AVVISO
Benvenuti
nella mia nuova fic!!!
Allora,
mi limiterò a un paio di avvertimenti generali, e lascerò il resto per la fine
del capitolo, così non vi porto via tempo.
Prima
di tutto, questa storia è un seguito, e ritengo che per poterci capire qualcosa
e apprezzarla al meglio sia necessario aver letto la prima puntata (intitolata “Il
gioco dello Scorpione”, che troverete sempre in “generali”): è abbastanza
lunga, ma vi dico che avrete il tempo di leggerla tutta senza perdere molto di
questa, perché aggiornerò con molta calma.
Secondo,
per il momento il rating rimarrà arancione, e se deciderò di alzarlo provvederò a informarvi con congruo anticipo.
Bene,
vi lascio alla lettura. Ci sentiamo alla fine del capitolo!
Russian Roulette
Capitolo
I
Ore 13.10 –
Aeroporto di Los Angeles
<< Trova
l’auto esattamente dove l’ha lasciata, agente
>>.
Alexander Went strinse il telefono cellulare che aveva in mano e sorrise alle parole di McDonall,
il Vicepresidente dell’F.B.I. americana. Trascinò la
grossa valigia dietro di lui, gli occhi azzurri che cercavano il box
informazioni dell’aeroporto affollato e chiassoso, le grandi vetrate che
lasciavano filtrare la luce del sole fino al centro della sala. Un grosso
gruppo di turisti asiatici gli passò davanti, tutti eccitati e con le loro
inseparabili macchine fotografiche al seguito, tagliandogli per un momento la
strada e costringendolo a fermarsi.
<< Bene
>> disse, gettando uno sguardo all’orologio dalle lancette metalliche
della sala, la gente che camminava concitata intorno a lui, << Forse riesco ad arrivare in tempo… >>.
Dall’altra parte
del telefono, McDonall ridacchiò. << Ha fatto
un buon viaggio? >> chiese, << Ho dovuto prenderle il primo volo
che ho trovato… Non credevo finisse così in fretta >>.
<< Mai stato meglio >> rispose Xander, aggirando
un altro gruppo formato da una scolaresca, << Avrei potuto anche viaggiare
nella stiva… Mi bastava sapere di essere sulla rotta di casa >>.
Individuò il box
informazioni vicino all’entrata, e si avvicinò. Lasciò la valigia e si rivolse alla hostess di terra che stava dietro il bancone circolare
tirato a lucido, la divisa blu e un sorriso a trentaquattro denti sulle labbra.
<< In cosa
posso esserle utile? >> chiese tutta zucchero.
<< Dovrebbe
esserci una busta a nome di Alexander Went >> disse lui, poi si rivolse a McDonall che era rimasto in linea, mentre l’hostess spariva
per qualche istante, << Spero mi abbiate anche fatto il pieno… Ho fretta,
oggi. Come al solito, d’altronde >>.
<< Certo
>> ribatté il Vicepresidente, una nota divertita nella voce, << E
lei si ricordi che anche se è un agente dell’F.B.I.
non può correre sempre a trecento all’ora sull’autostrada… Sta diventando un
pirata della strada come quelli che va ad arrestare >>.
L’hostess gli
consegnò una busta, e Xander le rivolse un cenno di
ringraziamento. Afferrò la valigia e si diresse verso i parcheggi
dell’aeroporto, una voce di sottofondo che annunciava l’ultima chiamata per un
volo diretto a Boston.
<< Mi
limiterò ad andare a duecentocinquanta, oggi >> ribatté Xander, uscendo nell’aria fresca di novembre, le porte
dell’ascensore che si aprirono su un grandissimo parcheggio rialzato, <<
Sono coperto lo stesso? >>. Stava sorridendo, e sapeva che il
Vicepresidente stava facendo altrettanto: ormai era sua abitudine di godere del privilegio di passarla liscia a tutti gli
autovelox dello Stato.
<< Come
sempre agente >> rispose McDonall, << Le auguro buona giornata. E mi raccomando, al massimo a
duecentocinquanta, altrimenti le faccio arrivare una multa a casa >>.
Xander sorrise,
camminando tra le file di auto parcheggiate, un leggero venticello freddo che
gli solleticava il collo. << D’accordo, signore. Buona giornata anche a
lei. Domani mi prendo un giorno di vacanza >>.
Infilò il cellulare
in tasca e continuò a camminare, come unico compagno il raspare delle rotelle
della valigia sull’asfalto. Accelerò il passo, le auto anonime e scure che
sfilavano alla sua destra, finché non la vide in
fondo, ferma tra due utilitarie grigie.
Rossa come sempre,
la sua Ferrari 548 Italia lo stava aspettando, e sembrava scalpitare per la lunga attesa. Bassa, filante, aggressiva, era l’auto che da
due anni usava per le sue “scorribande” autostradali, oltre che per fare
l’idiota a tutti i semafori che gli capitavano a tiro. I cerchi in lega
brillavano nel sole del primo pomeriggio, le pinze dei freni a disco ben in
vista, il tetto arcuato pronto a fendere l’aria.
Xander aprì la busta che
gli aveva dato la hostess, e tirò fuori un paio di
chiavi dall’inconfondibile cavallino rampante su fondo giallo. Se le rigirò tra
le mani e sorrise tra sé.
Come ogni volta che
lasciava Los Angeles per andare a portare a termine qualche missione, McDonall gli faceva trovare la sua auto sempre al solito
posto, e come sempre lui correva a casa dalla persona che in qualche modo era anche
legata a quell’auto, la persona che da due anni a quella parte rappresentava il
suo mondo e la sua vita.
Irina.
Premette il tasto
di apertura delle porte e caricò con impazienza la valigia, salendo al posto di
guida, il sedile di pelle avvolgente e familiare. Infilò le chiavi nel
nottolino e accese il motore.
Dopo un mese e
mezzo dall’ultima volta, il ruggito della Ferrari tornò a farsi sentire, forte
come la sua voglia di tornare a casa. Le raccomandazioni di McDonall
erano assolutamente inutili, a quel punto: se c’era qualcosa che non poteva chiedergli era di essere paziente quando era ora di tornare
a casa, soprattutto quando c’era Irina ad aspettarlo. Soprattutto quando poteva
farle una sorpresa.
