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Autore: JoeyPotter90    26/01/2010    1 recensioni
Ciao a tutti... E' la prima volta che pubblico qualcosa sul mondo di Twilight che io amo intensamente. Mi sono immaginata qualcosa che la Mayer ha deciso di raccontarci dal punto di vista di un'altro punto di vista, quello di Jacob. Ho pensato che sarebbe stato interessante provare a scrivere quei momenti in cui Bella porta in grembo Reneesme e tutti isentimenti che ha provato sulla sua pelle... Ci ho provato, non vi assicuro nulla. Spero sia di vostro gradimento. JoeyPotter
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Vorrei ringraziare di cuore manuelitas per aver commentato. Sono davvero contenta che ti sia piaciuta l'idea. Spero che anche questo capitolo sia di tuo gradimento.
Buona lettura!

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CAPITOLO DUE: Imprevedibile

Dieci minuti dopo Carlisle aveva ricostruito un piccolo ospedale nel suo studio, posizionando tutti i mobili contro la parete con l’aiuto di Emmett e Jasper e ora io mi trovavo su un lettino. Alla sua destra Carlisle sistemava alcune macchine mentre Rosalie mi teneva la mano sorridendomi ogni tanto. Edward era nell’angolo, contro il muro, e fissava noi ma non ero del tutto sicura che ci vedesse davvero. Il suo sguardo era così perso e vuoto…
-Va bene, Bella- mi disse Carlisle. –Vediamo cosa possiamo fare-
Io sollevai la maglietta e per un momento tutti rimanemmo immobili. Non ero pronta a quello che vidi, come nemmeno i tre vampiri presenti nella stanza. Non mi ero nemmeno resa conto che Edward si era catapultato vicino a noi per osservare da vicino: la mia pancia era coperta di macchie blu e viola, lividi appena provocati o che comunque non avevano più di qualche ora. Ecco perché il dolore era più forte del solito, in quelle ultime ore. Semplicemente stava diventando più forte, più forte di me. Non era una novità, lo sapevamo tutti che sarebbe successo, vero? Allora perché Edward non la smetteva di guardarmi con quegli occhi sconvolti?
-Sta crescendo, sta diventando forte…- sussurrai portando le mie mani verso la pancia, nel banale tentativo di proteggerlo. Non volevo guardare Edward… In poco più di un secondo tutto si sarebbe potuto concludere e io lo sapevo bene. Bastava poco, Edward si sarebbe impuntato come non mai finendo anche a litigare con sua sorella.
-E’ vero, sarà un bambino molto forte- confermò Rosalie, con una voce dolce e delicata come il miele. Io sorrisi, involontariamente. Non era necessario preoccuparsi, non ancora.
Il ruggito basso e gutturale di Edward arrivò alle mie orecchie e io ritornai alla realtà, alla brutale realtà in cui lui non era d’accordo in tutto questo.
Carlisle guardò prima me, poi Rosalie e fece per dire qualcosa. Sembrò ripensarci all’ultimo secondo e prese uno strumento che mise sulla mia pancia dopo avermi spalmato sopra un gel con mano delicata.
Vidi la sua faccia incupirsi più i minuti passavano e mentre continuavano a passarmi quell’oggetto sulla pancia.
-Qual è il problema?- chiese Rosalie.
Carlisle non rispose, fissando uno schermo che rimase scuro. Poi mise giù quello che aveva in mano e posò le sue mani sulla pancia, tastandomela. Il mio brontolone diede un colpo e io sussultai. Un nuovo livido si formò sulla parte destra della pancia, dove Carlisle aveva poggiato la sua mano fredda. Cercai di trattenere un gemito di dolore e respirai a fondo.
-Carlisle?- chiamò Edward.
-Io…- si staccò da me e si allontanò di pochi passi, voltandosi verso le macchine. –E’ una cosa che io non ho mai visto in tutti i miei anni da vampiro. La membrana che lo ricopre è così robusta che la sonda non riesce a vedere quello che contiene… E’ come andare alla cieca, fare qualcosa che non si è mai fatto senza alcun indizio… Io non so se ha senso continuare con tutto questo…-
-Certo che ha senso- risposi io, riuscendo a sentire ogni loro parola.
