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Autore: miseichan    07/02/2010    39 recensioni
"Per quanto forte, potente e indistruttibile tu sia, devi sapere che i ricordi avranno sempre la meglio!” Il che non sempre è un male, ci sono volte in cui anzi è piacevole, gratificante. Purtroppo in altre occasioni ricordare è doloroso: ad esempio quando l'oggetto dei ricordi è qualcosa, o più precisamente qualcuno, che non è più al tuo fianco. Un qualcuno di cui semmai eri anche follemente innamorato, un qualcuno per cui avresti dato tutto te stesso. Sempre lo stesso qualcuno che ora vorresti solo vedere morto... o quantomeno riuscire a dimenticare. STORIA SOSPESA PER VACANZE ( brevi )… scusate!!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight Lovers'
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23 bacio

 

 

*

 

Ilaria

 

Mi poggiai trafelata al semaforo: la corsa era stata del tutto inutile, non che mi aspettassi il contrario.

Fissai assente lo sguardo sul palazzo dall’altro lato della strada e improvvisamente mi sentii grata verso l’omino rosso che mi intimava di aspettare per attraversare: non ero ancora pronta, affatto.

Cosa mi era passato per la mente?

Sapevo benissimo che sì, probabilmente avrei fatto il mio lavoro, finalizzando i driver di ricerca di ogni maledetto computer presente in quella banca, ma allo stesso tempo ero perfettamente cosciente del fatto che non stavo andando lì solo per quello: volevo bene a Maurizio, ma lo conoscevo e anche se non sembrava, quando voleva sapeva essere un uomo molto calcolatore e distaccato, che sicuramente aveva qualcosa in mente. Ed era di quello che avevo più paura in assoluto: di quel secondo fine che ancora non conoscevo.

L’omino davanti ai miei occhi cambiò colore, passando ad un verde acceso, eppure finsi non fosse successo nulla e rimasi con la schiena contro il semaforo, spostando lentamente lo sguardo sull’ingresso della banca, cercando di trovare la forza per muovere quei pochi passi che mi avrebbero portato da lui.

La forza però non arrivò in tempo: scattò prima il rosso e non me ne dispiacqui, accogliendo invece con un sorriso a fior di labbra il ricordo che mi travolse, annullando la mia già sbiadita percezione della realtà per pochi minuti.

 

Posò la mano sul mio ginocchio, calmando momentaneamente il tremore della gamba, trasmesso dal movimento incontrollato ed incessante del piede.

Non lo guardai e con un gesto della mano secco e frustato spostai con mal grazia le dita di Davide.

Il suo risolino mi giunse all’orecchio riuscendo unicamente a far aumentare la mia irritazione.

Probabilmente se ne accorse perché con un sospiro tornò a stringermi il ginocchio, con maggiore decisione, e carezzandomi lentamente con il pollice, riuscì a far smettere il tremore.

Mi voltai verso di lui: mi squadrava con un sorriso sotto i baffi, divertito da quella situazione, dal mio immotivato nervosismo, dal fatto che fossimo fermi nella sua macchina, nel vialetto d’ingresso di casa sua, da quasi mezz’ora... Strinsi gli occhi, provando un improvviso moto di stizza per quel suo sorrisetto: avevo una voglia matta di strapparglielo brutalmente io stessa da quella faccia d’angelo che si ritrovava.

- Smettila-

Sussurrai appena, a denti stretti.

Il suo sorriso si allargò e io allora chiusi gli occhi, reclinando la testa all’indietro, poggiandomi sfinita al sedile riscaldato, preparandomi ad affrontare la sua risata. La risata che adoravo ma che in quel momento proprio non mi andava di sentire. Eppure non arrivò. Aspettai un paio di minuti, ma con mia grande sorpresa lui non rise. Riaprii gli occhi e trovai i suoi fissi nei miei, ora non sorrideva più.

