Scritta per la Big Damn Table indetta da Fan Fic 100 Italia e pubblicata giusto per evitare che i miei aggiornamenti diventino troppo scostanti. Il sessantaquattresimo capitolo del Diario è – tecnicamente – in arrivo. Sono incappata in un colossale blocco della fan-writer. Sì, è piuttosto triste. Sì, potete piangere.
(Gli occhi dei licantropi non brillano più dei vostri occhi. O, perlomeno, J.K. non ha mai detto che lo facciano. Non posso farci niente. Mi servivano stroboscopici).
Non guardarmi per mentire
Tonks
fece scattare la serratura del proprio appartamento in Gerrart
Street, si infilò nell'ingresso buio, si richiuse la porta
alle
spalle e si lasciò scivolare verso il pavimento.
Morsicchiandosi
divertita le labbra, tentò di trattenere una risatina
divertita,
mentre cercava nella borsa la propria bacchetta.
«Lumos»
disse, e una flebile e ballerina luce azzurrina illuminò le
mura
spoglie e le scatole chiuse ammassate un po' ovunque.
Tonks
sorrise. Ancora un paio di mesi e sarebbe stata inquilina di quel
buco per il quinto anno consecutivo. Ricordava ancora il giorno in
cui aveva avuto la fortuna di trovare l'annuncio sgangheratamente
attaccato ad una macchinette delle bibite vicino all'Ikkusan,
un'umile ristorante cinese al quale era solita fermarsi quando le
lezioni di Addestramento per Auror terminavano più tardi del
solito.
Aveva
trascorso parecchi mesi del primo anno di Addestramento agognando
l'indipendenza: amava i suoi genitori, ma sentiva di avere bisogno di
uno spazio realmente tutto suo. In realtà, fra un impegno e
l'altro
era ben poco il tempo che riusciva a dedicare all'appartamento, ma il
semplice fatto che fosse suo
era più che sufficiente a placare la sua sete di
libertà.
L'affitto era oscenamente
basso, e a giusta ragione. L'appartamento era in pieno quartiere
cinese, (il che comportava ben poca tranquillità, sebbene
facessero
ottimi involtini primavera), era piccolo, scomodo e troppo sensibile
all'umidità e alla muffa. Nonostante tutto, quando il signor
Harson
le aveva mostrato per la prima volta le condizioni della casa, i suoi
occhi si erano illuminati di gioia. Quella casa, checché
potesse
pensare la gente, era perfetta.
Da domani, lo sarà ancora di più.
Da
quella mattina, in effetti, poiché erano già le
due passate.
La
consapevolezza di quale giorno fosse le fece attorcigliare le
budella, mentre un incredibile sensazione di caldo le invadeva
piacevolmente il corpo. Sospettava che anche la quantità di
Whisky
Incendiario che aveva tracannato nelle ultime ore avesse un certo
peso in quegli strani sbalzi termici ma, al momento, era pura e
frenetica felicità, e tanto bastava.
Orco porco, oggi mi sposo!
«Ninfadora?».
Sorrise
nel sentire il tono caldo e vagamente roco della voce di Remus
raggiungerla dal salotto – o quello che sembrava
un salotto,
ad ogni modo. Stava per rispondergli, quando scoppiò
improvvisamente
a ridere al pensiero che, quella mattina, lo avrebbe realmente
sposato.
«Ninfadora,
sei tu?».
«No»
ridacchiò lei, rialzandosi traballante sulle gambe.
«Io sono
Tonks».
Lo
sentì sbuffare divertito, mentre i suoi passi misurati si
avvicinavano all'ingresso. D'un tratto, una delle lampade vicino al
sofà si accese e lei dovette sbattere un paio di volte gli
occhi per
abituarsi alla luce. Dischiuse le palpebre e lo guardò dal
basso
verso l'alto. Indossava solo un paio di pantaloni logori e dall'orlo
sdrucito e un vecchio maglione porpora con il collo alto. Tonks gli
guardò i piedi nudi: adorava quando camminava senza
ciabatte, ma non
avrebbe saputo spiegarne il motivo. Sollevò lo sguardo verso
il suo
viso e lo vide sogghignare vagamente divertito.
