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Autore: mamma Kellina    16/01/2010    5 recensioni
Primi anni del Novecento. Miniere della Sardegna sud occidentale. Il giovane ingegnere gallese Robert Forrest, vedovo con un figlio piccolo, e la sfortunata ma indomita Barbara decidono di sposarsi pur senza amarsi. Ma il loro non sarà un patto facile da mantenere perché in fondo è l’amore che vogliono, come tutti gli esseri umani. Il cammino in comune sarà difficile e forse non riusciranno a trovare ciò che cercano, ma di sicuro impareranno a riconoscere le cose che contano davvero nel rapporto tra un uomo e una donna.
Si tratta di un vero e proprio romanzo, molto intenso e drammatico. Il genere è piuttosto classico, alla Jane Austen per intenderci, ed anche se non ho la presunzione di paragonarmi ad una tale Autrice, ho cercato di dare un certo spessore psicologico ai miei protagonisti. Ho provato anche a rendere con efficacia l’epoca ed i luoghi con un accurato lavoro di ricerca. Spero di esserci riuscita. Le località minerarie sarde e la loro storia sono del tutto autentiche. Non così le vicende ed i personaggi di cui narro che sono frutto invece solo della mia fantasia e pertanto non si riferiscono, se non in maniera casuale, a persone realmente esistite e a fatti davvero accaduti.
Vi va di accompagnarmi in questo viaggio?
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono davvero tanto contenta delle vostre recensioni, mie dolcissime amiche, perché vedo che state partecipando a questa storia con molto interesse e sentimento. Ve l’ho detto e ridetto, forse: non c’è niente che può fare più piacere a chi scrive per diletto di sentir parlare dei propri personaggi e dei propri intrecci. È assai gratificante sapere di essere riusciti a trasmettere attraverso semplici parole emozioni e sensazioni di un mondo immaginario, visibile solo agli occhi di chi scrive ma che in alcuni momenti è per lui quasi più reale della vita vera. Per questo vi ringrazio di cuore e, consentitemi, ringrazio in particolare Lizzie83 perché spero tanto che, così come ha fatto lei, altre lettrici, fino ad oggi silenziose, trovino la voglia e il tempo di dirmi anche con una semplice parola che il mio lavoro è servito allo scopo di divertirle ed intrigarle.
E veniamo alla storia. Nel prossimo capitolo vedrete questa strana coppia fare un piccolo passo avanti nel loro rapporto, conoscerete un nuovo personaggio che ci accompagnerà fino alla fine e ne saprete un po’ di più sul passato di Barbara. Solo un avviso: preparate i fazzoletti …

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Capitolo 14

 

Per fortuna Barbara Rispoli era davvero una donna forte ed abituata alla lotta. Cercò di convincersi a togliersi dall’animo un sogno assurdo ed a considerare il marito come un semplice datore di lavoro. Incominciò a rifuggirne la compagnia anche se, a parte il piccolo Charles e sporadicamente Giosuè e Maria, così facendo si condannava alla solitudine più desolata.

Nel frattempo il parroco le aveva comunicato di avere una ragazza adatta ad andare a servizio da loro e che il 19 di marzo, festa di San Giuseppe,  sarebbero potuti andare a conoscerla in quanto era sua ospite presso la canonica. Le aveva raccontato che, benché  molto giovane, la povera Nunzia aveva già una triste storia alle spalle. Figlia di pastori, era restata orfana di padre all’età di quindici anni e la madre, sola e senza chi la proteggesse, era stata costretta a sottomettersi ad un uomo rozzo e malvagio che non aveva tardato a rivolgere le sue pericolose attenzioni alla giovanetta. Avvedutasi della situazione, la povera donna l’aveva aiutata a scappare di casa affidandola ad un sacerdote che a sua volta, conoscendo la bontà di don Giustino, l’aveva affidata a lui. A questo punto il buon parroco aveva pensato ai coniugi Forrest che ancora cercavano una domestica brava e fidata perché gli era parso che la povera, sfortunata adolescente facesse al caso loro. Robert non si era detto contrario e Barbara aveva sperato davvero che potesse essere la persona adatta così non solo avrebbero fatto del bene, ma ci sarebbe stato anche qualcuno a farle un po’ di  compagnia.