- Se avessi saputo che rischiavo di farti venire un attacco di cuore, non ti avrei portata qui per…-

Lo aveva detto con voce dolce, soffocando un misto di preoccupazione e risentimento che gli si leggeva in faccia. Posai allora la mia mano sulla sua, bloccandogli il resto delle parole in gola e scossi la testa.

- No, non mi sta venendo un attacco di cuore, tranquillo. Ce la faccio. Dammi solo altri due secondi-

Con due dita mi prese il mento e avvicinò il mio viso al suo. Ci misi un po’ a realizzare che stava parlando, completamente intontita da quella vicinanza.

- Lari, voglio solo farti conoscere mio fratello: non capisco il motivo della tua preoccupazione! E’ solo Maurizio per Dio! Se già fosse stato mio padre avrei potuto capire, ma parliamo di Maurizio! Che te ne importa?! Dov’è che sorge il problema?-

Rafforzai la stretta sul suo polso, quasi spasmodicamente.

- E se non dovessi piacergli? Se gli stessi antipatica? Cioè tu non hai idea di quel che si prova a non andare a genio a quelli che sono cari alla persona con cui stai: tu piaci sempre a tutti! E’ una cosa quasi rivoltante come nessuno, dico nessuno, mi abbia mai detto: “il tuo ragazzo proprio non lo sopporto” … E se Maurizio ti venisse a dire una cosa del genere? O la andasse a riferire a qualcun altro? Semmai a tuo padre!-

Stavo per andare in iperventilazione: avevo detto tutto senza fermarmi un attimo, senza respirare quasi, realizzando appieno solo in quel momento cosa mi mettesse tutta quella paura addosso.

Furono le sue labbra a evitarmi una crisi: quelle labbra che premette sulle mie, prima con fare rassicurante, poi sempre più voglioso.

Quelle labbra che riuscirono nell’ardua impresa di togliermi ogni preoccupazione.

- Me ne fregherei altamente-

Non capii subito, e lui se ne accorse: mi sorrise ancora, indulgente e prima di scendere dall’auto mi spiegò:

- Se Muzi mi venisse a dire che non gli piaci me ne fregherei altamente, e anzi potrei anche prenderla a male sai? Un bel pugno sul naso non glielo toglierebbe nessuno a quel punto-

Scesi anch’io, sperando con tutto il cuore che scherzasse sull’ultima parte, prima di iniziare a rincorrerlo lungo il vialetto. Lo raggiunsi che aveva già aperto la porta ed era quasi entrato, lo guardai stranita e lui soffocando ancora una volta una risata mi fece segno di aspettarlo lì.

Accolsi con piacere l’idea di rimanere ancora per un po’ sotto quell’immenso portico, senza entrare in una casa la cui magnificenza avrebbe sortito come unico effetto quello di farmi sentire ancora più a disagio.

Nel tentativo di non soccombere nuovamente al nervosismo lasciai vagare lo sguardo, distogliendolo dalla porta attraverso la quale Davide era sparito, facendolo scorrere al di sopra del prato perfettamente curato, soffermandomi appena sulle miriadi di fiori e indugiando invece sulla piscina, quella in cui ancora non avevo fatto un bagno… fu in quel momento che sentii la porta aprirsi: girandomi mi ritrovai di fronte a Davide, lo guardai con aspettativa e veloce mi avvicinai di più a lui, stringendogli la mano:

- Allora? Tuo fratello? D. non lasciarmi più sola in momenti come questi: altri pochi minuti e rischiavo di cedere alla voglia di buttarmi in piscina!-

Non sentendo arrivare da lui alcuna risposta né tanto meno un accenno di risa come suo solito, sollevai lo sguardo per incontrare i suoi occhi, leggermente dilatati, come se fosse sorpreso.

Con un po’ di difficoltà realizzai diverse cose assieme: prima di tutte che si comportava in modo strano, osservandomi quasi con diffidenza, allontanandosi da me istintivamente non appena mi ci ero avvicinata e ricambiando la mia stretta con una freddezza non sua.

Continuai a squadrarlo senza capire, e casualmente mi cadde l’occhio sul suo collo: indossava una cravatta! Cosa? Davide e una cravatta?