Sorrise e uscì dal
parcheggio, la Ferrari che si muoveva fluida e scattante ai suoi comandi. Guardò
l’orologio mentre imboccava il casello autostradale, la radio che diffondeva il
cd di Irina e contribuiva a fargliela sentire ancora più vicina.
Erano le 13.20…
Anche per questa
volta, McDonall avrebbe dovuto chiudere un occhio.
Sorrise e schiacciò
a fondo l’acceleratore, facendo scattare avanti la Ferrari.
“Arrivo anche questa volta, amore mio”.
13.30 –
Università di Los Angeles
Jenny si produsse
nel miglior sbadiglio della giornata, la mano davanti alla bocca che cercava
invano di coprire tutta la sua dentatura. Qualcuno seduto due file davanti a
loro fece altrettanto.
<< Mamma mia,
ma questo non la finisce più… >> sussurrò.
Irina guardò il
professore, seduto come una statua di pietra alla cattedra, gli occhiali che
brillavano sotto i neon, mentre declamava con tono
funereo i vari argomenti della giornata. Un paio di ragazzi stavano
persino giocando a carte e lui sembrava non essersi accorto di nulla.
Come ogni giorno di
lezione alla South University of
California, verso l’ora di pranzo l’attenzione di quelli che si definivano
“studenti” calava in modo vertiginoso, e nemmeno le forti luci al neon che
illuminavano l’aula riuscivano a evitare che qualcuno
si addormentasse seriamente. Era una sorta di sfida tra il professore e i suoi
allievi: chi riusciva a non cedere per primo, vinceva.
Gettando un ultimo
sguardo ai suoi appunti, Irina rivolse un’occhiata a quelli di Angie, come al solito il doppio di
tutti gli altri, e tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Si mosse
appena per stiracchiare le gambe e guardò il display: nessuna chiamata né alcun
messaggio.
<< Hai
sentito Xander? >> chiese Jenny, completamente
disinteressata al resto della lezione. Aveva appena sbirciato dalla sua parte.
Irina annuì
tristemente. << L’altro ieri >> rispose, << Ha detto che
ritardava un’altra settimana… Le cose sembrano più difficili del previsto
>>.
Xander era tornato a New
York, per dare una mano ai servizi segreti per sgominare una banda di
narcotrafficanti che spacciava droga proveniente dal Messico. Jess non era andato con lui, perché non necessitava
di “supporto informatico”, e la cosa la rendeva ancora più inquieta:
quando Xander era da solo era in grado di fare una
marea di sciocchezze. Jess avrebbe contribuito a
farla stare più tranquilla, perché qualsiasi cosa fosse successa
non sarebbe stato completamente da solo.
Sospirò. Era
passato un mese e mezzo da quando era partito, ma le sembrava un’eternità. Era
abituata a condividere ogni cosa con lui, e le mancava persino il modo in cui
lasciava in disordine casa sua quando rimaneva da solo e senza Nichole per un pomeriggio.
Non era la prima
volta che Xander si assentava per così
tanto tempo. Da quando stavano insieme, e si erano goduti le vacanze,
più volte aveva lasciato Los Angeles per andare in
missione per conto dell’F.B.I., senza naturalmente poterla portare con sé.
Quella di non
vederlo per settimane era una cosa che Irina non aveva considerato all’inizio,
e a cui non aveva nemmeno pensato. Le era sembrato
tutto così fantastico che non si era soffermata a ragionare su quello che
sarebbe successo di lì a qualche mese. Ma Xander doveva pur continuare a lavorare, e lei aveva
accettato la cosa senza fare storie: non poteva certo pretendere che fosse
sempre e solo a sua disposizione.
La prima volta era
stata dura non vederlo per settimane, sapendolo in missione e potenzialmente in
pericolo lontano da lei, ma aveva creduto di poterci fare l’abitudine. In fondo
Xander era in gamba, se l’era cavata quando si era
trovato faccia a faccia con William Challagher, e non era uno sprovveduto: sapeva fare il suo
lavoro. A distanza di mesi, però, nonostante si fidasse ciecamente di lui,
ancora non riusciva a stare tranquilla. Tutte le volte che se ne andava era una mezza coltellata al cuore, e non riusciva
nemmeno a dormire tutta la notte di fila.
<< Irina? >>
qualcuno la chiamò, << Possiamo andare, il professore ha finito >>.
La ragazza si
riscosse: Jenny l’aveva appena toccata sulla spalla. Si guardò intorno per
vedere gli studenti raccogliere borse e quaderni e infilarsi i giacconi,
diretti all’uscita dell’aula parlando allegramente tra di loro. Si alzò di
scatto e seguì le amiche, la borsa che le pesava sulla spalla.
<< Ci è
andata bene, questa volta >> stava dicendo Katy,
sfogliando un grosso libro dalla copertina blu, la nuova montatura degli
occhiali rosso fuoco che scintillava, << Il proff
ci ha tolto un sacco di cose… >>.
Irina chiuse la
cerniera della giacca e ignorò il tema esami. Non era molto di buon’umore, e
parlare di esami non la rendeva molto più felice. Al momento desiderava solo
che Xander tornasse a casa il più presto possibile.
<< Sabato
sera andiamo a fare un giro in qualche locale >> disse Jenny
raggiungendola, decisa a lasciar perdere le altre due,
<< Ti va di venire? >>.
<< Non lo so
>> rispose Irina, << Ci penso… >>.
In realtà, non ne
aveva molta voglia. Andarci da sola non le piaceva, e oltretutto Xander non sembrava gradire il fatto che
ci andasse senza di lui. Visti i suoi precedenti da pilota clandestina, diceva
che sarebbe stata in grado di cacciarsi nei guai anche in quel contesto; Irina in realtà aveva capito benissimo che era
solo geloso, e ci aveva riso su.
Guardò per un
momento la fedina d’oro bianco con i tre zaffiri che brillava ancora al suo
dito, chiedendosi dove fosse lui in quel momento, e soprattutto se per caso
stesse correndo a trecento all’ora su un’autostrada… Era un vizio che non si
era mai tolto. E tra i due la pilota clandestina era lei.
<< Avanti,
non glielo dico mica che sei venuta… >> la incalzò Jenny, ridacchiando,
<< Ti controlliamo noi, se ha paura che lo fai diventare un cervo
>>.
Irina sorrise.
<< Non c’è questo pericolo >> disse, << Dai, ci penso e poi
ti faccio sapere, ok? >>.
Jenny annuì.