-No, non ne ha- mi rispose Edward senza guardarmi –Non sappiamo nulla, non possiamo sapere nulla. Né di come crescerà, né di quello che potrebbe farti… E’ completamente e totalmente imprevedibile. E tu non puoi, anzi non devi, rischiare così tanto…-
-Avevi detto che non mi avreste fatto niente che non volevo, giusto?-
-Non pensavo che la situazione fosse così critica…- sussurrò Edward, abbassando lo sguardo. Il ringhio di Rosalie arrivò forte e chiaro ma Edward finse di non sentirlo.
-Andrà tutto bene, me lo sento-
-Come puoi dirlo? Non eri tu quella che voleva andare al college? Passare ancora un po’ più di anni da umana?-
-Non pensavo che portare in grembo tuo figlio fossi così bello… Edward andrà tutto come voglio io, te lo giuro…-
Lui scosse la testa freneticamente come a voler negare quella realtà. –Non deve andare per forza così-
-Non vedo altra soluzione- feci notare io. Sapevo dove voleva arrivare, ma io e Rosalie non glielo avremmo permesso, ne ero certa. Avevo bisogno di esserne certa.
-Puoi lasciar fare a me e Carlisle e decidere di vivere la tua vita da umana per altri due anni… Poi ti trasformerò io stesso, te lo giuro-
-Edward- bisbigliai accarezzando la sua guancia con un sospiro. –Non fare promesse che tanto non manterrai. Ogni giorno cerchi una nuova scusa per allontanare l’inevitabile. Non hai capito che io ho scelto anni fa, la prima volta che ti ho incontrato?-
-E avevi già scelto che andasse così?- chiese, con un filo di voce.
-No, certo che no. Mai avrei immagino che sarebbe andata così bene-
-Così bene…- ripeté lui e parve suonare quasi come un insulto. –Niente sta andando bene…-
-Lo accetterai- assicurai io. Se solo avesse capito cosa significava per me tutto questo, forse si sarebbe arreso al mio volere e l’avrebbe accettato senza dover sprecare ogni singolo minuto a cercare un modo per convincermi che era sbagliato. Come se una cosa così magnifica potesse mai essere sbagliata…
-Come posso accettare qualcosa che ti fa del male?-
-Non mi fa del male. Sta solo crescendo…-
Restammo in silenzio, guardandoci negli occhi e lui lasciò che io ci leggessi tutto il suo dispiacere. No, quello non era dispiacere, ne ero certa. Era qualcosa di più. Soffriva, soffriva per colpa mia perché mi ero intestardita su qualcosa che lui non voleva. Ma ne sarebbe stato felice, alla fine. Anche se non mi avrebbe più avuto al suo fianco, una parte di me sarebbe rimasta accanto a lui. Mi costrinsi a pensare che nostro figlio lo avrebbe indotto a non tornare dai Volturi per farsi uccidere come già una volta aveva fatto… Forse si sarebbe reso conto che sarebbe stato necessario e così avrebbe vissuto. Non potevo chiedere di meglio, davvero… Durante quella conversazione non avevo dimenticato gli altri due vampiri presenti nella stanza e i sibili di Rosalie arrivavano regolari alle mie orecchie in segno di protezione.
Fissai ancora per un po’ Edward, ma poco dopo distolse lo sguardo, incapace di fissarmi ancora a lungo e io mi voltai verso Carlisle. –Abbiamo finito? Mi sento un po’ stanca-
-Volevo solo prenderti delle misure…-
Così prese un metro e lo mise intorno alla mia pancia rigonfia e tumefatta e corrugò la fronte poco dopo. –E’ come se fosse ormai al quinto mese… Questo vuol dire che…-
-… che tra poco più di due settimane tutto sarà finito-
La voce di tomba di Edward raggiunse le mie orecchie. Lo capivo, in parte. Sapevo che lui con quel tutto intendeva la mia vita, ma si sbagliava. Ne sarebbe incominciata una nuova, con mio marito e mio figlio al fianco. Cosa potevo desiderare d’altro? Non sarebbe stato una fine o un addio, niente di tutto ciò. Ma qualcosa di nuovo e meraviglioso che ero pronta e desiderosa di esplorare.