La sua prima impressione fu  positiva: era una bella giovane di sedici anni con i capelli neri raccolti in una semplice crocchia, due occhi immensi da cerbiatta e la bocca grande e carnosa. Se ne stava davanti a loro a capo chino con le mani sciupate dal gran lavoro strette in grembo e tremanti. Le piacque subito.

- Ti farebbe piacere venire a lavorare da noi, Nunzia? - le chiese con gentilezza -  Ti tratteremo bene,  ci sarà da mangiare a sazietà ed avrai una bella stanza. Prometto che non ti farò lavorare troppo e quello che ci sarà da fare lo faremo insieme. L’ingegnere poi ti pagherà un discreto stipendio così potrai mettere da parte un bel gruzzoletto per la tua dote. In cambio ti chiedo solo due cose: la prima è trattare bene il nostro piccolo Charles, la seconda è mantenere una certa riservatezza su quanto accade a Villa Bianca perché non ci piace che i fatti nostri vengano spiattellati a destra e a manca. Credi di esserne capace?

La giovanetta annuì, fissandola negli occhi con tanta sincerità che la donna se ne sentì conquistata.

- Bene – le disse – ed allora verrai immediatamente a stare da noi. Non è così Robert? L’assumiamo?

- Se sta bene a te! – gli rispose questi in inglese, suscitando lo sguardo perplesso della ragazza.

Barbara rise.

- Ha detto di sì – le spiegò, poi aggiunse -  Non farci caso,  parla spesso nella sua lingua, ma a poco a poco comincerai a capirlo anche tu, vedrai.

 

In effetti Nunzia si dimostrò davvero brava e servizievole e poi era una persona riservata, una che non si perdeva in chiacchiere, ma capace di nutrire sentimenti forti e sinceri. La giovane padrona così gentile suscitò subito il suo affetto e se anche dovette avvedersi altrettanto in fretta degli strani rapporti che aveva con l’ingegnere Forrest, se lo tenne per sé senza mai fiatarne con anima viva.

Per Barbara la presenza di Nunzia non solo fu un gran sollievo alla solitudine, ma anche un notevole sgravio dai compiti più gravosi, anche se non mancò di continuare ad occuparsi con entusiasmo sia di  Charles che della casa.
Dopo un po’ Villa Bianca sembrò rinascere sotto le cure delle due donne e di Maria e ad un certo punto la padrona di casa si mise ad insistere talmente tanto con il marito che questi alla fine si arrese ed accontentò la sua richiesta di farne ridipingere le stanze e la facciata da un gruppo di operai chiamati per la costruzione del nuovo ospedale.     
Approfittando pure che il piccolo ora poteva essere lasciato con la ragazza per qualche ora, Barbara andava spesso in paese a visitare i pochi negozi o qualche bravo artigiano e ritornava a casa sempre piena di cose nuove.
A Robert tanta baraonda dava fastidio, ma si rassegnò di buon grado a sopportarla perché si rendeva conto che la moglie sembrava più serena e contenta da quando si stava dedicando a quelle occupazioni con tanto entusiasmo e questo valeva bene  qualche piccolo sacrificio.

Alla fine di maggio, nel rigoglio della vegetazione e della primavera, la grande casa sembrava trasformata.  Tutto brillava di pulito, alle finestre c’erano tendine nuove mentre enormi vasi di fiori e graziosi gingilli pescati chissà dove erano stati collocati con gusto facendo diventare tutti gli ambienti più luminosi ed accoglienti.
Osservando la casa da lontano una sera che rientrava, Robert  pensava che grazie all’attività frenetica ed instancabile di Barbara l’aria di tristezza e di abbandono che aveva caratterizzato Villa Bianca in quegli ultimi anni era scomparsa e ciò, nonostante tutta la sua tristezza, lo faceva sentire meglio. Ad un tratto  scorse la moglie arrampicata su una scala di legno a fissare sopra la porta d’ingresso un’enorme bouganvillea dai fiori rossi. Notò anche Giosuè, Maria e  Nunzia con Charles in braccio che ne seguivano le acrobazie con lo sguardo preoccupato.