- D. ma che hai fatto? Ti sei andato anche a cambiare? E perché…-

Non riuscii a terminare la frase, distratta dalla porta che si apriva di nuovo: rischiai seriamente di farmi male a causa della meraviglia. Vidi uscire di casa infatti un’altra volta Davide.

Per riflesso lasciai andare la mano che stringevo nella mia ed iniziai ad arretrare, senza accorgermi dello scalino alle mie spalle che mi fece perdere l’equilibrio facendomi trovare un istante dopo distesa supina sul prato.

Continuavo a fissare sconvolta i ragazzi davanti  a me: dei due conoscevo solo il secondo arrivato.

Quelle conclusioni mi colsero alla sprovvista e troppo velocemente: il primo ad uscire di casa, quello a cui mi ero buttata addosso, a cui avevo stretto convulsamente la mano, sempre lo stesso che mi aveva fissata disorientato e che indossava una cravatta, era Maurizio, il fratello di Davide.

Il fratello gemello di Davide.

Sbattei ripetutamente le palpebre come per assicurarmi di essere sveglia.

Dopo la quarta volta mi trovai davanti agli occhi una mano tesa. La afferrai ancora stordita e mi tirai su.

Fu la sua risata a farmi tornare completamente in  me: stava ridendo, quel figlio di buona donna stava ridendo di me! Dopo aver rivolto una veloce occhiata di ringraziamento al fratello che mi aveva aiutata, concentrai tutta la mia attenzione su di lui: lui che era piegato in due dalle risate. Ridussi gli occhi a due fessure, cercando di trasmettergli tutta la rabbia e il rancore che provavo in quel momento:

- Tu! Che mi ridi? Diavolo, Davide, non ti vergogni?!-

Smise di ridere progressivamente, e asciugandosi una lacrima con l’indice della mano sinistra, provò a stringermi la spalla con fare comprensivo. Io però mi ritrassi ancora del tutto inviperita, coalizzandomi inconsciamente con il fratello che al mio fianco lo squadrava biasimevole.

- No, piccola, non prendertela: non volevo ridere! Io solo non mi aspettavo una reazione del genere!-

Mi avvicinai di qualche passo con l’unico scopo di affibbiargli un dovuto ceffone sul braccio:

- E’ stata colpa tua! Potevi anche dirmelo che eravate gemelli! Ma no: era un semplice e inutile particolare! In fondo come ho fatto a non aspettarmelo? E’ così banale… gemelli! Non so se te ne sei accorto, ma quando è uscito, credevo fossi tu! Mi hai fatto fare una figura di…-

Mi interruppi vedendo che non mi ascoltava più, troppo impegnato ad ammiccare con il fratello:

- Non le avevi detto che siamo gemelli?-

- Ma dai, non mi era nemmeno passato per la testa che potesse non saperlo: dire che è notizia di dominio pubblico, non rende l’idea!-

Continuarono così, con mezze risate, frasi smozzicate, parole messe lì senza alcun probabile senso. Capendosi in un modo incomprensibile agli altri: con un solo gesto scoppiavano a ridere e con un pensiero non detto riuscivano a dare l’idea di aver appena concluso un discorso in piena regola.

Mi passai una mano fra i capelli, indecisa se schiarirmi la gola nel vano tentativo di attirare la loro attenzione o continuare tranquillamente a farli divertire senza infierire.

Furono loro a togliermi dall’impiccio: Davide mi si avvicinò in pochi passi, circondandomi i fianchi con un braccio mentre Maurizio si sporse verso di me per stringermi la mano:

- A questo punto credo che possiamo anche saltare le presentazioni, ti va una cena?-

Annuii con un sorriso stampato in faccia, seguendoli in auto senza riuscire a pensare ad altro che non fosse quello che Davide mi aveva sussurrato all’orecchio:

… Gli piaci …

 

Mi accorsi all’improvviso di avere pochi secondi per attraversare prima che scattasse di nuovo il semaforo.