-La data è così vicina- disse Rosalie con la voce trillante. Vidi di sfuggita Edward abbassare lo sguardo e distoglierlo da noi mentre con una mano correvo ad accarezzare la pancia. –Si, sarà bellissimo-
-Ne sono convinta- sussurrò Rosalie ignorando il fratello. –Meglio andare a sdraiarti. Dico ad Emmett di prenderti una felpa, così starai più comoda e magari io ho dei pantaloni più comodi…-
-Magari solo i pantaloni, Rosalie, la felpa non ancora- sussurrai e mi lasciai condurre verso la porta. Arrivata all’inizio della rampa la testa mi girò forte e io persi l’equilibrio, rischiando di cadere. La mano fredda della vampira al mio fianco strinse il mio polso e mi trattenne senza difficoltà.
-Lascia che ti porti io- sussurrò prendendomi in braccio.
Io la lasciai fare senza riuscire a replicare in alcun modo perché un nuovo calcio del bambino mi aveva tolto il fiato.
La mamma sta bene, tu starai bene… Andrà tutto bene…

La mia situazione peggiorava. Lo sapevo anche senza controllare il mio corpo: lo sguardo di Edward, l’angoscia che, giorno dopo giorno, si radicava nei suoi occhi era in relazione con il mio stato di salute.
Non sapevo come bloccare il tutto, come ottenere un modo per cercare di trovare un modo per risollevare lui e di conseguenza me.
Importava qualcosa che io stavo male o che mi indebolivo? No. Lui doveva capirlo, era necessario. Il secondo giorno in casa Cullen feci fatica ad alzarmi e da allora rimasi seduta sul divano, incapace di fare altro se non dormire e sussultare di dolore ad ogni calcio. Andavo avanti ripetendomi che non mi importava quanto soffrivo, presto sarebbe finita.
Ormai non mangiavo più, non di certo perché io mi impuntavo. Carlisle diceva che il feto era incompatibile con me e che ogni cosa che io mandavo giù lui la rifiutava facendomi vomitare. Non sapevo quanti kili avessi perso, ma guardavo il mio braccio troppo magro e stentavo a riconoscerlo mio. Di nuovo anche di questo, cosa importava? Ero solo preoccupata per lui… Sapevo dalla poca esperienza che avevo di gravidanze – imparate attraverso i telefilm che propinavano in televisione – che di solito bisognava mangiare il doppio perché il bambino aveva bisogno di crescere. E se il mio brontolone fosse morto di fame o perché il mio corpo non era in grado di contenerlo e sostenerlo come aveva giustamente bisogno? Non aveva senso, davvero… Il solo pensiero di perderlo era mostruosamente sbagliato… Io dovevo essere abbastanza forte per entrambi.
Il terzo giorno da quando eravamo tornati Charlie chiamò a casa Cullen. Senza sapere come, né da chi, aveva saputo che ero a casa e ovviamente desiderava parlarmi per sapere come stavo.
-Pronto?- disse la voce di Carlisle quella mattina prendendo il telefono subito dopo il primo squillo. –Buongiorno, Charlie. Si, si, è tornata… Charlie, io…-
Rimase in silenzio in ascolto e io fissai Edward con occhi confusi, mentre lui osservava il padre, perso nei suoi pensieri con lo stesso sguardo assente che da giorni lo caratterizzava.
-No, Charlie. È malata-
Sussultai. In effetti non era proprio un a bugia e capivo il motivo per cui Carlisle stava creando una bugia. Cosa avrebbe pensato se avesse visto la mia pancia? Lui doveva rimanere all’oscuro di tutto o avrebbe rischiato troppo, ne ero consapevole. Ma del resto mantenere un tale segreto non mi faceva piacere. Dovevo abituarmici, no? Era quello che mi attendeva in futuro, quello a cui stavo costringendo le persone che amavo. Niente visite. Forse avrei potuto inventare – e sicuramente Carlisle ci stava già pensando – che sarei dovuta andare in un ospedale lontano, in Alaska, dove per lui sarebbe stato impossibile venire a trovarmi.
-Ha preso un virus in Sud America. È molto contagioso, Charlie. Non posso permettere che tu la veda e che rischi di prenderlo-
Sentivo, con fatica, la voce di mio padre alzarsi di qualche ottava, protestando per quelle disposizioni.