<< D’accordo… Ricordati che tra poco inizia la sessione esami, e non
avremo tempo per divertirci… >>.
Irina alzò gli
occhi al cielo. << Era l’unica cosa che non volevo mi ricordassi…
>> borbottò.
Uscirono sul
piazzale davanti all’Università insieme a un gruppone
di ragazzi. Ne salutarono un paio che conoscevano di
vista, poi Irina si guardò intorno, passando in rassegna le auto ferme nel
parcheggio, tutte assolutamente anonime e poco vistose. Lo sapeva che Xander non c’era, ma ormai era un gesto che le veniva
automatico: era come se si aspettasse si vederlo appoggiato alla sua Ferrari
rossa, fermo a bordo strada, lo sguardo azzurro puntato su di lei, in attesa. Ma naturalmente non c’era.
<< Ci vediamo domani, ragazze >> disse, salutando le tre
amiche. Rivolse un cenno a un ragazzo dai capelli chiari che era appoggiato a
una Focus nera e che la stava guardando, come se volesse dirle qualcosa, e attraversò
la strada, diretta a casa sua.
Sentì la Focus
accendere il motore e per qualche istante sperò che Dorian,
così si chiamava il ragazzo dai capelli chiari, non le si
affiancasse per offrirle un passaggio: lo aveva fatto spesso, quando Xander non si faceva vedere per settimane. Jenny le aveva
detto che tutte le volte qualcuno aveva creduto che si fossero lasciati, e
molto probabilmente qualche ragazza lo aveva sperato davvero…
Con la coda
dell’occhio, vide la Focus avvicinarsi lentamente, quasi indecisa se fermarsi o
no. Irina continuò dritta per la sua strada, cercando di ignorarlo. Forse
avrebbe tirato dritto, e per quel giorno l’avrebbe lasciata in pace.
“Quand’è che ti convincerai che non voglio
passaggi da nessuno? Casa mia è vicinissima… So arrivarci anche a piedi” pensò infastidita.
<< Irina?
>>.
“Ti pareva… Eccolo di nuovo”.
<< Ciao
>> lo salutò lei, cercando di non apparire troppo scocciata: non le
piaceva ferire la gente. Guardò la Focus ferma vicino al marciapiede, le
quattro frecce lampeggianti accese.
Dorian le rivolse un
sorriso a trentaquattro denti, i riccioli color caramello
che svolazzarono quando mosse il capo per indicare la sua auto. << Ciao…
Posso offrirti un passaggio, oggi? Oppure aspetti qualcuno? >>.
Chiaramente era una
domanda provocatoria: non aspettava proprio nessuno, se se
ne stava andando. Gli rivolse un mezzo sorriso e pensò: “Casa mia è qua dietro, scemo… E di sicuro
l’ultima persona che aspetto sei tu”.
All’improvviso,
dall’incrocio alle sue spalle, sentì provenire il sibilare acuto di pneumatici
che strisciavano sull’asfalto, subito soffocati dal rumore potente di un motore
dal ruggito inconfondibile. Si voltò di scatto, e con lei Dorian
e metà della gente che ancora sostava davanti all’Università.
Una Ferrari 458 Italia
rossa inchiodò proprio dietro la Focus, facendo un colpo di abbaglianti alla
Ford nera, quasi a volerle intimare di spostarsi dalla strada e lasciarle il
campo libero. Il vetro oscurato nascondeva il pilota, ma tutti sapevano di chi
si trattava, perché l’intera Università conosceva quell’auto, ormai di casa.
Irina rimase
inchiodata dov’era per un momento, gli occhi incollati alla Ferrari ferma al
bordo della strada. Il finestrino dell’auto si abbassò silenziosamente, e il
volto di Xander comparve con il suo inconfondibile
ghigno lupesco, gli occhi nascosti dagli occhiali da sole Ray-Ban.
<< Posso
offrirle un passaggio, signorina? >> chiese,
sporgendosi e ammiccando verso di lei.
Solo allora Irina
si riscosse. Sul volto le si aprì un sorriso luminoso e
si diede della sciocca: doveva aspettarselo, da Xander.
Stupirla faceva parte del suo mestiere, e lui era il migliore in quel campo.
Guardò Dorian, che fissava la Ferrari dallo specchietto
retrovisore con l’espressione scocciata, e sorrise.
“Scusami, ma non è per la macchina” pensò divertita,
prima di abbassarsi leggermente verso di lui.
<< Ti
ringrazio, ma penso di non aver bisogno di alcun passaggio >> disse,
<< Ci vediamo… Forse >>.
Raggiunse la
Ferrari e montò sopra, lasciandosi avvolgere dal sedile di pelle, una delle sue canzoni preferite diffusa dallo stereo acceso.
Guardò Xander sorridendo senza riuscire a smettere, il
cuore che batteva a mille dalla felicità, e lui si tolse gli occhiali da sole,
scoprendo i suoi incredibili occhi azzurri.
<< Avevi
detto che saresti tornato tra una settimana! >> disse lei, cercando di
resistere ancora un istante prima di saltargli addosso.
Xander sorrise, e non
rispose. Appoggiò gli occhiali da sole sul cruscotto, si sporse verso di lei e
le prese il mento con la mano, per poi baciarla sulle labbra, esattamente come
sapeva fare solo lui. Irina si abbandonò a quel sapore che la lasciava
stordita, che ogni volta che sentiva sulla lingua era
come una droga a cui non poteva resistere.
<< Non avevo
voglia di aspettare, così ho velocizzato le cose… >> le sussurrò Xander sorridendo, le dita che le solleticavano il collo
dandole i brividi. << Come stai? >>.
Irina ghignò.
<< Adesso benissimo >> rispose, poi con la coda dell’occhio vide
ancora la Ford Focus nera ferma davanti a loro: Dorian
li stava guardando dallo specchietto retrovisore. Xander
se ne accorse e suonò il clacson della Ferrari, facendo sussultare il ragazzo
che si affrettò a partire, lasciando la strada completamente sgombra.
<< Penso non
gli siano chiare un paio di cose… >> borbottò Xander,
una smorfia infastidita sul volto.
Eccolo il suo Xander, il solito istintivo e passionale, sfrontato e a
tratti esibizionista, il ragazzo che le aveva rubato il cuore con un solo sguardo.
