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Autore: formerly_known_as_A    14/01/2010    3 recensioni
Tutto inizia quando Yuffie inizia a stare male, cosa rara per la ninja. Poi avviene tutto in fretta: la rivelazione che le cambierà la vita, riportando a galla un passato che avrebbe desiderato tenere nascosto e poi, loro, i membri della Dusk Society o Società del Crepuscolo... Chi sono? Che cosa vogliono di preciso da lei? Chi potrebbe avercela con un innocente ladra di Materia? ma, soprattutto, riuscirà l'autrice a scrivere un riassunto decente e finire la fanfiction entro il 2025? Lo scoprirete solo leggendo!
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Vincent Valentine, Yuffie Kisaragi
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Aprì gli occhi, lentamente

Gli anelli del giuramento

il filo rosso che ci unisce

adesso non si vedono più

fra noi, nemmeno promesse

Non lasciarmi la mano

se questa è la realtà, è semplicemente triste

così

Fidati di me

Anche se il nostro legame si allentasse

i ricordi non possono cancellarlo

Ti fiderai di me?

La stella che segui col dito, la vedi?

Shadow of Love – Olivia Lufkin


Aprì gli occhi, lentamente. E non vide nulla. Nulla di reale. Intorno a lei tutto era confuso; voci, suoni e colori sembravano girarle intorno in un vortice psichedelico. Tentò di alzarsi, cercando di riordinare i propri pensieri. Non riusciva a ricordare dove fosse. Non ricordava nulla della giornata. In più, i suoi sensi erano confusi.

Prima di tutto, sentiva delle voci. A meno che non fosse diventata schizofrenica durante la notte, non le sembrava normale. Inoltre, tentando di alzarsi, aveva prodotto dei suoni. Suoni che si erano tradotti in immagini. Si chiese se non fosse stata drogata. La sinestesia era un sintomo abbastanza bizzarro.

Yuffie Kisaragi. Era il suo nome. Bene, stava facendo progressi. Aveva un gusto metallico in bocca, probabilmente sangue. Ma le era impossibile comprendere come si fosse ferita. Si ricordò a fatica dove fosse nata e quando ed attese ancora, rannicchiata a terra, di acquisire altre informazioni.

I sentimenti arrivarono tutti insieme. Dolcezza, felicità, paura, disperazione, furia.

La bambina. La bambina. C'era la bambina con lei. Sua figlia! La cercò accanto a sé a tentoni, per quanto il gesto fosse irrazionale. Produsse altro rumore. Ed altre immagini. Le avevano portato via la bambina. Era lei che volevano, fin dall’inizio. Chi? Non importava! La bambina. Ran! Il suo nome era Ran! Quella stessa bambina che aveva pensato più volte di strappare via dal proprio corpo, che aveva percepito come un peso e che l’aveva fatta sprofondare nella disperazione. La figlia di Astharoth. Astharoth, Astharoth. Chi era Astharoth?! La bambina. Scomparsa.

Urlò. Non le importava se la sentivano tutti. Dovevano sentirla. Dovevano sapere che stava per ucciderli tutti. Non importava chi, non ricordava e non le importava. Uccidere. Uccidere! Chiunque! Nessuno! Immagini, immagini, ancora immagini, confuse, colorate, violente. E il grido. Il grido che diventava immagine.

-Yuffie...- un immagine dolce. Ma non abbastanza forte, subito avvolta ed inghiottita dai colori.

Sentì due braccia circondarla. Altro rumore. Un sentimento diverso. Se le scrollò di dosso, violentemente, continuando ad urlare.

-Yuffie... Calmati, Yuffie... Ti prego...- Calore, odore di sangue ed altre immagini dolci. Di nuovo, ma più debolmente, quelle braccia tornarono a circondarla. Il grido le morì in gola. E, nuovamente, la voce, bassa e roca, parlò. La persona che le parlava respirava a fatica e le sue parole sembravano sibili. Sangue, sangue, sangue ovunque. Non vedeva nulla oltre quelle immagini così dolci da spezzare il cuore. E il sangue scivolava su di sé.