-E’ in quarantena. Cerca di capire la mia situazione- lo pregò Carlisle con un sospiro.
Restammo tutti in silenzio e io mi limitavo a fissare con occhi imploranti il viso di Edward, sperando che lui capisse il mio desiderio, che gli arrivasse. Comprendevo l’esigenza di non vedere mio padre, era inevitabile se quello che volevo era tenere questo bambino. Però credevo che almeno parlare con lui…
La voce di Carlisle mi riportò alla realtà: -No, non posso transigere, Charlie. Non ha senso che tu rischi il contagio per niente-
Rimase ancora un po’ in silenzio e quando parlò di nuovo la sua voce si fece dura, di ghiaccio. –Importa a me. È già difficile prendersi cura di lei. Charlie, io… Voglio essere sincero con te… E’ molto grave. Ma ti garantisco che sto facendo il possibile-
Non ce la facevo più: dovevo parlarlgli, tranquillizzarlo. Non sopportavo saperlo così in ansia, non era giusto. Con un movimento attirai l’attenzione di Edward i cui occhi, insieme a quelli di Rosalie che mi teneva la mano al mio fianco, saettarono verso di me.
-Ti prego…- sussurrai, la voce roca. Cercai di schiarirmela inutilmente. Ci fissammo per quella che parve un’eternità e probabilmente lui ci lesse qualcosa che sfuggiva a me, inconsciamente. Annuì debolmente.
-Carlisle- chiamò, la voce spenta. –Forse se gli parlasse lei… Forse…-
-Edward, io non so se…- cercò di rifiutarsi spostando il ricevitore dalla sua bocca in modo che mio padre non sentisse.
-Ti prego, Carlisle, solo dieci minuti… Te ne prego…-
Il dottore annuì e riprese a parlare con mio padre. –Posso concederti una chiamata, nulla di più. Ora è sveglia. Se vuoi te la passo-
Con un passo fulmineo fu al mio fianco e mi porse il ricevitore. Mi tremavano le mani e io cercai di schiarirmi la gola, provando a fare sembrare la mia voce più naturale possibile. Fu tutto inutile: quando risposi sembravo rauca, terribilmente malata, come effettivamente aveva detto Carlisle. –Papà?-
-Bella!- la voce ansiosa di mio padre mi colpì con tanta intensità da farmi mancare il fiato. Quanto era stato in pensiero per me? Da quanto aspettava di sapere se ero tornata?
-Ciao, papà. Non ti devi preoccupare. Io sto bene- La mia voce, bassa e roca, però sembrava dire il contrario e forse se ne accorse pure lui.
-Carlisle non dice esattamente questo- protestò lui, il tono cupo.
-Sai com’è Carlisle, no? Esagera sempre…-
-Carlisle non ha mai esagerato, Bella-
Cosa dovevo rispondere ora?
Lo so, papà, hai ragione. Carlisle ha dannatamente ragione, sempre. Tra due settimane diventerò un vampiro e tu non mi vedrai più.

No, decisamente non era la risposta migliore.
-Papà starò bene. Non ti devi preoccupare-
-Non ci riesco… Come è successo?-
-Non lo so… Eravamo sull’isola Esme – sai che Carlisle ha regalato un’isola a Esme? – e due settimane dopo ho cominciato a sentirmi male. Così abbiamo deciso di tornare a casa e…-
-Doveva prestarti più attenzione- Charlie accusò Edward con voce piena di disperazione, come se quello fosse l’unico modo per sentirsi meglio. –Pensavo che fossi in buone mani con lui-
-Papà, smettila- lo rimproverai andando ad accarezzare i capelli di Edward che aveva sepolto il viso tra le coperte che mi avevano messo addosso per scaldarmi. –Non è colpa di Edward. Non è colpa di nessuno, se non mia. È successo, punto. Non prendertela con Edward-
-Bells, non sai quanto mi manchi…- La sua voce si incrinò e percepì il suo dolore e dispiacere invadermi, facendomi tremare e una lacrima mi rigò il viso.