Sempre così diretto, eppure così dolce… Certe volte si chiedeva
come avesse fatto a essere così fortunata, per essere riuscita a incrociare la
sua esistenza proprio con lui.
Irina sorrise di
fronte alla sua dimostrazione di gelosia. << Dai, è solo… gentile. Non
trattarlo male >> disse, infilandosi gli occhiali da sole di Xander e guardandolo con un’espressione buffa per fargli
dimenticare l’episodio, ma lui rimase impassibile.
<< Certo…
Sbaglia solo persona con cui essere gentile >> disse sarcastico, e infilò
la prima.
La Ferrari partì lentamente,
con Irina che sorrideva troppo contenta che fosse tornato prima del previsto, e
anche disposta a sopportare il suo leggero malumore per la faccenda di Dorian… In fondo, le faceva piacere che Xander
fosse un pochino geloso di lei. Si mise comoda sul sedile dell’auto e chiese:
<< Com’è andata, questa volta? >>.
Xander svoltò a sinistra.
<< Tutto bene, come al solito >> rispose,
<< Pensavo ci fossero ulteriori problemi con un gruppo di trafficanti che
stava quasi per scappare, ma sono riuscito a seguirli lungo l’autostrada…
>>.
Irina alzò le mani.
<< Ok, ok, ho capito >> disse, allarmata,
<< Non dire altro. Non voglio sapere che… Che ne so…
Sei andato di nuovo contromano o hai attraversato un ponte mentre stava che
alzarsi… Mi viene l’angoscia solo a pensarci. E poi sono cose che succedono
solo nei film, quindi non ti crederei comunque >>.
Riuscì a
strappargli un sorriso e a distoglierlo per un attimo dai suoi pensieri omicidi
verso Dorian. Le sfiorò una gamba con la mano che
teneva sul cambio e la guardò con la coda dell’occhio.
<< Si va a
casa mia, vero? >> chiese, mentre Irina cambiava la traccia del cd.
<< D’accordo…
>> mormorò lei, con un mezzo sorriso. Sapeva dove
voleva arrivare, il furbone. << Avverto mio padre, allora >>.
Mentre frugava
nella borsa alla ricerca del cellulare, sentì Xander
borbottare: << Eccolo lì… >>.
Irina alzò lo
sguardo e vide, ferma al semaforo a pochi metri da loro, la Focus nera di Dorian. Alzò gli occhi al cielo, continuando a cercare il
telefono.
<< Lascialo
stare >> disse, << Non fare il bambino dicendogli
che deve starmi alla larga o cose del genere… Lo sai che non mi piace >>.
Xander fermò la Ferrari
proprio di fianco alla Focus, i finestrini alla stessa altezza. << Non
gli faccio niente >> disse ridacchiando, << Di solito me la prendo
con quelli della mia stazza, non con dei ragazzini… >>.
Irina fece una
smorfia fintamente divertita. << Spiritoso… Allora sarei una ragazzina anche io? >>.
Xander la ignorò. Lo
guardò voltarsi verso la Focus e rivolgere un cenno di saluto a Dorian, che era chiaro non sapeva
che pesci prendere. Fece un sorrisetto imbarazzato e alzò le dita dal volante
per rispondere al segno, indeciso se osare di più o no. Molto probabilmente si
stava pentendo per averle offerto un passaggio…
Il finestrino della
Ferrari si abbassò silenziosamente, e quello della Focus fece altrettanto.
Irina si bloccò di colpo, tesa, sperando che nessuno dei due dicesse nulla di
stupido. Ci mancava solo che scoppiasse una lite per una scemenza del genere.
<< Bella
macchina >> disse Xander alla fine, chiaramente
sarcastico.
Irina gli diede una
botta sulla spalla, poi rivolse un sorriso di scuse a Dorian,
e appena il finestrino fu tornato completamente chiuso fulminò Xander con gli occhi.
<< Sei un
bambino, quando fai così >> disse, arrabbiata. << Te la potevi
risparmiare, questa… Non è colpa sua se i suoi datori di lavoro non gli danno
una Ferrari >>.
<< D’accordo,
non lo faccio più >> disse lui, l’espressione da cucciolo bastonato a cui lei non riusciva a resistere, << Però lo so che
certe volte ti piace che faccia il geloso… >>.
Irina alzò gli
occhi al cielo e sorrise: se c’era una cosa che Xander
aveva imparato a fare alla perfezione, era farsi
perdonare. Certe volte forse lo faceva pure apposta a
farla arrabbiare, solo per il gusto di vederla capitolare di fronte alle sue
scuse.
Si sporse e
approfittò degli ultimi secondi di semaforo rosso per schioccargli un bacio
sulle labbra, poi tornò a cercare il cellulare. Era finito in mezzo a un libro.
<< Papà? Sono
io >> disse Irina, mentre il lungomare sfilava alla sua destra, l’oceano
calmo e freddo sotto il cielo autunnale, << E’ tornato Xander, vado da lui, ok? Ci vediamo stasera >>.
<< E’ già
tornato? >> disse Todd, il tono di voce sorpreso, << Ma non doveva
arrivare tra una settimana? >>.
<< Sì, ma ci
ha messo meno del previsto >> rispose Irina, << Ti ho lasciato del
pollo nel forno, è solo da scaldare… Ma cosa te lo dico a fare che ormai sei un
cuoco provetto. Mi riporta Xander stasera, stai
tranquillo, ok? >>.
<< D’accordo,
tesoro >> disse Todd, << Salutamelo, allora >>.
Irina chiuse la
telefonata e si accorse che Xander la stava guardando
di sbieco. << Mio papà ti saluta >> disse lei. Lui borbottò
qualcosa, ma non aggiunse niente.
Il rapporto tra lei
e suo padre era una delle tante cose che in quei due anni erano profondamente
cambiate: se per tutta la vita si erano ignorati, disprezzati, quasi odiati, da
quel giorno in cui si erano finalmente riappacificati
erano tornati a essere padre e figlia. Con i mesi avevano ricominciato a
parlare, a fidarsi l’uno dell’altro, a condividere tante cose come non avevano
mai fatto. E avevano ricominciato a volersi bene, per davvero. L’unico che non
sembrava particolarmente entusiasta della cosa era Xander:
continuava a provare un certo risentimento per Todd, e preferiva non vederlo
quando era possibile. Il fatto che suo padre avesse ignorato per tanto tempo
quello che era successo era per lui imperdonabile.