-Andrà tutto bene... Te lo prometto.-

Vincent Valentine. Vincent che l'aiutava. Vincent che la salvava. Troppe immagini, troppe, troppe, troppe immagini dolci e dai colori tenui. Si rifugiò dentro di lui, ma era peggio. C'era dolore. Dolore e sangue. Ma niente immagini, solo una donna con lo sguardo fisso. Ricordava i suoi pensieri. C'era la musica dei desideri, ancora. C'era sempre, sotto la musica del dolore, sotto la musica della paura. Pianse, ma fu la donna a versare lacrime. Non voleva tornare lì, non con le immagini, ma quel dolore, quel dolore era insopportabile.

Chiuse gli occhi, riordinando le idee. Le immagini dolci non erano cessate. Erano il battito del suo cuore preoccupato. Il suo ritmo strano, ma rassicurante. Erano il suo respiro anche se sibilante.

Era tornato, per lei, perché teneva a lei e alla bambina. Era tornato nonostante tutto il male che gli aveva fatto. Lui era tornato e poi... Poi Dirae, l’illusionista... Un attacco mentale. Non su di lei. Su Vincent. Vincent che era... Morto?

-No... Non morto...- riuscì ad articolare, posandogli le mani sul volto. Lo sentì serrare la mascella quando passò le mani su qualcosa di sottile ed umido. Un taglio. Un altro. Non era stato Dirae a ferirlo. No, Dirae l'aveva... -Non sei...-

-Ringrazia Hojo...- le immagini scomparirono, ma non ritrovò la vista. Vincent era crollato a terra e lei... Aveva usato il Sakanagi. Dirae era morto, ma lei non... Cos'aveva fatto alla sua mente? -Cos'hanno i tuoi occhi?-

Si mise a sedere e tentò di vedere, senza troppi risultati. Cercò a tentoni Vincent e trovò qualcosa di umido e leggermente appiccicoso. Sangue. Sentì un gemito quando gli toccò il braccio e riconobbe una frattura. L'osso era esposto. Perché non vedeva? -Yuffie?-

-Buio...- Non era neppure diventata più loquace. Almeno aveva ammazzato quello stronzo. -Ran?-

Lo sentì mettersi seduto e gemere di nuovo mentre si appoggiava alla parete. Il respiro si fermò per un attimo e fu seguito da un rumore di ossa rotte. Un grido. Poi solo il respiro. Lo cercò di nuovo a tentoni e trovò la sua mano. Tremava. Gli si avvicinò e ripeté la sua domanda.

-Siamo nel Quartier Generale della Società del Crepuscolo e Ran è con loro...-

Si appoggiò al muro e chiuse gli occhi. Non cambiò poi tanto. Doveva vedere. Doveva vedere. Non poteva permettersi di non vedere in quella situazione. Dirae non poteva averle danneggiato a quel punto il cervello.

Riaprì gli occhi e vide. Si trovava in una cella buia, dalle pareti metalliche. I muri si estendevano fino a confondersi con l’oscurità. Sembrava non vi fosse via d’uscita.

Vincent era ricoperto di tagli e lividi ovunque. Soprattutto in faccia. Il Jenova che era in lui aveva evitato che morisse. Ma non era sicura che fosse realmente un bene. Stava guarendo, ma soffriva.

Come aveva fatto a ferirsi in quel modo? Non riusciva a ricordarselo. Sembrava che qualcuno di molto forte l’avesse preso a calci e pugni. Lo abbracciò, tentando invano di non fargli male e scoppiò a piangere.

Era solo colpa sua se era in quelle condizioni, rinchiuso dentro una prigione... Aveva pensato soltanto a sé stessa; si era rifugiata sempre da lui, senza interessarsi minimamente ai suoi sentimenti. Era solo un’egoista. Lo era sempre stata. E lui era uno stupido altruista che non riusciva ad abbandonarla al suo destino.

-Perdonami.-

-Ti amo.-

Non se lo sarebbe mai aspettato, da parte sua. Insomma... Era ancora innamorato di Lucrecia e... E invece quel ti amo era per lei. Lo shock fermò le lacrime. La sensazione piacevole che aveva provato quando era nella sua mente era quella. Amore. La amava.

-Ecco, ora posso anche morire in pace...-


-Vinnie, tu sei sopravvissuto alla morte... Perché?- chiese, distogliendo per un attimo lo sguardo dal paesaggio che sfrecciava veloce oltre il finestrino. Non avrebbe mai creduto di avere il coraggio per porgli quella domanda. Ma quello era stato prima di rimanere incinta. Prima di essere costretta ad una fuga continua. Prima che lui decidesse di proteggerla.

