*
Ilaria
-
Dieci a uno che vince il Napoli-
-
Cosa? Ma scherzi?! Non ha speranze! Io punto sul…-
Non
fu il trillare martellante della sveglia né la radio né la luce che filtrando dalle
tapparelle tentava in tutti i modi di farmi aprire gli occhi; no, nessuna di
quelle cose sarebbe riuscita ad irritarmi nemmeno la metà di quanto fecero i
due esseri accovacciati per terra nella mia stanza.
Ribadisco:
la mia camera! Alle… sollevai giusto un po’ la palpebra sinistra
per poter dare un’occhiata all’orologio e quasi credetti di star
sognando: alle cinque del mattino!
E
che cavolo! Ma che modi! Iniziai a rigirarmi furiosamente nel letto, dando le
spalle ai due che rischiavano altamente di morire a breve ed alzandomi le
coperte fin sopra la testa. Le cinque…
Dio,
non riuscivo a crederci! Le c-i-n-q-u-e!
Per
quale assurdo motivo a me ancora sconosciuto erano lì, a parlare, a ridere, ma
soprattutto, per quale eccesso di sadismo avevano deciso di svegliarmi
all’alba? Iniziai a scorrere mentalmente tutti i modi che conoscevo per
tappare definitivamente la bocca a qualcuno e mi sorpresi di quanti ne sarei
stata in grado e disposta ad attuare. La voce che sentii poco dopo non riuscì
minimamente a farmi smuovere dai miei nuovi progetti: sapevano che la mattina
ero intrattabile, specialmente senza aver ingurgitato la mia regolare dose di
caffeina, benissimo perciò! Volevano la guerra? E guerra sia.
-
Scricciolo?-
-
Bimba sei sveglia?-
Le
due voci, un attimo prima concentrate su di me, tornarono improvvisamente a
prestare tutta la loro attenzione alle parole del cronista. Non capii quasi
niente: aveva parlato in modo talmente veloce da attaccare tutte le parole,
senza prendere aria neanche per un attimo. Subito dopo però sentii
distintamente l’urlo di gioia proveniente da uno dei due condannati a
morte e il verso di sconforto dell’altro. Seguirono un frusciare di soldi
e un clic che fece tacere il cronista ormai finito irrimediabilmente sulla mia
lista nera.
Dopo
pochi attimi qualcuno mi strappò le coperte di dosso facendo entrare uno
spiffero gelido nel mio ricovero tanto soffice e tiepido, ma non ero
intenzionata ad arrendermi: mi chiusi su me stessa a riccio, per conservare più
calore possibile e coprii la testa con un cuscino. Nonostante ciò le voci,
sebbene ovattate, continuavano ad arrivarmi in tutto il loro fastidio:
-
Hai visto con che tenuta sexi dorme?-
Non
ebbi bisogno di guardarmi per capire che non erano seri: un pantalone di tuta
nero ed una felpa non potevano certo suscitare istinti animaleschi. Strinsi
ancora più forte il cuscino: perché tutte a me?
-
Oh, sì… ma niente in confronto a quella che usava con chisaitu!-
-
Naturalmente…-
Ripensai
all’unica cosa che era cambiata: il pezzo di sopra. Con Davide non
indossavo la felpa, ma la sua maglia: la mia preferita, quella enorme, che
potevo tranquillamente usare come camicia da notte, quella con un numero sulla
schiena, il 13, quella che mi ricordava le maglie dei giocatori di football…
quella rossa, con i nostri profumi mischiati assieme. Quella che non ricordavo
nemmeno che fine avesse fatto.
-
Ila…. Dai non fare così!-
-
Su scricciolo, sai che devi alzarti-
Iniziai
a brontolare, quasi senza rendermene conto: ma che volevano?!
-
No, non lo so… perché alle cinque? Ma che vi ho fatto? Andate via…-
Li
sentii sghignazzare, e poi il materasso
si inclinò per via del peso di qualcuno che ci si era seduto. Senza il mio
consenso. Non sarebbero mai riusciti a farmi aprire gli occhi.