<< Ti daranno
una vacanza, spero >> disse Irina, << Sei stato via un mese e
mezzo… Stavolta non ti faccio scappare di nuovo, sai?
>>.
Xander parcheggiò l’auto
nel vialetto della sua villetta, la stessa che ormai era diventata la sua vera
e propria casa da quando aveva deciso di vivere a Los Angeles. Grande, bianca, bellissima e con tanto di piscina.
<< Sì, credo
che mi prenderò un periodo di riposo… Tra l’altro,
quand’è che Dominic si sposa? >> disse
sorridendo.
<< Fra due
settimane… >> rispose paziente Irina, scendendo dall’auto. Glielo aveva
detto un sacco di volte, ma lui sembrava non volerlo ricordare.
<< Già, devo
andare a prendermi il vestito… >> disse Xander,
tirando fuori le chiavi di casa e invitandola a entrare per prima.
Irina mise piede in
casa, il corridoio illuminato e ordinato, le porte che davano sulle diverse
stanze e le scale che portavano al piano di sopra in fondo. La villetta era
sempre la stessa, luminosa e accogliente, tranne che per un piccolo
particolare: Jess non c’era, e con lui la sua parte
di disordine.
Con stupore di
tutti, e forse leggermente meno per Irina, Jess e
Jenny erano andati a vivere insieme in un
bell’appartamento vicino alla spiaggia, per poter godersi la loro tanto
sospirata intimità. Come Xander, aveva trovato una
ragione in più per rimanere, dopo la storia dello Scorpione.
Se per loro due era stato un passo quasi naturale, avventati e frettolosi
com’erano, per Irina era tutta un’altra storia: quando Xander
si era ritrovato da solo, le aveva subito chiesto di andare a vivere da lui,
dicendo che la cosa lo avrebbe reso felicissimo. Lei però aveva rifiutato: non
se la sentiva ancora, nonostante fosse già da un po’ che stavano insieme, e non
voleva già lasciare suo padre quando lo aveva appena ritrovato.
Xander era stato molto
dispiaciuto per la sua titubanza, ma non se l’era presa: aveva capito che nella
sua ritrovata normalità aveva bisogno di tempo per quel genere di scelte. Per
il momento si accontentava del fatto che tre volte a settimana Irina si
fermasse a dormire a casa sua.
<< Hai fame?
>> domandò Irina, mentre Xander posava la
valigia nel soggiorno arredato in stile moderno e si sedeva sul divano,
lasciandosi andare a un sospiro soddisfatto. << Ti preparo qualcosa…
>>.
Si avviò verso la
cucina ma Xander la acchiappò e la trascinò sul
divano, facendola sedere sulle sue gambe. << Non ho fame… >>
sussurrò ghignando, << O forse sì… >>.
Le sfiorò le labbra
e Irina sorrise. << Cosa ti devo, ehm… Preparare? >> mormorò lei,
sentendo le sue mani percorrerle i fianchi.
Gli occhi azzurri
di Xander scintillarono maliziosi, e le sue dita
percorsero la sua coscia con malizia. << Qual è il piatto del giorno?
>> ribatté, ridacchiando.
<< Quello che
il cliente desidera… >> disse Irina, stando al gioco esattamente come
tutte le altre volte.
Un attimo dopo era sdraiata sul divano, Xander sopra
di lei con il ghigno lupesco che gli solcava il bel volto. Le scostò una ciocca
di capelli dalla spalla e sorrise.
<< Mi sei mancata un sacco, piccola >> disse, abbassandosi
all’altezza del suo volto, le dita che si insinuavano sotto la sua maglietta.
<< Anche tu…
>> rispose Irina, mettendogli un braccio dietro il collo e baciandolo
delicatamente sulle labbra, per poi lasciarsi andare a un sospiro di impazienza. Ora che se lo sentiva addosso, si rendeva
conto di quanto le era mancato davvero.
E lui pensava la
stessa identica cosa.
Irina fissava il
display della sveglia che segnava le 4.38, i numeri rossi che brillavano nella
penombra. Sentiva la mano di Xander accarezzarle la
schiena nuda, il suo cuore battere regolare sotto il suo orecchio. Si strinse
il lenzuolo addosso perché aveva un po’ di freddo e continuò a guardare la
sveglia.
Aveva una strana
sensazione, come se si fosse dimenticata di fare qualcosa. Se non se lo ricordava sicuramente non era qualcosa di importante. Si
strinse nelle spalle e guardò Xander, la cicatrice
bianca sulla spalla in bella vista, il segno che portava anche per colpa sua. La percorse con le dita e poi giochicchiò con la catenella
d’argento che portava al collo, a cui erano appesi un quadrifoglio e una fedina
d’oro bianco.
<< Adesso ho
veramente fame… >> disse lui, solleticandole la schiena e attirandola
ancora di più verso di sé, << Spero che Nichole
mi abbia lasciato qualcosa in frigo >>.
Irina sorrise e si
mise a sedere. << Ti preparo qualcosa io… Torta al cocco, che ne dici?
>>.
<< Sai che
non so dire di no a quella… >> ribatté Xander, poi la coprì con il lenzuolo per evitare che
prendesse freddo.
Irina gettò
un’ultima occhiata all’orologio, poi fece per scendere dal letto, ma rimase
inchiodata dov’era. All’improvviso si ricordò tutto.
Sally e l’abito da
sposa!
<< Oh,
cavolo! >> sbottò Irina, saltando in piedi.
<< Che c’è?
>> domandò Xander allarmato, mettendosi a
sedere.
Irina raccattò in
fretta i suoi vestiti e li ammucchiò sul letto, cercando le calze che erano
finite vicino all’armadio.
<< Mi sono
dimenticata che avevo appuntamento alle quattro e mezza
con Sally! >> gridò, infilandosi i jeans, i capelli che svolazzavano di
qua e di là. Xander le rivolse un’occhiata
interrogativa.
<< Le avevo
promesso che l’avrei accompagnata a prendere l’abito da sposa! >> spiegò
Irina, << Cavolo, sono in ritardassimo!
>>.
Xander ridacchiò, e le
porse la maglietta. << Pensavo fosse qualcosa di veramente importante…
>> disse.
Irina gli lanciò
un’occhiataccia. << E’ colpa tua… Mi fai dimenticare sempre tutto
>> ribatté lei, calzando gli stivali. Quando lo rivedeva dopo settimane,
non capiva più niente… Non che lui la aiutasse, visto che cinque minuti dopo
che si erano ritrovati le saltava addosso!