- Che stai facendo? – le domandò avvicinandosi.

- Niente, prendo un po’ d’aria qui sulla scala – scherzò lei sporgendosi ancora di più per cercare di fermare un ramo.

- Scendi, è pericoloso – le intimò in preda all’ansia.

- Gliel’ho detto anch’io, signore, ma non mi sta a sentire – confermò il vecchio stalliere.

- Per favore, scendi – le disse di nuovo e visto che non lo stava ad ascoltare, le ordinò perentorio alzando la voce – Scendi subito, ubbidisci!

Barbara non gli aveva mai sentito usare quel tono e lo guardò meravigliata, poi, come se si fosse convinta all’improvviso, cominciò a scendere i pioli mentre lui si avvicinava alla scala per sostenerla. Era già a terra quando si allungò  ad aggiustare un ramo basso, ma toccando la pianta, si punse con una spina.

- Ahi! – strillò afferrandosi la mano.

- Fammi vedere cosa ti sei fatta  - le disse Robert prendendogliela tra le sue.

- Non è niente, è solo un graffio – mormorò lei,  provando suo malgrado un brivido.

Intanto l’uomo aveva cominciato a succhiare la goccia di sangue che le usciva dal dito ferito guardandola con tenerezza mentre la ragazza se ne restava immobile, incapace di sottrarsi alla strana vertigine da cui si sentiva travolgere.          
Restarono per un attimo così, sotto lo sguardo della servitù un po’ stupita perché non li aveva mai visti in una simile intimità, poi si riscossero e si separano.

- Adesso però sarà meglio che tu vada  a disinfettarti – le disse Robert sorridendole – Finirò io di sistemare questa pianta, credo di essere un po’ più bravo di te ad arrampicarmi sulle scale.

- Già, ma non hai il mio senso estetico – gli rispose lei con una smorfia ma poi preferì battere in ritirata per non mostrargli quanto si sentisse turbata dall’inaspettato contatto appena avuto.

 

Nelle sue numerose visite agli artigiani del paesino dove si riforniva, si era procurata anche un bel seggiolone per Charles e la sera lo faceva sedere a tavola con loro. Adesso che c’era Nunzia a servire a tavola, non doveva alzarsi di continuo ed aveva deciso di abituare il bambino a mangiare da solo. In un primo momento il padre fu stupito da un cambiamento che comportava anche qualche piccolo disagio, ma quando Barbara gli ribadì la necessità di insegnare al piccino a stare a tavola, fu perfettamente d’accordo. In fondo la moglie aveva una cura ed un’amorevolezza verso suo figlio che andava al di là di ogni più rosea aspettativa e neanche una madre naturale avrebbe potuto trattare meglio il bambino più di quanto non facesse lei.

 

Ne ebbe un’ulteriore conferma una notte di giugno, poco prima del secondo compleanno di Charles, quando fu svegliato dal sonno dai suoi strilli. In preda all’agitazione, si lanciò dal letto ma al suo capezzale era già corsa Barbara che lo teneva in braccio e lo stava accarezzando, parlandogli con dolcezza per calmarlo.

- Che ha? – le chiese con una voce da cui traspariva molta ansietà.

- Ha male al pancino. Adesso  andiamo giù in cucina e gli preparo una bella camomilla calda – disse la donna mentre asciugava le lacrime al bimbo.

- Vengo con te per aiutarti accendere il fuoco – si offrì Robert.

- Grazie, mi fa piacere perché così non dovrò svegliare Nunzia. Quella poverina fatica già tutto il santo giorno ed ora starà dormendo come un sasso.

Scesero tutt’e tre in cucina e Robert preparò la camomilla al bambino che intanto continuava a strillare dal dolore. Riuscirono a fargliela bere quasi tutta, poi Barbara andò a sedersi su una poltrona in salotto con lui in braccio e cominciò a massaggiargli il pancino, blandendolo con paroline dolci. Sempre più preoccupato, il padre accostò una sedia e si avvicinò a loro, guardandoli con il viso addolorato. Poiché il bambino non si calmava, ad un certo punto scattò in piedi dicendo:

- Vado giù in paese a chiamare il medico!