-Forse perché avevo un conto in sospeso...- rispose lui, dopo qualche secondo di silenzio. Il suo era stato un mormorio confuso, quasi incomprensibile. Probabilmente aveva risposto a sé stesso.

Abbassò la testa e si appoggiò meglio al sedile del treno, accarezzandosi distrattamente il ventre. Certo, lui doveva vendicarsi. Doveva smetterla di pensare all’improbabile possibilità che Astharoth potesse essere sopravvissuto. Lui non aveva nulla di cui vendicarsi, a parte forse il destino che gli era stato riservato. E non era poco. Ma non aveva conti in sospeso sul Pianeta. Aveva dei conti in sospeso con gli dei.

-La vendetta...- sussurrò la ragazza, quasi inconsciamente.

Lui scosse la testa, concedendosi un sorriso tirato.

-No... Volevo dire a Lucrecia che l’amavo... Direttamente, senza pensare alle conseguenze... E’ stato questo a farmi sopravvivere... E’ ridicolo, vero? E’ ridicolo come qualcosa di fragile come l’amore possa rendere forti le persone.-


Si appoggiò a lei, con tutto il suo peso e, per un attimo, pensò con orrore fosse morto. Non poteva morire. Non doveva. Non dopo quella confessione. Doveva sentire la sua risposta.

Ma il suo respiro sibilante vicino all’orecchio la rassicurò. Stava solo dormendo... Poggiò le dita sulla sua tempia e pensò a tutto quello che aveva fatto per lei, i suoi sacrifici e quel dolore terribile che aveva percepito. E al suo amore. Il Sakanagi fece il resto e sentì che il dolore scompariva a poco a poco.

-No, non puoi... Non potrei sopportarlo, Vinnie.-


-Vattene, Valentine.-

Non l’aveva lasciata un attimo, neppure durante il sonno.

Anche in quel momento la stava abbracciando. Ed era perfettamente sveglio. Constatò, sollevata, che le ferite erano quasi guarite. Si stava riprendendo. Che stupida, era stata, a pensare che potesse morire. Lui era Vincent Valentine, dopotutto.

Alzò la testa e si ritrovò a fissare gli occhi celesti e crudeli di Kaminà. Il desiderio di farle una rinoplastica con un machete la assalì. Ma non c'era nulla di appuntito nei paraggi e Vincent aveva smesso definitivamente di indossare il suo guanto metallico alla nascita di Ran. Si pentì di non essere una malata di shopping e non avere sotto mano una Louboutin tacco 20 da tirarle in un occhio.

-Lasciala andare e vattene. Il capo ti ha già torturato abbastanza, non credi?-

Osservò l’ex Turk. Le ferite erano scomparse, ma aveva ancora il respiro affrettato e sibilante. Non sembrava avere nessuna intenzione di lasciarla andare. Si odiò perché ne era felice. Aveva detto che l’amava. Non l’avrebbe mai lasciata andare volontariamente. Era allo stesso tempo confusa, felice e spaventata da quella confessione.

Era stato il famoso Capo della Dusk Society a fargli del male. Lo stesso che, in quello stesso momento, aveva in ostaggio Ran. E lei doveva andare a recuperarla. E recuperare qualcosa per la famosa rinoplastica.

-Valentine, non fare l’idiota.- sibilò Kaminà. –Oh, per i fulmini di Ramuh, quanta pazienza ci vuole con te!-

Posò un pacchetto fasciato da carta bianca a terra ed uscì dalla cella. Poco prima di chiudere la porta, aggiunse: -Tu cambiati. Hai dieci minuti, il mio Signore desidera vederti.-


-Vai, Vincent...- sussurrò, quando finì d’indossare l’abito. Era semplice ed elegante, bianco. Le donava, ma non le piaceva affatto. Lei non indossava abiti. Non le piacevano proprio, perché le intralciavano i movimenti e la facevano sentire prigioniera. E poi, il bianco era il colore del lutto, non era proprio di buon augurio.

La fissò, confuso. Ovviamente non se l’aspettava. Aveva trascorso sette mesi a proteggerla, probabilmente si era dimenticato di quanto Yuffie Kisaragi avesse veramente poco bisogno di una guardia del corpo.

