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Autore: Afaneia    08/02/2010    2 recensioni
Febe, quattordici anni, studentessa toscana, iscritta al liceo classico. Una stravagante quarta alfa, tra professori troppo belli per essere veri e presidi dal look alternativo. Una vita buia, immersa nella sua solitudine, vissuta cercando di ignorare il senso di vuoto infinito che la sopprime. Perché di giorno ci sono lo splendore del sole e le risate, e di notte il pallore della luna e un'esistenza cupa di cui nessuno si accorge mai. Il contrasto estremo: serenità e malinconia.
Genere: Comico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Eccoci di nuovo qua con un nuovo capitolo

Eccoci di nuovo qua con un nuovo capitolo: non so che pensarne, lo posto così com'è venuto, senza cambiarne una parola. Poi mi farete sapere (vero?) ^^

Nel frattempo, ecco i ringraziamenti:

ATARI: no, il fine non era quello, voleva solo ribadire che gli dispiaceva, che non avrebbe voluto che finisse così. Comunque grazie della recensione, mi sono davvero impegnata in quella descrizione!

AMAERIZE: TI HO FATTO PIANGERE! non ci credo, ti ho fatto piangere! AH AH AH! sono troppo fiera di me XD

SMOLLY_SEV: 1: non sono masochista; 2: storia con fabio redatta durante l'ora di latino (eh eh!) 3:  è inutile che risponda, ieri ci siamo viste!! 4: d'accordo, per una volta mi fido! 5: non fa niente, se è importante ti tornerà in mente!!

Ringrazio anche coloro che seguono in qualunque modo. E ora al capitolo! Ciau!

 

- Ci dà tre cioccolate: due senza la panna e una con. E poi uno di quei croissant con la marmellata…ah, finiti? Allora con la cioccolata. Dieci Lupo Alberto…sì, quelle…e poi un Chupa-Chups alla fragola…me lo prende lei che non ci arrivo? Grazie. Mi basteranno i soldi per un the al limone, poi?

- Zadini, che taglia porti?- chiese Moriani con gli occhi sgranati, mentre il barista del bar della scuola ci preparava le cioccolate.

- La trentotto- rispose candidamente lei contando i soldi sul bancone. Con un sorriso, Niccolò si voltò verso di me e disse: - Sono queste le ingiustizie della vita, Doria.

Sì, onestamente era un’ingiustizia, pensai ammirando la vita strettissima di Michela e quella gonna nera che, indossata con un maglioncino viola e quattro paia di calze, veramente le stava benissimo. Davvero Michela era bellissima e quel giorno Oscar era stato per quasi tutta la lezione girato indietro a sbirciarla.

Michela mangiava sempre così tanto e non ingrassava di un etto. La cioccolata con la panna era per lei e così valeva per tutte le altre cose che aveva ordinato: il croissant lo mangiava con la cioccolata durante alternativa insieme a noi, mentre il resto le serviva per fare merenda a ricreazione…e va detto che la ricreazione era dopo l’ora di religione.

- Michela, ma dopo non pranzi, vero?- domandai mentre il barista appoggiava le prime due tazze sul bancone.

- Come no? Certo! Oggi la mamma fa gli spaghetti con le polpettine!

Oddio, mi veniva la nausea.

Adoravo andare a prendere la cioccolata con Niccolò e Michela. Stavamo una mezz’oretta al bar a bere e a chiacchierare, per sottrarci a quel noioso momento di copiatura di versioni e di ripasso sfrenato che si svolgeva in antibiblioteca tra i nostri compagni, e ci svagavamo un po’ prima dell’ora di latino. Era molto divertente.

- E’ terribile che tu possa mangiare così tanto e non prendere un etto, Zado, quando tutte le nostre compagne mangiano un grissino e prendono due etti- le dissi quel giorno mentre annegava una bustina di zucchero nella cioccolata con la panna.

- Ma no, perché?

Aveva un’espressione così stupita e innocente che per non risponderle bevvi un lungo sorso della mia cioccolata. Non era un granché, ma sapevamo adattarci noi tre. Niccolò sghignazzava, col naso immerso nella tazza, e Michela lo guardò increspando le labbra per nasconderci un sorriso. Capiva che era un complimento e dopotutto sì, aveva una testa leggera, ma non tanto da non accorgersi di essere bella.

- Il Napo non ingrassa- canticchiò mordendo il cornetto.

- Il Napo sembra un elfo- la rimbeccò Niccolò canticchiando allo stesso modo.