Attraversando di corsa mi chiesi quanto tempo avessi passato ferma lì, quante volte fosse scattato il rosso, e quindi il verde… ma in fin dei conti non mi importava. Mi avvicinai all’entrata della banca, verso la porta girevole che però anche dopo numerose spinte non si aprì.

Scrutai confusa l’orologio: ero in ritardo di pochi minuti, perché non si apriva?

Mi guardai intorno spaesata quando notai nel cubicolo lì vicino un omone che sonnecchiava dietro il vetro. Bussai leggermente, cercando di attirare la sua attenzione, ma non sembrava esserci modo di farlo: gli occhiali scesi sul naso, le gambe allungate sulla scrivania, una rivista di enigmistica aperta sulle ginocchia… strano che non russasse anche.

Fu il fastidio ad avere la meglio su di me e ripresi a bussare sul vetro con maggiore insistenza. A quel punto l’omone dormiente sembrò risvegliarsi e con un aria a dir poco seccata si sistemò meglio gli occhiali per guardare chi avesse osato disturbarlo.

- Buongiorno. Chiedo scusa, ma non è che potrebbe aprire la porta? Ho un appuntamento con il signor D’Amico. Un appuntamento di lavoro-

Mi sentii in dovere di aggiungere l’ultima parte, come se altrimenti la frase potesse avere un senso troppo ambiguo, o almeno suonava così alle mie orecchie. L’uomo davanti a me chiuse l’enigmistica e con un sorriso divertito scosse la testa:

- Signorina, la banca a quest’ora è ancora chiusa: l’ingresso è libero dalle nove in poi. Torni fra tre quarti d’ora-

Mi prendeva in giro? Non aveva sentito cosa gli avevo detto?

- No, guardi forse non ha capito: devo vedermi con il signor D’Amico-

- L’ho sentita anche prima, signorina. Ma l’unico appuntamento che il signore mi ha riferito è con un tecnico informatico che doveva essere qui nove minuti fa. Lei invece mi ricorda solo una delle tante signorine che vengono qui con ben altri fini-

Lo guardai furiosa: mi stava forse insultando? Oh sì, per quanto velati quelli erano insulti. Ma come si permetteva? Io, una delle tante signorine?! Brutto…

- Guardi che io sono il tecnico che aspettate. Mi scuso per il ritardo di ben nove minuti, ma ora sono qui, mi fate entrare o preferite parli io con il signore?-

Lui scoppiò a ridermi in faccia, per poi afferrare il telefono che aveva a portata di mano: compose veloce un numero e ancora sghignazzando iniziò a parlare:

- Gerardo? Non ci crederai: c’è qui una tipa che pur di entrare sta dicendo…-

No, ora era troppo. E insultarmi poteva anche andare, ma addirittura sfottermi con i colleghi!

Presi il cellulare con uno scatto nervoso e alla velocità della luce feci il numero, non gli diedi nemmeno il tempo di rispondere: non appena sentii lo scatto di risposta cominciai a parlare.

- Maurizio sono io, non è che saresti così gentile da farmi entrare?-

Dall’altro lato sentii un istante di esitazione seguito da un suono inarticolato, poi sembrò tornare in sé:

- Cosa? Io quasi credevo non venissi più! Sei qui fuori?-

Sbuffai spazientita: ma che avevano tutti? Non potevano fare sul serio!

- Dieci minuti! Neanche dieci minuti di ritardo! E sì, sono qui fuori! Mi faresti un’enorme cortesia venendomi ad aprire la porta prima che uccida la iena cicciona che avete come portiere!-

Mi voltai appena per fulminare con lo sguardo l’uomo dietro il vetro che ancora ridacchiava, osservandomi però allo stesso tempo con un misto di curiosità e sorda comprensione; quindi mi avviai di nuovo verso la porta a vetri, giusto in tempo per veder aprirsi un ascensore laterale da cui uscì di corsa quello che era ancora al telefono con me.