O forse era sempre più sorpreso nel constatare quanto fosse testarda e simile a lui. La sua era una questione personale e come tale voleva risolverla.

-Vai, non preoccuparti per me...-

Scosse la testa, deciso. –Non posso acconsentire.-

-Dannazione, Vincent! Tanto sei inutile! Anche se te ne vai non cambia molto! Ti salvi soltanto la vita!-

Gli diede le spalle. Non voleva guardarlo andare via. Non di nuovo. Voleva ferirlo un’ultima volta per salvarlo. Se non se la fosse cavata l’avrebbe ricordata come una perfetta stronza, ma, almeno l’avrebbe salvato. E se se la fosse cavata... Scosse la testa con determinazione. No. Non aveva tempo per pensare, doveva solo andare dal capo, ucciderlo e riprendersi Ran. Sperava solo di potercela fare. Se non per sé stessa, almeno per la bambina.

Lo sentì soffocare dolorosamente una risata –Dovresti cambiare metodo, dopo la prima volta non funziona più, Yuffie.-

Si voltò verso di lui, confusa ed irritata. Non era uno scherzo, doveva andarsene. –Non è perché hai detto che, ora come ora, potresti anche morire che saresti in pace, che, per forza, devi provare l’ebrezza di morire.- sibilò.

-Perché non vuoi che muoia, Yuffie? In fondo, cosa sono per te, oltre ad una guardia del corpo?- sussurrò l’ex Turk, con un mezzo sorriso.

-Sei un amico.- rispose lei, convinta. –Un amico molto caro. Quindi, per favore, ora vattene.-

Si avvicinò a lui, quasi inconsciamente e l’abbracciò. –Ti prego, vattene.-

-Mi stai trattenendo.- mormorò l’uomo, approfittando dell’occasione per abbracciarla a sua volta. –Come ogni volta, c’è qualcosa di razionale in te che mi allontana, ma qualcosa di più forte ed irrazionale che prova questo insoffocabile istinto di abbracciarmi. Non è vero, Yuffie?-

Si allontanò come se si fosse scottata, stupita da come le sue parole riflettessero bene i propri pensieri.

-Non vuoi dirmi nulla, prima che me ne vada?-

Si riavvicinò, perfettamente cosciente di quello che stava facendo e si fermò ad un passo dall’uomo. –Sì, Vincent Valentine... Sono felice che tu sia mio marito e il padre di mia figlia.-

-Tecnicamente...- iniziò lui, alzando l’indice per sottolineare l’appunto irritante.

-Tecnicamente sei un rompicoglioni, Vincent Valentine. Sempre a rovinare i momenti romantici...- sbuffò la donna, irritata, per poi scoppiare a ridere. Capendo cosa avesse appena detto, ammutolì ed arrossì.

-Grazie, sei un tesoro.- sussurrò l’uomo, chinandosi per baciarla. Non cambiò idea all’ultimo momento, per una volta, ma fu un bacio fugace. Un bacio dolce. Quando si accorse che avrebbe ucciso pur di averne un altro, fece l'unica cosa possibile: lo obbligò ad abbassarsi e restituì il bacio. Si accorse che era quello che avrebbe dovuto fare mesi prima. La cosa più semplice. La cosa più difficile. E la frase che l'avrebbe trattenuto era così semplice che si stupì di non averci pensato prima. Ma non riusciva a pronunciarla. L'aveva dimenticata, chiusa nel proprio lutto.

Si fermò quando si accorse di averlo fatto sbattere contro la parete, abbastanza violentemente. -Ti amo. Scusami. Non volevo...-

-...rompermi la spina dorsale?- terminò lui, con un gemito di dolore, chiudendo gli occhi.

-Sanguini di nuovo... Oh Leviathan, mi dispiace!- si scusò la ninja, avvicinandoglisi di nuovo.

