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Autore: OnlyHope    19/01/2010    8 recensioni
Per Sanae tutto iniziava davanti ad una fermata d'autobus, quello stesso giorno Tsubasa partiva per il viaggio che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. E mentre Sanae cercava la sua strada in Giappone, Tsubasa inseguiva con caparbietà il suo sogno in Brasile. Ma anche questa è la storia di un ragazzo che ama incondizionatamente una ragazza. Perché questa è la storia di Tsubasa.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Don't Be Afraid to Fly ' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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FLY AWAY (Butterfly reprise)

Capitolo 4

Fermo immagine








Le manine paffute stringono i bordi delle lenzuola con così tanta forza da diventare rosse per lo sforzo mentre la piccola bocca si dilata nello sbadiglio più sgraziato che abbia mai visto.
Se escludiamo quelli di Ishizaki nelle ore di matematica ovviamente.
Mio fratello Daichi sbatte le palpebre sugli occhietti lacrimosi e mi fissa per qualche secondo aggrottando le sopracciglia spelacchiate, perplesso.
“Ciao!” esclamo sorridendogli e accennando un movimento della mano, il bambino arriccia il naso continuando a fissarmi, sempre con quell’espressione dubbiosa dipinta in faccia.
E mi chiedo se mentre mi osserva, stia capitando la stessa cosa a lui o se sia troppo piccolo per cogliere che davanti a sé c’è la sua copia identica, solo qualche anno più grande.
Perché a me fa un certo effetto vedere una mia miniatura che urla, piange e sbavetta con le mani ficcate perennemente in bocca, ma per Daichi probabilmente sono solo un estraneo al quale si deve abituare, indipendentemente dal fatto che siamo identici come due gocce d’acqua.
Come mi suona strano essere diventato un fratello maggiore, dato che me ne sono andato che di lui non c’era nemmeno il pancione di mia madre e mi viene da sorridere, perché per me è come se Daichi fosse stato trovato sotto a un cavolo o portato dalla cicogna all’improvviso.
Imbarazzato, perché sì mio fratello che non ha nemmeno un anno un po’ m’intimidisce, dato che non so assolutamente gestirlo, continuo a sorridergli nella speranza che faccia di tutto tranne che piangere, quando di punto in bianco quella sua boccuccia che solo un attimo fa era spalancata quasi innaturalmente, diventa il sorriso più carino e adorabile che abbia mai visto in vita mia.
Se escludiamo quelli di Sanae ovviamente.
Le sue braccia si distendono verso di me, le dita delle mani allargate come a sottolineare la sua tacita richiesta ed io non so proprio come fare.
Mi guardo intorno imbarazzato grattandomi la nuca ripetutamente, poi i miei occhi tornano su mio fratello che continua a guardarmi sorridente e speranzoso.
E adesso che faccio?
Di chiamare la mamma ora che si è appena addormenta non se ne parla proprio, visto che sembra non riesca ad adattarsi bene al fuso orario a differenza di papà, quindi prendendo un bel respiro, mi faccio coraggio e raggiungo il minuscolo corpicino di Daichi.
Ora che è tra le mie mani però mi sembra fin troppo delicato e fragile, tanto che arrivo alla conclusione che su ogni bavaglino, invece della scritta ‘coccolami’, dovrebbe campeggiare un bel 'maneggiare
con cura’.
Lo tiro su dal passeggino cercando di imitare i gesti di mia madre e un po’ goffamente, lo stringo al petto rimanendo immobile qualche secondo in attesa della sua reazione, perché sono sicuro che il piccoletto si rende perfettamente conto di essere tra le braccia di un emerito incapace in materia.
Daichi però si porta tranquillamente le manine alla bocca, soddisfatto di essere stato preso in braccio, perché in fondo quello era il suo unico scopo.
Così sollevato dall’assenza di urla e strilli ma ancora sicuramente per niente a mio agio, mi avvicino cauto al televisore al quale ho collegato la videocamera dei miei, prendo il telecomando e mi siedo al bordo del mio letto, facendo aderire la schiena di Daichi al mio torace.
Allungo di poco la mano verso l’apparecchio con una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Sensazione molto simile a quella che mi torturava nei miei primissimi approcci con lei, ma prima di premere il pulsante del play attendo qualche secondo.
Sto per rivedere Sanae.
Rivedere non è proprio il verbo azzeccato al cento per cento, però per me è effettivamente così, dato che dalla scorsa primavera, da quando cioè me ne sono andato, non ho più visto il suo viso se non nei ricordi.
Così ora mi sento emozionato all’idea di rivederla appunto, in carne e ossa, anche se solo attraverso uno schermo.
Di certo non sarà mai come averla rincontrata di persona, ma mi devo accontentare, perché io ho deciso di non tornare in Giappone per non interrompere gli allenamenti, costringendo i miei a partire, raggiungermi in Brasile e farmi così conoscere il mio fratellino.
Scuoto la testa, deciso a dare un taglio a questo genere di pensieri, che so portano sempre inevitabilmente a riflessioni più dolorose che ora proprio non mi va di affrontare.
Voglio solo godermi questo momento, quel qualcosa in più di lei che ho ora, rispetto al poco e niente che fa parte della mia routine, perché sono impaziente di vedere il suo viso.
Il fatto che mio padre sia fuori con Roberto e che la mamma sia collassata sul letto, arrivando quasi a russare, ovviamente la dicono lunga su quanto abbia aspettato il momento giusto per vedere questo filmato, che Daichi si sia svegliato sul più bello poco conta, visto che fortunatamente usa ancora la lingua al massimo per ciucciarsi il pollice, come in questo preciso istante.
Sorrido consapevole che è finalmente giunta l’ora di rivederla e sospirando premo il tasto sul telecomando.
La prima immagine che compare sullo schermo è quella dell’organo di una chiesa e di un palco per il momento vuoto, di sottofondo solo il rumore del borbottio della gente, mia madre che ordina qualcosa a mio padre e nel mio presente, quello della bocca di Daichi alle prese con il suo pollice.
Le luci si abbassano leggermente ora mentre da destra dei ragazzi, vestiti con delle tuniche azzurre perfettamente identiche, entrano in ordine occupando man mano tutto lo spazio disponibile.
Febbrilmente i miei occhi scrutano quelle figure alla ricerca di Sanae mentre mi chiedo, imprecando sotto voce, come mai mio padre si sia dimenticato completamente della funzione ZOOM della videocamera.
Un signore dai capelli brizzolati entra per ultimo e si siede allo strumento dalle lunghe canne grigie, le sue mani prendono a scorrere sulla tastiera e dall’organo esce una classica melodia natalizia.