Si avvicinò rapidamente alla porta, per poi premere qualcosa che mi diede finalmente la possibilità di entrare. Con un gesto esasperato mi chiusi la porta alle spalle, godendomi l’aria decisamente più calda.

Annuii riconoscente a Maurizio che mi stava davanti sorridente e che mi fece segno di seguirlo.

- Sì, grazie. Meriterebbe  di essere licenziato quel bel tipo, ma non sono così cattiva da suggerirtelo. Sappi comunque che è un odioso maschilista-

Maurizio che mi precedeva di pochi passi si voltò a squadrarmi con un sorrisetto mal celato:

- Nervosa? Ti va un caffè? O preferisci guardarmi mentre do dell’ “odioso maschilista” al portiere?-

Sorrisi di rimando e mi passai una mano sul viso, cercando di non notare tutti gli uffici provvisti di computer che stavamo superando. Con un sospiro lo raggiunsi, affiancandolo, e mormorai:

- No, a tutto, ma grazie lo stesso. Preferirei mettermi al lavoro: ho la vaga impressione che ci vorrà un po’.-

Mi poggiò una mano sulla spalla, con fare consolatorio, senza rendersi conto che facendolo confermava solo i miei atroci sospetti. Continuai a studiarlo: non era cambiato, sempre uguale, profumato, elegante, con una camicia bianca e la giacca blu tenuta solo su una spalla. Una cosa però era diversa:

- Niente cravatta, signor Direttore?-

Gli chiesi, con finta aria innocente, ricordandogli garbatamente tutte le prese in giro subite negli anni passati.

- No, fino alle nove niente cappio al collo, nuova regola-

Mi rispose sorridente, poi continuò con un tono falsamente più professionale:

- Comunque per mezzogiorno dovresti riuscire a finire: a quel punto passi nel mio ufficio per dare una controllatina anche al mio computer e sarai libera… semmai pronta per pranzare-

Ignorai l’ultima parte concentrandomi sul fatto che secondo i suoi calcoli mi ci sarebbero volute circa quattro ore, ma che sicuramente aveva tralasciato cose come interruzioni e complicazioni varie, tutt’altro che trascurabili. Cercai lo stesso di non deprimermi troppo e dopo avergli rivolto un ultimo sorriso tirato mi avviai verso il primo ufficio in fondo al corridoio.

Alla fine i calcoli di Maurizio non si erano rivelati del tutto errati: all’una meno un quarto ero fuori la porta del suo ufficio, con la schiena contro il muro ed un caffè doppio in mano.

Un caffè che ero decisa a finire prima di aprire quella porta.

Non era stata tanto dura in fin dei conti: tutti molto gentili e disponibili, alcuni anzi fin troppo; le segretarie per qualche assurdo motivo mi sembravano tutte dalla mia parte, e a darmene conferma erano stati gli occhiolini ricevuti senza un reale motivo.

Nonostante questo cercai con tutte le forze di non provare neanche lontanamente a spiegarmi il motivo di tale comportamento: ad aiutarmi nell’impresa poi, intorno alle undici, era anche arrivato il portiere, trafelato e sudato, che con occhi supplici ed espressione pentita mi aveva implorato di scusarlo, cosa che non potei negargli quando mi offrì una delle sue ciambelle, anche solo per il fatto che iniziavo ad avere un certo languorino. A parte il portiere però, gli unici su cui mi applicai seriamente furono le decine di computer che dovetti riformattare, finalizzare, programmare… bella fregatura mi aveva rifilato Maurizio: un lavoretto da niente, sì come no.

Mai credere al fratello del diavolo, ormai avrei dovuto saperlo.

Capii di dovermi necessariamente fare coraggio ed aprire quella porta quando mi accorsi di star inclinando verso le labbra un bicchiere ormai vuoto già da un bel po’.

Con un gesto che doveva essere deciso così entrai nell’ultimo ufficio, il più difficile e soprattutto pericoloso.

Era un bell’ufficio, bellissimo anzi: il più grande di tutti quelli che avevo visto. Con il parquet, scrivania in cedro, vista sul parco, poltrone e divano: l’ufficio del direttore in conclusione.