<< Già… Però
non è tanto difficile farti dimenticare le cose >> ribatté lui divertito,
<< Prendi la Ferrari, se vuoi >>.
Irina raccattò la
borsa dalla sedia e aprì il cassetto del comodino, frugando in mezzo ai
caricabatterie dei cellulari e ai vari mazzi di chiavi. << No, prendo la
BMW… Vado a farti la spesa, dopo >> disse, leggermente piccata per la sua
allusione al fatto che fosse facilmente “condizionabile”, << Ci vediamo >>.
Si sporse e lo
baciò sulle labbra, poi corse di sotto rischiando di inciampare per le scale. Ma come aveva fatto a dimenticarsi di una cosa così
importante? Aveva garantito a Sally che l’avrebbe accompagnata per darle un
parere e qualche consiglio, e lei si scordava tutto!
Colpa di Xander,
lo sapeva. Però le venne da sorridere mentre
spalancava la porta del garage: era troppo felice che fosse tornato per potersi
arrabbiare veramente con lui… O forse semplicemente non era capace di
sgridarlo.
La BMW M3 bianca di
Xander aspettava nel lato destro del garage, tirata a
lucido e con un nuovo motore che aveva sostituito quello che Irina gli aveva
rubato, e che era finito sotto il cofano della sua macchina… Una vecchia storia
per la quale Xander le aveva dato della pazza, ma che
ormai era acqua passata.
Di fianco alla BMW,
nascosta sotto il suo telo nero, c’era la Fiat Grande Punto bianca che era
stata l’auto che l’aveva rappresentata quando era stata Fenice, la numero tre della Black List, e che in qualche modo aveva salvato la vita a lei e
alla sua famiglia.
Per un istante fu
tentata di scoprirla e di prendere quella, per raggiungere Sally, ma si fermò
quando la sua mano toccò il cofano coperto dalla stoffa. Non poteva andare in
giro con quell’auto: erano due anni che stava chiusa lì dentro, ultimo ricordo
di quella che era stata Los Angeles prima dell’arrivo di Xander.
Di quella che era stata lei, prima dell’arrivo di Xander.
Aveva chiuso con le
corse clandestine, con il mondo criminale di cui aveva fatto parte, ma non
riusciva a separarsi da quell’auto: era come voler strappare un pezzo della
propria anima. L’aveva lasciata a casa di Xander solo
perché lui aveva un garage più grande, altrimenti sarebbe rimasta da lei…
Eterna tentazione, eterno ricordo di quello che continuava ad amare.
L’aveva usata altre
volte, su un circuito privato che Xander aveva
affittato per una giornata, solo per togliersi quella assurda
voglia di correre che aveva. Anche se non era più una pilota clandestina,
continuava ad amare le auto e le gare; forse le piacevano ancora di più, ora
che era libera di scegliere se correre o no.
“Hai chiuso, Irina. Smettila
di complicarti sempre le cose. Un giorno la venderai, e
metterai la testa a posto”.
Aprì la portiera della
BMW e saltò in auto. Accese il motore e si diede una rapida pettinata
guardandosi nello specchietto di cortesia del parasole, poi partì diretta verso
casa di Sally.
Un quarto d’ora
dopo, fermava la M3 davanti a una piccola villetta nella periferia di Los
Angeles: una ragazza piccolina e dai capelli castani aspettava sul vialetto di
casa, l’espressione preoccupata sul volto. Appena la vide corse
verso di lei e saltò in macchina.
<< Iniziavo a
preoccuparmi >> disse Sally, accomodandosi con qualche difficoltà nel
sedile avvolgente, << Credevo avessi avuto un incidente! >>.
<< Scusami
>> disse Irina, << Ho avuto un contrattempo… Arriviamo in un minuto
>>.
Schiacciò
l’acceleratore e la BMW schizzò in avanti, mentre Sally piantava un grido
spaventato. << Ehi ehi! Piano! Voglio arrivare
viva! >>.
Irina sorrise tra
sé: difficile che una che era stata la numero tre
della Black List potesse
avere problemi al volante…
<< Ok, scusa
>> disse, rallentando l’andatura, << Hai
ragione… Tommy? >>.
Sally si lasciò
andare a un sospiro di sollievo. << Sta bene,
l’ho lasciato con la baby-sitter… Non era il caso di portarlo, oggi >>.
Irina svoltò a
sinistra, diretta verso il centro di Los Angeles. Data l’ora, la strada era
piena di gente che usciva dall’ufficio e si dirigeva verso casa, insieme con
una miriade di bambini che tornavano da scuola.
<< Cosa è successo? >> chiese Sally, riferendosi al suo
ritardo.
<< Oh, è
tornato Xander >> rispose Irina, <<
Doveva arrivare tra una settimana, ma mi ha fatto una sorpresa >>.
Sally sorrise.
<< Ah, ho capito… >> disse, il tono complice, << Ma devi correre proprio così? >>. Si era appena
aggrappata alla maniglia della portiera, chiaramente spaventata dalla sua curva
a velocità decisamente elevata che aveva appena fatto.
<< Così
arriviamo prima. Dobbiamo recuperare il tempo perso per colpa mia >>
ribatté Irina, guardandosi intorno per cercare un parcheggio. << Nervosa?
>>.
Sally si strinse
nelle spalle. << Un pochino… Spero che questa volta sia quella giusta.
Mancano due settimane e io non ho ancora un abito da
sposa… >> disse, leggermente in apprensione, << Tra le taglie e i
modelli, sono un po’ sfortunata… >>.
Irina infilò la BMW
in uno spazio angusto tra due furgoncini e controllò che fosse la zona giusta.
<< Dai, sento
che questa volta troveremo qualcosa >> disse, poi scese dall’auto.
Il negozio di abiti
da sposa, l’ultimo che non avevano ancora visitato, le
aspettava all’angolo della strada. Le vetrine mostravano abiti
bianchi e tutti pizzo e trine, e un paio di vestiti di una tonalità di
lilla chiaro. Non era certo il più conosciuto della città o
il più esclusivo, ma era l’ultima alternativa che avevano. Suonarono il
campanello e attesero.
