato peggiore
dell’ultimo.
“Mi chiami?”
“Come no”
Quella è una bugia e lo sanno entrambi, ma va sempre bene
dirlo, perché è quello che si dice ‘dopo’.
Squallida ipocrisia borghese da due
soldi che appaga la coscienza per qualche minuto.
“Ciao amore”
Lui si volta dall’altra parte e non risponde. Jordan lo fissa per un attimo, chiedendosi come faccia a sceglierli
sempre così penosi.
Scende le scale dell’appartamento dell’uomo, cancellando
mentalmente il suo indirizzo e stracciando il numero di telefono in due pezzi. Solo
due. Non vuole fare troppa fatica.
Li chiama ‘amore’ tutti quanti.
Per semplicità e per non doversi ricordare i nomi. Secondo lei, i termini ‘caro’ o ‘tesoro’ sono stati coniati per questo motivo.
Sale in macchina e arriccia il naso all’odore che le ha lasciato addosso. Una bella doccia, due sarebbero meglio.
Sarebbe meglio che la
smettessi, pensa ingranando la marcia. Perché non ci penso mai prima? Sempre dopo…e
dopo si sente così squallida e vuota che vorrebbe
sputarsi in faccia da sola.
L’appartamento è immerso nel silenzio. Simonne è fuori a far
ubriacare qualche poveraccio e lei ha tutto il tempo che vuole per darsi una
sistemata prima dello spettacolo.
Si spoglia nel corridoio, gettando i vestiti qua e la e
restando in biancheria intima. Entra nel bagno saltellando mentre si denuda del
perizoma, lanciando il reggiseno nel lavandino allo stesso tempo. Prende il
detersivo e ne rovescia una quantità abbondante sopra il mucchietto delicato mentre fa
scorrere l’acqua bollente. Nella doccia si strofina per bene perché quell’odore
è insopportabile…che schifo, quel profumo dovrebbero metterlo fuori
commercio!
Jordan li sceglie apposta quelli col dopobarba
insopportabile, perché la fa rimanere sufficientemente lucida e distaccata quando
se li porta a letto.
L’unica volta che ha scelto col cuore, si è svegliata con la
testa leggera, una malinconia cronica e il conto in banca azzerato.
Il suo sguardo si perde per qualche secondo nei ricordi,
finchè non chiude il miscelatore e un silenzio pesante, non più disturbato
dallo scrosciare armonico dell’acqua, spalanca la tomba dei ricordi di Jordan.
Cristo, quanti
rimpianti…
Appoggia una mano contro il vetro e la lascia scivolare,
inclinando il collo verso sinistra e sentendo su di se una presenza calda e un
bacio dolce.
Lo ricorda ancora, quel bacio sul collo. Il
primo che le aveva dato…
La mano scivola dal seno fino all’ombelico e più giù….e
Jordan chiude gli occhi con un sospiro interno di piacere.
L’acqua condensata forma delle goccioline che scivolano
verso il basso dolcemente, rigando il vetro satinato come le rotaie sbilenche
di un binario abbandonato su un terreno incolto.
Sembrano lacrime…
*°*°*°*
“Canti, stasera?”
Jordan annuisce per l’ennesima volta e si stupisce per la
sagacia del ragazzo. Farik è il fratello piccolo di
Simonne e va sempre a trovarle per ’vedere come se la
cava la sua sorellona’.
In poche parole va a spiare lei.
“Secondo te, cosa sto facendo? Mi trucco
per andare a mangiare la pizza all’angolo?” risponde sorridendo
sbarazzina e strizzandogli l’occhio.
Il ragazzo ha appena 17 anni e non è abituato ai giochetti
maliziosi. Non a quelli di Jordan. Nessuna ragazza che è come
lei: Farik se la sogna di notte e smania dalla voglia
di mettere piede nel locale dove canta e si esibisce.
La donna lo sa e non gli da più di tanto spago per non
rovinarlo prima del tempo. Avrà un sacco di anni per
prendere tranvate dal sesso debole.
Tzè…si ostinano ancora a chiamarlo così, pensa
sbattendo il ragazzo fuori della camera e indossando il suo vestito mega
ridotto. Aggiusta gli stivali di camoscio e indossa un impermeabile sopra la mise sexi per non dare scandalo nel vicinato.