-
Un bel caffè ancora caldo non lo vuoi?-
Uh,
ecco le parole magiche. Caffè? C’era del caffè caldo davvero o era tutto
un trucco? Quell’ultimo dubbio venne cancellato non appena iniziai a
sentirne l’odore, mi tolsi il cuscino dal viso e mi alzai a sedere. Aprii
gli occhi solo nel momento in cui mi ebbero messo l’enorme bicchiere tra
le mani. Presi un bel sorso e soddisfatta appoggiai la schiena al muro. Dopo il
terzo sorso tornai a fissare i due tormentatori:
-
Allora, si può sapere il motivo di tutto ciò? Alle cinque di mattina, diamine
ragazzi! Non vi sentite tremendamente in colpa?-
Li
osservai sghignazzare e darsi di gomito continuando a non capire. Che non
fossero completamente normali lo avevo sempre saputo, ma a questo punto stavamo
veramente degenerando… esasperata feci per bere ancora un po’ di
caffè, quando notai il bicchiere che tenevo in mano: non era nostro, era uno di
quelli che si comprano, ad esempio nel bar in fondo alla strada. Incontrai
sorpresa il loro sguardo:
- Siete
andati a comprarmi il caffè? Perché? Avete… avete combinato qualcosa di
grave?-
Squadrai
per bene prima mio fratello, accovacciato ai piedi del letto con la faccia
d’angelo e poi lo zio Robby seduto sul letto, che mi sorrideva. Fu lui a
rispondermi, con una voce calma che nascondeva un accenno divertito:
-
No, certo che no. E’ stato il giovanotto di ieri sera-
Il
giovanotto di ieri sera? Che stava dicendo?
-
Sì, quello che è venuto in camera tua, hai presente?-
Spostai
lo sguardo su Mirko che si era intromesso. Fil? Aveva portato il caffè? Riuscii
sorprendentemente a collegare le informazioni appena ricevute e a formulare
qualche domanda sensata:
-
Filippo? Ha portato il caffè? A che ora? Perché?-
Ray
alzò gli occhi al cielo e soffocò una risatina prima di ribattere candidamente:
-
Bimba, perché? Forse perché vuol far colpo su di te?-
-
Alle cinque del mattino, Ray? Non è una cosa molto logica-
Mirko
a quel punto intervenne, con fare noncurante:
-
E vabbè forse voleva anche dirti qualcosa… è ancora giù se ti interessa-
Cosa?
Era giù? Sgranai gli occhi e quasi mi sfuggì il bicchiere di mano sentendo
quell’ultima parte:
-
E’ ancora giù? Da quanto
tempo?-
Fecero
spallucce entrambi, in contemporanea, come se stessimo parlando del tempo e non
della possibilità che un biondino dagli occhi blu fosse fuori casa, per qualche
ignoto motivo, ad aspettare me!
Vedendo
che non sembravano minimamente propensi a rispondermi, posai il caffè sul
comodino e corsi in bagno: cercai velocemente di darmi una sistemata ai capelli
e sperai di avere un aspetto anche solo vagamente decente. Uscendo dal bagno
quasi mi scontrai con Mirko, che mi porgeva delle pantofole, scuotendo la
testa:
-
Se proprio devi andare…-
Le
misi ai piedi il più in fretta che potevo e iniziai a fare le scale di corsa,
arrivando alla fine a scontrarmi quasi frontalmente con il portone, lo aprii
non sapendo realmente cosa aspettarmi ed ignorai l’aria gelida che mi
investì in pieno, pungendomi il viso e facendomi lacrimare gli occhi.
Non
tirava vento: semplicemente faceva freddo, molto; l’aria era rarefatta e
tutto era avvolto in una specie di nebbiolina umida che dava l’idea di
trovarsi quasi sospesi nel nulla.
Non
ci misi molto a trovarlo: appoggiato ad una macchina ferma accanto al
marciapiedi, con le braccia conserte e gli occhi chiusi, in una specie di
dormiveglia, come se avesse inutilmente tentato di non cedere al sonno.