«Tremo
all'idea di cosa risponderai» le disse, «ma mi
piacerebbe
ugualmente sapere perché sei coricata sul
pavimento».
«Vuoi
fare l'amore con me?» domandò d'istinto lei,
appoggiando la testa
alla porta e socchiudendo gli occhi.
«Ne
deduco che il tuo addio al nubilato è stato
soddisfacente» commentò
Remus, chinandosi per aiutarla ad alzarsi.
«No,
affatto» ribatté crucciata lei, stringendo le
braccia alle sue
spalle. «E adesso voglio fare l'amore per compensarne
l'assenza».
Dal
momento che Tonks non pareva intenzionata a collaborare oltre, Remus
la sollevò di peso e la portò fino alla poltrona,
dove la coprì
con una coperta di tweed scozzese. Le appoggiò la mano alla
fronte e
le rivolse un sorriso rassicurante.
«Ti
va qualcosa di caldo?» le chiese con premura.
Tonks
gli rivolse un sorriso malizioso e annuì con decisione.
Prima di
varcare la soglia della cucina, Remus si voltò per fissarla
divertito.
«Io
mi riferivo al tè».
«Anch'io
mi riferivo a te».
Remus
scosse la testa e svanì nella cucina. Tonks lo
sentì muovere
pentole e pentolini e provò un improvviso desiderio di
raggiungerlo.
Peccato disponesse di troppo poco equilibrio per sperare di
raggiungere indenne la stanza.
«Remus»
lo chiamò. «Mi sa che ho bevuto un po'
troppo».
Lui
comparve di nuovo dalla cucina e appoggiò la spalla allo
stipite
della porta, mentre soffiava con aria vaga sulla tazza fumante che
stringeva in mano.
«Tu
credi?» le domandò ironico.
Lei
ruotò la testa sulla poltrona e annuì con una
smorfia.
«Credo»
rispose. «Bevi in fretta» aggiunse imperiosa.
Remus
inarcò perplesso un sopracciglio.
«Per
quale motivo?».
Tonks
lo fissò come se fosse un bambino particolarmente tardo.
«Non
puoi fare l'amore con me, se tieni la tazza in mano»
protestò con
naturalezza.
Remus
sospirò stancamente.
«Ninfadora,
tesoro, non ho la minima intenzione di fare l'amore con te,
stasera»
le disse con tono rassegnato. «Hai bevuto troppo e hai
bisogno di
riposo».
«Perché
tu non hai bevuto?» domandò lei. «Hagrid
beve sempre tanto quando
festeggia».
«Ho
bevuto» la corresse con tono risaputo. «Solo, non
quanto te».
«Perché?».
«Perché
qualcuno avrebbe dovuto riportare a letto Hagrid ed evitare che
Alastor lo spedisse al San Mungo per non aver bevuto con vigilanza
costante».
«È
ingiusto» protestò veemente lei. «Se tu
lo avessi fatto, io e te
staremmo facendo bum-bum
a letto».
Remus
la scrutò a lungo, sorseggiando distrattamente dalla propria
tazza.
«Bum-bum?»
ripeté, cercando di trattenere le risate.
Lei
annuì seriamente e lui non fu più in grado di
trattenere la propria
ilarità. Scoppiò a ridere e Tonks parve
indignarsi di fronte al suo
divertimento.
«Non
dovrei nemmeno vederti» disse lui, cercando di riprendere
contegno.
«E tu mi proponi di fare... come l'hai chiamato?».
«Bum-bum»
rispose meccanica Tonks. «Perché non mi dovresti
vedere? Sono così
indecente quando esagero con il whisky?».
Remus
scosse il capo.