- Sei solo geloso. Il Napo ha un bel culo- replicò lei con quella prontezza che le era propria.

- Sì sì, geloso. Proprio. Io almeno mi vesto bene!

- La maglia di ieri era fantastica- dissi ridendo. Il giorno precedente il professore aveva addosso una maglietta bianca con la scritta: Crapulam edormio.

- Chissà cosa vuol dire…tu lo sai, Nicco? Sei tu l’esperto di latino!

Appoggiando un istante la tazza sul piattino, Moriani si pulì la bocca e scosse la testa. – No, non ne ho idea. Edormio vuol dire qualcosa tipo “farsi una bella dormita”, comunque dormire, ma “crapulam” non so di cosa sia l’accusativo.

- Sarà qualche poesia di Catullo- mormorò Michela tamburellando con le dita sulla porcellana bianca con espressione sognante.

- Sì, e vorresti che te le dedicasse!

- Lo trovassi, uno così romantico! A proposito Febina, ancora non ci hai detto chi ti ha mandato le rose, ieri!

Ecco, come avevo potuto pensare che si fosse scordata di un gesto che, ai suoi occhi, appariva così bello e romantico? Sorridendo, distolsi lo sguardo e mormorai che era stato uno scherzo. Michela si sporse sul tavolo e mise il broncio: - Dai, me lo dici, me lo dici? Non lo dico a nessuno, lo voglio solo sapere!

- Ma no, Zado…era uno scherzo, davvero!

- Doria, non ci credo io, figurati lei!- disse Niccolò ridendo.

Michela non demordeva. Protendendosi sul tavolino del bar mi prese la mano e la strinse, tirandola verso di sé, guardandomi con quei due occhioni azzurri che avrebbero fatto peccare un santo – perché Michela aveva un fisico perfetto e un viso adorabile, ma cosa c’era in lei di più bello di quegli occhi azzurri? Tentai di dirle di no ancora, ma fu inutile. Alla fine capitolai.

- Me le ha mandate il mio ex, Michela.

- Oh- e come era stupita! – Vi siete lasciati?

- Sì, ma lo scorso giugno.

- E adesso ti viene a chiedere scusa?- protestò lei stupita. Scosse il capo disgustata e dichiarò con convinzione: - Tu sei così bella Febina, non devi perdonare uno che non ti cerca in continuazione! Tu ti meriti uno che penda dalle tue labbra!

Improvvisamente scoppiai a ridere. Come la faceva sembrare facile quella bambolina in minigonna, la mia relazione fallita! Chi mai avrebbe trovato il coraggio di spiegarle che non è sempre come nelle favole? Come doveva essere facile per lei la vita se davvero credeva che basti meritarsi una persona per averla, ed essere felici! Non è vero invece, non basta affatto, e sono proprio le persone che si meritano di più che, alla fine, trovano poco, quasi niente…

Mi alzai in piedi e facendo il giro del tavolo andai a darle un bacio. Era così adorabile quella sua ingenuità ancora così infantile…ero commossa dalle sue parole. Quanto poco sapeva della vita…avrei voluto piangere. Mi sembrava che fosse così fragile quella creatura tanto graziosa e stupida, e per un attimo pensai che nessuno l’avrebbe aiutata in futuro e che avrebbe sbattuto la testa tante volte contro un muro, prima di abbandonare quei suoi sogni infantili di quattordicenne che, in quarta ginnasio, credeva ancora nel principe azzurro…

Niccolò ci rimase male alla mia reazione. Sentii il suo silenzio mentre abbracciavo Michela. Staccandomene, mi voltai un istante per assicurarmi di non averlo colpito mentre mi avvicinavo a lei e vidi i suoi occhi, di solito così allegri, per un attimo spenti e silenziosi. Pensava. Rimasi molto colpita dalla sua espressione: era la prima volta che lo vedevo così serio e assorto – come non era neanche nei compiti in classe-, sembrava che per un attimo avesse tolto la maschera da pazzo quindicenne e si fosse concesso un secondo di riposo…come un attore che interpreta una parte. La Zadini probabilmente non se ne accorse, ma nel vederlo così attonito e pensieroso mi parve di vedere qualcosa di raro e troppo strano…mi tornò in mente quel primo giorno di scuola, quasi un secolo prima, quando me l’ero ritrovata accanto nel primo incontro con la classe e nei suoi occhi- forse a sproposito, chissà- mi era sembrato di scorgere qualcosa di diverso dalla sua espressione folle.