-Hai appena detto...? Davvero?!- le chiese, stupito. Ma non le diede il tempo di rispondere e la strinse a sé. -E' stato il bacio più doloroso della mia vita, ma credo ne sia valsa la pena...-

Gli sfiorò di nuovo la tempia e non le servì neppure concentrarsi per usare il Sakanagi. -Ne vale sempre la pena...- Sorrise e posò nuovamente le proprie labbra sulle sue per un breve istante. -Meglio?-

-Per la schiena indubbiamente...- mormorò Vincent, restituendo il sorriso. Risalì con le labbra fino all’orecchio della ninja e continuò: -Odio lasciare a te il lavoro pesante, Yuffie, ma penso anche che tu abbia un conto in sospeso con quest’essere... Quindi, che ne dici di occuparti di lui, mentre io recupero nostra figlia?-

Non sapeva cosa rispondere. Accettare significava metterlo in pericolo, ma anche dare una possibilità di fuga alternativa a Ran. Rifiutare significava fare di testa propria e buttarsi a capofitto nella battaglia, con basse possibilità di vittoria ma alte probabilità di massacrare per bene lo stronzo che l’aveva seguita per mesi.

Poteva avere entrambe.

Poteva avere entrambe le cose, pensò, finalmente, ma non a proposito della battaglia. Poteva essere felice con Ran ed innamorarsi di nuovo. Poteva passare oltre il lutto. Odiava quegli abiti bianchi, ma non aveva fatto altro che rifugiarsi in essi. Aveva ricevuto il diritto di farsi una vera vita e l’aveva buttato.

-OK, Vinnie, tu recupera nostra figlia, io prendo a calci il supercattivo di turno.- sussurrò, con un ghigno. Sorprendentemente, l’uomo la cinse in un abbraccio stritolante, facendole quasi male. -Coraggio.-

Poi bussò alla porta della cella, assumendo l’aria più truce che potesse fingere in quel momento e, quando Kaminà aprì, se ne andò senza una parola. Yuffie sospirò e controllò per l’ultima volta di avere l’unica arma avesse portato durante quei mesi. Sorrise.

-Bevi questo.- le ordinò la bionda, porgendole un bicchiere pieno di un liquido che non avrebbe saputo identificare.

Lo afferrò e fece finta di bere, senza però ingoiare. Era dolce... Cosa poteva essere trasparente e dolce? Limonata industriale? E cosa volevano farle, con la limonata industriale? Non si fidava tanto, per cui, non appena la donna si fu girata, lo sputò.

-Dov’è mia figlia?- chiese. In qualche modo, sperava fosse abbandonata a sé stessa in un luogo lontano a quello in cui stava per andare. Un luogo in cui Vincent la potesse trovare e portare via. Perché le aveva detto di aver coraggio?

-Che ti frega? Era solo una noia, dopotutto...- ribatté rapidamente l’altra, con un’alzata di spalle. –A cosa servono i figli? A continuare la specie e basta. Il capo dice di essere deluso dall’assenza di ali. In effetti, è una delle mutazioni più interessanti in assoluto. Quegli occhi disgustosi, invece...-

Era? Perché usava il passato?

Possibile che... Che l’avessero uccisa? No, in fondo era necessaria ai loro scopi, apparentemente. Quindi doveva essere viva. Sperava solo che non fosse qualche clone di Hojo ad esaminarla. O almeno, che Vincent lo prendesse per bene a calci nel culo tanto per sfogarsi.

-Io li trovo magnifici...- ribatté, con un piccolo sorriso. Non poté impedirlo. Non riusciva a non intenerirsi, ripensando all’aspetto della bambina. I suoi occhi erano belli. Anche se, in un certo senso, rappresentavano il dubbio che aveva attanagliato lo spirito della madre negli ultimi mesi. –Quindi volevate solo un discendente di Astharoth?-

La bionda si bloccò. Per un attimo, Yuffie credette fosse perché si era accorta di aver detto troppo. Invece quella la prese per il collo e la sollevò, con uno sguardo folle.

-Non pronunciare quel nome! Non ne hai alcun diritto!- sbraitò. Gli occhi le divennero dorati, segno che, probabilmente, imitare Galian Beast una volta l’aveva condannata allo stesso destino di Vincent.