Mi
avvicinai lentamente, ignorando i movimenti che venivamo da dietro la finestra
del piano di sopra: ci stavano spiando, benissimo, così forse avrebbero
finalmente capito quanto il loro stupido comportamento fosse sbagliato. Ero
ormai a pochi passi da Fil, con il cuore che andava a mille, lo osservai e lo
sguardo mi si addolcì involontariamente: perché non piaceva ai due maniaci di
sopra? Che aveva mai fatto di male?
Sembrava
un angioletto, così esile e bello, con gli occhi chiusi… occhi che
all’improvviso si spalancarono, facendomi trasalire. Fil si esibì subito
in un enorme sorriso, e stendendo le braccia, come per riprendere sensibilità
negli arti mi guardò entusiasta. Fece per dire qualcosa ma dovette schiarirsi
la gola per riuscire a farsi capire. Risentire quella voce, che era poco più di
un sussurro, perdermi ancora una volta nel blu di quegli occhi, riuscì a farmi
dimenticare di tutto: in quel momento c’eravamo solo lui ed io.
-
Ehy… ciao-
Sorrisi
in risposta e mi avvicinai ancora un po’, lui però non lo fece, rimase
fermo sul posto, guardandomi in modo strano, quasi fosse indeciso sul da farsi:
non sicuro di poter coprire la distanza che ci separava. Scese un silenzio
imbarazzato, che non riuscivo a spiegarmi, e che mi decisi dopo un po’ a
rompere:
-
Grazie per il caffè: sei stato gentilissimo-
Lo
osservai come ritirarsi su sé stesso: ma che gli prendeva? Avevo detto qualcosa
di male?
-
Fil, non capisco-
Lui
prese un bel respiro e iniziò a giocare con la zip della giacca, tirandola su e
giù, per poi alla fine fermarla in modo che il colletto fosse completamente
chiuso, a coprirgli perfino la bocca.
-
Ilaria non so come dirtelo: per prima cosa, mi scuso per l’ora. Il caffè
è stato l’unico modo che mi è venuto in mente per, diciamo così,
addolcirti la pillola. Cioè dico, mi sono presentato alle cinque di mattina,
sono stato imperdonabile, davvero. Ma dovevo dirtelo di persona, capisci?-
Scossi
la testa, mentre il sorriso mi scompariva improvvisamente dalle labbra. No, non
ci arrivavo. I miei ricordi con lui si fermavano alla sera prima, quando ci
eravamo baciati in camera, per un tempo indefinito e per questo ancora più bello.
Poi basta. Erano passate meno di otto ore, cosa poteva essere successo?
-
Volevo salutarti dal vivo e non via telefono, io… devo partire per forza,
fra un’ora, con i ragazzi. E’ un impegno che devo mantenere, sono
mortificato-
Arretrai
di qualche passo. Partiva?
Mi
guardò colpevole, con aria afflitta e prese un bel respiro prima di continuare:
-
Dai, Ila non fare così. Massimo domani alle dieci sarò di ritorno-
Se
il freddo non mi avesse congelato il viso, probabilmente sarei rimasta a bocca
aperta. Cosa?!
Lui
mi osservava, cercando di capire cosa mi passasse per la testa.
-
Torni domani?! Io… tu! Tutta colpa tua! Ma ti sembra il modo di
intavolare un discorso? Ah, buon dio, Fil! Se mi arrivi qui e dici “devo
partire” con aria tanto costernata, è normale che io pensi ad un viaggio
di settimane, se non mesi… non si fa così! E che diavolo, bastava
dicessi: “non sarò in città per ventiquattro ore, Ilaria.” Mi hai quasi fatto venire un colpo, invece!-
Continuai
a borbottare ancora per un po’, turbata più che altro dall’essermi
resa conto di quanto mi aveva fatto male l’idea che lui se ne andasse.
Non credevo sarebbe stato così: un bacio in fondo era tutto quello che
c’era stato; niente di più, solo un unico bacio.
Un
minuscolo stramaledetto bacio non doveva farmi quell’effetto!