*Silent night, holy night!
All is calm, All is bright
Round yon Virgin, Mother and Child
Holy Infant so Tender and mild,
Sleep in heavenly peace,
Sleep in heavenly peace.

Una figura si stacca dal coro di un passo e inizia a cantare in controcanto.  

Silent night, Holy night!
Son of God, love's pure light
Radiant beams from Thy holy face,
With the dawn of redeeming grace,
Jesus Lord at thy birth;
Jesus Lord at thy birth.


Lo zoom, finalmente, inquadra ora perfettamente il suo viso sorridente…
Il telecomando mi scivola dalle mani, per fortuna non faccio lo stesso con mio fratello, lo recupero prima che tocchi terra e velocemente premo il tasto pausa.
Osservo lo schermo senza che nella mia testa riesca a formulare un solo pensiero di senso compiuto, mi viene solo da ripetere il suo nome mentre i miei occhi sono calamitati sul suo volto.
E mi rendo conto che potrei rimanere a fissarlo all’infinito se non fosse per la smania che ho di avere anche altro di lei.
Faccio ripartire il nastro e la stanza si riempie della sua voce calda.
Ascoltandola mi sembra di tornare indietro nel tempo, quel suono melodioso nel pronunciare il mio nome o nel leggere ad alta voce in classe un brano di letteratura inglese.
O quelle poche volte che l’avevo già sentita cantare, al karaoke nei rari pomeriggi senza il pallone.
Se ci riuscissi chiuderei gli occhi ora, per lasciarmi cullare dalla sua dolce voce, ma proprio non riesco a staccarli dallo schermo e dalla sua immagine.
E non ho parole ora Sanae, semplicemente non me ne servono.
Devo solo guardare, guardarti.
Sentire la tua voce e sentire amplificato quello che provo per te.