-Strano, mi sembrava che Astharoth me l’avesse permesso. Ovviamente tu non puoi saperlo, visto che non l’hai mai incontrato.- sibilò la ninja, acida. Con un movimento rapido, ruppe il polso della bionda ed atterrò elegantemente al suolo. –Ricorda che parli di mia figlia, primo. Ricordati che sono stata l’unica a conoscere Astharoth, secondo.-

-Oh, si, certo... Fin’ora sei stata veramente una madre modello... Non hai fatto altro che sballottarla qua e là, mettendo a repentaglio la sua vita e ne hai persino tradito il padre con un deficiente qualunque!- sbottò Kaminà, melliflua. -Sei ricoperta del suo lurido sangue, guardati! E tu dovresti essere la Promessa? Sei disgustosa!-

Era vero, era coperta da macchie scure, irregolari, del sangue raggrumato di Vincent. Ma quella frase non l’aveva ferita, si stupì, al contrario, l’aveva lasciata indifferente.

Lasciò che la insultasse, senza battere ciglio. Non doveva cedere alle sue provocazioni. Non quando era così debole. Rischiava di farsi picchiare da quella pazza. E sapeva quanto poteva essere forte. Doveva risparmiare le energie per colui che meritava di farsi massacrare dalla Rosa Bianca di Wutai.

Kaminà si rialzò e prese l’altra donna per un braccio, usando più forza del dovuto. Insieme oltrepassarono l’ennesima porta, sbucando in un’ampia sala.

E la minore, per poco, non perse i sensi.

La sala era a cupola, con un lucernario di vetro scurito dal tempo, ma, grazie alla presenza di una luce irreale ed inquietante, era possibile vederne il contenuto. Colonne che non sostenevano nulla troneggiavano ai lati della stanza e, proprio di fronte a lei, seduto su un trono, vi era il Capo.

-Astharoth!-

Fece alcuni rapidi passi verso di lui, incredula. Era divisa tra la voglia di abbracciarlo e quella di picchiarlo.

Perché non le aveva mai detto di essere a capo di quell’organizzazione? No, la vera domanda era un’altra. Perché le aveva fatto tutto questo? Perché le aveva mandato quei pazzi furiosi contro, aveva fatto uccidere Godo ed aveva torturato il suo migliore amico?

E perché le aveva portato via, a poco a poco, ciò che era più importante per lei?

-Dov’è la bambina?- chiese, risoluta. Non fece più un solo passo verso di lui, né arretrò quando lui avanzò fino quasi a sfiorarla.

-Avevo detto che doveva dimenticarsi tutto, Kaminà.-

Lui era vivo. Era davanti a lei. Ma nulla nell’essere che le stava davanti le ricordava la persona che aveva amato. Era diverso. Nei suoi occhi non c’era più nulla di umano, nessun sentimento buono, solo desiderio di vendetta e morte. La vendetta contro un destino ingiusto.

Non riusciva a riconoscerlo. Non riusciva a credere che fosse lui l’uomo che aveva sperato incontrare nuovamente, con cui aveva sperato passare il resto della sua vita. Non era lui. Non poteva essere lui.

-Dov’è mia figlia?-

Sua figlia, come se non avesse un padre... Come se suo padre non fosse davanti a lei, in quel momento.

Ma non lo era, dopotutto. Non era il padre della bambina. Non quello.

Il demone la fissò, stupito ed irritato. Astharoth non mostrava mai la propria irritazione, si ritrovò a pensare. E, poi, improvvisamente, si sentì sollevata. Certo, lui non era Astharoth e, in ogni caso, non era stato su di lui che aveva potuto fare affidamento fino a quel momento. No, il padre di Ran, la persona che l'aveva amata e protetta fino a quel momento non era di sicuro lui. Neppure la persona che aveva amato a lungo era lui. Non era Vincent. E non era il suo Astharoth. Fece un mezzo sorriso. Poteva farcela.

-Vorrà dire che sarò obbligato a fare da solo... Mia cara... Hai fatto un ottimo lavoro...-

Scosse la testa ed arretrò di un passo, giusto in tempo per allontanarsi dal braccio teso di Astharoth. Il sorriso non lasciò le sue labbra.

-Cosa c’è? Non volevi che ti abbracciassi e ti baciassi di nuovo, come un tempo? Ebbene, eccomi, che cos’aspetti?- chiese il demone, confuso.

-Perché dici che ho fatto un ottimo lavoro?- ribatté lei, decisa a capire il motivo per il quale avesse vissuto l’inferno.

