Pubblico questa shot
mentre la mia tastiera si allaga per via delle mie lacrime.
ç////ç Essere arrivata seconda in un contest su Death Note
è per me un onore, un merito, una lusinga, soprattutto se si considera
che conosco da così poco tempo questo fandom,
e che questo era soltanto il secondo contest cui partecipavo.
Ringrazierò all’infinito
Globulo rosso e il suo “Death’s waiting you”, grazie a cui sono riuscita a trovare
l’ispirazione giusta per questa cosuccia che volevo scrivere da tempo e,
soprattutto, ho vinto una sfida con me stessa.
E grazie, ovviamente, a chiunque
vorrà leggerla. <3
CREDITS: La canzone che accompagna il testo
è La guerra di Piero di
Fabrizio de Andrè
falleN ~
Canzone di guerra [persa]
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi
Light Yagami
sta morendo.
Non ha bisogno di vedere scritto il
proprio nome sul quaderno del dio della morte per saperlo. Non ha bisogno di
soffermarsi sulle ferite che gli percorrono il corpo per prevederlo.
Se lo sente là, un nodo certo e
fisso, in quel punto che gli esseri umani chiamano cuore.
Mero organo vitale o centro dell’anima
che sia.
Respira piano, Yagami, [ormai
non c’è più fretta]
e ascolta il suo stesso sangue
sgocciolare via dal corpo martoriato [porre
fine a quel circolo insensato ed inutile]
e la sua stessa vita sfuggirgli di mano [la
mano giustiziera che forse non ha mai stretto
davvero qualcosa.]
Ascolta e respira e aspetta, neanche lui
sa che.
E morire gli appare inconcepibile.
Una piccola parte di lui ha quasi voglia
di sorridere. C’è dell’ironia, in tutto questo. Ed anche del
sadico. Un po’.
Vedi
la morte ovunque. In tv, sui giornali, nei vicoli bui e marci; i media
prosperano sulla morte e sull’impatto che essa ha, immancabilmente, sulla
gente.
La
vedi, ne senti parlare, e impari a conviverci. Impari ad accettare che lei
esiste.
Un
giorno, poi, trovi un quaderno strano, e allora la padroneggi
addirittura.
Ma
all’improvviso entri in un capannone abbandonato, e la trovi là
che aspetta te.
E
allora, solo allora, di colpo, morire ti appare un’idea inconcepibile.
E lo fa, Yagami,
sorride all’assurdità
dei propri pensieri. È l’ironia della sorte, quella che prima gli
ha messo in mano il potere e adesso se lo sta semplicemente riprendendo.
Più che impaurito, è
deluso. E arrabbiato.
[ Light Yagami
sta morendo. Ma Light Yagami non può ancora
morire. Non può e non deve. ]
[ Light Yagami
è il dio. ]
« Quanta presunzione, quanta superbia
nell’animo di un solo uomo… »
Alza lo sguardo. Chi c’è?
Qualcuno nell’ombra?
Cerca di sollevare il capo, ma i muscoli
del corpo quasi non gli rispondono più. Allora resta semplicemente
così, abbandonato a se stesso, a scrutare nel bagliore morente del
tramonto filtrato, ad intuire i contorni di una figura [quasi familiare]
china su di lui.
Cerca di parlarle, di chiederle
chi– perché, ma le
parole già non gli rispondono più. Allora resta semplicemente in
silenzio, ad aspettare che quella parli di nuovo.
E lei lo accontenta.
« Da che esisto, tu sei l’essere
più curioso e allo stesso tempo più irritante che sia mai venuta
a prendere, Light Yagami. »
C’è una traccia lievissima
di scherno nel suo tono, nella sua voce fredda, lenta, indistinta. Come osa? Come
osa deridere un dio?
Dille
qualcosa, Yagami. Non vedi che si sta prendendo gioco
di te?
Dov’è
finito il tuo carisma, il tuo ascendente, ciò che ti ha sempre innalzato
agli occhi del prossimo e sollevato da quel marasma sporco sotto i tuoi piedi?
« Oh, non angustiarti. Non hai bisogno di
ribattere. Io so cosa pensi. Io so chi sei. »
“Lungo le sponde del mio torrente
Voglio che scendano i lucci argentati
Non più i cadaveri dei soldati
Portati in braccio dalla corrente”
Così dicevi, ed era d’inverno
E come gli altri verso l’inferno
Te ne vai triste come chi deve
E il vento ti sputa in faccia la neve
[ … ]
No,
non è vero.
Che
cosa ne sa?
Che
cosa ne sanno gli altri?
Sono
stati in grado soltanto di giudicarti, di maledirti, di ucciderti. Blasfemi.