Una signora dai vaporosi capelli bianchi e vestita in un bel tailleur
beige le accolse con un sorriso cortese. Le fece entrare nel piccolo negozio
ordinatissimo e le guardò una a una, poi soffermò il
suo sguardo su Irina.
<< Posso
aiutarvi? >> domandò dolcemente.
<< Cercavamo
un abito… >> rispose Irina, incerta, << Classico, niente di troppo inusuale… >>.
La signora sorrise.
<< Oh, certo… Che taglia porta, cara? >>.
Irina gettò
un’occhiata a Sally, che si stava trattenendo dallo scoppiare a ridere.
<< Oh, no, non è per me >> si affrettò a dire, << E’ per lei
>>.
Il sorriso della
signora non si spense nemmeno un po’. << Ops,
chiedo scusa >> disse divertita.
Si rivolse a Sally
e la accompagnò nel retro per prendere rapidamente le sue misure. Irina si sedette
sulla poltroncina lasciata appositamente nell’angolo,
guardandosi intorno incuriosita.
Non era la prima
volta che entrava in un negozio di abiti da sposa, ma questo le sembrava molto
più… carino. Forse piccolo rispetto a quelli in cui erano andate, ma
stranamente più accogliente. Un bello specchio era appeso al lato, vicino alla
vetrina dov’era esposto uno degli abiti lilla, e su
uno scaffale erano poggiate varie scarpe bianche con il tacco.
<< Guarda
questo >> disse Sally, sbucando dal retro con un bell’abito dalla gonna
svasata e con il corpetto senza spalline. Era di un bianco
perla molto particolare.
<<
Bellissimo, davvero >> disse Irina, guardandola sfilare al centro del
negozio.
<< Uhm, le
sta bene, ma credo non sia il più adatto… >> si intromise
la signora, sempre con un sorriso cortese, << Se posso permettermi, le
farei provare qualcos’altro… >>.
In effetti, l’abito
a Sally stava bene, ma forse era troppo avvolgente per la sua figura non più magrissima. La guardò sparire nel
retro un’altra volta, e aspettò pazientemente la prova seguente.
Fu davvero strano,
ma ogni volta che Sally provava un abito, c’era sempre
un particolare che non stava al suo posto: prima la gonna, poi il corpetto, poi
la vita. L’anziana signora però non si spazientiva, e cercava sempre qualcosa
di nuovo. Alla fine sembrò colta da un’idea improvvisa, e invitò Sally a
tornare sul retro per proporle un vestito che era sicura
fosse perfetto.
Mentre aspettava,
Irina si alzò e guardò gli abiti esposti nelle vetrine. Ne trovò uno davvero
stupendo, di un bianco perlato e dal corpetto liscio e aderente, senza troppi
fronzoli, dallo scollo a V e le spalline sottili sottili. Sulla vita erano cuciti
decine di cristalli, che brillavano di mille sfaccettature. Era davvero
bellissimo, ma nemmeno per un istante le passò per la testa di immaginarsi con
quel vestito addosso: non era lei a doversi sposare.
<< E’ davvero
un abito bellissimo >>.
La proprietaria si
avvicinò, con l’espressione divertita. << L’ho messo in vetrina perché so
che nessuno la acquisterà, anche se credo sia il più bello che abbia mai visto
>> continuò. << Mi dispiaceva lasciarlo nel retro senza che nessuno
potesse vederlo >>.
<< Come mai
crede che nessuno lo compri? >> chiese Irina.
<< Oh, è
davvero molto costoso >> rispose la signora, passando un dito sulla
stoffa liscissima, << Quelli sulla vita sono cristalli preziosissimi. E
poi, bisogna avere molta personalità e un volto dai tratti adatti per
indossarlo… >>.
Irina soffermò lo
sguardo sull’abito, notando che i piccoli cristalli erano azzurri e brillavano
sotto la luce che filtrava dalla vetrina. Non aveva capito bene la storia dei
“tratti adatti”, ma di sicuro per metterlo bisognava avere un certo portamento.
<< Vuole
provarlo? >>.
Si voltò di scatto, lo sguardo sorpreso puntato sulla proprietaria.
<< No, no!
>> si affrettò a dire, << Non mi devo
sposare, io! >>.
La signora rise.
<< E’ questo cosa vuol dire? >> ribatté,
<< Non la obbligo mica a comprarlo… Ma sono
sicura che le starà benissimo >>.
Irina rimase
interdetta: aveva appena detto che ci voleva una certa personalità per
indossarlo, e lei di sicuro non ce l’aveva. Sbirciò
per un momento l’abito, quasi timorosa di ritrovarselo
davvero addosso.
Ci volle un attimo però per farle immaginare lei nella stessa situazione
di Sally. Un attimo in cui le venne il panico.
Lei, sposata.
Con l’unica persona
che amava.
Xander.
Si affrettò a
togliersi il pensiero dalla testa: non era il caso. Non voleva mettere troppo
avanti le mani, anche se il pensiero la rendeva quasi euforica. Sarebbe stato
qualcosa di assolutamente meraviglioso, legare per sempre la sua esistenza a
quella di Xander…
“No. No, Irina, non ci pensare… Non è il momento. A
parte che lui non è il tipo da matrimonio, almeno non per adesso… E tu sei
ancora troppo giovane per pensarci”.
Sorrise
all’indirizzo della signora. << La ringrazio infinitamente, ma non me la
sento >> disse, << Credo sia… Non so, ho l’impressione che non sia
appropriata, come cosa >>.
La proprietaria
sorrise. << D’accordo, allora >>. Sembrava essersi aspettata una
risposta del genere, << Tanto penso che se un giorno le servirà, sarà
ancora qui >>.
<< Irina, è
perfetto! >>.
Sally le
interruppe, ed entrambe si voltarono verso di lei.
Sì, decisamente l’anziana signora ci aveva visto giusto. L’abito
dalla lunga gonna dalla tesa piuttosto ampia, ricamata di perline e pizzo
fiorito le cadeva a pennello; il corpetto dalle maniche a palloncino le
fasciava il busto senza costringerla né facendo pieghe bizzarre. Le stava
davvero benissimo.
Sorrise di fronte
all’espressione estasiata di Sally, e disse: << Sì, questo è il tuo
>>. Guardò la signora, in attesa del suo giudizio.
<< Sì, questo
è perfetto davvero >> convenne.
Sally fece un giro
su se stessa e si guardò nello specchio nell’angolo, gli occhi che brillavano.