-Hai portato in te nostra figlia, in modo che potessi usare le sue cellule per creare un corpo mio, ovviamente... E’ un peccato che quest’utilissima setta si sia rivelata tanto debole. Erano persone speciali, come te e me. Avevano un passato tormentato e desideravano solo una lieta novità, la pace nella loro mente. Solo io posso giustiziarli e purificare la loro anima.- spiegò, con un sorriso vuoto e falso. Si chiese per un lungo istante se provasse un qualsiasi sentimento.

I suoi occhi color ambra... Quanto aveva sognato di poterli rivedere?

Ma quelli che aveva davanti a sé non corrispondevano a quelli che ricordava. Quel lume di follia pura lo conosceva. L’aveva visto negli occhi di Sephiroth. Negli occhi di Hojo. Negli occhi di chi aveva perso tutto e a cui non importava più né della propria sopravvivenza, né di quella del resto del Pianeta.

L’attirò a sé e la baciò, senza troppi problemi. Non percepì neppure una lacrima d’amore in quel bacio. Solo passione e, forse, neppure quella. Solo il desiderio di sentirsi vivo e utile. Ma ricambiò il bacio, cercando, per la seconda volta in una giornata, di pensare ad un piano. Ritrovandosi invece a pensare a Vincent, di nuovo. Era andato a salvare Ran. Ce l’avrebbe fatta.

E grazie a lui sarebbe riuscita anche ad eliminare Chaos, perché non indossava più l'abito bianco del lutto. Ma un abito che si stava tingendo di cremisi.

Si staccò da lei e fissò Kaminà, con uno sguardo indecifrabile, tra il soddisfatto e il furioso.

-Il siero ha funzionato, mio Signore.- pigolò la bionda, spaventata.

Siero? Probabilmente quello che la guerriera aveva insistito affinché bevesse. Quello che il suo istinto le aveva consigliato di sputare.

-Ha comunque agito in ritardo.- sibilò il demone, mellifluo. Probabilmente aveva semplicemente trovato il pretesto giusto per eliminarla. Aveva previsto da tempo come fare. Si avvicinò al Giocoliere del Diavolo, che arretrò, spaventata. Yuffie si ritrovò incapace di muoversi, spettatrice immobile e passiva di un’esecuzione.

-Astharoth... Astharoth... Ti prego... Io...-

-E’ stato un errore che avrebbe potuto costarci caro, Helen.-

-No!!! Non dire il mio nome!!! Non dire il mio nome!!!-

-E’ il tuo secondo errore, mia cara... Credevi forse che avrei gioito sapendo che avevi ucciso Emil, Helen?-

-Smettila!!! Smettila!!!-

Astharoth afferrò la donna per il collo e, con un movimento rapido, glielo spezzò. Poi, come se si trattasse di un oggetto di poco conto, gettò il suo corpo in un angolo. Yuffie osservò impietosita quella che un tempo era la sua peggior nemica. I capelli biondi le coprivano il volto, quasi a volerlo schermare dallo sguardo altrui. In fondo, era solo... Innamorata della persona sbagliata.

-Astharoth?-

-Sì?-

-Mi ami?-


-Mi sembra strano che un demone possa aver affermato di amarti...-

Lo fissò, arrabbiata, sbattendo il pugno chiuso sul letto.

-Certo che l’ha detto! Lui mi amava! E, oltre a dimostrarmelo ogni giorno, me l’ha confessato, anche!-

-Allora era uno strano demone, perché i demoni non riescono a mentire fino a questo punto... Un demone non pronuncerà mai la frase “ti amo”.-


-Yuffie?-

-Vuol dire... Che non mi ami più? Lo sapevo!-

Forse stava recitando un po' troppo la parte della ragazzina viziata, ma non aveva idea di che cosa fosse quel siero. Probabilmente era una specie di pozione d’amore o cose del genere... Che idiozia... Non esistevano pozioni d’amore.

-Amore mio... Non dire questo... Io... Io sì...-

-Sì che cosa?-

La falsità che trapelava dalla sua voce e dal suo sguardo era rivoltante. Il demone le afferrò le mani e gliele accarezzò. Non sapeva perché, ma quel gesto, invece, le sembrava sincero. Ma, allo stesso tempo, era diverso dai gesti a cui l’uomo che amava l’aveva abituata.

Era esagerato. Come se stesse imitando senza troppo successo qualcuno.


