La mia guancia “rideva”. Un’espressione buffa la mia, lo so, ma è quella che usavo da bambina per dire che una parte del mio corpo formicolava per la poca circolazione sanguigna. Gli occhi divertiti di mio padre ogni volta che dicevo così erano sempre un buon motivo per decidere che una mano oppure un piede era vittima dell’odioso supplizio.
La mia guancia formicolava. Non ero più una bambina. La grotta aveva impresso nella mia pelle, non abbastanza resistente evidentemente, le orme rocciose della sua pancia irregolare che avevo usato come cuscino.
Doveva essere da poco sorta l’alba. Un lieve spiraglio di luce mi aveva dato il buongiorno con il suo silenzioso tepore. Ci misi ben più di un momento per ricordarmi dove fossi.
Sulle mie spalle la sua giacca continuava a scaldarmi. Forse lui era ancora lì con me, non riuscivo a vederlo. Era una giacca nera, slavata e ruvida. Profumava come niente altro però. L’avevo tenuta addosso per tutta la notte e sentivo anche sulla mia pelle lo stesso odore di buono. Chissà cosa avrebbe potuto raccontarmi del suo padrone se quell’indumento avesse potuto parlare?Mi ritrovai scioccamente a immaginare una vocina provenire da quell’indumento desiderosa di raccontarmi chissà quale verità. Ma era solo una giacca logora e certo non avrebbe soddisfatto la mia curiosità, ahimè morbosa, che sentivo.
Decisi di alzarmi, la caviglia non sembrava farmi più male. Dovevo provare a camminare e rendermi conto dove esattamente fossi per poter tornare a casa. Ma, soprattutto, dovevo vedere se lui c’era ancora oppure no. Infondo mi aveva ceduto la sua giacca e aveva acceso il fuoco per scaldarmi. Se fino a qualche momento prima di vedermi, o meglio se fino a qualche momento prima che io lo vedessi, la grotta era completamente buia nonostante il temporale voleva dire che, forse, lui preferiva starsene senza luce.
Si, mi convinsi di essere in debito con quel ragazzo. Chiusi un momento gli occhi per ricordare l’ emozione provata qualche ora prima nel vedere il suo viso illuminato dal fulmine.
-Puoi
tenerla…
Era lui, di
fronte a me che ancora tenevo gli occhi chiusi.
Sembrerò sfrontata nel dirlo ma … era davvero
bellissimo. Teneva la sua casacca annodata in vita e il torso sudato.
Probabilmente era sveglio da molto e aveva fatto qualche tipo di
allenamento. I suoi capelli erano neri e a vederli sembravano
morbidissimi. Erano racconti in una treccia alla base del collo. Mi
sembrò magnifico.
Cercai di rispondergli nonostante lo stupore e l’ammirazione.
-…
Ma, è tua. Sicuramente ne avrai bisogno.
-Ne
farò a meno.
-Preferisco
ridartela, sei stato già così gentile da
prestarmela per la notte. Grazie…
Si allontanò e subito sentii il vuoto dello spazio che abbandonava.
-Credo
tu ne abbia più bisogno di me. La tua camicia non credo reggerà
ancora per molto.
Non so spiegare di che colore divenne la mia faccia. Mi resi improvvisamente conto di essere seminuda davanti ad uno sconosciuto e sentii crescere dentro di me una tale vergogna che mai più mi sono sentita così imbarazzata in tutta la mia vita.
Strinsi a me fortissimamente l’indumento sgualcito e ruotai su me stessa per nascondermi a quegli occhi sconosciuti.
-Non
volevo metterti in imbarazzo ragazzina. Comunque è ora che
io vada.
Se ne stava andando via. La sua voce morbida e ruvida insieme, non aveva avuto inflessioni, nonostante fosse chiaro lo sforzo di essere educato nei miei confronti e nonostante non mi dovesse nessuna spiegazione.
Riuscivo ad immaginare comunque l’intensità del suo sguardo anche se gli ero di spalle, anche se stava andando via.
Sentii il mio cuore sussultare, avrei capito molto tempo dopo il perché, e non resistetti a girarmi nella sua direzione per parlargli prima che fosse troppo lontano per ascoltarmi.
-Dove
stai andando?
-…
-Mi
hai sentita?
-Perché
vuoi saperlo?
-Dimmelo…te
ne prego…
-A
Sud…a Nerima.
Non si era voltato per rispondermi, ma si era fermato un istante e mi aveva detto dove stava andando. Non saprò mai il perché di questa confessione. Capìì subito però che era stata una specie di eccezione per lui.
Sentivo gli
uccelli cinguettare. Tutti insieme facevano una gran confusione nella
mia mente.
Non gli avevo chiesto nemmeno il suo nome.
Sapevo solo che era diretto a Nerima ed era l’uomo con il
volto e il corpo più simile ad un dio che avessi mai visto o
potuto immaginare.
Nerima era
molto, molto lontana, il mio villaggio invece non distava che
un’ora di cammino.
Nessuno lì mi stava aspettando, però quella era
la mia casa e avrei dovuto tornarci.
Lì avrei potuto riposare, mangiare, cambiarmi e tornare alla
mia vita di sempre.
La mia noiosa, solitaria vita di sempre.
E invece
… in quel momento volevo solo avere più tempo per
ringraziarlo e magari conoscerlo prima di vederlo scomparire per sempre
dalla mia vista con passo spedito.
In quel momento volevo…
Non so, ormai non ricordo più cos’altro desideravo in quel momento, ma ricordo bene cos’ho fatto. Senza riflettere presi la decisione che cambiò per sempre la mia vita. Senza pensarci cominciai a camminare nella direzione che lui aveva intrapreso. Ero in viaggio per Nerima…anche io.
Angolo dell'autore:
per chi volesse lascio il link
per vedere una mia
fan art di questo capitolo. Spero proprio vi piaccia.
Anche se non ho la fortuna di una conoscenza diretta, dedico questo disegno al meraviglioso staff di NRDP che mi ha ispirato l'idea delle immagini dedicate ad ogni capitolo. Siete bravissimi!!!
Chichilina