-Anche tu mi manchi, papà- risposi, la voce rotta dal pianto silenzioso. –Ti voglio bene-
-Anche io. Ti chiamo presto-
Riattaccai prima che la mia disperazione, specchio della sua, si rivelasse troppo e richiusi gli occhi, incredibilmente stanca. Non volevo saperne più di niente, almeno per un po’.

Un colpo violento nel mio addome mi svegliò e mi fece sussultare.
-Bella?- chiamò una voce cristallina.
Io respirai a fondo, chiudendo di nuovo gli occhi e mordendomi il labbro per evitare di urlare dal dolore. Questo se ne andò lentamente fino a scomparire e io portai una mano sulla pancia per tranquillizzare il mio brontolone: va tutto bene, va tutto bene…
-Sto bene- dissi e feci per alzarmi ma dovetti arrendermi quando capì che avevo troppo poche forze. Rosalie, intuendo quello che volevo fare, mi aiutò ad alzarmi ed Esme mi mise un altro cuscino sotto la schiena per farmi appoggiare più comodamente. Avevo il fiatone e sentivo il mio cuore battere in maniera strana, irregolare.
-Bella, come ti senti?- Guardai Carlisle ma prima di rispondergli lasciai correre il mio sguardo per tutta la stanza. Esme e Rosalie erano accanto a me, come avevo intuito. Carlisle era dietro il divano e mi fissava con lo sguardo clinico da dottore. Emmett, Jasper e Alice erano ai piedi delle scale che portavano al piano di sopra persi nei loro pensieri. Vidi Alice seduta sui primi scalini con la testa tra le mani. Chissà cosa le succedeva… Corrugai le sopraciglia cercando di capire quale potesse essere davvero il problema… Era il caso di preoccuparmi? Immaginai di no… Se era necessario Jasper sarebbe stato il primo ma lui sembrava tranquillo mentre fissava senza espressione davanti a se dove sapevo avrei trovato Edward che mi dava le spalle.
-Sai che c’è, Carlisle?- chiesi io, sorridendo. –Ho un po’ fame. Posso provare a mangiare qualcosa?-
-Si, certo Bella. vado a prepararti qualcosa- mi propose, sorridendomi di rimando, un po’ teso.
-No, fermo Carlisle- lo bloccò Edward, voltandosi verso tutti noi. –Me ne occupo io- Suo padre annuì e io lo fissai implorante. Odiavo non poter avere un contatto con lui. Quella era l’unica pecca in tutta quella situazione. Era importante il suo appoggio, lo era sempre stato, anche se non erano molte le volte che me lo aveva dato… Sarebbe stato diverso se lui fosse stato d’accordo…
Lo vidi allontanarsi rivolgendomi solo una fugace occhiata, troppo veloce per capire qualcosa del suo stato d’animo, ma immaginavo che potesse solo essere peggiorato.
Mi guardai la pancia. Dio, era enorme! Possibile che fosse cresciuta così tanto? La maglietta stava diventando davvero troppo piccola e probabilmente la felpa di Emmett iniziava a diventare indispensabile.
-Emmett?- chiamai.
-Si?- mi rispose e venne vicino a me così che io potessi vederlo.
-Rosalie mi ha detto che volendo tu avresti una felpa da prestarmi. Credo che ormai tutti i miei vestiti siano un po’ troppo piccoli… Cresce così in fretta…-
-E’ vero- confermò Rosalie –Sarà cresciuta di almeno altri cinque centimetri…-
Sorrisi, accarezzandola mentre Emmett volava di sopra per fare quello che gli avevo chiesto. Pochi secondi dopo era di nuovo davanti a me con tra le mani una scolorita felpa grigia.
-Rose mi dai una mano?- chiesi. Lei mi sorrise e un secondo dopo le sue mani erano sulla mia pelle e mi avevano già tolto la maglietta. Con disinvoltura accarezzò il rigonfiamento e il mio brontolone scalciò. Io ansimai, osservando un nuovo livido formarsi. Ignorai gli sguardi di tutti, forse scandalizzati, da quanto vedevano e lasciai che Rosalie mi aiutasse a mettere la felpa di Emmett così da essere più comoda.
Edward entrò poco dopo e l’odore di pancetta e pane tostato riempì l’aria. Il mio stomacò brontolò, affamato, ed Edward posò il vassoio sul tavolo accanto al divano.