Puri blasfemi. Ciechi e sordi.
Hanno
condannato la tua guerra, la loro
stessa guerra, e non sono mai arrivati a
vedere oltre.
Non
sono mai riusciti a capire. Nessuno di loro. Mai.
Neanche
quelli che, dentro, la pensavano come te.
[ … ]
E mentre marciavi con l’anima in spalle
Vedesti un uomo in fondo alla valle
Che aveva il tuo stesso identico umore
Ma la divisa di un altro colore
[ … ]
“E se gli sparo in fronte o nel cuore
Soltanto il tempo avrà per morire
Ma il tempo a me resterà per vedere
Vedere gli occhi di un uomo che muore”
E mentre gli usi questa premura
Quello si volta, ti vede e ha paura
Ed imbracciata l’artiglieria
Non ti ricambia la cortesia
La figura è vicina, sempre
più vicina, eppure ancora lui non riesce a distinguerne i lineamenti.
Porta una mano avanti, una mano lunga,
pallida e sottile. Indugia sul suo viso, sfiora appena la scia del sangue sulla
sua pelle. Fredda. Ma consistente.
« So che tu, Light Yagami,
hai sognato di poterti paragonare a me. »
Chiude gli occhi.
Non è stato un sogno, quello che
ha vissuto.
Non è stato un sogno, quello che
è riuscito a fare.
« Ed è per questo che non posso
perdonarti. »
Lui non vuole il suo perdono [non
ha mai voluto il perdono di nessuno.]
Non
ha bisogno del perdono di nessuno [lui
è il dio.]
[ Light Yagami
sta morendo. Il dio no. ]
« E so anche, Light Yagami,
che in questo momento tu hai paura. »
Questa volta alle sue labbra riesce ad
affiorare un breve, lucido sorriso di beffa.
Paura? La paura non è per un dio.
« Sul serio, non c’è
bisogno di fingere. La paura non è da perdenti, è solo da
mortali. »
« Perché è questo che tu resti. Un mortale.
Un mortale stanco, e solo.
»
La mano sale alla fronte, scosta i
capelli dalle sue palpebre ancora abbassate. Lo accarezza, quasi.
È un gesto intimo, confidenziale.
Anche la voce è diventata suadente. Come dell’adulto che aspetta
pazientemente che il bambino lo segua, attraverso una strada affollata, per
arrivare alla meta comune.
Lei
capisce, Yagami. Non è vero?
Un sospiro. Un debole, stanchissimo
sospiro. Senza aprire gli occhi.
Gli ha sempre dato fastidio dover dare
ragione a qualcun altro.
Mortale o immortale che fosse.
Schiude le labbra, le muove appena, ma
la parola non riesce a formarsi. Si ferma sulla punta della sua lingua rossa di
sangue e di cose non finite – maledizione – cose che non
avrà il tempo di finire.
Ma lei
sembra sentirla lo stesso.
« No. Non soffrirai. »
Tu
non puoi soffrire più, ormai, Yagami.
Perché non stai andando in un posto dove la sofferenza sia contemplata.
Non
stai andando verso la luce, là dove il dolore viene ricordato ed
esaltato come garanzia di salvezza.
Non
stai andando verso il buio, là dove il dolore si feconda e si rigenera e
spesso si autodistrugge soltanto per ricominciare daccapo.
« Non vedrai nulla di tutto questo, Light Yagami. Tu verrai con me, nient’altro. E io non ho nulla da darti. »
« … »
« Soltanto qualcosa da prenderti.
»
La stretta tra i suoi capelli di colpo
si fa potente, e lui apre gli occhi, sorpreso e confuso.
Per la prima volta, come gli uomini che
lui stesso ha condannato, guarda in faccia la Morte.
E quella vista, la vista del nulla, la
vista del primo timido rimorso e
dell’ultimo inutile rimpianto,
gli fa orrore.
Cadesti a terra senza un lamento
E ti accorgesti in un solo momento
Che il tempo non ti sarebbe bastato
A chieder perdono per ogni peccato
…
Dunque per chi è davvero la paura? …
« La confessione non serve più a
niente. »
« L’assoluzione non esiste. Io
sì. »
[…]
E mentre il grano ti stava a sentire
Dentro alle mani stringevi il fucile
Dentro alla bocca stringevi parole
Troppo gelate per sciogliersi al sole
[ Light Yagami
è morto. ]
[ Il
dio, anche. ]
Dormi sepolto in un campo di grano
Non è la rosa, non è il tulipano
Che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
Ma sono mille papaveri rossi
Tutto quello che rimane, è solo
una canzone di guerra [persa].