«Ti
assicuro che sei adorabile quando esageri con il
whisky» le
disse. «Ma dicono porti sfortuna vedere la sposa prima delle
nozze».
«Stronzate»
mugugnò Tonks. «Stronzatissime
stronzate.
La sposa vuole fare bum-bum. Fine della storia».
Si
alzò a fatica dalla poltrona e, tenendo bene aperte le
braccia, si
diresse con poca grazia verso di lui. Remus appoggiò la
tazza sul
treppiedi accanto al sofà e fece qualche passo per aiutarla
a
reggersi in piedi, passandole le braccia attorno alla vita. Tonks
appoggiò la fronte al suo petto e inspirò
profondamente.
«Mi
piace il tuo odore» mormorò. «Sai di
biblioteca».
«Prego?».
«Uhm»
annuì lei. «E di cioccolata. E muschio».
«Muschio?»
ripeté stupito. «Ninfadora, credo sia arrivato il
momento di andare
a letto».
Lei
sollevò gli occhi e gli fece un grande sorriso.
«Oh,
sì...».
«A
dormire».
«Ma
che palle».
«Domani
ci sposiamo».
«Me
l'avevano accennato, sì».
Tonks
ruotò la testa sul cuscino e fissò i suoi occhi
nell'oscurità. Il
modo in cui le sue iridi rilucevano nel buio, in effetti, era l'unico
dettaglio della sua licantropia che l'aveva lasciata un po'
sconcertata. Non che apparissero gialli come quelle di un gatto, no!
Solo, di tanto in tanto, erano attraversati da riflessi di luce che,
Tonks era certa, non avrebbero attraversato quelli di un essere
umano. Dopo i primi attimi di esitazione, ad ogni modo, aveva
iniziato a trovare anche quel dettaglio di lui dannatamente
affascinante. In breve, si era ritrovata schiava di qualunque cosa si
riferisse a lui, alla sua vita e al suo triste sorriso ammaliatore.
«Hai
gli occhi che luccicano, stasera»
«Perdonami»
disse in fretta.
Tonks
suppose che avesse chiuse le palpebre, dal momento che, per quanto si
sforzasse, non era più in grado di scorgere nient'altro che
l'oscurità.
«Hai
chiuso gli occhi?».
«Sì.
Non preoccuparti».
«Perché
li hai chiusi?».
«Non
dovevo?».
«Ho
spento la luce perché non puoi vedere la sposa prima di
domani»
spiegò Tonks. «Se volevo che tenessi gli occhi
chiusi, accendevo
direttamente la luce».
«Riesco
a vederti un poco ugualmente» confessò mestamente
lui. «È uno dei
difetti della licantropia».
Tonks
si sollevò sulle braccia e si sporse sopra di lui, tendendo
una mano
verso il comodino.
«Cosa
stai cercando?» domandò perplesso Remus.
«Chiudi
la bocca» lo zittì lei. «E se ti sento
ancora commiserarti,
finisci a dormire nella cucina di Hashimoto».
Tastò
con una certa impazienza la superficie del comodino – facendo
cadere un libro e strappando un sospiro sommesso a Remus –
finché
non riuscì ad afferrare la sua bacchetta.
«Accio
cravatta!»
scandì, sollevando
la mano libera per afferrare al volo l'indumento.
«Di
grazia, posso sapere cosa stai--?».
Tonks
si portò cavalcioni su di lui e si sporse per avvicinarsi al
suo
volto, stringendo la cravatta fra le mani.
«Non
puoi vedere la sposa prima del matrimonio, Remus» disse
divertita,
mentre gli copriva gli occhi e stringeva i due capi della cravatta
dietro la sua nuca.
Remus
emise un roco mormorio.
«Non
avrei dovuto dirtelo».
«Dovevi
pensarci prima».