Jordan canta e balla in un locale, La Bella Vita. Ormai non balla quasi più, una volta lo
faceva…quando aveva incontrato Ford e ne era rimasta
abbagliata.
Scuote la testa, legando i capelli scuri e mossi in
un’acconciatura abbastanza complicata che le ha insegnato
l’amica afro americana di Simonne.
Infila gli orecchini pensando che non ha tutti i torti, la
sua amica, quando afferma che sta ancora pensando all’uomo. Certo che ci sto
pensando, ma non lo ammetterò mai!
Jordan aveva 25 anni all’epoca e si era trovata un lavoro
part time. Cantava in un locale tutte le sera e un
torrido venerdì, durante una festa di addio al celibato, le era stata offerta
una generosa mancia per un finto spogliarello in onore del festeggiato.
Aveva accettato dopo essersi fatta due calcoli e sebbene non
si fosse spogliata neanche della camicetta, la padrona del locale le aveva proposto un surplus sulla performance canterina aumentandole
la paga.
Jordan smaniava dalla voglia di andarsene di casa e vivere
sola, così era salita sul palco per far vedere a tutti come se la cavava.
Era stato un successo, dopo il primo imbarazzo, e lei non ci
aveva visto niente di male nel continuare a fare quel lavoro innocente. I
clienti erano tenuti a bada dai buttafuori, vigeva la regola ‘guardare e non toccare’ e
ogni sera tornava a casa col portafoglio pieno e mazzi di rose fra le braccia.
Poi era arrivato quel…fottuto
e lercio pezzente, con la sua aria da baraccato che si era seduto proprio
di fronte a lei e non le
aveva staccato gli occhi di dosso per tutta la serata. L’avevano dovuto
buttare fuori a forza e ogni santa sera si ripresentava, appiccicandole quello sguardo nero pece addosso, ordinando da bere ma non
toccando un goccio d’alcol.
Le sere in cui cantava non la smetteva di bere, invece, e
lei continuava a fissarlo imbambolata e si scopriva a cantare solo per lui.
L’aveva aspettata fuori del locale, porgendole una
margherita malconcia che aveva trovato chissà dove e si era allontanato in
silenzio, senza darle tempo di aprire bocca per ringraziarlo.
Aveva gettato i fiori che le erano stati recapitati in
camerino, ma aveva tenuto quella margherita sfogliata.
La sera dopo, Ford non si era presentato e così via per una
settimana. Era tornato all’improvviso e si era sbronzato così tanto da
scatenare una rissa con i buttafuori che aveva coinvolto tutto il resto del bar.
Solo quando era intervenuta la polizia, aveva tirato fuori il tesserino da
detective privato e si era messo a fare la cosa peggiore che potesse venirgli
in mente: dare spiegazioni!
L’avevano arrestato senza tante cerimonie e Jordan era
andato a tirarlo fuori la mattina dopo. Gli aveva sorriso e senza dire una
parola se n’era andata per la sua strada, pensando che quella sarebbe stata
l’ultima occasione di rivederlo perché la proprietaria del locale aveva
ordinato il ‘chi va là’ con
l’ordine di spezzare qualche osso se si fosse rifatto vivo.
Jordan gliene rese atto: era testardo come un mulo e un vero
e proprio coglione per cercare di rivederla
la sera stessa, col rischio di prendercele. Per evitare che volassero
denti – quelli di Ford, principalmente - aveva allungato una buona mancia a Stanford per farlo passare e mentre ballava se l’era
ritrovato sul palco d’un tratto, costringendola a fermarsi, un sorriso sghembo
e un foglietto in mano piegato in quattro.
Inutile dire che quella volta l’avevano randellato per bene
tanto da mandarlo all’ospedale!
Gli aveva lasciato il suo numero di telefono. Lei era andato a trovarlo al pronto soccorso e l’aveva sentito
borbottare ancora prima di entrare nella stanza.
Un sorriso da coyote sotto la marea di
cerotti che aveva in faccia e Jordan era capitolata, deponendo le armi senza
neanche combattere.
Se lo ricordava sempre così, quel
disgraziato che le aveva stracciato il cuore e rubato tutti i soldi che
possedeva: sorriso da stronzo e aria sgualcita da scatenare il suo lato più
tenero.
E Jordan non era certo una donna
tenera.