Fil
aveva ricominciato a giocare con la lampo, e ora mi fissava sorridendo, in
imbarazzo ed al contempo felice di vedere che avessi preso a cuore la faccenda.
Si staccò dalla macchina e avvicinatosi un po’ mormorò:
-
Un mese o ventiquattro ore lontano da te sono ugualmente dolorosi-
Riuscì
a farmi fermare il respiro. Con quell’unica frase.
Ma
dico io, se le preparavano forse?
-
Mi è inconcepibile l’idea di non poterti vedere fino a domani mattina, lo
sai vero? Non trovavo il coraggio di venire qui a dirti che me ne andavo: dopo
ieri sera, poi!-
Aveva
un’espressione corrucciata, visibilmente a disagio, come tormentato
interiormente.
Non
avevo premeditato di fare quel che feci in seguito, forse fu da attribuirsi a
vari fattori: da una ripicca verso i guardoni del piano di sopra, al desiderio
di far tornare un vero sorriso su quel volto contrito, per finire con la
semplice e pura voglia di farlo.
Mi
avvicinai di un altro passetto ed afferrai il colletto del suo giubbino,
tirandolo a me con un movimento deciso. L’avevo preso in contropiede,
sgranò un po’ gli occhi, guardandomi sorpreso, poi tornò a sorridere, il
sorriso che volevo, e mi strinse i fianchi con un braccio.
Fu
lui poi a prendere l’iniziativa, baciandomi con passione, senza staccarsi
un attimo, senza prendere mai aria.
E
fu un bellissimo bacio, capace di farmi dimenticare tutto il resto, dove
fossimo, come fossimo arrivati a quel punto. L’unica cosa su cui riuscivo
a concentrarmi era la sua bocca, quelle labbra morbide che si stavano pian
piano scaldando. Mi strinse a sé ancora di più, ridendo sentendomi
rabbrividire.
Si
allontanò di pochi millimetri, quelli appena sufficienti a bisbigliarmi
divertito:
-
E’ il freddo o devo ritenermi soddisfatto dell’effetto che riesco ad
ottenere?-
Con
lentezza calcolata poggiai le mie labbra sull’incavo del suo collo e
sussurrai in risposta:
-
Tutte e due. Non farti strane idee. E poi, modestamente, anch’io sono
brava-
Aggiunsi
l’ultima parte, mentre con un dito accarezzavo la piccola parte del suo
collo esposta: gli era venuta la pelle d’oca. Rabbrividì e mi scoccò un
bacetto fugace a fior di labbra:
-
Verissimo. Brava è dire poco-
Continuai
a fissare quei due specchi d’acqua davanti a me, a meno di venti
centimetri dai miei.
Era
un momento magico, quasi sovrannaturale, che poco dopo andò in frantumi,
rompendosi in mille pezzi.
Tutta
colpa di una vibrazione, uno squillo proveniente dai pantaloni di Fil che fece
trasalire entrambi.
Non
ce lo aspettavamo e ci aveva colti di sorpresa: tornammo a guardarci e
scoppiammo a ridere vedendo le nostre espressioni così simili. Mi accorsi delle
nostre dita intrecciate solo quando Fil delicatamente le sciolse per prendere
il cellulare dalla tasca. Rispose con voce seccata e senza guardarmi, come a
farmi capire che avrebbe desiderato tutto fuorché fare quello:
-
Sì. Sto arrivando. Ho detto che sto arrivando V. non insistere-
Mi
guardò poi con gli occhi dolci, e sorrise come cercando di cancellare i minuti
appena passati. Lo feci allontanare un po’ e stringendo gli occhi
mormorai:
-
Devi andare, su. Non farli aspettare-
Solo
per un istante gli occhi gli vennero oscurati da un velo di malinconia, poi
tornarono gli stessi di prima, almeno in apparenza:
- Lo
so, devo correre anzi. Ci vediamo domani. E oggi non fare niente di strano:
deve restare tutto come l’ho lasciato, mi raccomando-
Mi
baciò un ultima volta, con una dolcezza che non credevo possedesse, poi scappò
via, verso la moto parcheggiata alla fine della strada, continuando a girarsi
in continuazione verso di me, e alla fine mi lanciò un bacio con la mano, un
attimo prima di sparire dietro l’angolo.