“Dici che ce l’abbiamo fatta?”
Alzo le spalle per rispondere a Pepe, non tanto per insicurezza, ma per non deconcentrarmi da Roberto, che esamina per un’ultima volta il foglio con appuntata la formazione della squadra, che affronterà la prossima partita di campionato.
Il suo volto è una maschera di serietà dalla quale non traspare nulla, a me non resta che aspettare in silenzio, forte però del fatto che, questa volta, sono convinto di aver dimostrato che merito di poter giocare da titolare e dal primo minuto.
Roberto schiarisce la voce e nello spogliatoio cala il silenzio più assoluto, il mio cuore accelera i battiti quando inizia a elencare i giocatori partendo da porta e difesa.
La squadra è rimasta invariata rispetto alle altre partite finora, serro le labbra in una smorfia impaziente, facendomi un po’ prendere dalla tensione e dentro di me sto già elaborando in piano di allenamento peggiore del precedente, tanto per ottimizzare il tempo e non farmi trovare impreparato da una mia eventuale esclusione dalla rosa.
“Tsubasa!”
Non distolgo lo sguardo dall’allenatore, nemmeno un battito di ciglia tradisce la mia emozione mentre il mio cuore batte martellando contro il petto.
“Numero dieci, complimenti!”
E nonostante me lo sentissi, nonostante sapessi davvero d’aver dato il massimo in questi mesi, non riesco a trattenere un’esclamazione mista a gioia e stupore, che prende il posto dell’espressione da duro, che ho cercato di mantenere fino a questo momento.
Mi avvicino a Roberto, che mi osserva soddisfatto e compiaciuto, per ricevere dalle sue mani la mia maglia da titolare nuova di zecca.
Il mio di sguardo si posa ora concentrato sulla stoffa bianca tesa verso di me, sulla quale campeggia il mio nome e il mio adorato numero dieci.
Afferro la maglia con decisione, come se mi appropriassi di qualcosa che mi aspettava di diritto per le mie qualità e per tutta la fatica che ho fatto in questi anni e ritorno al mio posto continuando a fissarla, distratto solo da Pepe, che mi sorpassa euforico, dandomi una pacca sulle spalle, per andare a prendere la sua maglia del Sao Paulo.
Ce l’ho fatta!
E immagino il viso dei miei appena metterò piede a casa, felice della fortunata coincidenza che li vede ancora qua in Brasile con me e in momento così importante.
Ce l’ho fatta!
E immagino, perché in questo caso solo questo posso fare veramente, quando lo saprà Sanae e quanto potrà essere orgogliosa di me.