L’accesso di entusiasmo che mi aveva colto era terminato. Sentivo come parlando avrei potuto infrangere quello strano momento e quell’allineamento astrale che, forse, aveva reso così scuro e profondo lo sguardo di Moriani…in silenzio, tornai a sedere dando modo a Michela di ricominciare le sue filippiche. Sollevando lo sguardo come risvegliandosi da una trance, Niccolò guardò la Zadini.

- Zado, ma dimmi un po’, una buona e salutare dose di cazzi tuoi?

Mi misi a ridere e Michela tirò fuori un’espressione offesa che avrebbe fatto pentire uno stupratore incallito.

- L’ha trattata male però!

- Ma se non sai neanche la storia! Magari l’ha lasciato lei, abbi pazienza Doria, sto sparando a caso, o chissà che altro! Sai com’è, sono un tantino cavoli suoi!

- Moriani, lasciala fare, è carino che pensi a me- dissi temendo che Michela si offendesse. Dall’altra parte del tavolo la Zadini mi buttò un bacio sulla punta delle dita.

- Vedi, Nicco, lei apprezza le mie intenzioni! Ah, volete un morso?- E ci offrì quel che restava del suo cornetto al cioccolato. Sorrisi facendo col capo un cenno di diniego. Com’era logico era tornata al suo argomento preferito, il mangiare.

Finii di bere la mia cioccolata. Niccolò aveva già bevuto la sua, soltanto Michela se la prese comoda per bere la propria.

- Tu non hai mai fretta- mormorò Moriani mentre, riportate le tazze al bancone, uscivamo dal bar.

- No, mai… anch’io edormio, come la maglia del prof!- E si mise a ridere tutta contenta.

Stavamo andando in antibiblioteca. Avevamo preso un panino anche per la Rondoni che era là a studiare e dovevamo portarglielo prima di salire in classe a portare le cartelle.

Per raggiungere l’antibiblioteca si doveva passare davanti alla presidenza. Un sacco di gente, trovandosi sulla lista nera del preside, passando alla porta adottava il trucco semplicissimo di sollevare un braccio a nascondersi il volto perché Leo, dalla vastità del suo ufficio, non avesse modo di riconoscerlo. Per Niccolò, per esempio, era istintivo farlo e così fece anche quel giorno, mascherandosi la faccia col palmo della mano aperta.

- Perché lo fai?

- Cosa? Ah, questo. Perché così il preside non può vedermi.

- Che cretino sei, perché dovrebbe guardarti?

- Perché son bello.

- Sì proprio un adone!

- Che imbecille, Zadini, secondo te perché lo faccio? Credi che il preside solitamente quando mi vede mi dia un bacio in bocca?

- Iiiiih, che schifo…spero di no!

- Appunto- commentò Niccolò.

Dalla porta della presidenza uscivano soffocate un paio di voci che discutevano. In punta di piedi Michela si avvicinò a me e mormorò: - Senti Febe…ma questa non è la voce del prof?

- Del prof chi?

- Il Meoni!

Tacendo, reclinai la testa sulla spalla per ascoltare. Erano Leo e il Meoni, per l’appunto. Alzai le spalle perché non ci vedevo nulla di strano.

- Che confabulate voi due?

- Nulla, cose da donna- replicò Michela.

- Appunto, allora vieni anche te- soggiunsi ridendo. Niccolò mise il broncio, ma si avvicinò a noi. Ci eravamo fermati.

- Che dite?

- Non senti? È il prof di ginnastica!
- Boh, se lo dici te!

- Ma no, ascolta!- E in quattro salti, la Zadini si avvicinò alla porta della presidenza.

- No, Michela, imbecille, vieni qui! Non origliare!

- Sht- sussurrò lei appoggiandosi un dito sulle labbra, mentre accostava l’orecchio allo stipite.

- Oddio, qui una bella nota non ce la leva nessuno…

- Dai, venite qui!

Moriani fu il primo ad avvicinarsi a lei. Imprecando tra me e me e guardandomi attorno per assicurarmi che nessuno ci potesse vedere mentre ascoltavamo di nascosto le conversazioni del preside, li raggiunsi anch’io. Dopo tutto, se si beccavano un provvedimento loro, perché io avrei dovuto fare la superiore?