- Ma no, non è necessario, stai tranquillo,  tra poco gli passerà.

- E se invece fosse una cosa grave? Ho troppa paura: vado a chiamare quel dottor Bernardi.

- È soltanto una colica d’aria, anche Giacomino mio a volte ne soffriva. Ieri si è fatto una scorpacciata di ciliegie e gli avranno  fatto male, ma ora starà subito meglio. Siediti qui e stai buono. Se percepisce la tua paura, si spaventa ancora di più.

Robert ubbidì e si sedette di nuovo, fidandosi di lei che continuava a massaggiare il piccino appoggiato con il capo sul suo seno. Era la prima volta che aveva  accennato al figlioletto perduto e l’uomo non seppe resistette alla curiosità.

- Come è accaduto che il tuo bambino è…? – cominciò a chiederle senza però avere il coraggio di finire la frase.

Un sorriso malinconico le apparve sul volto e gli rispose piano, nascondendo nella calma delle parole la pena ancora viva.

- Non certo per un mal di pancia, fu un’infezione di difterite.

- Era piccolo?

- Aveva quattro anni. Era un bambino bellissimo, allegro, gioioso, anche un po’ monello. Gli piaceva correre e cantare e parlare, non stava mai un momento fermo!

- Deve essere stato penoso per te vederlo… - ancora non ebbe il coraggio di finire la frase, ma accarezzò la gambetta del figlio perché voleva sentirne il calore vitale, annichilito al solo pensiero  di un simile dolore.

- Per fortuna il Signore questo me l’ha risparmiato – soggiunse Barbara senza smettere di carezzare Charles anche lei – sono stata io la prima ad ammalarmi e non avevo coscienza quando… – la voce le si ruppe di pianto, poi proseguì – L’ultima volta che lo vidi si era affacciato nella stanza dove giacevo a letto in preda a ciò che pensavo fosse solo un banale mal di gola. Con il faccino tutto allegro, mi chiese il permesso di venire a giocare con me, come facevamo sempre, ma io lo sgridai un poco perché aveva disubbidito alla nonna entrando nella mia stanza. Avevo una voglia incredibile di abbracciarlo, ma mi feci forza e gli dissi “vai via amore, non vedi che mamma è malata? Va’ via, altrimenti ti ammalerai anche tu…”

Il ricordo penoso le fece scorrere lacrime silenziose sul volto e, smettendo per un attimo di carezzare il bambino che intanto si era calmato, se le asciugò prima di proseguire:

- Dopo mi aggravai e persi conoscenza così non seppi che sul serio anche lui si sarebbe ammalato ed il suo piccolo fisico non avrebbe resistito alla malattia devastante. Quando miracolosamente guarii, lo cercai. In un primo momento mi dissero di averlo mandato da Alfredo per sottrarlo al contagio, ma la tristezza sul volto di mamma e di papà e la desolazione della casa piombata nel buio senza che nessuno facesse nulla per riportarci il mio piccolo sole anche adesso che il pericolo era passato, mi fecero capire la verità.

Barbara non parlò più, solo ricominciò a carezzare il bimbo il quale, cullato dalla sua voce e poiché il mal di pancia gli era quasi passato, le rivolse un sorrisino dolcissimo che la donna ricambiò.

Robert l’aveva ascoltata in silenzio, con la fronte corrugata per l’angoscia suscitatagli nel cuore da quel racconto. Nel vederli sorridersi, non riuscì a resistere ed allungando la mano questa volta carezzò il viso di Barbara che lo guardò stupita con gli occhi ancora pieni di lacrime. Ancora con la sua guancia nel palmo della mano, lui le disse con estrema dolcezza:

- A volte dimentico di non essere stato l’unico ad aver sofferto tanto! Perdonami. Spero solo che l’amore di Charles possa sostituire almeno un po’ quello del piccolo che hai perduto. Lui ti adora, non vedi?

La donna gli afferrò la mano, stringendola forte e gli sorrise ancora.

- Anch’ io lo adoro e ti sono grata per avermi dato questa possibilità: è grazie a te se sto provando ancora la gioia di avere un bambino da amare.

 

   
 
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