Rientrai
in casa sbandando leggermente lungo la strada, rischiando quasi di cadere per
le scale. Raggiunsi la porta e trovai fermi sullo stipite entrambi gli uomini
di casa, che mi fissavano con un mezzo sorriso sulle labbra
-
Ce l’hai fatta a tornare-
-
Cos’è? Sembrava non ci fosse verso di farvi staccare, e poi basta un
niente a farlo scappare?-
Andai
a sedermi sul divano, completamente indifferente ai loro commenti: non me ne
importava niente.
A
loro Fil non piaceva? Fa niente, l’importante era che piacesse da morire
a me. Mi sembrava di non essere nemmeno più in salotto in quel momento,
assente, persa in un mondo tutto mio.
Ma
come sempre non durò a lungo: il precario equilibrio che si era appena
ristabilito tornò in frantumi in meno di due secondi, quando notai Mirko,
accovacciato davanti a me, che tentava
di attirare la mia attenzione:
-
Ila! Il telefono: è per te-
Lo
presi in mano con la testa ancora fra le nuvole, ma bastò quella voce a farmi
precipitare drasticamente di nuovo per terra: una voce che non mi aspettavo di
sentire, men che meno in quel momento:
-
Ilaria? Scusa l’ora, so che è presto e sono mortificato, ma… ah,
sono…-
Conclusi
io per lui:
-
Maurizio! Ti avevo riconosciuto-
Aggiunsi,
sperando di aver usato un tono accomodante e gentile, del tutto opposto quindi
a come mi sentissi realmente. Lo sentii sospirare, leggermente più rilassato,
quindi forse ero riuscita nel mio intento. Lui continuò:
-
Volevo solo ricordarti di oggi. Sai, dovevi venire per quella consulenza alla
filiale-
Diavolo,
mi era completamente passato di mente! Come avevo fatto a dimenticarlo?
Non
avrei certo dato a vedere la mia mancanza, però: così con voce ferma ribattei:
-
Muzi mi deludi: sul serio hai pensato che potessi dimenticarmene? Sarò lì per
le… che ora preferisci?-
Ci
pensò su giusto pochi istanti prima di rispondere convinto:
-
Alle otto per te va bene? Naturalmente ho già avvertito quelli della sicurezza
all’entrata del tuo arrivo, perciò non dovresti avere problemi.-
Dopo
aver chiuso la conversazione, mi accasciai sul divano con un sospiro: solo
questa ci mancava!
Dalla
cucina mi arrivavano soffusi i commenti dei due cuochi improvvisati: commenti
per niente carini che riuscirono unicamente a farmi innervosire più di quanto
già non fossi.
-
Sai Mirko, devo iniziare a venire a trovarvi con più frequenza, altrimenti
rischio di perdermi troppe cose! Che ne fai una telenovela? Quindi: sta con
Filippo…-
-
…apparentemente-
-
Apparentemente, certo. E ora va a trovare Maurizio per una consulenza-
-
…sì, una “consulenza”-
-
E Davide? C’entra anche lui?-
A quel
punto non ce la feci più ed intervenni, con voce quasi isterica, troncando il
discorso generato da quelle due menti malate:
-
No! Non c’entra Davide! E quella che vado a dare a Maurizio è davvero una
consulenza di lavoro! Diavolo, comportatevi un po’ da adulti quali siete,
o almeno dovreste essere! E per la miseria! Vi sembra giusto inciuciare in
questo modo e fare di queste insinuazioni poi… vergognatevi! Tutti e
due!-
Conclusi
alla grande il discorso sbattendo la porta della camera: prima o poi sarebbe
pur caduta tante le percosse ricevute, poverina. Mi stesi intorpidita sul
letto, fissando il soffitto con sguardo assente: avevo ancora un po’ di
tempo a disposizione e mi sembrava più che giusto sfruttarlo riposandomi.
Sarebbe
stata una lunga giornata.
*