-Asty, sei sicuro di amarmi?-

-Eh? C...Certo che... Che ti amo!-

-Ecco, vedi, hai esitato!-

Incrociò le braccia al petto e gli diede la schiena.

-Sei sicura che invece non sei tu a non essere certa dei tuoi sentimenti per me?-

-Oh, dannazione, Asty, quando fai così sembri Vincent!-


Vincent... Ma certo... Vincent! Perché non ci aveva pensato prima?!

Quello che aveva di fronte era Astharoth fuori dal corpo di Vincent! Sarebbe quindi bastato farlo tornare nel corpo di Vincent e tutto sarebbe tornato come prima. Come prima? Prima di quando? Prima di vivere l'anno infernale che aveva appena vissuto? Prima di scoprire di essere incinta? Prima che Astharoth morisse?


-Perdonami, Yuffie.-

Sdraiata su un lato, faceva finta di dormire. Aveva bisogno di prove, eh?

Come se la capacità di riconoscere l’affetto che qualcuno prova nei tuoi confronti non fosse soggettiva!

-Perdonami. Ti prego.-

-Non pregarmi, non sono la divina Lucrecia.- sibilò lei, stizzita.

-Hai ragione. Non sei lei. Vorrà dire che ti supplicherò...- mormorò l’uomo, scompigliandole i capelli e sdraiandolesi accanto, abbracciandola. –Vi supplico, divina Yuffie, perdonatemi.-

Lo sentì chiaramente sorridere e, sul momento, si arrabbiò ulteriormente, ma capì che la discussione era conclusa. Amici come prima.

-Ti voglio bene, Vincy...-


Non aveva nessun diritto di annientare un’esistenza solo per il proprio interesse; Dopotutto, lui aveva sacrificato mesi della propria esistenza per la principessina egoista... Era stato torturato. Aveva ucciso la donna che amava, o, almeno, la sua ombra. No. Non aveva nessun diritto su di lui. E poi, dannazione, lo amava. Nessun demone poteva sostituirlo. Nessun demone, per quanto potesse averla amata in passato, poteva sostituire e cancellare tutto quello che Vincent rappresentava. Nessun Astharoth poteva sostituire il calore del suo abbraccio, il suo sorriso o l'amore che provava per lei e per la loro bambina.

-Io...-

Il suo sguardo. Disperatamente in cerca di qualcosa. Ma che cosa? Forse era perso, senza i sentimenti che aveva appreso da Vincent. Forse cercava soltanto il passato. Cercava ciò che era stato.

-Tu non hai mai avuto un cuore, vero?- gli chiese, calmamente.

La fissò, sbigottito e confuso, indeciso se ucciderla o rispondere. Un secondo dopo, la ninja sentì un intenso bruciore al petto. Aveva deciso di ucciderla.

Tentò di non guardare l’artiglio che il demone le aveva conficcato al livello del cuore. Ancora non sanguinava.

Bene.

E non era neppure morta.

Ancora meglio.

-Che cosa vuoi da me?-

-Voglio... Voglio che resti con me... Per sempre... Me l’avevi promesso...-

Gli accarezzò il viso e sorrise. Un bambino. Era un bambino crudele ed inesperto. Un bambino che ricordava di aver avuto dei sentimenti e non riusciva più a trovarli nel proprio cuore. Un bambino alla ricerca di ciò che era stato, dei sentimenti di allora, delle parole di allora. Ma tutto era scomparso.

Ed aveva paura.

Di niente.

Di tutto quanto.

-Non posso. Non posso amare che una persona.-


-Ma... Winniewinnie! Non so usarla!-

La ragazza si rigirò tra le mani la piccola pistola, confusa. Non riusciva a capire. Lui era lì per proteggerla, no? Aveva magicamente deciso di farle da guardia del corpo, quindi non aveva bisogno di una pistola.

-E’ una semi-automatica, non è difficile.-

-Ho paura di ferire qualcuno!-

-E’ fatta apposta, Yuffie. E comunque, la dovrai usare solo in caso d'emergenza. Ha un solo proiettile.-

-Lo so, ma...-

-Prendila e basta. E smettila di fare la bambina.-


Sì. Doveva smetterla di fare la bambina, anche lei. Dove va crescere, una volta per tutte.


Lo sparo risuonò in tutta la stanza.




   
 
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