Tonks
posò le labbra sulle sue e lo baciò con
tenerezza, mentre gli
sfiorava con i polpastrelli la mandibola sinistra. Sentì la
sua mano
scendere lungo il suo fianco e insinuarsi di pochi centimetri sotto
l'orlo della sua maglietta. Trattenne il fiato quando le sue dita le
iniziarono carezzarle la pelle, mentre un sorriso sfacciato le
increspava le labbra.
«Credevo
non avessi voglia di fare bum-bum» sussurrò
divertita.
«Ho
mentito» rispose lui, spostandole con premura il viso e
baciandole
il collo. «Lo faccio spesso, in realtà».
«Bastardo
di un professore».
Lui
sorrise a sua volta.
'Provò
il desiderio di dirle 'ti amo'', eppure continuò a tacere,
incapace
di pronunciare quella drastica parola – e dire che domani
l'avrebbe
sposata! Mentre lei fremeva sotto al tocco delle sue dita, si
domandò
perché tutto dovesse essere così dannatamente
complicato.
Perché non vuoi dirglielo?
Seduti
sul primo gradino di pietra che si affacciava sui sobborghi cinesi,
entrambi fissavano il vuoto da diversi minuti. Tonks, con la schiena
malamente appoggiata allo stipite della porta d'ingresso, si era
incantata a vedere un incarto unticcio che spuntava da un cestino e
che il vento continuava a muovere. Remus, d'altro canto, pareva aver
trovato nella punta delle sue scarpe qualcosa di incredibilmente
interessante.
Dopo
qualche istante di totale immobilità, infilò la
mano nella tasca
del mantello e ne estrasse una vecchia pipa di radica piuttosto
malmessa. Mentre Remus iniziava con attenzione a preparare il tabacco
con la dovuta pressione, Tonks strinse gli occhi e si mise ad
osservarlo con estrema circospezione. Aspettò che Remus
avesse
spento il fiammifero con il quale aveva acceso la pipa per parlare.
«Porca
vacca, spegni quella cosa» lo pregò in tono serio.
«Quando fumi la
pipa diventi intrattabile».
Fumi la pipa solo quando stai per creare un altro problema ad entrambi.
Lui aspirò lentamente un paio di volte, sollevando lo sguardo verso Gerrart Street e cercando di non incrociare lo sguardo brillante della moglie.
Moglie.
Merlino,
ora è mia moglie.
Snervata,
lei gli sferrò un pugno alla spalla destra.
«Ahi!»
si ritrasse lui con un grido strozzato e una smorfia di dolore.
«Mi
hai fatto male».
«Che
scenata» minimizzò franca Tonks, incrociando le
braccia con aria
stizzita. «Se non mi dici che ti sta passando per la testa,
sarà il
prossimo a farti davvero del male».
Lui
fece un sospiro rassegnato, ma continuò a stare in silenzio,
aspirando di tanto in tanto dalla pipa, con le sopracciglia vagamente
aggrottate.
«Remus,
giuro che ti prendo a sberle fino al giorno di Ognissanti» lo
minacciò lei. «Hai appena giurato di dire la
verità, solo la
verità e nient'altro che la verità, mi
pare».
«No»
le rispose lui, evasivo. «Hai sbagliato giuramento».
«Hai
giurato di amarmi» tagliò corto lei.
«Hai giurato di essere
sincero. Hai giurato che saresti rimasto per sempre al mio fianco.
È
la stessa, identica e fottuta cosa Remus».
Inquieto,
si grattò la nuca e le rivolse un sorriso tirato.
«Mi
chiedevo cosa avessi mai fatto per meritarti» disse.
Tonks
lo fissò per un paio di secondi, prima di sorridergli
stentatamente.
Stai
mentendo.
Di
nuovo.
Ti
ho mai detto che i tuoi occhi non riescono a farlo?
«Tutto
qui?» scandì con rabbia Tonks, alzando lo sguardo
dal piatto che
stava sbocconcellando e fissandolo con durezza. «Non hai
nient'altro
da aggiungere?».