Mi feci aiutare da Rosalie a sedermi e presi la forchetta riempiendola di cibo e portandola con foga alla bocca. Masticai e mandai giù in fretta. Tutti mi fissavano, aspettavano l’urto di vomito che doveva cogliermi. Ma non arrivò e io sorrisi.
-Riesci a tenerlo giù?- chiese Carlisle.
Feci per rispondere ma avevamo parlato troppo presto. Scossi la testa e feci per alzarmi ma la mano di Edward mi bloccò e mi mise una bacinella sotto al mento, dentro cui io vomitai con un rantolo.
-Mi dispiace, io…- dissi quando mi fui ripresa.
-Carlisle, non possiamo lasciare che muoia di fare…- protestò Edward a bassa voce.
-Lo so- rispose Carlisle pensieroso e preoccupato. -Potrei alimentarla con una flebo…-
-No!- lo supplicai. –No, Carlisle, non è necessario. Posso resistere ancora un po’, non è necessario, non ancora-
-Non ancora?- sibilò Edward con un basso ringhio.
-No, alla fine non ho molta fame…-
-Prima avevi detto di si- mi contraddisse lui.
-Era solo un capriccio, davvero- risposi nel tentativo di rassicurarlo.
Lui abbassò gli occhi e io gli accarezzai la guancia, senza nessuna reazione da parte sua.
-Bella?- mi chiamò Esme. Fissò Carlisle prima di parlare e continuò solo quando lui annuì –Prima, mentre dormivi, ha chiamato tua madre… Gli abbiamo detto che dormivi e non ha voluto che ti svegliassimo… Però ti ha lasciato un numero di telefono, così se vuoi chiamarla…-
-Grazie, Esme-
Rosalie mi porse il cordless e un foglietto con scritto un numero, probabilmente quello di casa di Phil. Guardai l’orologio: erano le 9 e mezza del mattino e sicuramente era sveglia. Sperai solo di trovarla in casa.
Rispose al secondo squillo, ansiosa. –Bella?-
-Si, mamma. Sono io-
-Piccola mia! Come stai? Charlie ha detto che stai male, un virus sud americano. Dice che sei contagiosa e che non te lo fanno vedere…-
-Si… Io…- Ma non mi lasciò parlare. –Ho cercato di parlare con Esme per provare a convincere almeno lei. Me è irremovibile. È così grave?-
-Un po’- confessai io. –Ma sono in buone mani, davvero-
-Si, me l’ha detto anche Charlie- mi rispose, ma non ne sembrava molto tranquilla.
-Mamma, stai tranquilla. Davvero, andrà tutto bene-
-Ci credo-
-Come sta Phil?- chiesi dopo un minuto di silenzio. -Meglio. Ha tolto il gesso- mi rispose e fui compiaciuta di essere riuscita a distrarla un po’.
-Sono contenta- le risposi, sincera. –Così potrà riprendere a giocare-
Rimase in silenzio per un po’ e mi preoccupai che qualcosa nelle mie parole l’avessero turbata, anche se non riuscivo a capire cosa. –Tu sai che puoi contare su di me, vero?-
-Si, certo, ma…-
Non mi lasciò finire: -Non voglio che tu pensi che per Phil io non ti sono abbastanza vicina…-
-Non lo penso. Prenditi cura di lui, ha una carriera da mandare avanti e ha bisogno di te-
-Anche tu hai bisogno di me- mi contraddisse, la voce bassa quasi quanto la mia.
-No, io sono in buone mani. Andiamo, non ti fidi di Carlisle? L’hai conosciuto, sai che bravo medico è-
-Si, si è un bravo medico-
-Appunto. Promettimi che non starai in pensiero-
-Ma…- tentò lei ma questa volta fu il mio turno bloccarla.
-Mamma, ti prego. Fidati di me-
-Va bene, Bella. Ti richiamo appena posso-
-Certo. Ti voglio bene-
-Anch’io- risposi e riattaccai. Lasciai andare il telefono sul divano e mi rivolsi alla vampira bionda.