Scarto il pacchetto color sabbia con impazienza e quando ne estraggo il contenuto, sorrido perché forse ho proprio esagerato stavolta.
Sfoglio le foto velocemente e con aria professionale, come se volessi sincerarmi della qualità della stampa, quando in realtà sono semplicemente euforico.
Non che non mi ci sia voluta una buona dose di coraggio per chiedere a Pepe di estrarle dal filmato e stamparne una quantità industriale senza badare a spese, ho ancora impressa nella mente la sua espressione divertita quando mi ha letteralmente strappato la chiavetta usb di mano, stanco della mia titubanza.
Appallottolo la carta con una mano e la lancio in aria, con un colpo di tacco finisce sulla mia scrivania accanto al pacco che manderò a Sanae via mamma Natsuko.
Osservo il pacchetto confezionato con cura continuando a stringere le mie preziose foto tra le mani e ringrazio mentalmente mia madre per avermi assolto dal compito di preparare il mio regalo, perché di certo da solo non avrei ottenuto lo stesso risultato veramente grazioso e femminile.
Prima di allontanarmi, sfioro con le dita la carta colorata immaginando l’espressione del volto di Sanae nel momento che si ritroverà tra le mani la mia sorpresa.
Perché avrei potuto darle la bella notizia subito, ma scrivere un paio di righe su una mail non mi sembrava sufficiente a esaltare l’importanza della mia promozione che tanto mi…
Ci è costata.
Non potrò godermi dal vivo la sua reazione, ma so già che così sarà perfetto, come se le facessi un doppio regalo.
Sorrido soddisfatto tornando a sfogliare le sue foto e mi dirigo con decisione verso la parete che circonda il mio letto, armato di puntine da disegno e nastro adesivo.
Salgo a piedi nudi sul materasso, lasciando sul pavimento un tappeto di poster e gagliardetti che ho dovuto rimuovere per far posto a lei e con precisione inizio a tappezzare il muro di sue immagini, soprapponendole appena le une alle altre, nei bordi, per recuperare più spazio.
E ogni volta che le mie mani sfiorano i suoi capelli, il suo viso o gli occhi, è come se riuscissi ad accarezzarla, come sei lei fosse davvero qui.
Perché è proprio questa la sensazione che ho, come se per oggi riuscissi ad averla con me, come se fosse realmente nella mia stanza.
Attacco l’ultima foto e indietreggiando fino al bordo del letto, osservo soddisfatto il mio lavoro.
So che tutto questo mi costerà un periodo più o meno breve di continue prese per il culo e sorrisetti allusivi da più elementi, compresa quella tremenda di mia madre, ma proprio non m’importa, ne vale troppo la pena.
“E adesso il tocco finale…” sussurro, posando gli occhi di lato, accanto alla finestra, su una porzione di muro che ho volutamente tenuto libera.
Con un salto scendo dal letto e mi avvicino alla mia borsa, ne estraggo un plico più grande, imballato sempre con la stessa carta color sabbia.
Con delicatezza, aprendo i bordi incollati, faccio scivolare un ingrandimento racchiuso dentro una semplice cornice a giorno e mi avvicino a quello che ho deciso sia il suo posto d’onore.
L’appendo al muro sfruttando il chiodo del calendario, che ora giace per terra, in mezzo tutte le altre cianfrusaglie che non mi servono più.
Indietreggio di un passo per osservare meglio il suo volto sorridente e mentre delineo attentamente i suoi lineamenti, mi sento invadere dalla malinconia.
La nostalgia poi prevarica dolcemente qualsiasi altra sensazione nel mio cuore, perché questa che ho davanti agli occhi è l’espressione di Sanae che preferisco.
A differenza delle altre foto più piccole, ho scelto appositamente questo fermo immagine, perché qui riesco a riconoscere perfettamente la ragazza di cui mi sono innamorato.
Le sue gote sono imporporate per l’emozione, i suoi occhi arcuati, brillano radiosi e il suo sorriso…
Il suo sorriso è semplicemente meraviglioso.
Lo sfioro con le dita tendendo il braccio, come se potessi raggiungerla davvero.
E sento ancora di più quanto mi manchi da morire.







*Silen Night – Joseph Mohr  (1818)

Come prima cosa mi scuso per il ritardo con cui pubblico questo capitolo!^^’
Doveva essere on line a Natale ma una serie di circostanze, fortunate e no, mi ha tenuta lontana dal PC. Volevo sinceramente ringraziare chi ha segnalato le mie storie, compresa questa, per la sezione delle Scelte, anche se non trovo davvero le parole adatte per esprimere al meglio la mia gratitudine. Un grazie anche a chi ha recensito fin a d’ora, a chi ha messo la storia tra le preferite e/o in quelle seguite. E un ringraziamento speciale va a Eos75 per aver accettato (non con l’accetta xD) la mia Sanae e soprattutto il mio Tsubasa, non immaginando quanto questo mi inorgoglisca!^^
Questo capitolo è dedicato alle mie amiche speciali di Internet che spesso trascuro causa forza maggiore (leggi ADSL singhiozzante, lavoro, impegni della mia sfera privata) ma che hanno un posto speciale nel mio cuore…
E a proposito del capitolo, chi ha letto B. sa già cosa c’è nel pacco per Sanae (tre cose in tutto), qui ho lasciato intendere la sorpresa più importante, anche se penso ci si possa arrivare facilmente, se non fosse così, andatevi a leggere il capitolo 8 di Butterfly “Cose inaspettate” per scoprire i regali di Tsubasa! ^_______^

Un abbraccio, a presto…  OnlyHope^^
   
 
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