Direttore appisolato sul divano per precisare. Mi avvicinai, e con un semplice gesto delicato gli allentai il nodo della cravatta, quindi presi posto sulla poltrona più prossima. Lui si rigirò sul fianco, e quasi rischiò di cadere, ma all’ultimo momento poggiò prontamente un piede sul pavimento, riuscendo così ad equilibrarsi.

- Mi avresti lasciato cadere?-

Mormorò con voce impastata, riuscendo a strapparmi un sorriso velato dalla stanchezza.

- Era un’idea: dicono che la risata faccia bene e ho proprio bisogno di riprendermi-

Risposi io, concludendo il tutto con un sonoro sbadiglio. Maurizio non aveva ancora aperto gli occhi, e dandosi una spinta con il piede tornò a sistemarsi sul divano, piegando le braccia dietro la testa a mo’ di cuscino.

- Sì, hai ragione. Se vuoi c’entriamo in due qua: ti faccio spazio e ci concediamo un bel sonnellino ristoratore-

Scossi la testa, e lui dovette intuire il mio diniego perché poco dopo aggiunse:

- Il computer va bene, manca solo un reset all’hard disk perché…-

Il resto delle frase fu coperto da un rumore sordo appena fuori la porta, non fu un problema però: avevo sentito abbastanza. Mi misi al lavoro, lanciando di tanto in tanto una fugace occhiata ad un Maurizio ormai quasi incosciente sul divano.

Iniziai a chiedermi se non fosse il caso di concludere la faccenda, una volta per tutte e come si deve.

Avrei fatto io la prima mossa, ero la più lucida in quel momento in fondo. Mi inginocchiai sotto la scrivania per poter raggiungere più facilmente le prese e gli attacchi usb che mi servivano.

Senza sollevare lo sguardo dalle mie dita mi decisi a parlare:

- Maurizio…. Senti, sappiamo bene entrambi che non mi hai convocato qui solo per resettarti il computer, eppure nonostante ci stia pensando su da un po’ non trovo un’altra plausibile spiegazione per il tuo gesto. Non è che ti andrebbe di illuminarmi a proposito?-

Biascicò qualcosa che non riuscii ad afferrare, le sue parole successive però mi giunsero chiarissime:

- Ma niente, ora non serve più… volevo solo chiederti di baciarmi-

Lasciai andare di colpo l’aggeggio che avevo preso in mano per sollevarlo sulla scrivania.

Mi cadde di mano schiantandosi sul pavimento con un forte rumore che sembrò ripercuotersi nell’aria.

La mia mente era però bloccata sull’ultima cosa detta da Maurizio: una cosa completamente assurda, che non riuscivo a spiegarmi nonostante non l’avessi ancora appieno realizzata.

Alzai gli occhi su di lui.

Lui che mi fissava sconvolto, in parte a causa del rumore improvviso che lo aveva fatto scattare a sedere e in parte a causa delle parole da lui stesso pronunciate. 

Parole che certo avevano avuto il loro effetto, su di lui quanto su di me, ma che non eguagliarono minimamente la potenza catastrofica di quelle che giunsero poco dopo: quelle che arrivarono da una terza persona appena entrata, che aveva aperto la porta inquieta, spaventata forse dal rumore, e che aveva chiesto:

- Maurizio?! Che succede? Stai be…-

Non aveva concluso la frase.

Ma non perché fosse sconvolta dalle sue parole, solo perché non si aspettava di vedere quello che vide.

Così come io non mi aspettavo di sentire quella voce.

La voce che però avevo sentito e che ora meno che mai avrei potuto affermare di non essere in grado di riconoscere ovunque, in qualsiasi momento.

La voce che mi fece desiderare di perdere coscienza, per poter uscire da quella situazione in cui non mi andava assolutamente di essere.

Lo svenimento però non giunse, lasciandomi lì, cosciente, in quella stanza, con quella voce.

 

 

*

 

 

 

   
 
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