-Rose… Dovrei andare in bagno-
-Certo- rispose pronta. Cercò di aiutarmi ad alzarmi ma quando capì che ero troppo debole mi prese in braccio e mi condusse lei. Mi fissai un solo secondo allo specchio, prima di distogliere lo sguardo: avevo occhiaie scure che risaltavano sul volto dimagrito. Gli occhi erano vacui, spenti, quasi come quelli di Edward e i capelli ancora più sfibrati di qualche giorno fa. Non era difficile chiedersi perché mi mancassero in questo modo le forze. La pancia però era bella gonfia e mi dissi che forse ne avevo preso più di cinque. Forse dieci. Cresceva così in fretta, così rapidamente…
Il telefono squillò e io lo percepì di sfuggita dalla porta aperta. Non mi diedi molta fretta: sapevo già che l’unico che poteva essere era mio padre.
Non seppi spiegare né perché né per come ma, proprio mentre il mio brontolone diede un colpo da mozzarmi il fiato, mi venne in mente Jacob, il mio ex migliore amico. Non lo vedo da così tanto tempo e il nostro ultimo addio non era stato uno dei migliori. Avevo accantonato il pensiero come mi ero ripromessa per evitare che Edward si accollasse anche quello. Però immaginavo che ormai le cose fossero cambiate. Desideravo vederlo, almeno un’ultima volta prima di diventare vampira, prima di diventare qualcosa che lui avrebbe disprezzato con tutto se stesso. Rabbrividì a quel pensiero. Quanto mi sarebbe mancato? Senza di lui sentivo che non potevo essere completa, che niente sarebbe stato perfetto come desideravo, che la mia famiglia non era al completo. Forse potevo chiedere ad Edward di cercarlo per me e portarmelo. Sarebbe venuto? Non lo sapevo. Seppi solo che se mi avesse mandato a quel paese avrebbe fatto bene e io non mi sarei lamentata. Sarebbe stato più facile per entrambi evitare di vederci. Inoltre nessuno mi assicurava la sua reazione per la novità: probabilmente avrebbe provato ribrezzo, si sarebbe opposto in qualunque modo, ne ero certa. Allora forse era meglio così, era meglio non vederlo. Dimenticarsi l’uno dell’altra. Forse lui ci era già riuscito. Glielo auguravo.
Quando tornammo in salotto, io appoggiata a Rosalie pronta a sostenermi se fossi caduta, Carlisle mi passò il telefono.
-Charlie- disse solamente.
-Pronto?-
-Ciao Bella. Come stai?- mi chiese, ansioso. La mia voce probabilmente non l’aveva tranquillizzato.
-Bene, papà, non ti…-
Trasalì, incapace di trattenere un gemito ad un nuovo calcio. La voce di mio padre mi arrivava preoccupata all’orecchio ma faticavo a riprendere fiato. Qualcuno mi strappò il telefono di mano e parlò per me mentre Edward mi accarezzava la fronte, spazzando via un lieve strato di sudore.
-Bella…- mi chiamò, straziato.
-Non ti preoccupare- gli dissi e lo vidi seppellire di nuovo il volto tra le mie gambe, disperato. –E’ passato. Passami Charlie-
Fu Carlisle a ridarmi il telefono.
-Papà, perdonami- mi scusai passando le mie dita tra i capelli di bronzo di mio marito.
-Cos’è successo?- Avevo mai sentito mio padre così ansioso? Se la risposa era si, io non me lo ricordavo…
-Si, si. È solo questo virus, tutto a posto. Mi ha chiamato mamma, prima-
-So che forse non avrei dovuto dirglielo, ma ho pensato che a te sarebbe potuto piacere sentirla-
-Hai fatto bene, davvero- risposi ed improvvisamente mi sentì di nuovo stanca così lo salutai e m voltai verso Edward, ancora con il volto nascosto, fissandolo a lungo per cercare di capire quello che potevo fare per lui, trovare una soluzione a quel suo tormento che gli causavo io. Buffo come la cosa che lo distruggeva, rendeva felice me. Forse non era mai successa una cosa del genere da quando l’avevo conosciuto.
Sentendosi osservato alzò il viso e, dopo un po’, capì che stavo crollando e mi aiutò a stendermi sul divano così che io mi addormentai con il suo tocco freddo sul viso.

   
 
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