Puntellandomi alla schiena della Zadini, accostai la testa alla maniglia e cercai di distinguere qualcosa nella voce soffocata dalla porta e dal nostro respiro irregolare. Finalmente distinsi le prime parole del preside:

- Professore, lei capisce che se non lo lascio fare ai ragazzi, a maggior ragione non lo posso permettere a voi…

- Certo, certo, preside, lo capisco…

- Ma lei non creda che sia perché io sia contrario o perché…

- Ma no, certo, l’immagino…

- Guardi che fosse per me, io sarei anche…ma lei immagina…

- Certo, ovviamente…

- Che puoi fuori della scuola possiate…io su quello non dico nulla…

Niccolò sollevò lo sguardo su di me e quelle pallide sopracciglia castane, dritte e sottilissime, si aggrottarono conferendo al suo viso solare uno sguardo perplesso. Con la mano fece un cenno interrogativo: appoggiandomi un dito sulle labbra, ammiccai alla porta chiusa e gli accennai di ascoltare.

- Sì sì, ma io…questo lo capisco…

- Il fatto è che se io non sono severo…poi anche i ragazzi potrebbero…e poi lei provi a figurarsi quello che direbbero alle spalle…alle volte i ragazzi sono, sa com’è… del ridicolo su due professori…

- Certo, certo…

- Ma non per voi, sia chiaro…per loro, per l’educazione…

La voce così calda del prof era un misto di compunzione, umiltà, quasi rammarico. E Leo sembrava mortificato, imbarazzato, quasi divertito. Michela si mordeva le labbra cercando di capire.

- Allora, se lei ha capito…siamo d’accordo allora? Bene, meglio così…

Toccai la Zado sulla spalla e lei si voltò verso di me. Col dito le indicai l’antibiblioteca. Annuì e quella fu una fuga, non di corsa, ma di certo una fuga.

- Ma di che parlavano?

- Ne so un’anima io!- replicò Niccolò chiudendo piano la porta della stanza per non disturbare una classe che stava guardando un film in tedesco.

- Forse il Meoni sta con la Bini…- mormorò Michela con aria sognante.

- Sì, come no! La Bini avrà quarant’anni!

- Ma no, ne ha trentasette! Ho fatto tutti i conti.

- Sì, comunque lei è più vecchia: il Meoni ne ha trentatré…

- Capirai, per quattro anni…

- Quattro anni! Quattro anni non son pochi, se è la donna ad averne di più. E poi la Bini è sposata, ha anche la fede- osservò Moriani.

- Appunto, di questo parlava il preside: siccome lei è sposata, non possono farsi vedere insieme a scuola…vero, Febe?- chiese Michela rivolgendosi a me in cerca di aiuto.

Storsi il naso. – Non so, il Meoni e la Bini, non ce li vedo…tra parentesi sarebbero cinque anni…forse il preside parlava della Dell’Amore…

- Un nome un programma- commentò acidamente Niccolò.

- Guardate che la Dell’Amore è ancora più vecchia della Bini. E poi è stronzissima ed è pure brutta!

- Ma no, solo che è un po’ bassa- cercai di minimizzare.

- Mi arriva qui- replicò lei sarcasticamente appoggiandosi la mano all’angolo della bocca.

- Vabbé, insomma…

- E poi chi dice che sia una delle nostre prof? Sai quante ce ne sono in tutta la scuola?

- Sht!- ci riprese a un tratto la professoressa di tedesco, voltandosi verso di noi e ci fece cenno di andare in biblioteca.

Erano proprio lì i nostri compagni, immersi in un frenetico ripasso delle versioni. Un dizionario di latino era aperto sul tavolo, perché ciascuno potesse correggere qualche frase.

- Tieni- dissi io tirando sul tavolo il panino, indirizzato alla Rondoni.

Niccolò ridacchiò curvandosi da dietro la spalla di Alberto sulla versione che cercava di correggere.

- Ti torna, eh?

- Come no? È saltato fuori un cinghiale e non so da dove!- replicò Alberto prendendosi la testa tra le mani. la versione parlava dell’età dell’oro dei Romani.

- Fammi controllare una cosa- disse Moriani prendendogli il dizionario. Sfogliandone brevemente le pagine, si fermò a un certo punto e scoppiò a ridere. Tutti si volsero verso di lui.

- Cosa c’è?- chiese Michela, che nel frattempo si era messa a raccontare l’accaduto alla Ponziani.

Moriani indicò il dizionario. – La frase sulla maglia del prof. L’ho tradotta. Significa “Smaltisco la sbornia”.

   
 
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