Lui
continuò a mangiare con apatica indifferenza, tenendo la
testa china
sulla propria cena e le spalle curve, sconfitte. Allungò una
mano
verso il bicchiere e sorseggiò vagamente un po' del vino
elfico
avanzato dalle cantine di Grimmauld Place. Tonks si sentiva ribollire
di furia, mentre lo osservava bere con tanta snervante
tranquillità.
«Cazzo,
Remus, rispondimi!» strillò al
colmo della sopportazione.
Colpì con forza il tavolo e si sporse verso di lui.
«Che diavolo
sta succedendo!?».
Quando
Remus alzò lo sguardo su di lei, tremò
impercettibilmente e tornò
a sedersi compostamente con gesti meccanici. Non aveva mia visto i
suoi occhi brillare così animosi; la fissava con tanto
furore che a
Tonks parve di essere dinanzi ad un vero lupo.
L'impeto che
l'aveva smossa scivolò via dal suo corpo, lasciandola con
una strana
sensazione di intorpidimento e confusione.
«Non
guardarmi così...» mormorò, con una
nota fra la supplica e
l'avvertimento. «Ti ho appena detto che aspetto un bambino. Un
bambino da te. E l'unica cosa che riesci a dire è ''va
bene''?».
«Sì,
è l'unica cosa che posso dire. E vuoi sapere
perché, Ninfadora?»
ribatté lui, tagliente. Si alzò in piedi e
sbatté le mani sul
tavolo, facendola sobbalzare. «Perché questo
bambino sarà
maledetto, ecco perché! Sarà
soltanto un altro sporco ibrido
a cui la gente sputerà addosso! Perché sarai
costretta a sopportare
questa vita schifosa e tutto perché – cazzo!
– io te
l'ho permesso!» gridò, rabbioso.
Imprecò,
afferrò il bicchiere e lo scagliò in un impeto di
ira contro il
muro bianco della cucina. Tonks si ritrasse al rumore del vetro
infranto e voltò apatica il capo verso la grande macchia
rubizza che
andava sgocciolando sul pavimento.
Sangue.
È
a questo che finiamo, dunque?
Guardò
Remus, con le guance rigate da silenziose lacrime e le labbra
strette. Tirò sul col naso e cercò di trovare la
voce.
«Hai
finito?».
Remus
parve spiazzato dal suo tono distante. Così com'era accaduto
a lei,
poco prima, anche la sua rabbia parve dissolversi improvvisamente. Le
rivolse uno sguardo colpevole, si passò una mano fra i
capelli,
stravolto, e si diresse a passo svelto verso la porta. Prese il
mantello e svanì in strada, senza nemmeno darle il tempo di
fermarlo.
Tonks,
dal canto suo, rimase immobile a fissare quella macchia rossa sul
muro della propria cucina, mentre i ceri delle candele che aveva
acceso a festa si scioglievano malinconici attorno a lei.
Non vedeva altro che sangue.
Quando
gli aveva aperto la porta era notte fonda e diluviava. Gerrart Street
era allagata e i lampioni stentavano a illuminare tanto la strada
quanto i marciapiedi e le insegne cinesi. Il cielo era cupo e nessuno
sarebbe stato capace di trovare, in quella pioggia fitta, null'altro
che acqua, umido e bagnato.
Ma
Remus era lì, in piedi di fronte alla porta del modesto
appartamento, fradicio e stravolto. Si appoggiava allo stipite con la
mano destra e teneva il capo chino, con i capelli gocciolanti a
grondare sulle scarpe rovinate.
Tonks
rimase immobile, in attesa.
«Sono
un vigliacco, Ninfadora» scandì Remus, sollevando
lo sguardo su di
lei.
Vi
era nei suoi occhi – così come nella sua voce roca
– qualcosa di
dannatamente colpevole. La guardava con espressione tormentata, le
labbra dischiuse e il volto pallido. Tonks fece un respiro profondo e
gli rivolse un mezzo sorriso tirato.