Lisciò la gonna e si tirò su i capelli per vedere l’effetto. Irina la guardava
con un misto di divertimento e sollievo. La sua entrata l’aveva distolta dai
pensieri di matrimonio…
<< Però… >> iniziò Sally, guardando il cartellino appeso
all’abito, << E’… Bè, è un po’ caro… >>.
Guardò la signora
come a volersi scusare per il commento, e Irina la raggiunse. Lesse il prezzo e
poi rimise il cartellino al suo posto.
Sì, in effetti era un po’ caro. Però
non era una scusa per non prenderlo: in fondo, avevano girato tutta Los Angeles
per trovare l’abito giusto, e non potevano certo mollare proprio ora, anche
perché non avevano più molto tempo. Oltretutto, se le piaceva, non poteva
rinunciare.
<<
L’importante è che ti piaccia >> le disse, e la signora attese in cortese
silenzio che parlassero della questione.
<< Sì, mi
piace. E’ stupendo, se devo essere sincera, ma… >>. Sally sembrava a
disagio, << Mi sembra un po’ eccessivo… Già tra
la cerimonia e il ristorante… >>.
Irina la guardò:
Sally era sempre stata una brava ragazza, e in qualche modo si riconosceva in
lei. Entrambe si erano ritrovate a dover fare qualcosa che non volevano,
avevano vissuto per anni nell’illegalità cercando disperatamente di liberarsi…
Forse per quel motivo aveva deciso di accompagnarla a cercare l’abito da sposa,
a darle una mano per il matrimonio: entrambe erano uscite dal tunnel e stavano
vivendo la loro fiaba personale. Perché rovinare tutto proprio nel giorno più
bello?
<< Se non ti
offendi, te lo regalo io >> disse semplicemente.
Sally rimase di
sasso.
<< In fondo,
è il migliore regalo che possa farti, no? >> continuò Irina, con un
sorriso, << O preferisci che ti regali uno di quegli inutili servizi da
te che usavano nell’ottocento? >>.
La signora del
negozio sorrise a sua volta, e Sally continuò a rimanere senza parole per
qualche istante.
<< Bé, mi
sembra esagerato… Non è un po’ troppo anche per te? >> chiese titubante.
Se c’era una cosa
di cui in quei due anni non si era dovuta preoccupare, erano
stati i soldi: suo padre ormai lavorava regolarmente, esattamente come i suoi
due fratelli, e Xander era sempre stato piuttosto
generoso con lei… La carta di credito dal budget forse illimitato che le aveva
regalato al suo compleanno, e che lei non aveva mai praticamente utilizzato, ne
era la conferma. Questa era l’occasione giusta per sfruttarla.
<<
Consideralo un regalo mio e di Xander >> disse,
poi si voltò verso la proprietaria, << Lo prendiamo >>.
Sally fece per
protestare, ma lei la zittì. << Avanti, mi fa piacere >> disse,
<< Non ti devi preoccupare. Tu in cambio lasci
Tommy da me, quando andrete in viaggio di nozze, ok? >>.
<< Oh, va
bene, ma… >> fece Sally, imbarazzatissima.
<< Non ve lo
volete mica portare dietro? >> sorrise Irina, << Potete concedervi
una vacanza, ogni tanto. Lo sai che mi fai un grande regalo se lo lasci da me
>>.
Era la verità. Suo
nipote era forse una delle cose più belle che le era capitata nella vita, e
averlo di nuovo qualche giorno con lei era davvero una cosa fantastica. Per due
anni, quando se ne era presa cura lei, aveva rappresentato la sua luce
personale.
<< Per quando
lo devo preparare? >> domandò la signora.
Irina gli porse la
fatidica carta di credito, e poi lasciò Sally a sistemare il resto. Mentre
aspettava, in piedi di fianco all’abito dai cristalli azzurri, si sentì
particolarmente felice. Aveva appena contribuito a rendere il giorno più bello
della vita di Sally sempre più simile a una fiaba, e non poteva che pensare che
se lo meritava. Anche lei aveva sofferto tanto, e non
le interessava cosa fosse successo in passato. L’importante era che tutto stava
andando bene, e che sarebbe continuato ad andare così.
Spazio
Autrice
…
…
…
Io sono più contenta di voi, ragazzi… Anche
se il mio senso del dovere mi sta gridando che non avrei dovuto pubblicare un’altra
storia… Ma cosa vi devo dire, la mia vita senza Irina e Xander
è vuota.
Quindi, prima di tutto sappiate che per il
momento non so quanto sarà lunga Russian Roulette, e
non sono nemmeno tanto sicura di come finirà… Ho un po’ di idee,
e devo decidere. Poi, questa volta (e stavolta lo faccio davvero, perché di
solito dico sempre così ma poi finisce in tutt’altro
modo…) aggiornerò con moltissima calma, perché ho fatto un patto con me stessa:
se voglio pubblicare una fic, non devo trascurare lo
studio (anche perché sono praticamente chiusa tutta la settimana dentro la
facoltà… Ditemi voi dove lo trovo il tempo…). Perciò, il massimo che posso
garantirvi è un capitolo a settimana, perdonatemi. Sarà così almeno fino all’estate,
poi una volta finiti gli esami potrò scatenarmi.
Per il resto… Bé, sono troppo contenta. Passiamo
al commento capitolo, che forse è meglio.
Allora… Come vedete
siamo tornati nel mondo di Irina, notevolmente diverso da quello in cui l’abbiamo
incontrata per la prima volta: sono passati due anni, e finalmente sembra aver
ritrovato la pace e la felicità. Oltretutto, matrimonio in vista per il
fratello. Tutto scorre tranquillamente, anche se in fondo sia lei che Xander sono rimasti gli stessi…
Ci vorrà qualche capitolo per vedere un po’
di movimento, ma quando le cose inizieranno a farsi serie
mi rifarò…
Russian Roulette… Sul
titolo non posso dire niente, ma dal prossimo cap
credo che inizierete a capire qualcosa. E penso che nessuno di voi si aspetta quello che succederà, perché stavolta stravolgerò
davvero tutto…
Adesso, chi ha promesso di commentare se
avessi pubblicato un seguito, onori la sua promessa! Naturalmente scherzo,
siete liberi di fare quello che volete, ma una recensione sarà graditissima.
Alla prossima settimana (venerdì,
presumibilmente )… E sarà la volta di William, eh.
La vostra Lhea