«No.
Sei solo un idiota tutto zuppo».
«Sei
tornato nei bassifondi?» domandò lapidaria Tonks,
stringendo fra le
mani la camicia sporca e malridotta di Remus. «Parola mia,
questa
cosa puzza così tanto di whisky che si ribalterebbero pure
le
budella di un Troll».
Remus
si coprì le spalle con la coperta che lei gli aveva gettato
addosso
e allungò le mani verso la modesta stufa nell'angolo del
salotto,
sfregandole rapidamente.
«Non
sapevo dove andare».
«Potevi
tornare qui».
«Non
credevo che l'avrei fatto ancora».
Tonks
si voltò per guardarlo con sguardo profondamente scosso.
Abbandonò
la camicia davanti alla porta del piccolo bagno e lo raggiunse
rapidamente. Si sedette accanto a lui e lo costrinse a fissarla
negli occhi.
«Non osare ripeterlo».
«Mi
dispiace».
Tonks
scosse il capo.
«Non
è quello che hai detto».
Remus
si liberò della sua stretta con delicatezza e la
scrutò con
serietà.
«Non
volevo farti del male. Non di nuovo» confessò
sinceramente in un
roco mormorio, abbassando il capo. «E non dovevo dire
ciò che ho
detto».
«Non
''dovevi'' o non ''volevi''?».
Lui
le rivolse un'occhiata intensa e scosse la testa.
«Non
volevo dirle in quel modo».
Lei
annuì rigidamente.
«Questa
fottuta guerra finirà e nostro figlio nascerà in
un mondo migliore»
decretò con decisione Tonks. «Io ne sono sicura,
Remus. E tu? Tu di
cosa sei sicuro?».
Remus
sollevò gli occhi sul suo volto. Ne assaporò ogni
dettaglio
un'altra volta ancora, dai suoi lucenti occhi scuri alle sue dolci
labbra piene.
«Ti
amo» le sussurrò con urgenza, stringendole le mani.
Tonks
rimase in silenzio un paio di secondi, fin quando la forza delle
parole di Remus non ebbe finito di sfondare le pareti del suo
cervello.
«Non
me l'avevi ancora detto».
Lui
annuì, mordendosi nervosamente le labbra.
«Ho
bisogno di te» le mormorò in tono di supplica.
«Merlino, ho
dannatamente bisogno di te».
«Resta
con me, allora» rispose lei, alzando una mano per scostargli
una
ciocca di capelli dal viso. Si sporse verso di lui e gli
baciò
lievemente lo zigomo sinistro.
Resta
con me per sempre.
Fin
che Morte non ci separi.
Fare
l'amore con Remus era qualcosa di straordinario.
Dacché
lo conosceva – e dacché si era innamorata di lui
– quello era
l'unico momento in cui lui riuscisse ad essere realmente se
stesso. Il mondo svaniva totalmente attorno a lui, facendogli
dimenticare ogni afflizione e ogni problema, fin quando non
rimaneva che lei.
Nei
suoi baci e nelle sue carezze vi era ben più di un messaggio
d'amore. Lui non si limitava ad amarla: lui voleva viverla,
voleva che fosse a conoscenza di come sarebbe crollato, in sua
assenza.
Tu sei la mia vita.
Imprimeva
l'estremo bisogno di lei fin dal più piccolo gesto,
stringendola con
profondo ardore – adorandola.
Quella
volta, fu ancora più incredibile.
«Ti
amo» le aveva sussurrato.
Tonks
non riusciva a credere che, alla fine, l'avesse davvero
pronunciato. Nell'oscurità che avvolgeva la stanza, si
sforzò di
cercare il riflesso brillante dei suoi occhi. Quando li vide, sorrise
e lo baciò con passione, abbandonandosi completamente a
tutto ciò
che lui significava.
I tuoi occhi non riescono a mentire.